04-07_50_anni_airc_gen15.qxd 1-01-1970 1:32 Pagina 4 1965-1974 50 anni di AIRC Gli esordi 1965-1974 ________________ La nascita di AIRC coincide con l'inizio della moderna ricerca oncologica: compaiono le prime terapie che fanno la differenza nella cura del cancro LA RISCOSSA DELLE DONNE ________________ 568 SOCI ________________ Nel 1966, un anno dopo la sua costituzione formale, AIRC conta meno di 600 soci, ma eroga i primi 40 milioni di lire all’Istituto tumori di Milano Nel decennio 60-70 le donne diventano protagoniste e, attraverso la rivendicazione della loro autonomia, scoprono anche le misure di prevenzione oncologica GIUSEPPE DELLA PORTA ________________ GUIDO VENOSTA ________________ EMIL FREIREICH ________________ Cofondatore di AIRC, ha dato impulso alla ricerca oncologica in Italia, introducendo la raccolta fondi per la ricerca Si deve al primo presidente di AIRC la trasformazione dell’Associazione da realtà locale a realtà nazionale, sul modello delle charities negli USA Nel 1965 arrivano le prove dell’efficacia della chemioterapia nella cura dei tumori, grazie agli studi di scienziati come Freireich 04-07_50_anni_airc_gen15.qxd 1-01-1970 1:32 Pagina 5 1965-1974 50 anni di AIRC Terapie sperimentali Vite parallele, nel segno del trapianto di midollo ________________ Parla il primo paziente italiano ad aver sperimentato la tecnica che oggi salva milioni di persone. Con lui c’è l’ematologo che all’epoca era un giovane specializzando e che oggi dirige un centro di ricerca all’avanguardia a cura di FABIO TURONE ra accaduto tutto molto rapidamente, in quei giorni caotici di oltre quarant’anni fa. Pino, che aveva ventitre anni, era per lavoro in trasferta in Lucania. Lavorava come saldatore elettrico in un cantiere quando subito dopo l’estrazione di un dente cominciò a non stare bene: “Ero stato dal dentista il mercoledì e la domenica presi l’aereo da Napoli, per tornare a casa: arrivai con febbre alta e un forte mal di testa e mia moglie Angela si accorse che ero di colorito giallognolo, anemico” ricorda oggi, parlando con una leggera cadenza ligure che nasconde le origini sarde. Nato nel 1952 a Sassari, Pino Tosi si era infatti trasferito nel capoluogo ligure da bambino, nel 1963, con i genitori Leone e Pasqualina. “Il medico di famiglia inizialmente pensò che si trattasse di una bronchite un po’ trascurata e mi prescrisse la penicillina, che però non impedì alla febbre di aumenta- E re. Mi presentai quindi all’Ospedale Evangelico dove mi ricoverarono e in breve tempo mi fecero un prelievo di sangue e un prelievo di midollo dallo sterno, diagnosticandomi una forma leucemica”. Il fratello Aldo chiese un consulto ad Alberto Marmont, all’epoca uno dei più noti ematologi italiani, che studiò il vetrino, corresse la diagnosi in anemia aplastica e lo ricoverò nel suo reparto all’Ospedale San Martino. Un giovane medico Andrea Bacigalupo, di tre anni più grande di Tosi, si era laureato da poco più di un anno e lavorava lì come specializzando. Certo non immaginava che la sua vita sarebbe rimasta per sempre intrecciata con quel reparto e con il trapianto di midollo che sarebbe stato tentato nelle settimane successive, per la prima volta in Italia: “All’inizio degli anni settanta era stato pubblicato su GENNAIO 2015 | FONDAMENTALE | 5 04-07_50_anni_airc_gen15.qxd 1-01-1970 1:32 Pagina 6 1965-1974 50 anni di AIRC un’importante rivista un articolo che descriveva tutti i tentativi di trapianto compiuti nel mondo, circa 200, tutti funestati da un esito fatale, per colpa del rigetto o della cosiddetta malattia del trapianto contro l’ospite, in cui le cellule del donatore attaccano gli organi del ricevente” rievoca Bacigalupo (che da allora di specializzazioni ne ha ottenute due – in oncologia e in ematologia – e di quel reparto è oggi il direttore, dopo una carriera di ricercatore finanzia- ta anche da AIRC). “Aveva funzionato solo in pochissimi casi in cui il donatore e il ricevente erano gemelli identici. Però la recente scoperta del sistema maggiore di istocompatibilità (che oggi sappiamo essere l’espressione di una ‘somiglianza genetica’ tra due individui) aveva da poco cambiato la situazione, permettendo di migliorare la compatibilità, e si cominciavano a registrare i primi casi coronati da successo nelle aplasie”. TRE GENERAZIONI ________________ In alto Pino Tosi insieme alla moglie Angela, alla figlia Rita, nata pochi giorni prima del suo trapianto, e al nipotino Leonardo. Nella foto piccola, Tosi con Andrea Bacigalupo 04-07_50_anni_airc_gen15.qxd 1-01-1970 1:32 Pagina 7 1965-1974 50 anni di AIRC Ultimo di nove figli, Pino era un buon candidato per il primo tentativo italiano: aveva qualche probabilità in più di trovare un donatore compatibile tra i suoi fratelli, che si sottoposero a un esame insieme ai genitori. Inoltre, le sue condizioni erano destinate a peggiorare: “Una sera Edoardo Rossi, uno dei medici che mi curava, mi chiamò e mi spiegò che la situazione era grave. L’unica via di uscita era il trapianto, con il quale Marmont mi disse che si stavano ottenendo risultati eccellenti” ricorda. “Più tardi ebbi la sensazione di essere stato un po’ una cavia”. Una scelta quasi obbligata Erano altri tempi e la sensibilità di medici e pazienti era molto lontana da quella di oggi in tema di consenso informato, ma era chiaro a tutti che la situazione comportava una scelta tra due scenari entrambi pieni di rischi: “Mio fratello Paolo, che era risultato il più compatibile, si offrì come donatore e io cominciai la lunga preparazione al trapianto, isolato dal resto del mondo sotto una tenda di plastica a flusso laminare montata nel reparto”. Fuori dalla tenda lo attendevano il figlio Massimiliano, che aveva quattro anni, e la moglie Angela alle LAVORO DI SQUADRA ________________ Nella foto a sinistra, Andrea Bacigalupo con Pino Tosi e tutta l’équipe dell’ematologia dell’IRCCS San Martino di Genova. ultime settimane di gravidanza: “Quando arrivò la notizia che era nata mia figlia Rita, Marmont mi autorizzò ad andare a vederla, con la mascherina sul volto, all’ospedale di Sanpierdarena. Piansi per la commozione, pensando che non le avrei più riviste. Proprio in quei giorni avevo saputo che a Roma era stato effettuato un tentativo su un ragazzo di quindici anni che non ce l’aveva fatta”. Nel suo caso invece il trapianto attecchì, ma quasi subito si verificò una forma di rigetto, con problemi al fegato: “Stavo male un giorno sì e l’altro no e tornavo più volte a settimana in reparto, ma alla mia diffidenza i medici reagivano nascondendo le cose brutte, consapevoli che il morale è molto importante. Finché finalmente dopo alcune settimane il mio organismo riuscì a sopportare una nuova terapia che inizialmente mi aveva provocato una reazione allergica e nel giro di pochi giorni tutti i valori epatici tornarono normali”. Per festeggiare si concesse una passeggiata nei boschi, in cerca di funghi: “Tornai a casa a sera dopo diversi chilometri a piedi su e giù dalla montagna senza essere stanco” ricorda, tenendo in braccio un nipotino (ne ha due, Lorenzo e Leonardo). Il ritorno alla normalità completa ci fu dopo un anno, quando riprese a lavorare come saldatore su una petroliera (“un lavoro duro, fino a 11 ore al giorno”) e a fare immersioni con il fucile subacqueo, in apnea. Da allora ha un legame inscindibile con il reparto di Bacigalupo, che ogni anno organizza un pranzo cui sono invitati tutti i pazienti operati: “Io faccio un po’ da psicologo, che conforta. Tutti mi fanno un sacco di domande. Quanto a me, dopo questa esperienza apprezzo moltissimo la vita”. UNA LUNGA STORIA DI TENACIA ________________ C’è una cartolina che lo scienziato americano di origine tedesca Egon Lorenz, esperto di radiobiologia, spedì nell’agosto del 1950 a una collaboratrice, per condividere un’intuizione avuta mentre era in vacanza: “Probabilmente il modo migliore per salvare i topi irradiati è quello di ripopolare il loro midollo con sospensioni cellulari midollari da altri topi, piuttosto che trasfonderli periodicamente con sangue periferico”. “In quell’intuizione, venuta alla mente a un grande scienziato durante le ferie, erano racchiusi gli elementi chiave del trapianto di midollo, o meglio di cellule staminali ematopoietiche” spiega Bacigalupo. “Senza la sperimentazione animale, che ha anche permesso di studiare in dettaglio le cause del rigetto, questa tecnica che ha già salvato la vita a un milione di persone non sarebbe mai stata messa a punto”. L’applicazione sull’uomo si deve alla tenacia di Edward Donnall Thomas, che lo testò dal 1959 al 1970, fino a ottenere i primi successi e anche il Premio Nobel per la medicina nel 1990. Il risultato è stato ottenuto grazie alla grandiosa intuizione dell’immunologo olandese Jan van Rood, che negli anni sessanta partecipò alla scoperta dei meccanismi della compatibilità e poi convinse il mondo intero a creare un unico registro che oggi raccoglie i dati di tipizzazione dei 25 milioni di donatori di midollo ed è consultabile in tempo reale. Grazie a questi progressi, la mortalità è scesa dal 50 al 10 per cento circa. Edward Donnall Thomas riceve il premio Nobel per la medicina