La BCE. Troppo poco e troppo tardi oi problemi sono

La BCE. Troppo poco e troppo tardi o i problemi
sono altri?
Le ultime decisioni tra deflazione e crescita al lumicino
Dopo la riunione dei banchieri centrali a Jackson Hole, tutti i mercati
attendevano l’appuntamento del 4 settembre, giorno in cui la BCE avrebbe
chiarito le sue determinazioni di politica monetaria dinanzi ad un’Europa in cui i
segnali di deflazione incombente sono sempre più evidenti ed in cui anche la
Germania ed i paesi nordici mostrano più di una debolezza in termini di crescita.
Quali sono state le misure annunciate?
Il principale tasso di rifinanziamento passerà dallo 0,15 per cento allo 0,05. Il
tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginali dallo 0,40 allo 0,30 per
cento. Il tasso sui depositi che la Bce custodisce per conto delle banche
commerciali, che era già negativo, passerà dal meno 0,10 per cento al meno 0,20
per cento. Altro punto riguardava l’acquisto di Abs (Asset backed securities): è
stato annunciato un piano di acquisti con inizio ad Ottobre. Mi pare il caso di
ricordare che si tratta di cartolarizzazioni, titoli dentro i quali “s’impacchettano
crediti”; si tratta della tipologia di prodotti finanziari corresponsabili dell’origine
della crisi finanziaria ma il governatore ha precisato che saranno scelti titoli
semplici e trasparenti. Insomma “questa volta sarà diverso”! Speriamo.
Possiamo ricordare, infine, i TLTRO: iniezioni di liquidità alle banche;
differiscono dai precedenti LTRO perché “Targetizzati” al finanziamento delle
imprese. Per quel che riguarda il quantitative easing (acquisto anche di titoli di
stato) nulla da fare. Opinioni discordanti.
Quel che sarà l’efficacia di simili misure potremo valutarlo nel medio periodo al
di là di quella che è stata la reazione immediata dei mercati: riduzione dello
spread e crescita delle borse europee, soprattutto quelle periferiche.
Possiamo fin d’ora, però, fare alcune considerazioni.
La prima è che se il mandato della BCE è principalmente quello della stabilità dei
prezzi, con un target d’inflazione vicino al 2% senza superarlo, possiamo
affermare che simile obiettivo sconta un’evidente asimmetria. Prima di
interventi di un certo rilievo è stata necessaria neanche la minaccia ma, ormai, la
realtà, dello spettro deflazionistico. Probabilmente se l’inflazione fosse stata, al
contrario, vicina al 4% ben altra rapidità e incisività avrebbe mostrato l’istituto
di Francoforte: da qui la considerazione sull’asimmetria della politica monetaria
di Draghi e la conferma che, al di là della nazionalità del governatore, la BCE
parla tedesco (e se non lo fa, come sembrava a Jacson Hole, ecco che ci pensa il
ministro delle finanze tedesco a tradurre ed interpretare nella giusta maniera le
parole di Draghi). Ad essere maliziosi si potrebbero anche considerare le diverse
dinamiche negli incontri telefonici, o di persona, tra Mario Draghi e i leader delle
tre principali potenze economiche continentali. Draghi telefona alla Merkel e si
reca da Hollande. In Italia è Renzi che prende l’elicottero e si reca al buen retiro
del governatore della BCE. Forse, per Draghi, l’uccellino ed il relativo cinguettio
(tweet) è troppo corto.
Altra considerazione, che vale per la politica monetaria di qualsiasi banca
centrale, è che non è sufficiente l’entità delle misure adottate ma anche la
tempistica. Non sfuggirà che in termini di politica monetaria stiamo assistendo
ad un decoupling. Parlando la lingua di Dante, si tratta, insomma, del fatto che la
FED e la BoE (Bank of England) dopo una politica monetaria espansiva ora
stanno “frenando” (sarà un caso che il PIL degli USA e della Gran Bretagna cresce
a percentuali ben maggiori rispetto al continente europeo?). La BCE a trazione
tedesca interviene dopo le altre banche centrali e in controtendenza. Possiamo
parlare di coordinamento efficace tra istituti centrali? Soprattutto, la tempistica
scelta sarà tale da garantire l’efficacia delle scelte adottate?
Anche in ordine alla necessaria svalutazione dell’euro rispetto al dollaro, appare
chiara l’inefficacia, finora, delle politiche monetarie
europee. L’attuale
indebolimento della moneta unica è dipesa finora, in gran parte, dai dati
economici di sicuro poco incoraggianti del vecchio continente e dal fatto che la
FED sta ”rientrando” dal quantitative easing.
I principali osservatori macroeconomici e importanti banche d’affari prevedono
un ulteriore indebolimento della moneta europea rispetto al dollaro: l’azione
della BCE non potrà che agevolare tale trend ad evidente beneficio dell’export.
Speriamo anche nell’efficacia delle altre misure sommariamente illustrate ma
risulta altrettanto evidente che il punto è un altro.
La questione centrale è la politica fiscale dei Paesi europei. Si deve tornare a
porre al centro l’economia reale. E’ ora di rendersi conto che stiamo scontando
una paurosa crisi da domanda (e non da offerta) e da incertezza sul futuro. Il
vero bazooka non può e non deve essere nella mani di una banchiere ma nelle
mani di coloro che i popoli hanno scelto per rappresentarli e per governarli.
Concluderei con due interrogativi. Il primo. E’ di tutta evidenza come l’inflazione
sia vantaggiosa per il debitore e arrechi danno al creditore. Chi riceve in prestito
100 euro al tasso annuale del 2%, se l’inflazione è del 2%, riceverà a fine anno
102 euro ma con il medesimo potere di acquisto di 100. Il discorso è
chiaramente l’inverso nel caso l’inflazione sia zero. E’ semplicemente la
differenza tra rendimento nominale e reale. Vorrei capire come si riesce ad
avere le medesime esigenze tra nazioni creditrici e nazioni debitrici pur unite
dalla stessa moneta e dalla stessa banca centrale. Appare quasi superfluo
segnalare che l’Italia è nazione pesantemente debitrice e dunque, la deflazione
non fa che aggravare la situazione debitoria.
L’altro interrogativo riguarda gli spazi di democrazia nel continente europeo. Si
afferma in coro unanime l’indispensabile autonomia della banca centrale dalla
politica: si dice “dalla politica” perché suona peggio; non ci si arrischia neanche a
dire “dai rappresentanti democraticamente eletti dai cittadini”. Il fatto che altri
istituti centrali (anche di natura anglosassone) abbiano legami con gli esecutivi e
mandati “politici” sembra poco importare. Non volendo, però, aprire un
discorso sull’argomento non mi macchierò del delitto di stimolare riflessioni
anche in tal senso ma mi chiedo se, posta l’autonomia della banca centrale dalla
politica, valga anche l’inverso. Mi chiedo, cioè, se è possibile continuare ad
ascoltare che un banchiere centrale dica ai rappresentanti dei cittadini cosa
devono fare e cosa non devono fare in termini di politica fiscale (anche ieri è
avvenuto). In un silenzio assordante da parte del sistema informativo, da parte
di un masochistico sistema politico. Considerando le ricette proposte, almeno da
parte dei rappresentanti dei lavoratori sarà bene, se non contestare l’autonomia
altrui , impedire che sia intaccata la propria e le tutele sociali dei lavoratori e dei
cittadini.
Antonio Zanelli