Vite parallele, nel segno del trapianto di midollo

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50 anni di AIRC
Gli esordi
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La nascita di AIRC coincide con l'inizio
della moderna ricerca oncologica: compaiono
le prime terapie che fanno la differenza
nella cura del cancro
LA RISCOSSA
DELLE
DONNE
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568 SOCI
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Nel 1966, un anno dopo la sua costituzione formale, AIRC conta meno di 600 soci,
ma eroga i primi 40 milioni di lire all’Istituto tumori di Milano
Nel decennio 60-70 le donne
diventano protagoniste e,
attraverso la rivendicazione della
loro autonomia, scoprono anche le
misure di prevenzione oncologica
GIUSEPPE
DELLA
PORTA
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GUIDO
VENOSTA
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EMIL
FREIREICH
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Cofondatore di AIRC, ha dato
impulso alla ricerca oncologica
in Italia, introducendo
la raccolta fondi per la ricerca
Si deve al primo presidente di AIRC
la trasformazione dell’Associazione
da realtà locale a realtà nazionale,
sul modello delle charities negli USA
Nel 1965 arrivano le prove
dell’efficacia della chemioterapia
nella cura dei tumori, grazie agli
studi di scienziati come Freireich
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Terapie sperimentali
Vite parallele, nel
segno del trapianto
di midollo
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Parla il primo paziente italiano ad aver sperimentato
la tecnica che oggi salva milioni di persone. Con lui
c’è l’ematologo che all’epoca era un giovane specializzando
e che oggi dirige un centro di ricerca all’avanguardia
a cura di FABIO TURONE
ra accaduto tutto molto
rapidamente, in quei giorni caotici di oltre quarant’anni fa. Pino, che aveva
ventitre anni, era per lavoro in trasferta in Lucania. Lavorava
come saldatore elettrico in un cantiere quando subito dopo l’estrazione di un dente cominciò a non stare
bene: “Ero stato dal dentista il mercoledì e la domenica presi l’aereo da
Napoli, per tornare a casa: arrivai
con febbre alta e un forte mal di
testa e mia moglie Angela si accorse che ero di colorito giallognolo,
anemico” ricorda oggi, parlando con
una leggera cadenza ligure che
nasconde le origini sarde. Nato nel
1952 a Sassari, Pino Tosi si era
infatti trasferito nel capoluogo ligure da bambino, nel 1963, con i genitori Leone e Pasqualina.
“Il medico di famiglia inizialmente pensò che si trattasse di una
bronchite un po’ trascurata e mi
prescrisse la penicillina, che però
non impedì alla febbre di aumenta-
E
re. Mi presentai quindi all’Ospedale
Evangelico dove mi ricoverarono e in
breve tempo mi fecero un prelievo di
sangue e un prelievo di midollo
dallo sterno, diagnosticandomi una
forma leucemica”. Il fratello Aldo
chiese un consulto ad Alberto Marmont, all’epoca uno dei più noti
ematologi italiani, che studiò il
vetrino, corresse la diagnosi in anemia aplastica e lo ricoverò nel suo
reparto all’Ospedale San Martino.
Un giovane
medico
Andrea Bacigalupo, di tre anni
più grande di Tosi, si era laureato da
poco più di un anno e lavorava lì
come specializzando. Certo non
immaginava che la sua vita sarebbe
rimasta per sempre intrecciata con
quel reparto e con il trapianto di
midollo che sarebbe stato tentato
nelle settimane successive, per la
prima volta in Italia: “All’inizio degli
anni settanta era stato pubblicato su
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un’importante rivista un articolo che
descriveva tutti i tentativi di trapianto compiuti nel mondo, circa 200,
tutti funestati da un esito fatale, per
colpa del rigetto o della cosiddetta
malattia del trapianto contro l’ospite, in cui le cellule del donatore
attaccano gli organi del ricevente”
rievoca Bacigalupo (che da allora di
specializzazioni ne ha ottenute due
– in oncologia e in ematologia – e di
quel reparto è oggi il direttore, dopo
una carriera di ricercatore finanzia-
ta anche da AIRC). “Aveva funzionato
solo in pochissimi casi in cui il
donatore e il ricevente erano gemelli identici. Però la recente scoperta
del sistema maggiore di istocompatibilità (che oggi sappiamo essere
l’espressione di una ‘somiglianza
genetica’ tra due individui) aveva da
poco cambiato la situazione, permettendo di migliorare la compatibilità, e si cominciavano a registrare
i primi casi coronati da successo
nelle aplasie”.
TRE
GENERAZIONI
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In alto Pino Tosi insieme
alla moglie Angela,
alla figlia Rita, nata pochi
giorni prima del suo trapianto,
e al nipotino Leonardo.
Nella foto piccola,
Tosi con Andrea Bacigalupo
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Ultimo di nove figli, Pino era un
buon candidato per il primo tentativo italiano: aveva qualche probabilità in più di trovare un donatore
compatibile tra i suoi fratelli, che si
sottoposero a un esame insieme ai
genitori. Inoltre, le sue condizioni
erano destinate a peggiorare: “Una
sera Edoardo Rossi, uno dei medici
che mi curava, mi chiamò e mi spiegò che la situazione era grave. L’unica via di uscita era il trapianto,
con il quale Marmont mi disse che
si stavano ottenendo risultati eccellenti” ricorda. “Più tardi ebbi la sensazione di essere stato un po’ una
cavia”.
Una scelta quasi
obbligata
Erano altri tempi e la sensibilità
di medici e pazienti era molto lontana da quella di oggi in tema di consenso informato, ma era chiaro a
tutti che la situazione comportava
una scelta tra due scenari entrambi
pieni di rischi: “Mio fratello Paolo,
che era risultato il più compatibile,
si offrì come donatore e io cominciai
la lunga preparazione al trapianto,
isolato dal resto del mondo sotto
una tenda di plastica a flusso laminare montata nel reparto”.
Fuori dalla tenda lo attendevano
il figlio Massimiliano, che aveva
quattro anni, e la moglie Angela alle
LAVORO
DI SQUADRA
________________
Nella foto a sinistra, Andrea
Bacigalupo con Pino Tosi
e tutta l’équipe dell’ematologia
dell’IRCCS San Martino di Genova.
ultime settimane di gravidanza:
“Quando arrivò la notizia che era
nata mia figlia Rita, Marmont mi
autorizzò ad andare a vederla, con
la mascherina sul volto, all’ospedale
di Sanpierdarena. Piansi per la
commozione, pensando che non le
avrei più riviste. Proprio in quei
giorni avevo saputo che a Roma era
stato effettuato un tentativo su un
ragazzo di quindici anni che non ce
l’aveva fatta”.
Nel suo caso invece il trapianto
attecchì, ma quasi subito si verificò
una forma di rigetto, con problemi
al fegato: “Stavo male un giorno sì e
l’altro no e tornavo più volte a settimana in reparto, ma alla mia diffidenza i medici reagivano nascondendo le cose brutte, consapevoli
che il morale è molto importante.
Finché finalmente dopo alcune settimane il mio organismo riuscì a
sopportare una nuova terapia che
inizialmente mi aveva provocato una
reazione allergica e nel giro di pochi
giorni tutti i valori epatici tornarono
normali”.
Per festeggiare si concesse una
passeggiata nei boschi, in cerca di
funghi: “Tornai a casa a sera dopo
diversi chilometri a piedi su e giù
dalla montagna senza essere stanco” ricorda, tenendo in braccio un
nipotino (ne ha due, Lorenzo e Leonardo). Il ritorno alla normalità
completa ci fu dopo un anno, quando riprese a lavorare come saldatore su una petroliera (“un lavoro
duro, fino a 11 ore al giorno”) e a
fare immersioni con il fucile subacqueo, in apnea. Da allora ha un
legame inscindibile con il reparto di
Bacigalupo, che ogni anno organizza
un pranzo cui sono invitati tutti i
pazienti operati: “Io faccio un po’ da
psicologo, che conforta. Tutti mi
fanno un sacco di domande. Quanto
a me, dopo questa esperienza
apprezzo moltissimo la vita”.
UNA LUNGA STORIA
DI
TENACIA
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C’è una cartolina che lo scienziato
americano di origine tedesca Egon
Lorenz, esperto di radiobiologia, spedì
nell’agosto del 1950 a una collaboratrice, per condividere un’intuizione avuta
mentre era in vacanza: “Probabilmente
il modo migliore per salvare i topi irradiati è quello di ripopolare il loro
midollo con sospensioni cellulari
midollari da altri topi, piuttosto che
trasfonderli periodicamente con sangue periferico”.
“In quell’intuizione, venuta alla
mente a un grande scienziato durante
le ferie, erano racchiusi gli elementi
chiave del trapianto di midollo, o
meglio di cellule staminali ematopoietiche” spiega Bacigalupo. “Senza la
sperimentazione animale, che ha
anche permesso di studiare in dettaglio le cause del rigetto, questa tecnica che ha già salvato la vita a un milione di persone non sarebbe mai stata
messa a punto”.
L’applicazione sull’uomo si deve alla
tenacia di Edward Donnall Thomas, che
lo testò dal 1959 al 1970, fino a ottenere
i primi successi e anche il Premio Nobel
per la medicina nel 1990. Il risultato è
stato ottenuto grazie alla grandiosa
intuizione dell’immunologo olandese
Jan van Rood, che negli anni sessanta
partecipò alla scoperta dei meccanismi
della compatibilità e poi convinse il
mondo intero a creare un unico registro
che oggi raccoglie i dati di tipizzazione
dei 25 milioni di donatori di midollo ed è
consultabile in tempo reale. Grazie a
questi progressi, la mortalità è scesa
dal 50 al 10 per cento circa.
Edward
Donnall
Thomas riceve
il premio
Nobel per
la medicina
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