Eventi Lunedì 8 Luglio 2013 Chimica, Farmaceutica e Biotech ■■ SÈRGE / Lo spin off dell’Università di Siena offre servizi di identificazione genetica anche nell’agroalimentare Il Dna per risalire al vitigno La nuova frontiera della ricerca per i vini monovarietali e plurivarietali N el caso di un vino mono o plurivarietale è possibile risalire al vitigno o al vitigno prevalente utilizzato per la produzione, al fine di verificare se ciò che è dichiarato in etichetta corrisponde al vero? La risposta, articolata a seconda che si tratti di uvaggi monovarietali o plurivarietali, sta nei risultati dei recenti progetti condotti da Sèrge, società di servizi di identificazione genetica, uno spin-off dell’Università di Siena nato nel 2006 e che opera all’interno del Dipartimento di Scienze della vita dell’ateneo. “La parola chiave dei nostri servizi è Dna - spiega Rita Vignani, responsabile dell’area agronomica di Sèrge -, poiché la nostra mission è l’identificazione genetica in diversi settori, dall’agroalimentare fino ai beni culturali”. Sèrge ha così operato per l’identificazione di agenti patogeni che attaccano gli affreschi, per l’identificazione genetica della vite o per la definizione del profilo genetico distintivo della razza suina Cinta Senese, solo per fare qualche esempio. La tracciabilità molecolare di un vino è attuata a partire dal vigneto per arrivare al prodotto, confrontando il profilo genetico ottenibile dal vino con quello del vitigno standard di riferimento. Dna-traced™ è un marchio registrato la cui indicazione in etichetta (ancora sperimentale) attesta che quel vino è stato sottoposto a verifica genetica Tracciabilità molecolare di un vino estrazione dna da vino VINO 1 VINO 2 VINO DI CONTROLLO TRAVASO IN TUBI DA CENTRIFUGA CENTRIFUGAZIONE 4000XG PELLET A SOVRANATANTE PRECIPITAZIONE CON ALCOL CENTRIFUGAZIONE PELLET B PELLET A analisi genetiche dal vigneto al vino Estrazione con tex buffer ESTRAZIONe CON SOLVENTI ORGANICI PURIFICAZIONE CON KIT COMMERCIALI E PCR CONFRONTO DEL GENOTIPO DA VINO CON LE BANCHE DATIU SULLA VITE Nuova frontiera della sua ricerca e dei servizi connessi è ora l’identificazione varietale nei residui di Dna da vino, attraverso l’applicazione di metodiche analitico-molecolari. Un orizzonte nuovo su cui, aggiunge l’esperta, vi è ancora dibattito anche se Sèrge è riuscita a portare sul tema argomenti definitivi nella sostanza, tanto da essere pubblicati su prestigiose riviste scientifiche internazionali. In sintesi, “l’identificazione del vitigno nel vino monovarietale è possibile attraverso le molecole del Dna. Poiché il Dna, ■■ BEA / Biotecnologie per l’ecologia e l’agricoltura ecocompatibile sebbene degradato è ancora leggibile - spiega -, è possibile da esso trarre informazioni sul vitigno d’origine”. Queste conclusioni sono il frutto di un progetto finanziato in seguito a bando dall’ente governativo americano Ttb, che aveva conosciuto l’attività di Sèrge in controlli effettuati per il Consorzio del Brunello. “I lavori sul vino monovarietale - prosegue la responsabile - sono iniziati nel 2009 e si sono conclusi nel 2011, con la pubblicazione dei risultati sul American Journal of Enology and Viticulture. La tracciabilità molecolare dei vitigni attraverso il test del Dna possiamo dunque dire che funziona benissimo nei vini monovarietali”. Il progetto legato al bando del Ttb ha avuto una seconda fase che si è conclusa nel gennaio di quest’anno e che aveva come obiettivo capire se, nel caso di un vino plurivarietale, è possibile individuare il vitigno prevalente. “La ricerca è stata condotta su vini americani di natura commerciale, uvaggi prodotti anche con una ventina di varietà di vitigni. Il nostro compito racconta Vignani - era quello di identificare, in una realtà molto complessa, l’impronta genetica prevalente, pur non determinandone la quantità”. A Sèrge sono stati consegnati 7 campioni “in cieco”. In sei casi la società senese di identificazione genetica ha individuato il vitigno prevalente, in un caso non è stato identificato. “Possiamo dire di aver raggiunto un buon risultato”, commenta Vignani. I risultati di entrambe le ricerche sono stati presentati a fine aprile a New York in un appuntamento voluto dal Ttb e dal Wine Institute, alla presenza di importantissimi isti- 19 tuti di controllo, da quello canadese a quello cinese nonché dei maggiori rappresentanti dell’industria del vino Usa. Ulteriore ambito d’attività di Sèrge nel mondo della viticoltura è la ricognizione genetica dei vigneti e la creazione di banche dati aziendali ex-situ. “Uno screening dei vigneti che consente di individuare anche micro territori e che è richiesto da quelle aziende che hanno avviato il programma di certificazione volontaria Iso 22005, ovvero una certificazione addizionale analitica di prodotto prevista, su base volontaria, da una direttiva europea”. Sèrge è custode di una banca di oltre 160 vitigni, che rappresentano efficacemente il germoplasma viticolo toscano dal cui Dna è stato ottenuto il profilo genotipico caratteristico per ciascuna cultivar, con speciale attenzione al Sangiovese in tutte le sue accezioni. Lo spin-off può contare sulla pluriennale e comprovata esperienza dei suoi componenti maturata nell’ambito di progetti di ricerca applicati alle diverse aree di competenza per compiere l’analisi del Dna. Le analisi genetiche applicate al settore agroalimentare, incluso il vino, costituiscono una nuova frontiera nel campo della tracciabilità che si pone a servizio di produttori e consumatori, a tutela della sicurezza e genuinità dei prodotti alimentari d’eccellenza. ■■ UNICA / A Cagliari i corsi di laurea attenti alle nuove tecnologie L’humus: l’amico dei terreni “stanchi” Professione Ingegnere chimico I “consorzi di batteri” che rivitalizzano le colture Molti gli sbocchi per una figura riconosciuta a livello mondiale N A el 1970 un gruppo di giovani e sensibili ricercatori, allarmati per la continua perdita di humus nei suoli - e la conseguente riduzione della fertilità - iniziarono a lavorare controcorrente per individuare dei rimedi. Nasce così nel 1996 la B.E.A. Srl (Biotecnologie per l’Ecologia e l’Agricoltura). Il tema sviluppato dai ricercatori lasciava indifferenti gli agricoltori che pensavano di sostituire l’impegnativa concimazione organica, con i concimi di sintesi: condizione che ha permesso di ottenere raccolti soddisfacenti solo finché l’humus scese sotto la soglia minima. Ma quel limite segnava l’alterazione di delicati equilibri fra le radici delle piante e i microrganismi del suolo, ignorando che l’humus fosse la “casa” dei microrganismi agronomicamente utili. Oggi ci accorgiamo, con molto ritardo, che il continuo degrado del suolo conduce alla “stanchezza del terreno”, alla riduzione dell’efficienza del sistema immunitario delle piante che porta all’incremento del ricorso ai fitofarmaci, alla riduzione della qualità degli alimenti e all’inquinamento delle acque di falda e di superficie, per limitarsi ai danni principali. I ricercatori della B.E.A. compresero che era impossibile rimediare a questo dissesto per l’indisponibilità degli ingentissimi quantitativi necessari di sostanza organica. Iniziarono allora a produrre consorzi di batteri, proteggendoli in particolari strutture microporose. Per aumentarne la loro effi- cienza i microrganismi furono posti, unitamente a enzimi, in un particolare fluido per apportare anche l’insieme delle sostanze attive presenti nella soluzione circolante propria dei suoli ricchi di humus. Con questo semplice stratagemma si è ottimizzato il microambiente della rizosfera e, con periodiche somministrazioni, si “illude” la pianta di vivere in un terreno ricco di humus. Il risultato è stato l’aumento e il miglioramento della qualità dei raccolti, la riduzione delle concimazioni chimiche e dei fitofarmaci. Un altro straordinario risultato è il minore fabbisogno di acqua per irrigare: un aspetto importante, oggi che l’acqua è un bene primario e di disponibilità limitata. ll’Università di Cagliari sono in costante crescita ed evoluzione il corso di laurea in Ingegneria Chimica e il corso di laurea magistrale in Ingegneria Chimica e dei Processi Biotecnologici. La figura professionale di ingegnere chimico è riconosciuta a livello europeo e mondiale, ben definita dalla Federazione Europea degli Ingegneri Chimici (Efce). L’obiettivo del corso di laurea sta nel formare questa figura, affinché operi come tecnico di elevata professionalità a disposizione delle realtà indu- striali, delle società di servizi e della pubblica amministrazione del territorio. Ne derivano vari sbocchi occupazionali, dalla progettazione assistita alla produzione, gestione, organizzazione e assistenza in ambito tecnico-commerciale, sia nella libera professione, sia nelle imprese manifatturiere o di servizi e nelle amministrazioni pubbliche. Per essere ammessi al corso di laurea in Ingegneria Chimica occorrono un diploma di scuola secondaria superiore e un’adeguata preparazione iniziale, mentre per l’accesso al corso di laurea magistrale in Ingegneria Chimica e dei Processi Biotecnologici servono la laurea o il diploma universitario di durata triennale, o quinquennale a ciclo unico, e la conoscenza della lingua inglese almeno al livello B1. Lo scopo del corso di laurea magistrale è quindi quello di fornire agli studenti un approfondimento e aggiornamento di metodi e contenuti scientifici generali, nonché l’arricchimento di specifiche conoscenze professionali e la padronanza di metodiche progettuali innovative nell’ambito disciplinare dell’ingegneria chimica e delle biotecnologie, con un’attenzione speciale al recupero ambientale. Il percorso formativo prevede anche alcuni insegnamenti legati alle necessità del territorio, in particolare alla presenza di grandi industrie nel campo della trasformazione delle materie prime, delle biotecnologie, dell’energia e dei servizi, utili come sbocchi professionali. Per maggiori informazioni visitare i siti http://people. unica.it/ingegneriachimica/ e http://people.unica.it/ ingprochimbiotec/