MILANO ALBUM
il Giornale
Domenica 21 febbraio 2010
51
ALLO STREHLER
Elio: «Voglio diventare il nuovo Milva»
Il leader delle Storie Tese ed Enrico Intra rivisitano in versione jazz l’«Opera da tre soldi» di Brecht e Weill
«In questo lavoro semplice e rivoluzionario sono Mackie Messer, il cattivo simpatico a cui vanno dritte tutte»
L’INTERVISTA∫ESA SALONEN
Luca Testoni
Una specialità olimpica
perl'imprevedibileElio?Ilsalto ad ostacoli. Già, perché di
rimaneredentroilrigidosteccatodeigeneriStefanoBelisari, classe 1961 da Milano, non
ne vuole proprio sapere. Per
cui nessuna sorpresa se nella
settimana del Festival di Sanremo (dove lui e le sue Storie
Tese hanno furoreggiato anni fa con l'indimenticata hit
La terra dei cachi e, in tempi
recenti, con una spassosissima edizione del Dopofestival)celoritroviamoincompagnia del maestro Enrico Intra
nientemenochealPiccoloTeatro Strehler alle prese con
una originale riduzione in
chiave jazz dell'immortale
l’Opera da tre soldi della premiata ditta Bertolt Brecht e
Kurt Weill. A suo modo un
omaggio, a 60 anni dalla morte, di un compositore atipico,
Kurt Weill, pioniere di quel
rapportotrasversaletraculture che ha permeato le musiche del secondo Novecento e
che, nel caso specifico, attinse a piene mani al jazz e al cabaret. Detto per inciso, non è
nemmeno la prima volta che
il fondatore della dissacrante
band milanese, una laurea in
ingegneriaelettronicaeundiploma in flauto traverso al
Conservatorio, si confronta
con il capolavoro Brechtiano,
«La Filarmonica della Scala?
Non sarò io il nuovo direttore»
Piera Anna Franini
NOVECENTO Vicenda
di quotidiana realtà
ambientata nella Londra
di inizio secolo
vero e proprio testo sacro per
il Piccolo Teatro (alla prima
messa in scena di Giorgio
Strehler nel 1956, in assoluto
tra le vette del teatro del nostro dopoguerra, era presente l'autore tedesco!). Nel 2000
Elio fu infatti convocato dal
compositore contemporaneoLucianoBerio,allora presidente dell'Accademia di
Santa Cecilia di Roma, per un
adattamento che lo stesso
Brecht aveva in precedenza
operato per le scene americane.Conluisulpalco,nellaprestigiosa parte di Mackie Messer, due grandi del teatro tricolorecomeMaddalenaCrippa e Peppe Barra: «Non ho
mai fatto l'attore, faccio solo
lo scemo quando canto. Stavolta c'è un testo scritto che
tento sempre di cantare, ma
non so niente di Brecht e
Weill-scherzaallasuamaniera -. Ora inizio a capire che ce
la faccio e ho un'aspirazione:
voglio essere il "nuovo Mil-
SINTONIA
Una coppia con i baffi. Stefano Belisari, in arte Elio, musicista
e uomo di spettacolo davvero versatile ed eclettico, ed Enrico
Intra, pianista jazz per palati fini: insieme stasera sul palco
del Teatro Strehler daranno vita alla versione jazz dell’«Opera da tre soldi» del binomio tedesco Bertolt Brecht- Kurt Weill
va"». «Con Brecht - aggiunge
Elio, attore brechtiano doc, a
sentire Berio - si pensa sempre a cose complicate, invece
mi sono trovato di fronte a
musicheorecchiabiliecanzoni che fanno anche ridere».
Parole tutt'altro che a caso
perribadirelaportatapopolare di un testo per niente intellettuale,masempliceerivoluzionario al tempo stesso. Per
di più sempre molto attuale:
«Mackie Messer è un "cattivo
simpatico" a cui vanno dritte
tutte. Un personaggio che a
noi italiani piace, no?». Cosa
attendersi dallo spettacolo
odierno dello Strehler (ore
16, info: 848.800304)) daltitolo «Elio e il jazz da tre soldi»?
Per scelta si è deciso di attuare una selezione dell'opera
nella quale Elio canterà le
arie più belle e significative e
racconterà,traunbranoel'altro, l'evoluzione della storia,
ambientata in un universo di
miserabili,poveri e prostitute
dellaLondradeiprimidelNovecento, con un chiaro intento di denuncia sociale. A dargli manforte, distillando riletture jazz con classe cristalli-
na,ilmaestroEnricoIntra,milanese, classe 1935, uno dei
nostri più stimati pianisti
jazz, nonché direttore d'orchestraecompositore(maanche fondatore del Derby
Club!), alla testa di un ensemble davvero valido di cui fannoparteHumbertoAmesquitaaltrombone,GiulioVisibellialsaxealflauto,LucioTerzanoal contrabbasso eTony Arco alla batteria. Non finisce
qui. A punteggiare lo spettacolo faranno capolino qua e
là tutta una serie di immagini,
particolari e disegni da opere
del Realismo tedesco e contemporanee al testo rappresentato - scritto da Brecht nel
1928 - così da focalizzare nel
miglior modo possibile l'epocamoltodifficile(laRepubblica di Weimer) in cui operava
il poeta, scrittore e drammaturgo di Augusta, tra i grandi
«profeti teatrali» riconosciuti
da Strehler e dai suoi successori al Piccolo Teatro.
È arrivato a Milano settimanascorsa,eci resteràfino ametà
marzo,ospitediriguardodelTeatro alla Scala dove dirige un'
opera, Da una casa di morti di
Leos Janacek (dal 28 febbraio al
16marzo),eunasfilzadiconcerti con l'Orchestra Filarmonica
(22,23, 24 febbraio, 1e 8 marzo).
E' Esa-Pekka Salonen, nella top
ten dei direttori d'orchestra di
qualità. Finlandese, cinquantadueanni(assai)benportati,belloccioalpuntochelarivistaPeople gli chiese di posare per un
servizio dedicato ai 50 uomini
più fascinosi del pianeta: «Non
ne volli sapere. Ora, a distanza
di dieci anni, accetterei», ci
scherza sopra Salonen. Che dal
profondo Nord scese proprio a
Milano per completare gli studi
di composizione con Niccolò
Castiglioni. E’ fresco di una permanenza ventennale, conclusa
nel 2009, negli States, alla testa
della Los Angeles Philharmonic
Orchestra, ora nelle mani del
giovane rampante Gustavo Dudamel. Ora vive a Londra dove è
ildirettorepupillodellaPhilharmoniaOrchestra.QuelladiSalonen è la classica carrierona con
incisioniimportanti,invitieccellenti. Ma il tratto distintivo è la
ferma decisione di abbinare gli
impegni del podio con l'amata
composizione. Spesso capita
che Salonen diriga pure se stesso. Non lo farà, però, per i tre
concerti con la Filarmonica.
Perchè?
«Nondirigevodatempoin Italia,eperquestoritornohosentito il bisogno di ricordare i miei
duemaestrimediterranei,Castiglioni e Franco Donatoni, eseguendo loro pezzi, più Ravel e
Stravinskij».
IlbranodiDonatoni,Esa,èintitolato a lei…
«Donatoni lo scrisse in ospedale,senzapiù leforzesufficienti: lo dettò a un allievo, sul letto
di morte. Un giorno, nella buca
delle lettere della mia casa di
Londra, trovai una busta. Dentro c’era la partitura con scritto
Esa. Provai una forte emizione».
Ha dichiarato che la musica
deve colpire la mente, l’anima e il fisico. Riesce, in questoobiettivo,l’opera«Dauna
casa di morti»?
«Assolutamente sì. E' un tea-
“
Orchestra
Al Piermarini
occorre
una guida
più operistica
Milano
Sono legato
alla città dove
ho completato
i miei studi
New York
Al «Met»
si lavora
con un taglio
più industriale
Finlandia
Su al Nord
i compositori
amano scavare
in profondità
tro molto fisico, con complessi
movimenti di massa. La musica
e' primigenia, organica. Tutti
elementi messi in luce dalla regia di Patrice Chéreau, con il
quale ho lavorato anche per
l’edizione al Metropolitan di
New York, l’anno scorso».
Cosa distingue quest’opera
dalle altre di Janacek?
«E’ la più estrema e complessa, nasce dalla giustapposizione di flash senza connessione
fradiloro.E’ambientataincampi di detenzione eppure c’è tanta vita e un ottimismo che sgorga dalla musica».
Ha diretto «Da una casa» al
Met e ora alla Scala. Due teatri leader del Vecchio e del
Nuovo Mondo. Come si lavora di qua e di là dell’Atlantico?
«Il Met è il teatro più operativo
delmondo;praticamenteun’industria, contrassegnato, poi, da
unacertapressionecommerciale. Alla Scala le condizioni lavorative sono diverse, anzitutto si
ha a disposizione un maggior
numero di prove».
La Scala è alla caccia di un direttore musicale, lei è nella
rosa dei favoriti. Accetterebbe il ruolo?
«Io non faccio tanta opera, e la
Scala ha bisogno di un direttore
in grande confidenza con il teatro d’opera. Quindi lo escluderei».
Al Salonen compositore:
qual è l’anima della musica
scandinava?
«I compositori del Nord amano lo scavo profondo, così come
i musicisti mediterranei hanno
sempre ricercato le forme chiare,trasparenti e cristalline,dove
tutto si muove in superficie ed è
chiaramente visibile».
AL FRANCO PARENTI
«Alè Calais», va in scena l’epopea del calcio pulito
La finale di Coppa di Francia del 2000 diede il là al riscatto di una città in crisi, grazie a una squadra di dilettanti
Roberto Borghi
Tempi duri per Calais, la città
francesecheèstatauncelebrepunto d’imbarco per l’Inghilterra. Con
l’aperturadel tunnelsotto laManica, il traffico commerciale e turistico per Dover si è infatti quasi azzerato,mandandosullastricomigliaia di famiglie. Quando nel 2000 la
locale squadra di calcio, benché
composta da giocatori dilettanti,
giunse in modo totalmente inaspettato alla finale della Coupe de
France, ai calesiani è sembrata
unarivalsacontro lasorte e,probabilmente, pure contro l’indifferen-
za dimostrata nei loro confronti
dalgovernodiParigi.Nonèrilevante che la partita con il Nantes si sia
SAPORE DI FAVOLA
Una storia vera: Osvaldo
Guerrieri ne ha tratto
un libro divenuto spettacolo
conclusa con una sconfitta: poche
altre volte il motto di De Coubertin
(«Partecipareèpiù importante che
vincere») ha avuto così tanto senso. La squadra di una piccola città
alla periferia dell’impero, un team
formato da disoccupati, impiegati
di banca e manovali, ha scalato le
classifiche del torneo più sontuoso
(e dello stato più centralista) d’Europa: quale migliore lezione per
un mondo del calcio affollato da
TIFO SANO
Una scena
di «Alè Calais»,
lo spettacolo
in scena al
Franco Parenti,
con la regia
di Emanuela
Giordano
boriosi professionisti e per una nazione imperniata sulla grandeur
della sua capitale? Alè Calais, lo
spettacolo in scena al Franco Parenti (fino al 28 febbraio, info:
02-59995206) con la regia di Emanuela Giordano, racconta questa
vicenda dai contorni epici. E lo fa
attraverso la voce dell’attrice ManuelaBargiliche,comeunamoderna cantastorie, assume le intonazioni e gli accenti di diversi personaggi. Si tratta di individui comuni, come il giornalaio, la maestra di
scuola, il prete, la cioccolataia, che
fino a prima dell’ascesa del Calais
pensavanoalcalcioconunosbadi-
glio o con un moto di fastidio. E
che, soprattutto, non si parlavano
traloroochevivevanoimmersinella noia e nello sconforto di una città che sembrava destinata a spegnersi inesorabilmente, a sgretolarsi sotto le sferzate continue del
ventochedaquelle partinonsmettedisoffiare.AlèCalaisèlastoria di
una comunità che riesce a consolidarsi e persino infiammarsi grazie
non soltanto al tifo calcistico, ma
anche e soprattutto al desiderio di
far fronte comune alle avversità.
Unabellastoria(narratamagistralmentenellibrodiOsvaldoGuerrieri da cui è tratto lo spettacolo) che
non viene intaccata neppure dal finale beffardo: da quel rigore assegnato al Nantes all’ottantanovesimo minuto in una partita che aveva già un vincitore morale.