Il Made in Italy torna a farsi rispettare, ma non si sta esprimendo al

Il Made in Italy torna a farsi rispettare, ma non si sta
esprimendo al meglio
Il Made in Italy rialza la testa, ma non è in grado di sfruttare adeguatamente le opportunità
offerte dalla rilevante espansione del commercio internazionale. E questo avviene
soprattutto a causa della perdita di competitività dei nostri prodotti. Secondo il rapporto
2005-2006 “L’Italia nell’economia internazionale” di Ice-Istat, infatti, il commercio estero
italiano nei primi quattro mesi del 2006 mette in evidenza una crescita delle esportazioni di
merci pari al 9% nei valori correnti rispetto al corrispondente quadrimestre di un anno fa.
Nell’ambito dei Paesi dell’Unione europea, che incidono per quasi il 60% sul totale
dell’interscambio, l’aumento delle nostre vendite è del 5,7% nello stesso periodo, mentre
con i Paesi extra Ue la dinamica dell’export in valore ha toccato il +14,4% nei primi cinque
mesi, pur risultando molto inferiore a quella delle importazioni (+24%, su cui pesa il caro
petrolio). I conti economici nazionali del primo trimestre 2006 registrano, in particolare,
una netta ripresa delle esportazioni di beni e servizi a prezzi costanti, sia nei confronti del
periodo precedente (+2,5%) che dello stesso trimestre del 2005 (+6% tendenziale).
Nel 2005 le esportazioni di beni e servizi hanno mostrato un sostanziale ristagno (+0,3%
nei valori reali), dopo il parziale recupero (+3%) del periodo precedente. Nel corso
dell’anno l’andamento è stato molto fluttuante: alle due flessioni del primo e del terzo
trimestre sono seguiti altrettanti recuperi congiunturali nel secondo e nel quarto, che si
confermano nella prima parte del 2006. La dinamica dell’export è stata sostenuta lo
scorso anno dal notevole sviluppo del commercio mondiale (+8% circa), in cui la quota
dell’Italia si è ulteriormente ridotta, scendendo al 2,7% se valutata a prezzi costanti (era
pari al 4,6% a metà degli anni 90). Nei valori correnti l’andamento degli scambi mette in
evidenza un risultato meno negativo per le esportazioni italiane: è contenuta, infatti, al
3,7%
la
flessione
della
quota
italiana
nel
2005.
Negli ultimi anni, in particolare, il divario di crescita tra le nostre esportazioni e quelle degli
altri Paesi dell’area euro (Germania e Francia in primis) è sensibilmente aumentato, in
concomitanza con l’accelerazione degli scambi internazionali.
Le vendite italiane sui mercati esteri continuano, infatti, a risentire sia di fattori contingenti,
quali l’apprezzamento dell’euro, sia di problemi strutturali, legati alla specializzazione
dell’industria nei settori a minor valore aggiunto (esposti alla concorrenza dei paesi a
basso costo del lavoro) e alla sua dipendenza da mercati di sbocco poco dinamici.
L’export verso i Paesi dell’Unione europea è risultato, per esempio, poco più che
stazionario nel 2005 (+1,6% a valori correnti), riflettendo la debolezza della congiuntura
europea, a cominciare da quella tedesca.
Più sostenuta è stata invece, sempre nel 2005, la dinamica delle esportazioni verso i
Paesi extraeuropei (+7,5% in valore), grazie alla forte domanda proveniente dall’Asia e
dalla Russia. L’avanzo commerciale nei confronti di queste aree geografiche si è, tuttavia,
completamente ribaltato e il saldo dell’interscambio complessivo è, di conseguenza,
andato in rosso per ben 10 miliardi di euro, accompagnandosi al calo di competitività
accentuato dalla debolezza del dollaro e al nuovo sensibile aumento del prezzo del
petrolio. La progressiva erosione delle quote di mercato delle merci italiane è avvenuta in
un contesto di forte sviluppo nel commercio internazionale dei paesi emergenti, la cui
specializzazione merceologica è in parte simile a quella dei nostri esportatori. La
composizione settoriale del Made in Italy mostra, poi, una specifica debolezza nei prodotti
a più elevato contenuto di tecnologia, dove la domanda mondiale si presenta molto
dinamica. Il recupero dell’export dovrebbe, però, mostrare un’evoluzione più moderata nel
corso del secondo semestre, a causa sia dell’apprezzamento dell’euro, sia della probabile
minore crescita dell’economia internazionale.
Daniele Scuccato