I numeri quantici e le configurazioni elettroniche Agli inizi del 1900 cominciava a muovere i primi passi la fisica quantistica: secondo le nuove teorie, le leggi della fisica classica non possono essere applicate quando si studia l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande. Per oggetti di dimensioni atomiche valgono nuove leggi; inoltre, M. Planck stabilì che l’energia non può essere scambiata in quantità piccole a piacere, ma solo secondo pacchetti discreti (di piccola ma ben definita grandezza), multipli di unità fondamentali dette quanti. L’energia di un quanto è determinabile attraverso l’equazione E = hν, in cui ν rappresenta la frequenza del quanto, mentre h è la costante di Planck , pari a 6,63∙10 -34 J∙s; per una data frequenza, i quanti che è possibile vengano emessi devono essere caratterizzati da un ben determinato valore di energia, multiplo intero di E. Applicando all’atomo Per spettro elettromagnetico si intende la rappresentazione di un queste teorie, Bohr stabilì che l’elettrone poteva muoversi solo ed segnale elettromagnetico (luce, ad esempio) nel dominio delle esclusivamente su orbite ben definite (orbite stazionarie o quantizzate), frequenze. Analizzando la luce del Sole (scomponibile, come è noto, sulle quali non emetteva radiazioni e alle quali competeva un altrettanto in fasci di luce di vario colore attraverso un prisma di vetro), e ben definito valore di energia (livello energetico); qualora l’elettrone fosse rappresentandola in un grafico in cui in ascissa vengano riportate le stato eccitato da una fonte energetica esterna, avrebbe assorbito un frequenze di emissione e in ordinata le corrispondenti ampiezze quanto di energia e sarebbe saltato da un’orbita prestabilita ad un’altra (ovvero le intensità delle varie componenti), si ottengono una serie di corrispondente al nuovo valore energetico; nel momento in cui, cessata la punti: ciascuno di essi rappresenta l’ampiezza di una radiazione di sollecitazione esterna, l’elettrone fosse tornato sull’orbita di partenza, determinata frequenza emessa dal Sole (ad esempio, semplificando, avrebbe emesso lo stesso quanto di energia assorbito in precedenza. Gli l’intensità della luce di colore giallo). La curva che si ottiene unendo studi condotti sugli spettri elettromagnetici confermavano tale teoria: tutti i punti rappresentati nel grafico viene definita spettro del segnale l’elettrone, ritornando sull’orbita di partenza, emetteva effettivamente elettromagnetico. radiazioni (luce) di frequenza ben definita, in accordo con l’equazione di Planck. Nel frattempo, gli studi compiuti sulla luce dimostravano come questa mostrasse proprietà sia corpuscolari che ondulatorie: la luce, infatti, si comportava come un’onda o come una particella (denominata fotone) in dipendenza del tipo di osservazioni che si decideva di effettuare. Il fisico francese L. De Broglie, a quel punto, ipotizzò che a poter assumere tale comportamento potesse essere la materia in genere, e non soltanto la luce: mentre le proprietà ondulatorie della materia macroscopica risultavano mascherate dalle ben più evidenti proprietà corpuscolari, quelle a livello di atomi e particelle subatomiche coesistevano con esse e risultavano altrettanto evidenti. Ogni oggetto di determinata massa poteva essere studiato sia dal punto di vista delle proprietà corpuscolari che da quello delle proprietà ondulatorie: infatti, dall’unione dell’equazione di Einstein (E=mc2) e di quella di Planck (E=hν) si ottiene, per la luce: mc2=hν da cui m= ; e, nel caso di un oggetto in moto a velocità : m= ovvero (λ: lunghezza d’onda): λ= Un fotone di massa m, in questo modo, è caratterizzato da un valore della frequenza pari a ν. Ogni oggetto dotato di massa è associabile a una ben determinata onda (onda di materia o onda associata della materia), ma per oggetti di dimensioni “normali” la lunghezza di tale onda è talmente grande da non poter essere, talvolta, neanche misurata. Il discorso è, invece, applicabile all’elettrone: si cercava un modo per spiegarne il comportamento considerandolo come un oggetto materiale, ma considerandolo alla stregua di un’onda l’analisi delle sue caratteristiche e del suo comportamento poteva diventare molto più semplice. Questo è proprio quello che fece E. Schrödinger: prima, però, bisogna considerare il lavoro di W. Heisenberg. Il principio di indeterminazione di Heisenberg Considerando l’elettrone come un’onda, W. Heisenberg si rese conto dell’impossibilità di stabilirne contemporaneamente e con precisione posizione e velocità. In dettaglio: ( ) in cui rappresenta l’incertezza della posizione, ( ) l’incertezza nella determinazione del momento (quantità di moto) dell’elettrone (nota m, l’incertezza è da riferirsi alla determinazione della velocità, e quindi dell’energia dell’elettrone), h è la costante di Planck. Questa formula descrive matematicamente il principio di indeterminazione di Heisenberg: il prodotto tra l’incertezza nella determinazione della posizione e l’incertezza nella determinazione del momento dell’elettrone è superiore a un dato valore costante ( ⁄ ). Se l’incertezza nella misura della velocità dell’elettrone è dell’1%, si ricava, per la posizione, un’incertezza dell’ordine di 10 -9 m, di un ordine di grandezza superiore rispetto alle dimensioni dell’atomo di idrogeno. Questo principio è applicabile anche a oggetti macroscopici, ma in quel caso, poiché le velocità sono enormemente inferiori, l’incertezza nella determinazione della posizione è trascurabile. 1 A questo punto, accertata l’impossibilità, nota la velocità (e quindi l’energia) dell’elettrone, di determinarne la posizione nello spazio circostante l’atomo, non ha più senso parlare di orbite, ma sarà necessario descriverne la posizione in termini di probabilità. Gli orbitali atomici E. Schrödinger, uno dei padri della meccanica quantistica, nel 1926 pubblica un lavoro in cui descrive l’elettrone dell’atomo di idrogeno per mezzo di un’equazione (che prese il nome di equazione di Schrödinger): nota l’energia di un elettrone (il suo livello energetico, così come descritto da Bohr), risulta possibile associare ad esso una funzione d’onda ψ (psi), il cui quadrato (ψ2, densità elettronica) rappresenta la probabilità di trovare l’elettrone in un determinato punto dello spazio circostante il nucleo e in un dato istante. Graficamente la posizione dell’elettrone intorno al nucleo viene descritta, in termini di probabilità, come una nuvola costituita da microscopici punti, tanto più ravvicinati quanto più, in quella zona, è probabile trovare l’elettrone: a questa “nuvola” viene dato il nome di orbitale. Forma di un orbitale s I numeri quantici Assegnato all’elettrone un dato valore di energia, l’orbitale corrispondente (ovvero la zona in cui è più probabile trovarlo) presenta caratteristiche di dimensioni e forma differenti dagli altri: le caratteristiche di un orbitale e dell’elettrone che lo occupa corrispondono, dal punto di vista della trattazione matematica, a un insieme di quattro numeri che vengono definiti numeri quantici. Simbolo Possibili valori Valori realmente assunti (tra parentesi, i simboli comunemente usati) principale n interi positivi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 secondario (o azimutale) l 0 ≤ l ≤ n-1 0 (s), 1 (p), 2 (d), 3 (f) m -l ≤ m ≤ +l -3, -2, -1, 0, 1, 2, 3 s +½; -½ +½; -½ Numero quantico magnetico di spin Significato fisico dimensioni dell’orbitale; all’aumentare del valore aumenta l’energia dell’elettrone e diminuisce la forza che lo lega al nucleo forma dell’orbitale orientazione dell’orbitale nello spazio semplificando, immaginando l’elettrone come una sfera, il suo verso di rotazione attorno al proprio asse Poiché il numero quantico principale rappresenta la distanza dell’elettrone dal nucleo, ma anche, in genere, il suo livello di energia, gli elettroni di un dato atomo che presentino lo stesso valore di n si dice che appartengono allo stesso livello energetico o guscio elettronico. Quelli che, oltre ad avere valori di energia simili, sono collocati in orbitali della stessa forma (ovvero presentano gli stessi valori sia di n che di l) si dice che appartengono allo stesso sottolivello energetico o sottoguscio elettronico. Ad esempio, gli orbitali del II livello energetico sono tutti quelli con n=2, anche di forma differente, mentre quelli del sottolivello 2p sono quelli che, posti alla stessa distanza dal nucleo, hanno anche la stessa forma, pur risultando diversamente orientati nello spazio. Ciascun orbitale può ospitare al massimo due elettroni, che devono avere spin opposto: infatti, secondo il principio di esclusione di Pauli (1925), in un atomo non possono coesistere due elettroni con gli stessi quattro numeri quantici. Se due elettroni sono alla stessa distanza media dal nucleo (stesso n), in uno stesso orbitale (stessi l – forma - e m – orientazione nello spazio) dovranno differire per il numero quantico di spin. Potendo coesistere al massimo due elettroni in ciascun orbitale, dall’osservazione della tabella seguente si nota come, per un dato valore di n, gli orbitali siano al massimo n2, e gli elettroni con lo stesso valore di n possano essere al massimo 2∙n2. Numero di orbitali ed elettroni nei livelli da 1 a 4 Livello (n) Forma degli orbitali (l) Simbolo del sottolivello Possibili orientazioni nello spazio degli orbitali (m) Numero di orbitali nei sottolivelli Numero di orbitali nei livelli Numero massimo di elettroni nei sottolivelli Numero massimo di elettroni nel livello 1 0 1s 0 1 1 2 2 2 3 4 0 2s 1 2p 0 3s 1 3p 2 3d 0 4s 1 4p 2 4d 3 4f 0 -1 0 1 +1 0 -2 0 +1 -1 0 +1 3 +2 -1 0 +1 -2 -1 0 +1 +2 -2 -1 0 +1 +2 8 2 9 6 5 10 1 2 3 +3 2 6 1 -1 0 -3 4 3 16 6 5 10 7 14 18 32 2 Gli orbitali vengono rappresentati come delle superfici chiuse, all'interno delle quali esiste il 90% di probabilità di trovare l’elettrone; le loro dimensioni dipendono dal numero quantico principale, poiché aumentano all’aumentare di quest’ultimo. Gli orbitali s sono sferici, mentre quelli p sono bilobati; più complessa è la rappresentazione dei cinque orbitali d, quattro dei quali sono a quadrifoglio e uno è costituito da un doppio lobo al cui centro è presente una zona di forma toroidale: I tre orbitali p, ciascuno diretto lungo uno degli assi Gli orbitali s del I, II e III livello energetico I cinque orbitali d pur essendo così diversi, sono caratterizzati dallo stesso valore di energia. La forma dei sette orbitali f è troppo complessa per essere rappresentata graficamente in modo chiaro. Configurazioni elettroniche degli elementi chimici Il comportamento chimico degli elementi dipende dal numero degli elettroni collocati nei sottolivelli più esterni, e dalla forma dei relativi orbitali: quando due atomi si avvicinano, infatti, a venire a contatto e a interagire sono proprio questi elettroni. Conoscere la disposizione degli elettroni periferici e la forma delle rispettive nubi elettroniche consente, quindi, di prevedere la maggiore o minore reattività degli elementi tra loro. Di ciascun elemento è possibile determinare la configurazione elettronica andando a posizionare gli elettroni che l’elemento possiede all’interno degli orbitali, procedendo in ordine di energia crescente e sistemandone al massimo due in ciascun orbitale. Se, a parità di livello energetico, sono disponibili più orbitali, gli elettroni andranno ad occuparne il maggior numero possibile, disponendosi con spin parallelo (ovvero, con lo stesso numero di spin): solo quando tutti gli orbitali di uno stesso sottolivello energetico conterranno un elettrone, sarà possibile appaiare gli elettroni aggiungendone altri con spin antiparallelo, fino all’eventuale riempimento dell’intero sottolivello (regola di Hund o “della massima molteplicità”). Graficamente un orbitale viene rappresentato come un quadratino (su alcuni testi con un cerchietto), e gli elettroni come mezze frecce (per indicare i due possibili spin). Per convenzione, un orbitale semipieno (anche detto degenere) contiene un solo elettrone (elettrone spaiato) rappresentato con una mezza freccia rivolta verso l’alto; qualora un secondo elettrone dovesse occupare lo stesso orbitale, verrà rappresentato con una mezza freccia rivolta verso il basso: in questo modo gli elettroni (elettroni appaiati) avranno spin antiparallelo. Esempi di configurazioni elettroniche sono riportati sul libro di testo. Nota le configurazioni elettroniche si leggono in questo modo: configurazione elettronica del sodio: uno esse due, due esse due due pi sei, tre esse uno Per scrivere la configurazione elettronica di un elemento basta riportare negli orbitali, elencati in ordine di energia crescente, un numero di elettroni pari al numero atomico dell’elemento, poiché il numero di elettroni è, nell’atomo neutro, uguale al numero dei protoni. Se la configurazione da scrivere è quella di uno ione negativo (anione), al numero atomico vanno aggiunte tante unità per quante sono le cariche negative dello ione; se lo ione è positivo (catione), al numero atomico bisogna sottrarre tante unità per quante sono le cariche positive dello ione. L’ordine di riempimento degli orbitali è quello indicato dalle frecce, partendo dal basso e procedendo verso l’alto, nel seguente schema (regola della diagonale): 7s 7p 7d 7f 6s 6p 6d 6s 5s 5p 5d 5f 4s 4p 4d 4f 3s 3p 3d 2s 2p 1s 3 Il primo a riempirsi è l’orbitale 1s; seguono 2s, 2p, 3s, 3p; al 3p segue il 4s e non il 3d (poiché, pur essendo più interno rispetto al 4s, il sottolivello 3d è più energetico; queste inversioni si ripetono varie volte nel completare i successivi sottolivelli energetici)); seguono 3d, 4p, 5s, 4d, 5p, 6s, 4f, 5d, 6p, 7s, 5f, 6d. Le configurazioni elettroniche possono essere scritte in modo condensato, elencando per esteso solo la configurazione del livello più esterno e scrivendo, al posto della configurazione dei livelli interni, quella del gas nobile che precede l’elemento chimico in questione. Ad esempio, per il sodio e il bromo: Na: [Ne] 3s1 Br: [3d104s24p5] Da notare che, nello scrivere la configurazione elettronica condensata del bromo, gli orbitali in parentesi non sono stati riportati in ordine di energia ma in ordine di distanza dal nucleo: questo per mettere in evidenza gli elettroni del livello energetico più esterno (elettroni di valenza), responsabili, come già riportato in precedenza, del comportamento chimico delle sostanze, poiché in diretto contatto con le nuvole elettroniche degli altri atomi. A questa regola generale non mancano le eccezioni, per la verità poco importanti: Cr: [Ar] 3d54s1 e non [Ar] 3d44s2 Cu: [Ar] 3d104s1 e non [Ar] 3d94s2 Ag: [Kr] 4d105s1 e non [Kr] 4d95s2 Au: [Xe ]4f145d106s1 e non [Xe] 4f145d96s2 poiché gli orbitali 3d e 4s sono molto vicini dal punto di vista energetico, e si raggiunge una maggiore stabilità quando nei sottolivelli d e f sono presenti la metà degli elettroni ospitabili (rispettivamente 5 e 7), o quando gli stessi sottolivelli sono completi (contendono, cioè, 10 e 14 elettroni). Le altre eccezioni si verificano per gli stessi motivi, anche quando i sottolivelli f e d non vengono completati esattamente per intero o a metà. 4