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Giovedì 6 Aprile 2017
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È l’attività edilizia. Non è spento per cause accidentali ma perché si è deciso così
Un motore dello sviluppo è spento
Senza investimenti infrastrutturali non arriva la ripresa
DI
L
PAOLO SAVONA
eggendo quali siano le
intenzioni del Governo
italiano e dell’Unione Europea, nonché i commenti
dei giornalisti economici, viene
il sospetto che si sia persa cognizione di quali siano le regole che
governano la nostra economia
produttiva e l’occupazione.
Nel dopoguerra le due visioni
alternative, quella keynesiana
e quella monetarista, avevano
spinto i paesi occidentali, Italia
compresa, a scegliere le proprie
politiche in funzione delle proposte di queste due scuole di
pensiero, la cui differenza fondamentale consisteva nella diversa concezione del ruolo della
domanda aggregata (consumi,
investimenti ed esportazioni) e
delle basi su cui si fonda l’occupazione della forza lavoro.
La prima riteneva che
la spesa pubblica, preferibilmente per investimenti, dovesse avere un ruolo trainante
(politica della domanda) e la
seconda, invece, che lo dovesse
avere un mercato sempre più
libero, perché la domanda sarebbe spontaneamente seguita
(politica dell’offerta). Per il lavoro, i monetaristi ritenevano
che la piena occupazione fosse
quella sempre garantita dalle
condizioni vigenti del mercato,
mentre i keynesiani avevano
una concezione «fisica» della
stessa e la politica si dovesse
dare carico di garantirla se i
privati non provvedevano (il limite fu individuato tra il 5-6%
della forza lavoro).
Sui temi economici, si-
nistra e destra si distinsero livello di inizio della Grande resulla base di questa diversa cessione del 2008. Gli analisti
interpretazione; gli insuccessi e la politica economica italiana
incontrati dall’una o dall’altra si rifiutano di riconoscere che i
concezione hanno fatto perdere motori del nostro sviluppo sono
l’orientamento indistintamen- due: le esportazioni e le costrute a tutte le forze politiche ed zioni.
Il secondo motore viene teesse si sono messe a inseguire
l’insoddisfazione crescente de- nuto quasi spento per motivi
gli elettori offrendo assistenza e ideologici interni e per sordità
non opportunità di impiego. Le europea. Si spende invece di più
proposte che vengono avanzate o si progetta di spendere a lirispecchiano questa confusione vello pubblico per migliorare la
e ripropongono soluzioni da competitività delle nostre esportazioni, senza
economie e sotenere concietà chiuse
to che, così
nella speranza
facendo, si
di ritornare sul
sottraggono
sentiero dello
risorse pubsviluppo.
bliche per gli
L’ I t a l i a è
investimenti
conscia che il
e si trascura
suo sviluppo
che la domanè trainato dalda estera,
le esportazioni
unitamente
e si prefigge di
al cambio
mantenere la
dell’euro,
natura di econosono fuori
mia aperta, ma
dal nostro
trascura le relaPier Carlo Padoan
controllo.
zioni che legano
Inoltre il
gli investimenti
alla domanda aggregata e ai prezzo delle esportazioni
tassi dell’interesse e le esporta- non è tra le determinanti prinzioni alla domanda estera e al cipali delle nostre esportazioni,
le quali ammontano a non più
cambio estero della moneta.
Da queste stesse colonne di un quinto del Pil e non posè stato insistentemente indi- sono certo fungere da principacato che senza investimenti le motore del nostro sviluppo.
infrastrutturali e rilancio delle Che l’aggiustamento dei conti
costruzioni la ripresa non po- pubblici avvenga a spese degli
trebbe arrivare. Quel poco di investimenti è un dato di fatto,
crescita del Pil che si esalta e che assume varie forme: parrebalimenta le speranze di ripresa be che 35 dei 46 mld di spese
è un sussulto statistico dovuto per investimenti attuabili al
al fatto che la base di calcolo è Sud sulla base dei contributi
di circa un decimo inferiore al Ue previsti per il 2018-2020,
Vignetta di Claudio Cadei
sarebbero disponibili solo dopo
la scadenza del triennio.
Sotto la spinta degli industriali e dei sindacati dei lavoratori si intende ora ridurre il
cuneo fiscale senza previa correzione dei benefici riconosciuti. Se un siffatto provvedimento
viene attuato a parità di livello
salariale si aumenterebbe la
domanda aggregata, ma attraverso un canale meno efficace di
quello degli investimenti pubblici. Se, invece, si ritiene che i salari debbano ridursi, senza che i
prezzi dei prodotti finiti flettano,
si avrebbero sempre gli stessi effetti negativi sulla composizione
della spesa pubblica, ma non si
avrebbero né effetti positivi sulle esportazioni, né sugli investimenti e si incrementerebbero
solo i profitti.
Senza una più intensa ripresa della domanda aggregata interna gli sgravi fiscali non
raggiungerebbero lo scopo di aumentare gli investimenti, ma gli
accordi europei non lo consentono, anche se l’Italia presenta attualmente un attivo di bilancia
estera corrente che imporrebbe
una maggiore spesa.
Se si decidesse di ridurre
comunque il cuneo fiscale senza rivedere i benefici, esso troverebbe giustificazione nella
consueta ricerca di un consenso
elettorale, che avrebbe peraltro
scarse probabilità di successo
allo stato attuale delle aspettative della pubblica opinione.
Si riparta quindi dal recupero
di una corretta concezione del
funzionamento del modello di
sviluppo italiano e delle relazioni tra macrovariabili e relativa spiegazione all’elettorato
di ciò che comporta. Non è certo
compito facile, ma neanche impossibile.
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IN CONTROLUCE
L’Italia è sempre governata dal direttore d’un circo delle pulci
che si diverte a guardare le sue piccole acrobate che tirano carretti
DI
D
DIEGO GABUTTI
opo alcune spy story di routine apparse negli anni settanta, Martin Cruz Smith
scalò tutte le classifiche nel
1981 con un romanzo memorabile,
Gorky Park, da cui fu tratto un film di
cassetta ambientato e girato in Unione
sovietica. Protagonista della storia era
un detective russo, Arkady Renko, un
Philip Marlowe moscovita, ispirato al
modello hard-boiled del poliziotto nobile e smagato. Alle inchieste del suo
detective sovietico e post sovietico Cruz
Smith ha dedicato altri sette romanzi,
l’ultimo dei quali nel 2013, Tatiana.
Tutti ottimi, ma soprattutto tutti sobri e dignitosi, persino realistici, come
le spy stories - ormai definitivamente
convertite alle tinte forti dei fumetti
popolati di superagenti, supercongiure,
supercattivi, superjihadisti - non sono
più da un pezzo.
Cruz Smith ha scritto anche
storie esotiche, per esempio Los Alamos, un perfetto dramma spionistico
ambientato tra gli scienziati atomici (e
le spie russe) al lavoro, nel 1945, sulla
prima esplosione nucleare nel deserto
del Nevada. Bella anche l’ambientazione «giappa» di Tokyo Station, una sorta
di misurato Casablanca asiatico. Bellissima, infine, anche se fasulla come la
scenografia d’un film dell’«Uomo Ombra» con Dick Powell e Mirna Loy, la
messa in scena italiana del suo nuovo
romanzo, La ragazza di Venezia. È il
1945, i fascisti sono alla frutta, i nazisti
hanno perduto la guerra ma continuano a rastrellare ebrei, i partigiani sono
alle porte e un pescatore sopra le righe
della laguna veneziana, pittore ed ex
pilota di bombardieri in Abissinia, fratello per di più d’un divo del cinema,
presta soccorso a una ragazza ebrea
in fuga.
Giovanissima, di famiglia borghese, la ragazza è braccata dagli
hitleriani (e non solo perché è ebrea,
e nemmeno soltanto perché è l’unica
testimone sopravvissuta a un crimine
di guerra di cui conosce i responsabili,
ma perché c’è dietro tutto un intrigo
politico). Cenzo, il pescatore, la perde
e la ritrova, conoscendo lungo la strada
tedeschi in cerca d’una via di scampo,
fascisti che ancora stravedono per Mascellone, doppiogiochisti, dark ladies,
magnati del cinema. Non può fidarsi di
nessuno, nemmeno del proprio fratello,
l’attore, che gli ha sedotto tempo prima
la moglie. C’è anche una spiegazione
(più romanzesca e divertente del solito) per la scomparsa dell’oro di Dongo.
C’è il tentativo, da parte di Mussolini,
di prendere il largo da solo, senza la
moglie e senza l’amante (un tentativo
fallito, l’uomo carambola ormai da un
naufragio all’altro).
Cruz Smith cita una canzone di Cole
Porter:
«You’re the top,
you’re Mussolini.
You’re the top,
you’re a dry martini».
Raramente gli ultimi giorni di
Salò e i primi giorni della democrazia sono stati raccontati col divertito
disprezzo che dopo tanto tempo rende
loro giustizia. Ci voleva uno sguardo
esterno - uno sguardo surrealista, lo
sguardo di chi non ha niente da perdere e niente da guadagnare, a diffe-
renza dei nostri politici e giornalisti
- per raccontare una nazione che per
vent’anni è stata governata da un
clown e che sta per cadere dalla padella nella brace. C’è qualche trompel’oeil da «telefoni bianchi»; ci sono Caino e Abele come in Aveva un taxi nero
di Enzo Jannacci («Abele pilotava
gli aerei, Caino gli rubava la moglie»);
ci sono scene di caccia alle anatre nella laguna involate all’Hemingway di
Al di là del fiume e tra gli alberi; c’è
un’idea del divertissement storico degna del Siciliano di Michael Cimino
(Salvatore Giuliano che ascolta dischi
di jazz). Ma il racconto fila liscio e veloce, senza mai tradire il suo soggetto:
l’Italia (be’, l’umanità, siamo giusti)
eternamente governata dal «direttore
d’un circo delle pulci che si diverte a
guardare le sue piccole acrobate che
tirano carretti e saltano attraverso i
cerchi».
Martin Cruz Smith, La ragazza
di Venezia, Mondadori 2017, pp.
249, 19,00 euro, eBook 9,99 euro.
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