Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny
Kurt Weill era figlio di un cantore sinagogale di Dessau. Fece stud^i
musicali non del tutto regolari ma fu allievo anche del grande
Humperdinck. E per quanto la sua produzione poco da fare abbia colla
musica cosiddetta accademica, le due Sinfonie lo mostrano dotato d’un
ferrigno talento contrappuntistico. Oggi egli è ricordato in ispecie per la
sua collaborazione con Bertolt Brecht: il titolo più celebre di essa è Die
Dreigroschenoper (L’opera da tre soldi) (1928), rielaborazione di uno dei più
grandi successi teatrali settecenteschi, la Beggars Opera di John Gay . Nel
1927 egli fece una silloge si poesie del drammaturgo di Augusta siccome
Cantata per sei voci soliste e piccolo complesso strumentale: Mahagonny.
Nel 1930, sempre su testo di Brecht, andò in scena a Lipsia Aufstieg und Fall
der Stadt Mahagonny, un’Opera in tre atti che adesso viene riproposta
dall’Opera di Roma in un’innovativa e in parte stravolgente ma a modo suo
geniale regia di Graham Vick.
L’Opera è un apologo morale. Dei tagliaboschi reduci dall’Alaska fondano
una città che abbia per fine l’umana felicità. Essa degenera: libito fé licito in
sua legge: tutto diviene lecito; ma il piacere ricercato è solo e sempre quello
connesso al corrotto mondo dominato dalla potenza del capitale. Il
protagonista, avendo perso tutto il suo denaro, viene pubblicamente ed
esemplarmente giustiziato. Dunque, trionfa tutto ciò che viola la natura
umana precipitata nell’infamia per l’avidità di possesso – vorrei dire un
possesso sine causa – e perché una società intrinsecamente malata induce
nell’uomo falsi bisogni appagati con falsi soddisfacimenti. La critica alla
società capitalistica non potrebb’esser più forte; ma qui il compositore e il
drammaturgo si dividono, giacché l’idealismo di Weill non accettava che
tale critica, giusta il desiderio di Brecht, si manifestasse nella esclusiva
forma del marxismo.
E infatti a Brecht in fondo Weill dava fastidio. Avrebbe voluto una
musica elementare, meramente didascalica al suo testo, fatta di facillime
canzoncine. Weill scrive un capolavoro: non solo canzoni memorabili e tra
le più belle del Novecento; ma violenza parodistica e no nell’impiego di
forme dotte quali, oltre la Scena e l’Aria, la Fuga e il Corale. Quello del
terzo atto è profondo e nell’ethos straziante.
Fra gl’interpreti di canto, un contralto di sensazionale bravura, Iris
Vermillion; un tenore di prim’ordine, Brenden Gunnell; e, tra gli altri,
Measha Brueggergosman, Eric Greene e Whillard White. Direttore John
Axelrod.
Sono felice del fatto che citando costui per l’ultima volta faccio il nome
d’un interprete mediocre: con mediocrità siffatte non avrò più da fare.
Torno a essere un musicista e null’altro che questo. Col presente articolo si
chiude la mia attività di critico musicale svolta per più di quarantadue
anni; sul “Corriere della Sera” da trentacinque. L’ho esercitata con totale
libertà; onde ringrazio i Direttori che, succedendosi, me l’hanno concesso,
da Franco Di Bella a Ferruccio de Bortoli. Nel congedarmi mi piace
ricordare che Francesco Guicciardini, nel commentare la sua azione quale
governatore di Parma – presso la quale, alle Roncole di Busseto, nacque il
più grande musicista della nostra Nazione - , chiosò, traendo il detto da
Plutarco: Magistratus virum ostendit (“La carica illustra l’uomo”). Ciò poteva
per me trentacinque anni fa ancor valere; oggi, sempre per me, solo va
detto: Vir magistratum ostendit: “L’uomo rende illustre la carica”; la quale in
sé, prima e dopo di lui, è parva res.