scenario sanita` nazionale - Ordine dei Medici di Ferrara

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SCENARIO SANITA' NAZIONALE
Rassegna Stampa del 08 settembre 2014
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INDICE
SCENARIO SANITA' NAZIONALE
06/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Nell'ospedale di Ebola Scafandri, cloro e riti per vincere la paura
7
06/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Balduzzi e il rilancio di Sc: «Destra o sinistra? Noi restiamo montiani»
11
06/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Gratis in Emilia Romagna con il ticket in Toscana La mappa dell'eterologa
12
06/09/2014 Corriere della Sera - Roma
Bimba deceduta, anestesia nel mirino
14
07/09/2014 Corriere della Sera - Milano
I NODI IN REGIONE SULL'ETEROLOGA
15
07/09/2014 Corriere della Sera - Milano
Ultima prova per Medicina all'Humanitas university
16
07/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Ebola in Sierra Leone «Vietato uscire di casa» per sei milioni di abitanti
17
07/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Osteopati italiani alla ricerca di riconoscimento professionale Per dare più garanzie
ai pazienti
18
07/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Quando (e con quali prove) si fanno le manovre
20
07/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Gli ormoni servono solo in pochi casi
22
07/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
La relazione pericolosa tra sindrome metabolica e tumori
23
07/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Migliori percorsi assistenziali studiati per i malati cronici
25
08/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
I ministeri si preparano alla dieta del 3% Previste riduzioni di spesa per 7 miliardi
27
06/09/2014 Il Sole 24 Ore
«Partecipate avanti, sanità alt»
28
07/09/2014 Il Sole 24 Ore
Farmaci, un mercato regolato
30
06/09/2014 La Repubblica - Bologna
Eterologa, si parte via libera da lunedì alle prenotazioni
32
06/09/2014 La Repubblica - Nazionale
Un vaccino dal sangue delle persone guarite
34
06/09/2014 La Repubblica - Nazionale
"Così L'Esercito produrrà la cannabis che cura i malati"
35
06/09/2014 La Repubblica - Firenze
Medicine, cosmetici ma anche cioccolata 55mila metri quadri e 80 chimici e biologi:
ecco cosa c'è nel casermone "sconosciuto"
36
06/09/2014 La Repubblica - Firenze
"Per ogni paziente una cura specifica in base alle esigenze"
38
06/09/2014 La Repubblica - Roma
Il primo soccorso in ogni municipio Ecco gli studi medici sette giorni su sette
39
06/09/2014 La Repubblica - Milano
Sanità, Maroni ci riprova "Grazie a fondi nazionali eliminerò le liste d'attesa"
40
08/09/2014 La Repubblica - Nazionale
"Giochi all'aperto e meno videogame Così nei piccoli si fa prevenzione"
41
06/09/2014 La Stampa - Nazionale
Marijuana di Stato, coro di sì "Ma no alla liberalizzazione"
42
06/09/2014 La Stampa - Nazionale
"Per la mia terapia non dovrò più pagare gli spacciatori"
43
06/09/2014 La Stampa - Nazionale
Glaucoma, cancro, Aids e Parkinson La cannabis in soccorso alla medicina
44
07/09/2014 La Stampa - Nazionale
Vaccino, una speranza dall'Italia "Così possiamo battere il morbo"
45
08/09/2014 La Stampa - Nazionale
Ma isolare le comunità non può essere l'unica arma per fermare i contagi
47
06/09/2014 Il Messaggero - Nazionale
L'Italia produrrà medicine alla marijuana
49
06/09/2014 Il Messaggero - Roma
L'eterologa a Roma resta un miraggio
50
07/09/2014 Il Messaggero - Ancona
Torrette, il ministro chiama i Nas
52
08/09/2014 Il Messaggero - Nazionale
Ebola, il vaccino targato Italia «respinge il virus per 10 mesi»
53
07/09/2014 QN - Il Resto del Carlino - Ancona
Il ministro: «Black out, subito la relazione»
54
07/09/2014 QN - Il Resto del Carlino - Ancona
Pronto soccorso pediatriaco: caos «Stop al trasferimento del Salesi»
55
06/09/2014 Avvenire - Nazionale
Lorenzin: «L'eterologa così non sarà sicura» *
56
08/09/2014 Il Gazzettino - Venezia
Idroambulanza, approdo quasi pronto
58
08/09/2014 Il Gazzettino - Venezia
«Non si cambiano le regole» Portogruaro contro Cereser
59
06/09/2014 QN - Il Giorno - Milano
Sanità, equipaggi del 118: medico a bordo, meglio di no Camici bianchi in subbuglio
60
06/09/2014 QN - Il Giorno - Milano
Venti posti letto in più per i malati cronici Il Bassini apre un nuovo reparto ad hoc
61
06/09/2014 Il Manifesto - Nazionale
È la fine di un tabù
62
07/09/2014 Libero - Nazionale
FIBRILLAZIONE ATRIALE NON VALVOLARE (NVAF) LE CURE TROPPO DIVERSE DA
UN PAESE ALL'ALTRO
64
08/09/2014 Il Secolo XIX - Genova
Esenti ticket, in coda per gli esami
65
08/09/2014 Il Secolo XIX - Genova
«LA CENTRALINISTA E QUELLA DIAGNOSI PER TELEFONO, POVERA SANITÀ
PUBBLICA»
67
07/09/2014 Il Tempo - Roma
Lavori eterni all'ospedale Nove milioni in 9 anni
68
08/09/2014 Il Tempo - Roma
Ecco i prossimi tagli Via altri 531 letti
69
08/09/2014 Il Tempo - Roma
Il bisturi non risparmia le due Asl più povere
71
07/09/2014 QN - La Nazione - Firenze
Il Consiglio all'unanimità «L'ospedale non si tocca»
73
06/09/2014 La Padania - Nazionale
Maroni e la sanità lombarda: «Sempre più ambulatori aperti, VIA LE LISTE
D'ATTESA»
74
08/09/2014 Corriere Economia
Un cerchietto in testa controlla l'Alzheimer
76
08/09/2014 ItaliaOggi Sette
Fondo crescita per selezionati
77
06/09/2014 Milano Finanza
PROSTATA, SCATTA IL VERDE
79
06/09/2014 Gente
l'alzheimer si sfida in cinque mosse
81
05/09/2014 Tempi
Per fare i tagli ci vogliono i numeri
83
05/09/2014 Tempi
EBOLA come si può fermare un'epidemia senza precedenti
85
05/09/2014 Tecnica Ospedaliera
Linee guida per l'assistenza che verrà
88
05/09/2014 Tecnica Ospedaliera
Una check list contro il dolore
90
05/09/2014 Tecnica Ospedaliera
Flusso informativo ministeriale dei dispositivi medici. Possibile strumento di
gestione?
93
05/09/2014 Tecnica Ospedaliera
Gli effetti del rigore sulla sanità
98
SCENARIO SANITA' NAZIONALE
58 articoli
06/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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Il reportage Kenema, Sierra Leone: racconto di una città in quarantena dove si può morire per un abbraccio
Nell'ospedale di Ebola Scafandri, cloro e riti per vincere la paura
MICHELE FARINA
È una città chiusa, Kenema. L'ex capitale dei diamanti isolata per Ebola. Almeno due distretti a oriente della
Sierra Leone, da qui fino a Kailahun, sono stati messi in quarantena dal governo. Posti di blocco militari. Non
si entra e non si esce. La zona è la grande incubatrice dell'epidemia. ALLE PAGINE 14 E 15
KENEMA (Sierra Leone) - Prima di chiudere la fossa dove il tecnico di laboratoro Ibrahim Fambullah, 43 anni,
è stato calato in un sacco bianco, gli spalatori aspettano che i burial boys si tolgano lentamente gli scafandri.
Hanno le magliette fradice di sudore, i ragazzi della «squadra sepoltura». Si capisce che fremono per
riprendere i motorini e andarsene. Ma l'ultima operazione è la più delicata. Un errore banale, un gesto istintivo
come asciugarsi il sudore dagli occhi con un guanto contaminato, e il virus ti frega. Così, mentre si svestiva
dopo l'ennesimo massacrante giro in reparto, si è infettato ed è morto il dottor Sheik Umar Khan, l'eroe
nazionale di questa guerra. Giù all'ospedale la sua gigantografia sorride appesa ai muri, veglia anche sul
capannone dove aspettano i membri di questa eroica banda becchini. Sono decine, motivati e analfabeti (a
causa della guerra civile che ha devastato la Sierra Leone dal 1991 al 2002 con 50 mila vittime), ragazzi
come Ibrahim Kamarà, barbetta da ventenne e maglia di Neymar, un fratello ucciso da ebola e una missione
da compiere: «Salvare la nazione». Gli amici li schifano, i familiari li cacciano, però i burial boys si sentono
importanti. Questa è la loro ora. Tre cadaveri, arrivati uno alla volta su stradine secondarie per non
spaventare la gente, messi di traverso sui pick-up. All'inizio usavano le rare ambulanze, ora i camioncini per
combattere l'ebolafobia: «Nessuno voleva più salire perché ci caricavamo i morti» dice Kamarà. Il cimitero
all'imbrunire risuona del canto melodioso degli uccelli. Terra rossa rubata con il machete alla vegetazione
tropicale, caldo opprimente, nessun parente intorno. È la paura. C'è soltanto James Massally, il responsabile
del laboratorio analisi, a piangere il suo braccio destro, il quarto collega a morire nel giro di cinque giorni, in
piedi tra i cartelli in metallo con i nomi dei caduti dipinti da uno scrivano con i guanti. Pantaloni neri, camicia
bianca, scarpe della festa, James pronuncia poche parole di commiato nella foresta deserta. Pensare che
anche lui ha contribuito a disegnare il genoma di ebola partendo dai campioni di sangue raccolti proprio qui a
Kenema, nell'unico ospedale esistente, dove la stessa barella serve a portare dentro i malati e fuori i morti
(altamente infetti). C'è anche il nome di James in calce allo studio appena sfornato dall'università di Harvard
che servirà per la ricerca di un vaccino. Visto da qui sembra assurdo. Giusto lavorare al genoma, ma
qualcuno nel frattempo vuole mandare una barella nuova? L'Oms, il braccio sanitario dell'Onu, sta tagliando
la missione ebola anziché potenziarla, mentre il 40% delle 1.900 vittime si contano nell'arco delle ultime 3
settimane. I pochi occidentali che si infettano vengono subito evacuati in Europa e negli Stati Uniti per essere
giustamente curati in reparti speciali. Mentre qui scarseggiano cose basilari: stivali, guanti, cibo, personale
sanitario, le tute della banda becchini...
Bianchi e bardati come spendibili soldatini di Guerre Stellari, i quattro ragazzi che hanno portato il corpo di
Fambullah si sfilano i preziosi Ppe (personal protective equipment ) impermeabili e soffocanti, e le
sovrascarpe. A ogni passaggio interviene Kamarà, lo sprayer , lo «spruzzatore», spargendo cloro su mani e
stivali. Hanno movimenti sincronizzati, di routine. L'ultimo, di prassi, offensivo per i morti e necessario per i
vivi: i ragazzi buttano gli scafandri nella fossa, gli spalatori gettano terra su quella piccola discarica biologica,
cinque tute e un defunto.
È una città chiusa, Kenema. L'ex capitale dei diamanti isolata per ebola. Almeno due distretti a oriente della
Sierra Leone, da qui fino a Kailahun, sono stati messi in quarantena. Posti di blocco militari. Non si entra e
non si esce. Questa zona è la grande incubatrice dell'epidemia, iniziata nel dicembre scorso in un villaggio
oltre il confine con la Guinea, dall'incontro fortuito tra un pipistrello della frutta (vettore principale del virus) e
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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06/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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un bambino di 2 anni. Scendendo a sud-est il contagio è esploso a Monrovia, capitale della Liberia.
Spostandosi verso ovest ha raggiunto Bo fino a toccare Freetown (oltre 50 casi accertati). È la strada che
abbiamo percorso in senso opposto con una missione di «Medici con l'Africa Cuamm», ong di ispirazione
cristiana che dal 1950 ha allungato le sue radici dalla diocesi di Padova a questo continente (oggi è in 7
Paesi con 168 operatori, 111 medici): dal 2012 Cuamm opera in un piccolo ospedale nell'Est della Sierra
Leone, nel poverissimo distretto di Pujehun, con cinque italiani che cercano di salvare i bambini dalla malaria
e le madri dalla morte per parto. Si sono trovati in mezzo all'emergenza ebola e si sono dati da fare, creando
a Pujehun uno dei pochi centri di isolamento per pazienti sospetti. Il nome della ong è sul fuoristrada e non
sempre è un lasciapassare. Unisa, il guidatore, dice che così è difficile trovare parcheggio in città: «Vedono la
parola doctors e ti chiedono di andartene». Anche a Freetown, oltre un milione di abitanti, la paura di ebola
contagia tutto e tutti: chiusi cinema e stadi, rinviata l'apertura delle scuole, proibiti i gruppi con più di cinque
persone, passeggeri scaglionati sui minibus Poda Poda. Sulla larga spiaggia della capitale dei ragazzi
giocano a pallone illegalmente: «Vedi come stanno vicini all'acqua? - dice Unisa - Così riescono a vedere da
lontano se arriva la polizia». Sulla via dell'ospedale principale, il Connaught, si affacciano una chiesa e una
moschea (il tesoro nazionale, la convivenza tra religioni). È una zona storica della «città libera» fondata nel
1787 come centro per ex schiavi riportati in Africa dalle Americhe. Proprio dove c'è l'ospedale gli schiavi
liberati venivano visitati dai medici britannici. Qui due settimane fa è morto il dottore che dirigeva il reparto
ebola, da qui una parrucchiera infetta è scappata perché i parenti volevano fosse curata a base di erbe e kola
da un sowei, un guaritore tradizionale (morta lei e la famiglia). È qui che abbiamo avuto il primo impatto con
l'epidemia: dietro le sbarre dell'unità di isolamento (12 letti), ora diretta dalla dottoressa spagnola Marta Lado,
un giovane sospetto sbraita perché vuole uscire, sostiene di essere sano. La guardia armata e un'infermiera
dall'esterno cercano di calmarlo. A una delegazione dell'Oms la dottoressa Lado ha detto: «Cosa ci serve?
Personale ed equipaggiamento. Anche le scorte di guanti monouso cominciano a calare». I centri di
isolamento, quelli attrezzati per assistere i casi sospetti in attesa degli esami, si contano sulle dita di un
guanto: Medici Senza Frontiere a Kailahun e a Bo, Cuamm a Pujehun, a Freetown il Connaught e l'ospedale
pediatrico di Emergency dove una mamma con due gemelli di tre anni pochi giorni fa sono stati trovati
positivi. Poiché gli unici centri di trattamento per ora sono l'ospedale governativo di Kenema e quello di
Kailahun con le tende di Msf, i contagiati prendono tutti la stessa strada verso Est, che è anche la nostra.
«Ebola è peggio della guerra» dice Franco Miari. Emiliano di Carpi, in Sierra Leone da 34 anni, il suo
ristorante sulla spiaggia fuori Freetown è un'istituzione segnalata dalle guide. Fino a maggio faceva 280
coperti ogni week-end. Da allora ha fatto 80 clienti in tutto. Ferme le barche dei pescatori di aragoste, deserti i
resort e le spiagge candide (dove è stato girato lo spot dello snack Bounty). Il crollo del turismo e la fuga degli
stranieri da alberghi e miniere appaiono minimi effetti collaterali dell'epidemia, ma con l'aumento dei prezzi e i
raccolti a rischio sono segnali di un Paese paralizzato da ebola così come le vicine Liberia e Guinea. Anche
Franco non ha le idee chiare sul virus («Si prende con il respiro?»), ma ha una macchina che produce clorina
disinfettante: «Me l'ha data un orafo di Arezzo che produce oggetti per il Vaticano, era destinata a un istituto
per ciechi nel nord della Sierra Leone ma poi hanno scoperto che il voltaggio era incompatibile». Ai ciechi una
macchina nuova, a Miari quella vecchia. La clorina di questi tempi è più ricercata delle aragoste: i contenitori
sono disseminati all'entrata dei negozi e lungo la strada ai posti di blocco dei militari. Sotto le tende ai
viaggiatori viene misurata la temperatura con un termometro-pistola laser. Chi ha più di 38 viene fermato. Al
limitare di Kenema, 130 mila abitanti, dopo chilometri di strada deserta ti fermano comunque. Comincia la
terra di quarantena, roccaforte del virus. Con il fotoreporter Luigi Baldelli superiamo il checkpoint perché
Dante Carraro, medico e sacerdote da vent'anni alla guida di Cuamm, ha un contatto con il capo del distretto
sanitario Mohamed Vandi, nell'ospedale che a luglio una folla inferocita voleva bruciare.
Ora la situazione è se possibile più tranquilla, nel senso che a suon di morti molti hanno capito che «ebola is
real», non è una finzione o una cospirazione del governo per chiedere soldi all'estero. All'ospedale c'è posto
solo per ebola e per i suoi spettri. Letti vuoti negli altri reparti, come in tutto il Paese: per la paura del virus
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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06/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
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killer si muore a casa di altre patologie. Fuori Kenema stanno costruendo un nuovo centro di trattamento. Ma
intanto la prima linea resta qui: oltre 160 morti accertati a fine agosto, 175 guarigioni, il bilancio si allunga ogni
giorno. Davanti all'ufficio di Vandi le aspettative per il futuro sono appese a un camioncino con l'insegna dei
Mondiali Dubai 2020. C'è chi sparge sale in giro perché un leader religioso la ritiene un'arma efficace contro
l'epidemia. Il capo distretto confida di più nella clorina: quando arriva, con le scarpe di vernice, passa oltre
mezz'ora a innaffiare l'ufficio con lo spruzzatore. Dopo un minuto sul divanetto davanti alla sua scrivania
abbiamo i pantaloni inzuppati. È preparato e gentile: ha la famiglia a Freetown, non torna a casa da maggio,
ha messo a punto una rete di centinaia di «tracciatori» di quartiere, che cercano e monitorano le persone che
hanno avuto contatti con i malati e devono essere isolate a casa: «Ogni persona infetta potrebbe averne
contagiate altre 15-20». L'incubazione varia da 2 a 21 giorni, è infettante solo chi manifesta i sintomi. Il virus
si trasmette per contatto diretto con i fluidi corporei di un malato: tutti, comprese le lacrime. Ebola sfrutta
l'ignoranza ma anche l'umana pietà. Vandi racconta di un imam che si è infettato chiudendo gli occhi a un
defunto, di un sacerdote cristiano morto per aver abbracciato un malato. Mentre ci accompagna al limitare
dell'area ebola, dove arrivano le ambulanze e le persone che possono camminare, con un certo sollievo ci
sentiamo dire che è proibito entrare nelle camerate dove si trovano 68 malati confermati, 11 sotto i dieci anni.
Qui il virus ha ucciso almeno 27 operatori sanitari (su un totale di 130 nei tre Paesi più colpiti), da Sheik Khan
a Ibrahim Fambullah all'ultimo medico morto due giorni fa. Chi arriva con qualche malanno affronta un
percorso a tappe, un necessario calvario di paura. Sotto il tendone del triage c'è il primo verdetto, ci
raccontano due della Croce Rossa, il colombiano Alejandro e Sharon dalla Nuova Zelanda. Adulti soli,
mamme o padri con bambini in braccio sono in attesa. Con almeno due sintomi sospetti (per esempio febbre
alta e vomito) si prosegue dentro la zona off-limits, verso l'area dei prelievi di sangue. Altrimenti si torna
indietro verso altri reparti, come accade a quella madre con un furtivo sorriso che esce adesso dal
cancelletto. Per i sospetti, l'esito dell'esame arriva nel giro di 4 ore. Questa mattina un uomo è morto nella
zona d'aspetto, racconta un infettivologo del Montana in missione per l'Oms, George Risi, madre bolognese,
padre napoletano. Risi è arrivato una settimana fa in questo ghetto che ha i suoi caduti e i suoi miracolati. È il
ghetto delle ebola nurses. Al momento 30 infermiere, guidate dalla veterana Josephine Sellu, 42 anni.
«All'inizio non eravamo pronti, stiamo imparando ogni giorno» racconta la caposala nel suo ufficio-cubicolo
prefabbricato, a distanza di sicurezza «di saliva» (almeno un metro), tra la tenda del triage e la zona off-limits.
Nel suo diario di vita e di morte ci sono tanti nomi, tante storie. C'è Zaineb Kanè, infermiera di 25 anni, che
«un giorno è tornata a casa e ha trovato tutte le sue cose fuori dalla porta. Il marito l'ha cacciata: o con me o
con Ebola». Zaineb ha scelto: ha dormito all'ospedale, le colleghe hanno fatto una colletta e le hanno trovato
una stanza fuori. Fatmata Sesay ha preso ebola in reparto, l'ha passato alla figlia Tata di 11 anni. Entrambe
sono guarite (come il 50% dei malati): «Ho sentito Fatmata al telefono - dice Josephine - lei e le altre
sopravvissute: abbiamo bisogno di loro, torneranno». Forse tornerà anche William Pooley, 29 anni,
l'infermiere volontario inglese evacuato a fine agosto con un volo della Raf. Dopo una settimana in un centro
specializzato di Londra è guarito. «Ah, caro William - dice Josephine - Un bravissimo ragazzo. Credo l'abbia
contagiato un bambino, Boboselu, un anno di età. È arrivato attaccato al seno della mamma malata. Sono
rimasti dieci giorni. Quando lei è morta, il 15 agosto, Boboselu è risultato negativo agli esami». Ebola ti frega
sui sentimenti, che esplodono senza curarsi dei tempi di incubazione. Il padre di Boboselu non lo voleva a
casa, era solo al mondo, così le infermiere l'hanno tenuto all'ospedale. «William è quello che più gli ha fatto
festa, lo teneva in braccio, gli portava i biscotti». Dopo tre giorni il bambino ha la febbre alta: rifanno l'esame,
positivo. È morto di lì a poco. Appesa dietro la scrivania di Josephine, che le giovane infermiere chiamano
«mammina», c'è la foto di Boboselu. Alla sera, seguendo l'eroica banda becchini, abbiamo cercato invano la
sua fossa. Il cimitero nella foresta avanza in fretta.
Michele Farina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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06/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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AFP / DOMINIQUE FAGET La tragedia Nella foto grande a sinistra l'ospedale di Freetown. Nelle immagini
sotto, dall'alto in basso i pazienti in quarantena all'ospedale di Kenema, a seguire madre e figlio nel centro dei
medici Cuamm a Pujehun. Sotto un blocco di operatori sanitari misurano la temperatura ai viaggiatori sulla
strada per Kenema. Nell'ultima immagine il team dei seppellitori al cimitero di Kenema (Foto di Luigi Baldelli)
06/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 10
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Balduzzi e il rilancio di Sc: «Destra o sinistra? Noi restiamo montiani»
T. L.
ROMA - «Per quanto a Palazzo alcuni politici facciano finta che non sia così, Scelta civica c'è e continuerà a
esistere».
E i rumors sull'avvicinamento di alcuni vostri parlamentari alla Costituente che sta sorgendo al centro?
«Noi guardiamo a quel progetto con rispetto e attenzione, ci mancherebbe. Ma nessuno di noi ha partecipato
alla riunione dell'intergruppo, l'altro giorno, con Alfano. D'altronde, Scelta civica ha valutato di non farne
parte».
Renato Balduzzi, anni 59, giurista ed ex ministro della Salute, oggi è il presidente reggente di Scelta Civica. E
parla addirittura di un rilancio del soggetto politico.
Non ci sarà un'altra diaspora? Ne è sicuro?
«Tutt'altro. Abbiamo già un appuntamento importante , il 20 settembre a Firenze, in cui definiremo il nostro
percorso futuro».
A volte non si capisce se guardate a destra o a sinistra.
«Non abbiamo il problema di scegliere tra centrodestra e centrosinistra. Né si può pretendere che, in
un'epoca come questa, basti la scelta della "famiglia europea" a definire il nostro collocamento in Italia: al
nostro interno abbiamo sia liberali che popolari. Più che dove andare, sappiamo dove non andare...».
E dove non andrete?
«Là dove ci sono i populismi, presenti e passati».
Fedeltà al governo?
«Quella sempre dimostrata. Il governo Renzi è il presente. E noi l'abbiamo sempre sostenuto con
compattezza».
E Monti? Verrà a Firenze?
«Credo che abbia deciso di fare un passo indietro rispetto all'attività partitica. Che non significa un passo
indietro rispetto alla manifestazione del suo pensiero, che è sempre un faro per la politica italiana. Non a
caso, nessuno di noi si vergogna a essere ancora definito "montiano"».
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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L'ex titolare della Sanità INTERVISTA
06/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 21
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Gratis in Emilia Romagna con il ticket in Toscana La mappa dell'eterologa
La Liguria guarda il reddito, 600 euro in Piemonte
Margherita De Bac
ROMA - Via all'eterologa pubblica. Le Regioni sono partite con gli atti amministrativi per renderla al più presto
una realtà in ospedale secondo quanto ha stabilito la sentenza della Corte Costituzionale.
Ma per l'esecuzione pratica, cioè i cicli sulle pazienti, passeranno se va bene almeno un paio di mesi. Un
conto è riempire le liste d'attesa e raccogliere le prenotazioni con numeri verdi. Diverso è arrivare ai
trattamenti veri e propri sulle coppie. Dopo l'accordo chiuso giovedì scorso tra i governatori restano da
compiere infatti passaggi tecnici. I punti da chiarire e gli ostacoli non mancano. Conteranno molto le capacità
organizzative e l'esperienza delle 21 sanità locali.
Non è un caso che presidenti e assessori regionali invochino l'arrivo di una normativa primaria. Necessaria,
sostengono, a uniformare la materia e agevolare la realizzazione di strumenti indispensabili per rendere
l'eterologa una macchina sicura. A cominciare dal registro unico dei donatori presso il centro nazionale
trapianti. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin aveva preparato un decreto, dove tra l'altro venivano
stanziati 10 milioni per coprire il costo delle nuove cure a carico del servizio pubblico.
Il testo è stato adottato, con qualche modifica, dai governatori. Ora è in mano ai capigruppo parlamentari
perché sia trasformato in un emendamento da agganciare a una legge già in corso. Laura Boldrini, presidente
della Camera, si è congratulata con le Regioni e il loro coordinatore, Sergio Chiamparino: «Ottimo lavoro. Mi
sembra non ci sia un vuoto legislativo, è stata eliminata una discriminazione. Lo ritengo un passaggio
determinante, gli italiani per troppi anni sono stati costretti a fare viaggi della speranza all'estero a costi molto
alti».
Nel giro di un paio di settimane le Giunte dovrebbero trasferire in una delibera il contenuto delle linee guida
transitorie. Ci sono però dei punti in sospeso. Come regolarsi con i ticket, meglio definiti compartecipazione
alla spesa? Le donne infertili di età inferiore ai 43 anni, limite che da diritto al rimborso, dovranno versare un
contributo come succede per altre prestazioni, ad esempio l'intervento alla cataratta? Il costo maggiore, circa
3 mila euro, lo sosterranno le Asl in attesa di un auspicato fondo del ministero.
In Emilia Romagna l'eterologa - che prevede la donazione di gameti (spermatozoi e ovociti) - sarà gratuita.
L'assessore Carlo Lusenti ritiene che sarà difficile imboccare un'unica strada «perché i ticket sono una scelta
autonoma delle Regioni, certo sarebbe l'ideale restare uniti anche su questo». È stata convocata per il 24
settembre dal Veneto, capofila delle Regioni, una nuova riunione tra gli assessori italiani per trovare una
unica tariffa convenzionale.
La Liguria, dopo la Toscana, ha battuto tutti, ieri ha deliberato. Per il ticket si deciderà in un secondo tempo.
Claudio Montaldo, vicepresidente della Giunta di Burlando, suggerisce di scaglionarli in base al reddito. La
Toscana è avanti. È partita a luglio introducendo una compartecipazione di 500 euro. Il Piemonte stabilirà
forse 600 euro. Secondo l'assessore alla Sanità Carlo Saitta la difficoltà principale é però la raccolta dei dati
dei donatori «perché dovremo istituire dei registri ospedalieri e basarci sulle autodichiarazioni dei volontari
che si impegnano a non fare ulteriori donazioni in altri centri». Questo per evitare che venga superata la
soglia di 10 figli ciascuno indicata nell'accordo.
Di eterologa pubblica si è discusso ieri in Lombardia. Anche il presidente Roberto Maroni insiste sull'urgenza
di una legge. La delibera è in calendario al Pirellone lunedì 15 settembre. «Il documento ha salvaguardato
principi per noi irrinunciabili - dice l'assessore Mario Mantovani -. Abbiamo chiesto che venisse rispettato
l'anonimato del donatore e che quindi i suoi dati anagrafici non fossero disponibili neppure quando il bambino
nato avesse compiuto 25 anni, come era scritto nella bozza precedente». Si stanno muovendo e intendono
concludere in tempi rapidi anche Basilicata, Friuli Venezia Giulia e Puglia.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Fecondazione assistita Le regole per i centri pubblici
06/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 21
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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La vicenda L'esperimento
Sono iniziate giovedì al Careggi di Firenze (foto in alto ) le prime visite per le coppie che hanno deciso di
sottoporsi all'eterologa con il servizio sanitario nazionale
Le categorie
In sei casi su otto si tratta di donne che hanno problemi di fertilità spesso legati all'età. Il 75 per cento delle
coppie in lista d'attesa nell'ospedale fiorentino arriva da fuori della Toscana. Al Careggi sono pronti ad aprire
anche una banca del seme
06/09/2014
Corriere della Sera - Roma
Pag. 5
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Bimba deceduta, anestesia nel mirino
Da Villa Mafalda alla clinica Sanatrix: l'inchiesta si allarga
Ilaria Sacchettoni
Per sciogliere i dubbi sulla morte di Giovanna Fatello, la bambina uccisa da una routinaria operazione al
timpano a Villa Mafalda, i carabinieri hanno bussato alle porte della Sanatrix. Altra struttura privata (è
specializzata in chirurgia estetica) che utilizza le prestazioni dell'anestesista Pierfrancesco Dauri.
Il pubblico ministero Mario Ardigò è deciso, infatti, ad approfondire tutti gli aspetti che riguardano l'anestesia
praticata quel giorno. Aspetti che dalla cartella clinica, pressoché in bianco (i vertici della clinica spiegano la
circostanza con il fatto che i medici, presi dalla rianimazione, non ebbero il tempo di compilarla) non è stato
possibile ricostruire.
Fra i farmaci è stato utilizzato il Propofol. La consulenza del tossicologo stabilirà se è stato fatto in quantità
ortodosse o meno ma, in ogni caso, si tratta di una sostanza potente che richiede il monitoraggio costante da
parte dell'anestesista durante l'intervento. Que l sabato mattina primaverile in cui Giovanna fu operata il
monitoraggio non ci fu: Dauri uscì quasi subito dalla sala operatoria. E questo risulta anche dalle
testimonianze a verbale. Nel frattempo i tempi della relazione autoptica, attesa per la metà di settembre, sono
slittati all'autunno, mentre gli investigatori hanno in programma altri interrogatori.
Dauri, professionista di lungo corso, anestesista di seconda generazione, già primario al Cto,
occasionalmente prestato alla politica (delegato di Alemanno alla sanità e candidato per An e La Destra di
Storace come si legge sulla sua biografia on line) quel giorno era il responsabile dell'equipe.
Resta, in questa vicenda poco chiara, il mistero dell'emoglobina, scesa di 6 punti durante l'intervento. Un fatto
che assieme alla richiesta urgente e nominativa di sacche di sangue, inviata via fax al Policlinico Umberto I,
indicherebbe questa come causa della morte. La procura, tuttavia, in attesa di nuovi riscontri scientifici,
avrebbe abbandonato questa pista. Il direttore di Villa Mafalda, Paolo Barillari ha negato più volte e
vigorosamente l'ipotesi, spiegando l'abbattimento dei valori dell'emoglobina con una sostanziosa
somministrazione di liquidi durante l'intervento. Per capire come siano andate in effetti le cose il pubblico
ministero ha voluto servirsi anche della consulenza di un ematologo (oltre a un tossicologo, un otorino, un
cardiologo e altri).
Altro mistero è quello della rianimazione. La bambina alle 10,30 era già deceduta. Un dettaglio confermato
anche dalla testimonianza della dirigente Lucia Concordia (non è indagata) che quel giorno scese in sala
operatoria a verificare cosa stesse accadendo su richiesta di un membro della famiglia Barillari. E allora, cosa
si è fatto fino all'uno e mezzo circa, ora in cui è stata data notizia ai genitori della sua morte? Perchè
proseguire le pratiche di rianimazione? Sul registro degli indagati sono finite dieci persone. Con Dauri sono
iscritti l'otorino Giuseppe Magliulo, Anna Piazza, Walter Fianchi, Dario Marcotullo, Ramond Sabbatucci, Laura
Battistini, Azzurra Grasso, Roberta Bernardini e Giovanna Lotti. Archiviata l'inchiesta sulle cure a Bevilacqua
(idonee), resta aperta l'indagine delle truffe alle assicurazioni. Blu Assistance e Reale Mutua hanno
presentato una denuncia ai magistrati coordinati dall'aggiunto Leonardo Frisani.
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Foto: 29 marzo 2014 La data di morte della piccola Giovanna Fatello
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Malasanità Giovanna Fatello, 10 anni, non si riprese dopo un'operazione al timpano
07/09/2014
Corriere della Sera - Milano
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
I NODI IN REGIONE SULL'ETEROLOGA
SIMONA RAVIZZA
La partita della Regione Lombardia sulla fecondazione eterologa (ri)inizia adesso. L'assessore alla Sanità,
Mario Mantovani (Forza Italia), è stato tra i primi a battersi per l'introduzione di principi irrinunciabili nelle linee
guida nazionali, approvate giovedì scorso: l'anonimato assoluto dei donatori di gameti (semi e ovociti) e la
possibilità di svolgere esami medici per garantire la salute del nascituro, ma senza sconfinare nell'eugenetica
. Il tutto insistendo sull'importanza di adottare un protocollo comune tra le Regioni, per evitare il Far West.
Bene.
Ma ora, dopo avere contribuito a creare una cornice a livello nazionale, restano da sciogliere nodi altrettanto
importanti a livello regionale. In gioco c'è il costo della fecondazione eterologa per i pazienti e i criteri di
autorizzazione dei centri che la potranno eseguire. Ed è da capire anche in quale modo si controllerà che non
vengano superate le dieci donazioni dalla stessa persona. Il Pirellone dovrà dimostrare di essere capace di
prendere decisioni nell'interesse delle (almeno) seimila coppie in attesa, senza finire in una palude politicoideologica che non renderebbe onore a nessuno.
Quanto costeranno i trattamenti in Lombardia? Quali i centri pubblici e privati accreditati che li potranno
eseguire? Sono aspetti destinati a incidere pesantemente sull'applicazione della fecondazione eterologa. Sul
pagamento delle cure le strade aperte sono almeno due: pagamento di un ticket come avviene in Toscana (lì
la richiesta è di 500 euro) e gratuità assoluta come prospettato dall'Emilia Romagna. Stabilire una tariffa
bassa (o nulla), ovviamente, vorrebbe dire incentivare la fecondazione eterologa; al contrario fissare un costo
elevato significherebbe di fatto limitarla. Ancora: i centri lombardi di Procreazione medicalmente assistita
(Pma) sono sessanta, di cui venti pubblici, nove privati convenzionati e trentuno privati. È il 20 per cento del
totale nazionale: autorizzarli tutti vorrebbe dire fare della Lombardia una delle regioni più attrattive per
praticare l'eterologa.
Per venerdì prossimo è annunciato l'arrivo in giunta della delibera che dovrà fare chiarezza e fissare i punti
cardine. Il Pd e la lista Ambrosoli fanno pressing, ma quella che sta per iniziare sarà una settimana di
confronti soprattutto interni alla maggioranza, divisa tra l'area cattolico-ciellina e quella più laica. È il motivo
per cui non è da escludere che il debutto della fecondazione eterologa in Lombardia avvenga in via
sperimentale, con l'autorizzazione a procedere solo per i centri di Pma più importanti e con tariffe medio-alte
(in attesa dell'inserimento della procedura da parte del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, nei Livelli
essenziali di assistenza).
La speranza è che ci sia il coraggio di prendere decisioni tempestive e dettate dal buon senso. Senza troppi
condizionamenti ideologici e barricate. Né da una parte, né dall'altra. Solo così la Lombardia potrà tornare a
essere un modello da seguire per tutt'Italia, senza lasciare brillare solo la Toscana, dove la fecondazione
eterologa è già realtà.
SimonaRavizza
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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L'APPLICAZIONE DELLE LINEE GUIDA
07/09/2014
Corriere della Sera - Milano
Pag. 4
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Ultima prova per Medicina all'Humanitas university
Primo anno accademico al via per la nuova università milanese, l'ateneo privato di Humanitas che parte con il
corso di laurea internazionale in Medicina e chirurgia e con quello di Scienze infermieristiche. Il via libera dal
ministero al nuovo ateneo è arrivato da poche settimane e i test di ammissione per i due corsi sono stati
predisposti in tempo record e si svolgeranno nei prossimi giorni. Per i cento posti disponibili a Medicina test il
16 al Forum di Assago, per i quaranta posti di Infermieristica (iscrizioni ancora aperte) la selezione si svolge
invece il 15 nella sede di Humanitas a Rozzano.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Il nuovo ateneo
07/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 15
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Ebola in Sierra Leone «Vietato uscire di casa» per sei milioni di abitanti
Michele Farina
«Per quattro giorni proibito uscire di casa»: è l'ultima ordinanza del governo della Sierra Leone per
contrastare l'avanzata di Ebola. Dal 18 al 21 settembre circa 6,5 milioni di abitanti saranno chiamati a restare
nelle loro abitazioni. L'obiettivo? Frenare l'epidemia e permettere agli operatori sanitari di individuare e isolare
nuovi casi. Almeno 20 mila persone saranno impiegate nell'attività di polizia per far rispettare il blocco. Non è
la prima volta che il governo di Freetown ricorre a misure del genere: due settimane fa c'era stata la giornata
«stay at home». Ventiquattro ore di auto-isolamento non hanno ridotto il contagio. Come le vicine Liberia e
Guinea, la Sierra Leone sta combattendo una battaglia disperata: nei tre Paesi più colpiti circa metà delle
2.105 vittime (1.841 confermate) secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sono morte nel giro
degli ultimi 30 giorni. In mancanza di medici (65 per tutto il Paese prima dell'ultima emergenza) si prova con
le leggi e la polizia: il Parlamento ha già approvato una disposizione che condanna a due anni di prigione i
familiari che non «denunciano» un malato o un sospetto a casa.
Combattere la paura di Ebola con la paura e l'isolamento. Città in quarantena, posti di blocco, sospese le
scuole e il campionato di calcio. Ben Kargbo, consigliere speciale della squadra presidenziale anti-virus, dice
che l'ulteriore «approccio aggressivo è necessario per fermare il contagio una volta per tutte». Ma una
portavoce di Medici senza frontiere, l'ong più presente sul territorio (ha impiegato almeno 156 operatori
sanitari stranieri e oltre 1.700 locali nei tre Paesi dell'Africa Occidentale con 5 centri e 500 posti letto), ha
criticato il blocco stabilito dal governo di Freetown: «In base alla nostra esperienza queste misure non aiutano
a controllare Ebola, poiché inducono le persone a nascondersi e a perdere fiducia negli operatori». A
Monrovia, capitale della Liberia, la chiusura della baraccopoli di West Point dove l'epidemia stava dilagando è
stata poi sospesa dopo la sollevazione popolare sfociata in violenze. «Quello di cui la Sierra Leone e la
Liberia hanno urgentemente bisogno - sostiene Msf - sono più posti letto in centri di trattamento. E ne hanno
bisogno adesso».
Ora i centri di trattamento per i malati di Ebola in Sierra Leone (404 vittime confermate) sono due: l'ospedale
governativo di Kenema e quello di Msf a Kailahun. Un centro alla periferia della capitale dovrebbe essere
pronto nelle prossime settimane. Chi potrebbe fornire «adesso» più posti letto, personale e attrezzature?
L'Oms, braccio sanitario dell'Onu, stima che l'epidemia raggiungerà nei prossimi mesi i 20 mila casi (10 mila
morti) ma sostiene di non avere mandato né forze (specie dopo i recenti tagli di bilancio) per operare come
struttura di pronto intervento per grandi emergenze come questa. Bisognerebbe che i Grandi della Terra
discutessero ogni tanto anche della riforma dell'Oms. Intanto la Sierra Leone si comporta un po' come fa il
mondo nei suoi confronti: chiusura delle frontiere, stop ai voli, chiusura della gente nelle case. Ebola non sta
sgusciando in Occidente. Ma in Africa avanza ancora.
@mikele_farina
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Foto: Calcio Anche i tifosi della Costa d'Avorio «combattono» contro Ebola
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Il contagio Il provvedimento scatterà dal 18 e fino al 21 settembre
07/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 44
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Osteopati italiani alla ricerca di riconoscimento professionale Per dare più
garanzie ai pazienti
L'obiettivo è l'inserimento tra i profili sanitari, dopo cinque anni di formazione Per sopperire all'assenza di
norme è stato creato un Registro del settore Anche in questo campo c'è chi agisce in modo serio e chi lo fa
solo come business
I n oltre trent'anni, ne ha fatta di strada l'osteopatia italiana. Da iniziativa personale di pochi pionieri, entusiasti
degli studi seguiti in Inghilterra o in Francia soprattutto, la disciplina manuale nata negli Stati Uniti a fine
Ottocento si è organizzata in scuole e associazioni di categoria e ha conquistato sempre maggiori spazi e
considerazione tra il pubblico: dati Istat ed Eurispes dicono che circa il 7-8% della popolazione si rivolge agli
osteopati, con un grado di soddisfazione del 78%. Adesso l'osteopatia tenta il «grande salto» del
riconoscimento come professione sanitaria.
Sì, perché, ancora oggi, i circa 5 mila osteopati (7 mila, secondo alcune stime) che operano nel nostro Paese
non hanno un inquadramento specifico. E la strada appare ancora accidentata (vedi articoli sotto, ndr ).
«Questo del riconoscimento è il nodo fondamentale rispetto al quale ci stiamo muovendo - spiega Paola
Sciomachen, presidente del Registro degli osteopati d'Italia (ROI), il primo, nel 1989, a introdurre una serie di
criteri di autoregolamentazione del settore -. A fine luglio sono stati presentati tre emendamenti al Disegno di
legge del ministro Lorenzin sul riordino delle professioni sanitarie, che prevedono l'inserimento dell'osteopata
con un profilo professionale sanitario specifico e un percorso formativo di 5 anni paragonabile a quello di
odontoiatria».
Cerchiamo di capire meglio. Allo stato attuale, la professione di osteopata non è regolamentata dalla legge
italiana, se non per quanto riguarda il regime fiscale, e rientra tra le professioni non riconosciute.
«C'è un vuoto legislativo - sottolinea Carlo Broggini, presidente dell'Associazione professionale degli
osteopati (APO), una settantina di soci, nata due anni fa per coordinare gli osteopati e fissare requisiti
formativi, deontologici e professionali adeguati a garantire uno standard elevato nel servizio -. Chiunque può
aprire una scuola e rilasciare un diploma di osteopata con criteri che più o meno può inventarsi lui. Certo, ci
sono i riferimenti agli standard europei e dell'Organizzazione mondiale della sanità, ma non sta scritto da
nessuna parte che uno debba per forza osservarli. In realtà, da noi basta ottemperare alle leggi esistenti per
l'apertura di uno studio professionale».
In mancanza di uno status giuridico, è stato appunto il Registro in prima battuta a cercare di mettere i
«paletti» e a fornire gli orientamenti per la formazione e lo svolgimento della professione. «Tutti i nostri iscritti
hanno un percorso certificato, a garanzia dell'utente - specifica Paola Sciomachen - . Però l'iscrizione è
facoltativa. Quindi ci sono scuole che sicuramente hanno standard formativi ottimi, ma c'è stato anche un
proliferare di situazioni un po' fuori controllo». Così, accanto alle nove Scuole a tempo pieno e alle diciannove
a tempo parziale riconosciute e accreditate dallo stesso ROI, ce ne sono almeno una ventina non meglio
identificate.
Una situazione di incertezza e di ambiguità, che forse a una parte del mondo dell'osteopatia ha anche fatto e continua a fare - comodo. «Nell'osteopatia c'è chi agisce in modo serio e chi invece lo fa solo come
business - ammette Carmine Castagna, direttore generale dell'Istituto superiore di osteopatia di Milano, la
prima scuola a tempo pieno in Italia, nata nel 1993 -. Il sentore è che anche tra gli osteopati qualcuno volesse
mantenere la situazione in un limbo. Chi guarda solo agli affari ha tutto l'interesse a rifiutare un profilo
professionale delineato e adeguato. Questo ha creato un enorme danno di immagine a tutti noi».
L'obiettivo dichiarato delle associazioni che spingono per un pieno riconoscimento è dunque la trasparenza e
la chiarezza. A partire dalla formazione, dove si punta a far crescere il livello di preparazione delle scuole fino
a quello raggiunto dalle 4 o 5 che possono competere con le migliori in Europa.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Medicine non convenzionali Una disciplina che all'estero è «normata» da tempo e con precisione
07/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 44
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Oggi, nel nostro Paese, chi vuole diventare osteopata può seguire l'iter della laurea in campo sanitario e poi
frequentare un master specifico. Oppure, se sceglie la scuola privata, ha due possibilità: il percorso a tempo
pieno o quello a tempo parziale. Il primo, al quale si accede dopo la maturità, dura 5 anni. «Gli insegnamenti
prevedono tutte le scienze biomediche di base e poi le scienze di tipo osteopatico - racconta Marco Giardino,
direttore dell'Accademia italiana di medicina osteopatica di Saronno, una delle associate all'APO -. Si tratta di
circa 3.000-3.500 ore di lezioni frontali, più altre 1.200 ore di tirocinio clinico su pazienti, come è richiesto dai
documenti internazionali e dagli standard europei. Il tirocinio deve essere svolto in un centro attrezzato e la
pratica degli studenti deve svolgersi sotto la supervisione di personale medico e soprattutto di tutor
osteopati».
Il percorso a tempo parziale è invece riservato a chi ha già una laurea in campo sanitario, quantomeno
triennale e prevede 1.500 ore di lezione più 1.000 ore di tirocinio clinico in sei anni. Le scuole più serie hanno
poi accordi di gemellaggio con alcune scuole di formazione estere a livello universitario, principalmente in
Inghilterra e in Francia, che consentono agli studenti italiani di ottenere oltre al diploma in osteopatia anche
un titolo accademico (bachelor).
«Dal punto di vista legale - tiene a precisare Broggini - il diploma italiano è carta straccia, purtroppo». La
certificazione di università o istituti esteri è un titolo accademico, «ma sotto l'aspetto dell'abilitazione
professionale in Italia - dice Paola Sciomachen - non aggiunge nulla di più». Le famiglie degli studenti dei
corsi a tempo pieno, dunque, oltre a un investimento consistente (dai 35 ai 40 mila euro in tutto), devono così
affrontare anche le incertezze e i rischi legati alla situazione di vuoto normativo.
«La speranza è che finalmente l'osteopatia venga riconosciuta - ribadisce Alfonso Mandara, presidente della
Federazione sindacale italiana osteopati (FeSIOs) -. Se gli emendamenti al ddl Lorenzin dovessero finire in
un nulla di fatto, allora proporremmo lo studio di una legge ad hoc per l'Osteopatia e la Chiropratica, che
possa in tempi brevi normare entrambe le professioni».
Unica «consolazione» è che, secondo gli addetti, nessuno resta disoccupato. «I nostri studenti si rendono
tutti autonomi entro tre anni dal diploma e il settore offre spazi enormi» assicura Castagna. Il lavoro poi è ben
retribuito: «Non abbiamo un tariffario di riferimento - spiega Marco Giardino - . In media però il costo di un
trattamento, dai 30 minuti a un'ora, può variare dai 40-50 euro ai 100, a seconda del professionista. Un
osteopata con uno studio avviato, come minimo visita dai 40 ai 50 pazienti alla settimana». Il conto è presto
fatto.
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07/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 45
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Quando (e con quali prove) si fanno le manovre
A beneficiarne sono soprattutto le patologie muscolo-scheletriche La qualità del movimento rispecchia quella
della vita e della salute Con particolari manipolazioni si mira a ristabilire le condizioni fisiologiche
C he cos'è l'osteopatia e soprattutto a cosa serve? L'Organizzazione mondiale della sanità la definisce una
«medicina manuale», ne riconosce il valore al fine del mantenimento della salute, la inserisce fra le Medicine
non convenzionali e ne auspica l'integrazione nei Sistemi sanitari nazionali.
Gli osteopati concordano nel definire l'osteopatia una medicina: «Perché - spiega Alfonso Mandara, fondatore
e presidente dell'Icom College di Milano - come le altre discipline che usano la manipolazione dei tessuti per
ripristinare la corretta funzione delle strutture, l'osteopatia pur non utilizzando farmaci e apparecchiature
elettromedicali innesca processi di autoguarigione, propri dell'essere umano o animale».
L'osteopatia considera l'uomo come un'unità di corpo, mente e spirito, in cui ogni singola parte interagisce
con l'insieme. La connessione tra le diverse parti è assicurata dal movimento. La qualità del movimento
rispecchia quindi la qualità della vita e della salute. Attraverso un'analisi della postura del corpo e la
palpazione, l'osteopata valuta la presenza di disturbi, che interessano non solo l'apparato
neuromuscoloscheletrico, ma anche craniosacrale (legame tra il cranio, la colonna vertebrale e l'osso sacro)
e viscerale (azioni sulla mobilità degli organi viscerali). Si interviene quindi su un eventuale squilibrio con
manipolazioni e manovre specifiche, con l'obiettivo è di ristabilire le condizioni fisiologiche del movimento.
Gli osteopati inoltre rivendicano alla propria disciplina l'esistenza di una «diagnosi osteopatica». Quello della
diagnosi è uno dei punti più controversi della «querelle» con fisioterapisti e medici, contrari al riconoscimento
dell'osteopatia come professione sanitaria. Secondo questi ultimi, la diagnosi è atto medico per eccellenza e
gli osteopati non hanno le competenze per farlo. «In realtà l'osteopata non è in grado di fare una diagnosi
perfetta del problema, ma di accorgersene - puntualizza Carmine Castagna, direttore generale dell'Istituto
superiore di osteopatia di Milano - . Poi però demanda alla figura medica competente. Possiamo prendere
atto di alcune condizioni patologiche presenti, ma dobbiamo fare un'analisi della funzione, cioè di come il
corpo eventualmente compensa determinate patologie, per poi intervenire sulle disfunzioni. Quindi facciamo
diagnosi in quella zona d'ombra che sta tra la fisiologia e la patologia».
Con quali risultati? Negli ultimi 15 anni, l'osteopatia ha imboccato a pieno titolo la strada della ricerca sia in
Italia che all'estero per avere validazioni ed essere ben accettata nel mondo scientifico e anche per crescere
all'interno della stessa professione. Se gli ambiti di applicazione sono svariati (vedi grafico, ndr )le «prove
scientifiche» sull'efficacia riguardano al momento un numero ristretto di disturbi.
«I campi dove abbiamo ormai molte evidenze - risponde Marco Giardino, direttore dell'Accademia italiana di
medicina osteopatica - sono nell'ambito muscolo-scheletrico, soprattutto sulla lombalgia e sulla cervicalgia.
Dobbiamo ancora dimostrare l'efficacia su altre patologie come ad esempio la cefalea, patologie di tipo
infiammatorio o irritativo come la gastrite o la sindrome del colon irritabile o altre patologie come
l'incontinenza urinaria».
«Ci sono moltissimi campi di applicazione in cui la ricerca va avanti - continua Giardino -. Ancora non si è
raggiunto il risultato, non perché non si è efficaci, ma perché stiamo raccogliendo i dati. L'osteopatia è ormai
pienamente inserita, anche nell'ambito scientifico. Non siamo in un angolino, anzi. Penso che la nostra sia
una delle discipline sanitarie dove è più fervente l'attività di ricerca a livello internazionale. È molto
interessante quello che sta succedendo nel mondo e noi italiani siamo pienamente inseriti in questo
contesto».
L'osteopatia sta anche entrando negli ospedali: «Ci sono grossi studi e grosse collaborazioni, che iniziano
nell'ambito neonatale - dice Carlo Broggini, presidente dell'Associazione professionale degli osteopati - nei
reparti di pediatria, anche su patologie gravi. Non si ha la pretesa di curare, ma si può aiutare».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Indicazioni Al di là delle «evidenze» pratiche ora ci sono anche studi scientifici che ne valutano l'efficacia
07/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 45
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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In alcuni Stati dove la pratica osteopatica è inserita come professione sanitaria, è stata anche misurata la sua
efficacia in termini di costo-beneficio. «Si è riscontrata una riduzione dei giorni di assenza dal lavoro per
dolore muscolo-scheletrico - sottolinea Alfonso Mandara -. Nel Regno Unito, c'è un risparmio del Sistema
sanitario nazionale, nella sola Inghilterra, stimato in circa 3 mila sterline annue per cittadino con lombalgia,
relativo all'uso della terapia osteopatica in termini di miglioramento dell'indice QALY (quality adjusted life
years , durata della vita e qualità della stessa, ndr )».
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I CAMPI DI APPLICAZIONE Colpo della strega Nevralgie, artralgie e dolori reumatici Spasmi e crampi
muscolari Capsulite adesiva Sindrome dell'intestino irritabile Costipazione Asma Cefalee Colpo di frusta
Emicranie Otiti Sinusiti Disfunzioni circolatorie periferiche Disfunzioni temporomandibolari Prolassi o spasmi
del pavimento pelvico Dolori mestruali Lombalgie di gravidanza Cistiti Incontinenza Disfunzioni endocrine
D'ARCO L'efficacia è provata con evidenza scientifica soltanto per: Problemi muscolo-scheletrici (lombalgia,
cervicalgia) Studi di efficacia sono in corso per questi disturbi: Cefalee, patologie di tipo infiammatorio o
irritativo (come la gastrite o la sindrome del colon irritabile) Incontinenza urinaria Cervico e lombo algie
L'osteopatia è utilizzata per trattare i seguenti disturbi Nel nostro Paese, come in altri Paesi europei,
l'osteopatia non è vietata ma il processo di riconoscimento è ancora in corso 4-5 mila Circa 50 Da 3 a 6 anni
Gli osteopati in Italia Circa 3 mila Quelli inseriti nell'elenco delle associazioni di settore (iscrizione non
obbligatoria) Le Scuole italiane di osteopatia (di cui 30 di associazioni di settore) La durata dei corsi formativi
(riservati a medici e infermieri, o per persone con laurea non sanitaria, o per chi ha solo diploma di scuola
superiore) Da 30 a 60 minuti La durata di una seduta Da 40 a 100 euro Il costo di una seduta di osteopatia È
già riconosciuta, invece, in questi Paesi: Francia, Regno Unito, Belgio, USA, Canada, Australia, Nuova
Zelanda, Svizzera, Norvegia, Finlandia, Russia 14,5% La quota di italiani che ricorre a medicine non
convenzionali Di questi 15 17 19 21 il 21,5% il 21% il 17,2% Ricorre all'osteopatia Ricorre all'agopuntura
Ricorre alla chiropratica Fonte: EURISPES - RAPPORTO ITALIA 2012
07/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 46
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Gli ormoni servono solo in pochi casi
Non esiste dimostrazione certa che alcuni cibi facciano male alla pelle
E. M.
Il rischio vero delle terapie anti-acne "fai da te"? «Provare due o tre prodotti e credere di aver già fatto tutto il
possibile per risolvere il problema, scoraggiandosi e lasciando che la malattia faccia il suo corso». Giampiero
Girolomoni, dermatologo dell'Università di Verona, sottolinea l'importanza di non darsi per vinti: «Cure efficaci
esistono, anche per i casi più seri. Accanto alle terapie locali e agli antibiotici, si possono impiegare farmaci
come l'isotretinoina, derivato della vitamina A molto valido, che può "spegnere" l'acne per un lungo periodo spiega Girolomoni -. Si tratta, però, di un medicinale che può indurre malformazioni del feto, per cui i medici a
volte sono titubanti a impiegarlo. È chiaro che bisogna prendere le dovute precauzioni se la paziente è in età
fertile».
La terapia dell'acne in media dura qualche mese, ma a volte si protrae per anni; gli antibiotici in genere si
assumono per periodi brevi. Lo stesso accade con i trattamenti topici locali, per disinfettare e sfiammare la
cute: in genere si usano per 20 o 30 giorni e si intraprendono al bisogno, quando l'acne ha una recidiva.
Quando servono gli ormoni? «Bisogna chiarire che alterazioni ormonali importanti, tali da richiedere una
correzione con un trattamento vero e proprio, sono rare e si riconoscono facilmente: se gli ormoni sono
"sballati" si hanno irsutismo, obesità e nelle donne anomalie del ciclo mestruale, prima fra tutte la scomparsa
delle mestruazioni - dice Girolomoni -. In questi casi è opportuno indagare con dosaggi ormonali specifici; in
tutti gli altri i test, spesso sono molto costosi, sono inutili».
Altrettanto superfluo, stando al dermatologo, cercare di tenere sotto controllo l'acne privandosi di certi cibi,
come cioccolato o patatine fritte: «Non esiste dimostrazione inequivocabile che certi cibi facciano male alla
pelle; ad esempio, non ci sono prove definitive che ridurre il consumo di latticini (accusati spesso di
aumentare le lesioni) abbia un effetto positivo. L'acne non si combatte, né si previene, con consigli dietetici,
né per ora è provata un'azione benefica da parte dei fermenti lattici, sperimentati sia con somministrazione
per bocca sia per uso topico. È invece certo il legame fra fumo e acne: le sigarette aumentano il rischio di
problemi cutanei» conclude Girolomoni.
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Terapia Soluzioni efficaci, anche per le forme più serie
07/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 48
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La relazione pericolosa tra sindrome metabolica e tumori
Eccessi a tavolae sedentarietà possono avere ripercussioni sul nostro Dna Il colesterolo è usato come
«cemento» dalle cellule canceroseper crescere
Vera Martinella
L'Organizzazione mondiale della sanità ha ormai lanciato l'allarme da diversi anni: l'obesità rappresenta uno
dei principali problemi di salute pubblica nel mondo. I chili in eccesso sono collegati a morte prematura e
ormai universalmente riconosciuti come fattori di rischio per malattie cardiovascolari, ictus, diabete, tumori.
Senza considerare che il sovrappeso spesso è associato a numerosi altri problemi di salute (ipertensione,
ipercolesterolemia, apnea notturna e problemi respiratori, asma, complicanze in gravidanza, solo per citarne
alcuni) e che un numero crescente di ricerche scientifiche dimostra un legame anche con gravi disturbi
dell'umore, fino alla depressione.
Ciononostante, le ultime fotografie scattate alle bilance dei cittadini dell'Unione Europea mostrano un
preoccupante aumento del peso, in atto da tempo. «I casi di obesità e sindrome metabolica sono in crescita
in tutto il mondo, mentre il legame tra obesità e cancro diventa sempre più evidente» conferma Antonio
Moschetta, professore associato di Medicina interna all'Università Aldo Moro di Bari e ricercatore all'Istituto
tumori Giovanni Paolo II. Moschetta interverrà alla decima Conferenza mondiale sul futuro della scienza,
nella sessione sostenuta dall'Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro) proprio per illustrare il
legame ormai scientificamente dimostrato fra tumori e nutrienti.
Il cibo e le abitudini relative all'attività fisica possono avere ripercussioni sul nostro Dna, perché giorno dopo
giorno modificano il metabolismo dell'organismo e il normale funzionamento di ormoni e geni, influenzando la
regolare attività delle nostre cellule che possono così finire per trasformarsi in cancerose.
«Cambiamenti sostanziali delle nostre abitudini alimentari e dello stile di vita hanno contribuito alla nostra
attuale maggiore suscettibilità all'insorgenza di vari tipi di tumori, primi fra tutti quelli di seno e colon retto spiega Moschetta -. Ma appare sempre più evidente un legame anche con quelli di prostata, ovaio, pancreas,
fegato, rene e persino cervello. Offriamo al cancro la possibilità di crescere più velocemente perché gli
forniamo la "benzina" di cui ha bisogno: glucosio per produrre energia e insulina per proliferare».
Generalmente, per semplificare, si parla di una «relazione pericolosa» fra neoplasie e obesità, ma la vera
responsabile è la sindrome metabolica: «Una patologia - chiarisce il ricercatore - caratterizzata da aumento
della circonferenza dell'addome (superiore a 88 centimetri nelle donne e a 96 negli uomini), ipertensione
arteriosa, ipertrigliceridemia (oltre 150 milligrammi di trigliceridi per decilitro di sangue), ridotti livelli di
colesterolo " buono" HDL (meno di 50 nelle femmine e 45 nei maschi) e aumento della glicemia a digiuno
(maggiore di 100). Se si hanno anche solo tre su cinque di queste caratteristiche si soffre di sindrome
metabolica e sale il rischio di cancro (oltre a quello di diabete e malattie cardiovascolari) perché si crea un
microambiente favorevole alle cellule cancerose per svilupparsi e prolificare».
Diversi studi su ampi numeri di persone sane e malate di cancro, così come numerosi test di laboratorio,
hanno dimostrato chiaramente che uno stesso tipo di tumore si sviluppa con maggiore frequenza in persone
che soffrono di sindrome metabolica rispetto a soggetti sani. Inoltre, è ormai certo che, fra i pazienti
oncologici, le probabilità di ricadute e la mortalità per tumore sono più elevate in chi è sovrappeso e ha un
girovita superiore al dovuto.
In pratica, la sindrome metabolica interviene in tutte le fasi del tumore, dalla formazione alla progressione,
dalla resistenza alle terapie fino all'insorgenza di recidive.
«Acidi grassi, colesterolo, retinoidi e vitamina D presenti negli alimenti possono interferire con il Dna e indurre
le cellule tumorali ad aumentare o bloccare la loro crescita - conclude Moschetta -. In particolare, abbiamo
recentemente scoperto nuove prove del ruolo negativo giocato dal colesterolo, impiegato come "cemento"
dalle cellule malate per crescere: se è poco concentrato mancano al tumore gli elementi per proliferare,
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Prevenzione/2 Si può contrastare una condizione che aumenta il rischio di cancro
07/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 48
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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proprio come sarebbe per noi impossibile costruire il secondo piano di una casa. Tradotto nella realtà di ogni
giorno tutto questo significa che bisogna impegnarsi per restare normopeso: fare regolarmente movimento e
seguire abitudini alimentari sane, limitando il consumo di cibi ad alto contenuto di grassi e zuccheri». Regole
semplici, che appaiono però in via di scomparsa anche in Italia, dove, secondo recenti statistiche, circa un
bambino di 8 anni su quattro è già vittima dei chili di troppo, uno su otto è addirittura obeso e un quarto dei
connazionali ha peso in eccesso. E c'è di peggio: nel nostro Paese si contano già quasi 5 milioni di obesi che
troppo spesso dichiarano «di star bene così», incuranti dei molti danni causati dalla sovrabbondanza di
cellule adipose.
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07/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 49
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Migliori percorsi assistenziali studiati per i malati cronici
Lo scopo è indicare strumenti ottimali, di diagnosi e di cura
Maria Giovanna Faiella
Seguire la terapia giusta, essere "monitorati" con controlli periodici per prevenire complicazioni e ricoveri
inutili, non dover peregrinare da una struttura all'altra per farsi rinnovare il piano terapeutico dallo specialista,
raccontando ogni volta la propria storia clinica al medico di turno. Insomma, ricevere cure e trattamenti
appropriati, dalla diagnosi all'accesso alle terapie e alla riabilitazione, grazie a "Percorsi diagnostici,
terapeutici, assistenziali" (Pdta). Ad analizzarne luci e ombre con l'obiettivo di individuare "Pdta standard per
patologie croniche" è una ricerca condotta per tre anni dalla Fiaso-Federazione italiana di Asl e aziende
ospedaliere e dal Cergas dell'Università Bocconi. Le 11 Asl che hanno partecipato allo studio, coinvolgendo
complessivamente più di centomila pazienti, hanno esaminato i modelli di presa in carico per cinque
condizioni croniche che possono essere trattate nel contesto territoriale, salvo episodi acuti per cui è
necessario il ricovero: broncopneumopatia cronica ostruttiva (bpco), artrite reumatoide, tumore al polmone (in
fase terminale), scompenso cardiaco e ictus (entrambi nell'anno di riabilitazione successivo all'evento acuto).
Partendo dal codice fiscale dei pazienti, tramite i database amministrativi aziendali sono state individuate
tutte le tipologie di prestazioni - ricoveri, accessi al Pronto soccorso, bisogni farmaceutici, assistenza
domiciliare, prestazioni specialistiche o protesiche - ricevute dai malati cronici del campione selezionato per
le singole malattie nel territorio di competenza. Lo studio ha così evidenziato gli aspetti critici, ma anche gli
interventi messi in atto dalle aziende per correggerli ( vedi box a destra ).
«Non sempre i pazienti ricevono le prestazioni raccomandate dalla comunità scientifica, come la spirometria
nel caso della bpco o le lastre alla mano per la diagnosi di artrite reumatoide - afferma Valeria Tozzi,
responsabile dell'area "Ricerca su Ptda e governo clinico" del Cergas - . In altri casi, invece, sono eseguiti
esami non indicati per quella specifica patologia. Lo studio, però, dimostra che, se le aziende sanitarie
dispongono di flussi informativi, possono sapere quali e quanti pazienti hanno con una determinata patologia,
se soffrono anche di altre malattie, se ricevono cure appropriate. Per esempio, è possibile verificare se il
paziente diabetico fa almeno una visita cardiologica e l'esame del fondo oculare ogni anno». La ricerca
evidenzia inoltre che l'attivazione di Percorsi diagnostici, terapeutici, assistenziali ha permesso, tra l'altro, il
controllo della progressione della malattia, un miglioramento della qualità di vita dei pazienti, la riduzione dei
ricoveri e anche risparmi. «I Pdta - sottolinea il presidente di Fiaso, Francesco Ripa Di Meana - favoriscono
anche il coordinamento tra medici di famiglia, specialisti, strutture territoriali, assicurando così la continuità
delle cure».
Ma le esperienze di Pdta sono ancora scarse, soprattutto al Sud. «Possono essere un'occasione per
garantire equità e appropriatezza delle cure anche in Regioni sottoposte a piani di rientro - fa notare il
presidente di Fiaso - . Per far fronte all'aumento dei malati cronici, spesso anziani con più patologie (vedi box
a sinistra ), ottimizzando gli interventi si utilizzano al meglio anche le risorse disponibili».
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Alcuni dei principali problemi dei malati cronici, secondo il XII Rapporto sulle politiche della cronicità, del
Coordinamento nazionale delle Associazioni dei malati cronici - Cittadinanzattiva (2013) I problemi denunciati
Ritardi diagnostici Difficoltà ad accedere a visite specialistiche o esami Difficoltà di accesso all'assistenza
farmaceutica Spesa elevata per farmaci non rimborsati; limitazioni da parte dell'ospedale o della Asl per
motivi di budget Assistenza domiciliare carente Mancanza di alcune figure professionali; numero di ore
insufficiente Riabilitazione non adeguata Tempi di attesa incompatibili; mancanza di posti letto e strutture;
durata limitata CORRIERE DELLA SERA
Si spende
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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L'indagine Analizzate le prestazioni ricevute da oltre 100 mila persone in 11 Asl
07/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 49
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08/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 5
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I ministeri si preparano alla dieta del 3% Previste riduzioni di spesa per 7
miliardi
Vanno individuati ancora gli interventi definiti da Letta
Enrico Marro
ROMA - Tagliare la spesa dei ministeri del 3%. È l'obiettivo annunciato qualche giorno fa dal presidente del
Consiglio per dar corpo ai 20 miliardi di euro di taglio della spesa pubblica promessi sempre da Matteo Renzi
per il 2015. Oggi dovrebbero cominciare a Palazzo Chigi gli incontri tra lo stesso premier e il ministro
dell'Economia, Pier Carlo Padoan, con i singoli ministri. Renzi infatti ha detto di non voler imporre i tagli ai
componenti la squadra di governo, ma di volerli coinvolgere nella scelta delle voci di spesa da ridurre. Fermo
restando però il target di una diminuzione delle uscite del 3%.
Se questo taglio si applicasse a tutta la spesa pubblica (centrale e locale), a conti fatti, escludendo le spese
per investimenti, quelle per il personale e quelle per prestazioni sociali (pensioni, assistenza, sanità,
ammortizzatori sociali), si potrebbero realizzare al massimo 6 miliardi di euro. Dal totale di 806 miliardi di euro
di spesa pubblica prevista per il 2014 dal Def (Documento di economia e finanza) bisogna infatti sottrarre
circa 84 miliardi per gli oneri sul debito pubblico, 164 miliardi per gli stipendi dei dipendenti pubblici, 320
miliardi per le prestazioni sociali e 50 miliardi di spese in conto capitale, cioè in investimenti. Tutte voci che
non può o non vuole tagliare. Restano appunto circa 190 miliardi. Il 3% fa 5,7 miliardi.
Considerando la sola spesa delle «amministrazioni centrali», alle quali i ministeri appartengono, si parte da
353 miliardi al netto degli oneri sul debito pubblico e delle spese in conto capitale. Tolta la spesa per il
personale (94 miliardi), restano 259 miliardi. Un taglio del 3% farebbe risparmiare circa 7 miliardi e mezzo.
Sulla carta, quindi, un terzo dei 20 miliardi di tagli complessivi della spesa pubblica chiesti da Renzi
potrebbero arrivare dai ministeri. Ma i precedenti hanno dimostrato quanto l'operazione sia difficile. È dal
2011 che si cerca di ridurre la spesa ministeriale, possibilmente con tagli non lineari, ma selettivi, che
colpiscano cioè gli sprechi anziché tutte le voci allo stesso modo. Fu l'allora ministro dell'Economia, Giulio
Tremonti, con tre successivi provvedimenti a fissare gli obiettivi (10,7 miliardi nel 2012, 5 miliardi nel 2013 e 5
nel 2014, ai quali si aggiunsero altri 1,8 miliardi per il 2013 e 1,6 miliardi per i due anni successivi). I singoli
ministeri avrebbero dovuto scegliere quali voci tagliare. Se non lo avessero fatto, sarebbe scattata la clausola
di salvaguardia dei tagli lineari. Bene, la Ragioneria generale dello Stato, nel «Bilancio in breve» del 2013
spiega che le proposte di tagli selettivi avanzate dai ministeri coprirono all'incirca la metà della riduzione della
spesa prevista, insistendo in particolare sul taglio delle spese per il personale, in particolare indennità varie,
vestiario, mense, equipaggiamenti, e sugli investimenti per i trasporti urbani ed extraurbani. Insomma non
proprio tagli virtuosi.
Anche la legge di Stabilità 2014 e il successivo decreto legge 4 dello scorso gennaio (governo Letta)
prevedono un pacchetto di misure (accorpamento strutture, tagli su beni e servizi e sulle locazioni) per
assicurare una riduzione complessiva della spesa di 500 milioni nel 2014, 4,4 miliardi nel 2015, 8,9 nel 2016
e 11,9 a decorrere dal 2017. Di questi risparmi fanno però parte 3 miliardi nel 2015, 7 nel 2016 e 10 dal 2017
da realizzare attraverso il taglio delle agevolazioni e detrazioni fiscali se, entro il pri mo gennaio 2015, non
saranno approvati provvedimenti tali da assicurare tagli di spesa equivalenti. In attesa di tali provvedimenti
sono intanto disposte riduzioni delle spese dei ministeri di un miliardo nel 2015 e 1,2 miliardi dal 2016. Che
però ancora non sono stati individuate.
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745.786 48.680 716.069 794.466 752.082 48.791 714.399 800.873 756.404 42.536 716.897 798.940
755.936 50.083 722.070 806.019 2011 2012 2013 previsioni 2014 Le spese delle amministrazioni pubbliche
D'ARCO Totale spese correnti Totale spese in conto capitale Totale spese al netto di interessi Totale spese
In milioni di euro
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Conti pubblici La formula delle minori uscite uguali per tutti finora ha dato i maggiori risultati
06/09/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 8
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Partecipate avanti, sanità alt»
Il presidente dei governatori, Chiamparino: servono riforme radicali IL NUOVO SENATO La riforma mi
convince: con meno materie concorrenti ci sarà meno lavoro per le Conferenze ed è un bene I FONDI UE
«Non si può più andare con percentuali ridicole, vanno rafforzati i poteri sostitutivi verso le Regioni incapaci»
Roberto Turno
«È tempo di accelerare la stagione delle riforme radicali». Dalla giustizia al lavoro alla Pa. Anche nella
spending review dove le Regioni devono «essere protagoniste», a partire dal taglio delle partecipate. Ma non
sulla sanità: «Saremo molto fermi nel respingere richieste di riduzione dei fondi». Sergio Chiamparino,
governatore del Piemonte e rappresentante dei presidenti regionali, interviene a tutto campo sulle partite
aperte di un autunno che si annuncia caldissimo. Promuove il nuovo Senato, che potrebbe signifcare la fine
delle Conferenze. E il nuovo federalismo, che renderà più equilibrato il rapporto con lo Stato. Sui fondi Ue,
non ha dubbi: vanno rafforzati i poteri sostitutivi verso le Regioni incapaci.
Presidente Chiamparino il suo esordio da rappresentante dei governatori ha riguardato la sanità: il Patto e il
riparto di 337 mld per tre anni, poi l'intesa sull'eterologa. Due segni dell'addio al federalismo sguaiato di questi
anni?
Sono stati due risultati molto importanti. Il Fondo sanitario è la madre di tutte le battaglie per noi, ma ora il
Governo deve dargli corso. Sull'eterologa, abbiamo deciso, come annunciato, alla ripresa di settembre. Non
accade sempre. In entrambi i casi s'è visto che un coordinamento efficace rende migliore il federalismo e
l'autonomia.
Intanto arrivano le riforme istituzionali: il nuovo Senato vi vede in primo piano, il titolo V cambierà il
federalismo. I due passaggi la convincono?
Mi sono iscritto d'ufficio in tempi non sospetti, fin dai congressi del Pci, tra gli antesignani del superamento
del bicameralismo perfetto. È la strada giusta. Per aiutare il federalismo a essere efficace e non localistico, è
importante che ci sia un luogo politico in cui Regioni e autonomie si confrontano con lo Stato. Quello della
riforma mi sembra un buon testo. Anche se non so se potrà evitare del tutto i problemi delle materie
concorrenti: è bene che non ci sia una categoria definita di queste, ma molte materie attribuite alle Regioni
richiederanno momenti di confronto forte, dal turismo ai trasporti.
Significherà avere più Stato e meno Regioni?
Secondo me ci sarà un rapporto più equilibrato. Il federalismo ideologico degli anni passati ha prodotto
localismi, non federalismo responsabile.
Serviranno ancora le Conferenze col nuovo Senato?
È chiaro che con meno materie concorrenti ci sarà molto meno lavoro per le Conferenze, ed è un bene.
Tendenzialmente credo che gradualmente il lavoro del Senato potrebbe sostituire e inglobare l'attività delle
Conferenze. Mentre quella delle Regioni resterebbe una sede di confronto tra loro.
Arriva una stagione politica caldissima: legge di stabilità, spending da 20 mld. Preoccupato?
Sono preoccupato per la situazione economica, ma sono anche fiducioso. Mario Draghi per la sua parte sta
facendo esattamente quello che serve a livello europeo. Ma sia chiaro: dobbiamo accelerare una stagione di
riforme radicali. Siamo più o meno al punto della lettera Draghi-Trichet. Certo qualcosa è stato fatto, ma ora il
programma delle riforme va completato. Giustizia, lavoro, Pa. Su questo l'agenda del Governo sta "sulla
palla".
Dimentica la sanità?
La sanità non ha bisogno di riforme ma di gestioni efficaci e intelligenti: fare risparmi, azzerare gli sprechi.
Mai mettere in discussione diritti e servizi. Il Patto è la nostra stella polare. È la nostra spending,
accompagnata dalla certezza dei finanziamenti. C'è l'impegno del ministro Lorenzin e della maggioranza
perché non ci siano tagli. Anche da un recente colloquio col presidente Renzi non ho colto alcun segno
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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La lunga crisi SPENDING REVIEW ED ENTI LOCALI INTERVISTA
06/09/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 8
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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contrario.
Insomma, non si aspetta tagli alla salute...
L'esperienza mi ha insegnato, come gli indiani, a tenere le orecchie incollate ai binari del treno. Non mi
aspetto tagli. Ma sarei molto fermo con tutti i colleghi nel respingere eventuali richieste di riduzioni dei fondi.
Ma i 20 mld di risparmi dalla spending annunciati da Renzi non vi fanno paura?
Preoccupa sempre dover ridurre. Ma per noi è importante essere protagonisti di questa fase. È la strada: tutti
abbiamo molto da fare, a partire dal taglio delle centrali d'acquisto, utile anche per la politica industriale.
Anche sulle partecipate non vi tirerete indietro?
È un capitolo su cui sicuramente c'è tanto, ma davvero tanto da fare anche a livello regionale. Ognuno a
casa propria deve fare un serio esame della situazione senza atteggiamenti conservativi. È un aspetto a cui
assegno più importanza. Perché c'è il rischio di sprecare risorse, ma anche di inseguire obiettivi inutili.
Sarebbe insopportabile. In Piemonte abbiamo già cominciato, faremo la nostra parte a prescindere da
Cottarelli e la spending.
Politica industriale e lavoro: cosa potete fare?
Governo e Regioni devono pensare con una logica comune. Partendo dalle aree in cui già siamo competitivi
o possiamo diventarlo. Con incentivazioni fiscali e finanziarie, mai a fondo perduto, per attrarre gli investitori
italiani e stranieri anche per prendere in mano situazioni di crisi. Le Regioni possono fare la loro parte con i
fondi Ue e la formazione. Ma si deve agire il più in fretta possibile. Da qui nasce l'occupazione, non dalle
delibere, facilitando un clima che crei interesse per gli investitori.
Già, i fondi Ue: peccato che troppe Regioni li sprecano o non li usano. Che pensa della proposta del
Governo di rafforzare i poteri sostitutivi verso le Regioni incapaci?
Ha ragione Delrio. Non si può più andare avanti utilizzando i fondi Ue in percentuali ridicole. Uno spreco. Col
risultato che poi i fondi li prendono gli altri. Il federalismo lo possiamo difendere solo se funziona.
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IL PRESIDENTE DEL PIEMONTE
Chi è
Sergio Chiamparino, 66 anni, è stato eletto presidente della regione Piemonte lo scorso giugno. A fine luglio
è stato eletto presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni. È stato per due volte sindaco di Torino
Il pressing per le riforme
Per Chiamparino «è tempo di accelerare le riforme radicali». Per il governatore anche le Regioni devono fare
la loro parte nel processo di spending review, a partire dal taglio delle partecipate
Foto: Rappresentante delle Regioni. Sergio Chiamparino
07/09/2014
Il Sole 24 Ore - Domenica
Pag. 31
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Farmaci, un mercato regolato
Il prezzo di un prodotto farmaceutico non può essere arbitrario e giustificato solo da una logica di profitto,
come avviene per qualunque altro oggetto: spesso di mezzo c'è la vita umana Il caso del sofosbuvir, l'unico
con cui si cura l'epatite C: costa 1000 dollari a pasticca negli Usa, solo 11 in Egitto. E il Senato americano è
insorto
Lucio Luzzatto
È giusto che una bottiglia di Brunello di Montalcino costi 130 euro? La domanda c'entra poco con la giustizia.
Chi andrebbe a indagare quanto è costato produrlo, e quanto è il margine di profitto? Tanto la maggior parte
di noi si accontenta di un ottimo rosso Toscano che costa 8-10 euro. Ben diversa è la questione quando si
tratta di un farmaco: se un malato ha una setticemia non si può usare l'aspirina al posto dell'amoxicillina, o in
alcuni casi di un antibiotico anche assai più costoso.
È per noi una fortuna che a pagare in Italia, e in molti Paesi dell'Europa sia il Servizio sanitario nazionale
(che giustamente vive delle nostre tasse); e sinora relativamente poche domande sono state fatte su che
cosa determini i prezzi dei farmaci. È stato accettato, stranamente per alcuni di noi, che valgano per i farmaci
le stesse leggi di libero mercato che valgono per il vino. Eppure almeno due differenze sono lampanti. 1) Nel
caso del vino abbiamo una scelta: possiamo comprare il Brunello, o un vino meno caro, o rimanere astemi;
nel caso dei farmaci, invece, sovente ne va della vita. 2) Nel caso del vino la concorrenza è palese e vivace:
per rimanere nel settore lusso, il Brunello compete con il Barolo o l'Amarone; nel caso dei farmaci, invece,
sono sempre più i casi di malattie, rare o meno rare, nelle quali il farmaco veramente efficace è uno solo, e
per 10-20 anni è protetto da esclusività. Pertanto, se due cardini del libero mercato sono la libertà dei prezzi e
la concorrenza, si vede subito che per i farmaci uno dei due già manca.
La spirale della spesa farmaceutica è preoccupante, non solo per gli esperti di farmaco-economia. In pratica
c'è stato sinora un certo grado di dicotomia non scritta: farmaci per malattie comuni che costano
relativamente poco (anche se sempre di più); e farmaci per malattie rare che costano moltissimo (fino a
330mila euro all'anno per una malattia che dura molti anni). Alcuni mesi fa questa dicotomia è stata infranta,
quando in Usa la Fda ha approvato il sofosbuvir (prodotto dalla Gilead con il nome commerciale Sovaldi),
attualmente l'unico farmaco che, in combinazione con altri pre-esistenti, può non solo curare, ma guarire
l'epatite C: ve ne sono circa 2,7 milioni di casi negli Usa, e circa un milione in Italia. Prezzo: 1.000 dollari per
pasticca; un ciclo di cura (e non sempre basta) ne richiede 84 (per 84mila dollari). Alcuni di noi pensano da
tempo che il libero mercato dei farmaci dovrebbe essere temperato da regole; ora ci giunge un assist da fonte
impensata: il Senato degli Stati Uniti. Il Chairman del Finance Committee del Senato americano ha dato 60
giorni di tempo alla Gilead per rispondere a dozzine di domande, che vanno dal loro business plan, alla
rendicontazione delle spese sostenute in passato e attualmente per la produzione del farmaco, alle modalità
di promozione, e via dicendo.
È chiaro che il movente della lettera del Senato è di carattere economico. Anche facendo una selezione dei
casi più urgenti da trattare, si contemplano spese di miliardi di dollari. Il «Financial Times» di Londra, che in
un documentato articolo di luglio ha dato ampio rilievo a questa lettera, cita altri elementi che hanno causato il
risentimento del Senato: soprattutto che il sofosbuvir verrà venduto con uno "sconto" del 30% in Gran
Bretagna e del 99% in Egitto, dove una pasticca costerà 11 dollari anziché 1.000 dollari. Significa che il
prezzo in Usa è enormemente gonfiato, o che gli americani pagano per lo "sconto" concesso ad altri Paesi? A
noi sembra che il punto centrale sia questo: il prezzo di un farmaco non può più essere arbitrario; deve
essere giustificato dalle spese effettivamente sostenute, pur concedendo un ragionevole margine di profitto.
In altre parole, questo caso limite ha portato alla ribalta il fatto che sinora, nel decidere il prezzo, le industrie si
sono basate su un solo criterio: quanto il "mercato" è disposto a pagare. Hanno applicato la legge del
Brunello; con la differenza che se nessuno compra più il Brunello il prezzo calerà, mentre i pazienti con
epatite C non hanno l'opzione di fare a meno di sofosbuvir se vogliono guarire.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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economia & sanità
07/09/2014
Il Sole 24 Ore - Domenica
Pag. 31
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
31
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Negli ultimi anni Aifa (Agenzia italiana farmaci) ed Ema (European Medicine Agency) hanno lavorato spesso
assai bene e hanno imposto norme più stringenti per ottimizzare l'impiego dei farmaci, ivi compresi quelli più
costosi; e si sono fatti progressi nella cultura dei medici. Sinora, per contenere la spesa farmaceutica, più che
cercare di far diminuire i prezzi, la parola d'ordine è stata appropriatezza nella prescrizione dei farmaci,
perché gli abusi e gli sprechi erano frequenti e quasi sfrenati. Ora che l'appropriatezza è migliorata, è tempo
di affrontare un'anomalia macroscopica: Ema approva i nuovi farmaci per tutta l'Europa, ma non ha da questa
il mandato di negoziare i prezzi. Per correggere questa anomalia non occorre attendere gli Stati Uniti
d'Europa (che alcuni di noi auspicano): si tratta di una decisione politico-economica che si potrebbe prendere
subito, e che farebbe dell'Europa il più grosso cliente del mondo per qualunque farmaco.
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Foto: in ordine sparso|«Doppelpilzvitrine» di Carsten Höller, 2009. Acquisito dalla Fondazione CRT, il lavoro
dell'artista belga è entrato a far parte della collezione Gam Torino, oltre 45mila opere dall'800 a oggi.
www.gamtorino.it
06/09/2014
La Repubblica - Bologna
Pag. 5
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Eterologa, si parte via libera da lunedì alle prenotazioni
Lusenti presenta il risultato dell'accordo sulle linee guida "In regione 21 centri autorizzati, non si pagherà il
ticket" Previste 500 domande in più all'anno. Le strutture garantiranno una corsia privilegiata per le donne con
più di 40 anni
ROSARIO DI RAIMONDO
DA LUNEDÌ, negli ospedali dell'Emilia-Romagna, la fecondazione eterologa «sarà a disposizione di tutti,
senza pagare il ticket». Dal dodicesimo piano di viale Aldo Moro, l'assessore alla Sanità Carlo Lusenti spiega
le linee guida approvate il giorno prima assieme alle altre Regioni. Garantisce che tutti e 21 i centri autorizzati
da Piacenza a Rimini sono prontia partire, che nelle strutture pubbliche la pratica sarà gratuita, che le donne
sopra una certa età avranno precedenza nelle liste d'attesa e che ci si attende che facciano richiesta 500
coppie l'anno. Ma soprattutto, ribatte alle parole del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, che ieri aveva
frenato di nuovo: «Non c'è bisogno di una legge per partire. Non si può subordinare un diritto, sancito dalla
Corte costituzionale, ad altri tempi».
Il documento illustrato ieri da Lusenti sarà approvato dalla giunta regionale lunedì prossimo, con un'apposita
delibera. E, sempre da quel giorno, le coppie che andranno negli ospedali autorizzati potranno essere inserite
in apposite liste d'attesa, qualora il medico ravvisi l'esigenza di ricorrere all'eterologa (cioè la donazione di
ovocitio seme da soggetti esterni alla coppia).
La fecondazione assistita «è una prassi già consolidata nella nostra regione - spiega Lusenti ogni anno si
trattano 4.500 coppie con la pratica omologa, che non pagano il ticket. Anche per l'eterologa, dunque, non
sarà prevista la compartecipazione alla spesa. Ci aspettiamo un aumento delle richieste del 1015%, che
significa tra le 400 e le 500 coppie in più ogni anno. Un numero che non ci spaventa dal punto di vista
economico e che non pregiudica niente. I centri abilitati, pubblici e privati, dispongono già delle tecnologie
necessarie». In Regione non si perderà un minuto di più, soprattutto oggi che le linee guida sono state scritte
all'unanimità: «Non è stato facile - ammette il titolare delle Politiche per la salute -. Ma i diritti non si
autoaffermano e il rischio che restino sulla carta è sempre altissimo.
Ora spero che non si strumentalizzi il tema: chi lo fa, mi sembra non abbia altri argomenti. Ma auspico una
revisione completa della legge 40, che già dieci anni fa quando fu approvata segnava il suo tempo,
figuriamoci oggi». Oltre alle linee guida, ogni Regione ha dei margini per agire in maniera autonoma. Ad
esempio per quanto riguarda i ticket, che in Emilia-Romagna non si pagheranno. Ma i tecnici di viale Aldo
Moro guarderanno anche alle liste d'attesa, perché «è ragionevole che una donna di 42 anni aspetti meno di
una che ne ha 32», continua Lusenti. Per il resto, le regole sono quelle concordate a livello nazionale.
La fecondazione eterologa è gratuita fino al 43esimo anno d'età, mentre il ticket è previsto solo per gli esami
che precedono la pratica (le visite di routine).
Donatori e donatrici non spenderanno un euro per sottoporsi ai test necessari,e devono avere
rispettivamente tra i 18 e i 40 anni e tra i 20 e i 35. Quattro dei 21 ospedali che in regione si occupano di
fecondazione assistita sono a Bologna. Solo uno è pubblico, cioè il policlinico Sant'Orsola. Gli altri tre sono
privati: Sismer, Tecnobios e Gynepro. Alla fine della conferenza stampa di ieri, infine, Lusenti ha risposto a
Roberto Balzani, uno dei candidati per il dopo-Errani, che da tempo ha fatto della necessità di cambiare la
sanità regionale il proprio cavallo di battaglia. «In sanità contano i risultati, che sono misurati, non le
chiacchiere, le semplificazioni o gli slogan». Cosa farà Lusenti alla fine del suo mandato? Spera in una
riconferma? «Io rispondo dei risultati. Chi ha la responsabilità di fare delle scelte, li valuterà».
I PERSONAGGI VENTURI Sergio Venturi è il direttore del Sant'Orsola, l'unico centro pubblico a Bologna che
pratica l'eterologa.
Anche il policlinico parte da lunedì ROSSI Il presidente della Toscana è stato il primo in Italia ad annunciare
che gli ospedali della sua Regione sarebbero subito partiti con l'eterologa LORENZIN Il ministro della Salute
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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La sanità
06/09/2014
La Repubblica - Bologna
Pag. 5
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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insiste: «Serve una legge».
Ma la replica unanime di governatori e assessori è: «Noi andiamo avanti» PER SAPERNE DI PIÙ
www.saluter.it www.aosp.bo.it
Foto: L'ASSESSORE Carlo Lusenti spiega le linee guida dell'eterologa che saranno applicate in EmiliaRomagna
06/09/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 20
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Un vaccino dal sangue delle persone guarite
ROMA. Non saranno, almeno all'inizio, i nuovi farmaci biotech l'arma messa in campo dai ricercatori contro
l'epidemia di Ebola, ma le meno «tecnologiche» trasfusioni di sangue di persone che sono guarite, e che
quindi hanno in circolo gli anticorpi contro il virus. Dal meeting di circa 200 esperti organizzato dall'Oms è
venuto un sostanziale via libera a questo trattamento mentre per le altre terapie saranno necessari alcuni
mesi. La terapia con plasma o sangue di persone guarite o convalescenti, ha spiegato la direttrice generale
aggiunta dell'Oms Marie Paule Kieny, potrebbe essere utilizzata da subito, mentre i risultati dei test di
sicurezza su due potenziali vaccini, condotti in Mali, dovrebbero arrivare entro novembre. In caso positivo le
prime immunizzazioni potrebbero essere fatte sul personale sanitario pochi mesi dopo. Il siero di
convalescenti è stato utilizzato già. Nel 1995 per un'epidemia di Ebola a Kikwit, nella Repubblica Democratica
del Congo, con buoni risultati.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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EBOLA
06/09/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 21
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"Così L'Esercito produrrà la cannabis che cura i malati"
Il parlamentare Mauro Pili si è barricato nel poligono pronto a farsi arrestare
SIMONA POLI
FIRENZE. Cannabis terapeutica, l'Italia la produrrà in proprio. E sarà lo Stato a farsi carico della
fabbricazione. Il derivato della pianta utilizzato per combattere il dolore nei malati gravi sarà creato in questo
"Stabilimento chimico militare" di Firenze, dove già vengono preparati i cosiddetti "farmaci orfani", capaci di
curare patologie rare e invalidanti ma snobbati dalle multinazionali che li considerano poco remunerativi.
L'accordo tra i ministeri della Difesa e della Salute risponde a una richiesta avanzata dal consiglio regionale
toscano, da Palazzo Vecchio e dal senatore del Pd Luigi Manconi, presidente della commissione dei Diritti
umani, che a gennaio aveva presentato uno disegno di legge. «Bella notizia e vicenda sommamente
istruttiva», commenta Manconi. «Ci sono voluti sette anni perché un farmaco capace di ridurre il dolore
venisse sottratto all'interdizione ideologica». La decisione è accolta con entusiasmo dentro l'Istituto nato a
Firenze nel 1931: «Qui lavorano 80 professionisti, tra civili e militari, ma ora speriamo di ampliare l'organico».
La Toscana è stata la prima regione ad approvare una legge per consentire l'uso di cannabis per combattere
il dolore nelle fasi avanzate del tumore e di altre patologie ma finora i preparati venivano importati dalla
Svizzera. La cannabis di Stato cambia completamente lo scenario, come spiega il sottosegretario alla Difesa
Domenico Rossi: «L'esercito dispone di uno stabilimento che potenzialmente è in grado di gestire il processo
relativo alla marijuana ». Il prodotto sarà somministrato in forma di tisana: dosaggio personalizzato su
richiesta del medico curante. «Non per tutti questa terapia è valida ma è importante che si possa utilizzare
senza tabù», avverte Paolo Morino, direttore del Coordinamento delle cure palliative dell'azienda sanitaria di
Firenze. «La cannabis funziona bene nel controllo dell'astenia e dell'anoressia nei pazienti sottoposti a
chemio e contro il dolore oncologico, nella spasticità e nella sclerosi multipla».
L'oncologo Umberto Veronesi va oltre: «I cannabinoidi sono validi nella prevenzione del dolore e come
sedativo contro gli stati d'ansia. Ma la marijuana va liberalizzata e legalizzata, il proibizionismo ha fallito».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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FIRENZE / NELLO STABILIMENTO CHIMICO MILITARE
06/09/2014
La Repubblica - Firenze
Pag. 2
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Medicine, cosmetici ma anche cioccolata 55mila metri quadri e 80 chimici
e biologi: ecco cosa c'è nel casermone "sconosciuto"
SIMONA POLI
IFIORENTINI ci passano davanti distratti, lo stabilimento è lì da quasi cento anni, un casermone di 55mila
metri quadrati in via Reginaldo Giuliani, a metà strada tra Rifredi e Sesto, il traffico scorre, la zona è un po'
anonima. Oggi d'improvviso tutta l'Italia sembra accorgersi dell'importanza dell'Istituto chimico farmaceutico
militare di Firenze, dove lo Stato farà produrre i derivati dalla cannabis per accompagnare la terapia del
dolore. Un altro farmaco, che si aggiunge alle decine di specialità esclusive che vengono create in questi
laboratori. Dentro al gigantesco fabbricato lavorano ottanta persone (ma negli anni Quaranta erano oltre
duemila), chimici, farmacisti, biologi e tecnici, molti sono civili, uomini e donne, altri militari. E il numero dei
dipendenti potrebbe aumentare con l'arrivo della nuova attività, accolta con grande entusiasmo e da tempi
auspicata dai responsabili dell'Istituto che cercano sempre di allargare lo spettro della produzione. Qui viene
fatto quello che alle grandi multinazionali non interessa, le medicine considerate non redditizie in un'ottica
puramente commerciale, anche se servono a tenere in vita malati colpiti da malattie rare gravi e invalidanti,
almeno mille persone in questo momento in Italia vivono grazie a queste somministrazioni. Sono i cosiddetti
farmaci orfani, destinati a un target piccolo dal punto di visto numerico, come Penicillamina, Mexiletina
cloridrato, Colestiramina, Niaprazina, ioduro di Potassio e altri. Oltre a lavorare in sinergia con le università
toscane, l'Istituto sviluppa collaborazioni con altre istituzioni. Dal 2009 per conto del ministero della Salute
produce in capsule l'antivirale oseltamivir, utilizzato per la profilassi e la cura dell'influenza suina.
Non solo farmaci però. Nell'Istituto, che ha un punto vendita aperto al pubblico il lunedì e il giovedì
(registrandosi sul sito si possono fare acquisti on line), si creano liquori, cioccolato, profumi, cosmetici,
saponi, caffè, miele, caramelle e integratori alimentari a prezzi abbordabilissimi. Sulla confezione lo stemma
del Farmaceutico fondato nel 1853 che tra i vari simboli ha il giglio rosso di Firenze. Il patrimonio di
conoscenza e di tecnica del Farmaceutico militare siè rivelato un punto di riferimento prezioso nei momenti di
emergenza del paese, a cominciare dall'alluvione di Firenze del 1966 al terremoto del Friuli del '76 e
dell'Irpinia nell'80 fino alla nube radioattiva di Chernobyl dell'86, quando l'Istituto riuscì a produrre in meno di
24 ore 500mila compresse di ioduro di potassio, farmaco usato per combattere i danni alla tiroide provocati
dallo Iodio131, pericolosissima sostanza radioattiva. Un'attività direttamente collegata al ministero della
Difesa ma profondamente radicata nella vita della società italiana. Così è stato fin dall'inizio.
La data di nascita del Farmaceutico è il 22 dicembre 1832, la prima sede fu inaugurata a Torino da Carlo
Alberto che con un decreto regio fondò il "Servizio ChimicoFarmaceutico militare" con l'obiettivo di preparare
tutti i medicinali i materiali sanitari occorrenti per il servizio sanitario e veterinario dell'esercito. Accanto al
primo stabilimento nacque il laboratorio di produzione del chinino di Stato, inizialmente autonomo e diretto da
un colonnello che era chimico e farmacista. Nel 1923 il nome si trasforma in quello attuale e lo stabilimento
nel 1931 viene trasferitoa Firenze dove da allora sono prodotti farmaci, cosmetici e alimentari. Una sola
interruzione del servizio, forzata, durante la seconda guerra mondiale. Conosce bene questa realtà il
consigliere regionale del Pd Enzo Brogi, che tanto siè battuto per far approvare la legge sull'uso terapeutico
dei cannabinoidi di cui era orimo firmatario con la compagna di gruppo Alessia Ballini, morta di tumore pochi
anni fa. «Finalmente i ministeri della Difesa e della Salute hanno raggiunto l'accordo», è il suo commento. «E
come da tempo insieme al senatore Luigi Manconi abbiamo proposto la produzione sarà affidata allo
Stabilimento di Firenze, un luogo prestigioso, con alte professionalità, che avrà così una grande occasione di
ulteriore sviluppo scientificoe anche occupazionale.
Una buona notizia, insomma, che potrà dare il via a quella che io definisco "la filiera corta" della cannabis
terapeutica, che anziché arrivare dall'estero, con tempi lunghi e costi altissimi, potrà essere coltivata e
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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IL REPORTAGE
06/09/2014
La Repubblica - Firenze
Pag. 2
(diffusione:556325, tiratura:710716)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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lavorata in Italia». Brogi ricorda come ancora manchino i protocolli attuativi della legge: «Da troppo tempo i
pazienti che lamentano le difficoltà o addirittura l'impossibilità di accesso terapeutico alla cannabis, previsto
dal 2007, stanno aspettando una soluzione. E quella che si prospetta in questi giorni e che vede protagonista
proprio Firenze nella regione che per prima ha approvato una legge ad hoc, può rappresentare un punto di
svolta e una boccata d'ossigeno per tanti malati».
Anche la vicepresidente della giunta Stefania Saccardi accoglie con favore la novità. «Il via libera all'istituto
militare è una notizia assolutamente positiva, noi sappiamo quanto si possa valorizzare di più una realtà
fiorentina di eccellenza come questa, che è un istituto unico in Italiae con questa attività adesso abbiamo un
soggetto pubblico che può produrre e utilizzare la cannabis a fini terapeutici, dunque con tutti i controlli e le
garanzie del caso». Eros Cruccolini ricorda come in Palazzo Vecchio fu approvata all'unanimità una
risoluzione per chiedere che fosse l'Istituto a produrre i derivati dalla cannabis. E il consigliere di Sel Mauro
Romanelli avverte: «I principi attivi dei cannabinoidi, sintetici o naturali, sono inseriti ufficialmente tra le
sostanze dotate di efficacia terapeutica e sono da anni impiegati nel mondo nel trattamento dei sintomi di
diverse patologiee questo deve stimolare la giunta regionale a cambiare il regolamento della legge toscana
perché quello attuale è penalizzante e va modificato. Sarebbe davvero un paradosso che finissimo per
diventare il fanalino di coda».
06/09/2014
La Repubblica - Firenze
Pag. 3
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Per ogni paziente una cura specifica in base alle esigenze"
Paolo Morino dirige il coordinamento delle cure palliative della Asl 10: "Ma resta il tabù morfina"
(s.p.)
PER chi ogni giorno combatte col dolore e aiuta i malati a sopportarlo per riconquistare un livello accettabile
di qualità della vita, lo "sdoganamento" della cannabis terapeutica è una buona notizia. Il fatto che la si
produca proprio a Firenze ancora di più, come spiega Paolo Morino, direttore del coordinamento delle cure
palliative della Asl 10, membro della commissione regionale che ha studiato gli effetti della pianta.
Che tipo di prodotto verrà preparato al Farmaceutico? «La nostra commissione, nominata dal consiglio
sanitario toscano, ha definito gli aspetti applicativi e i tipi di preparativi necessari per seguire le indicazioni
terapeutiche, ogni paziente avrà una sua prescrizione specifica secondo le richieste del medico curante e
assumerà la cannabis attraverso tisane in dosaggi stabiliti. Non per tutti questa terapiaè valida, sia chiaro.
Funziona bene nel controllo dell'astenia e dell'anoressia nei pazienti sottoposti a chemio e contro il dolore
oncologico, nella spasticità e nella sclerosi multipla. Ovviamente la cannabis non deve e non può sostituire gli
oppioidi, di cui si parla ancora troppo poco e il cui uso andrebbe incrementato. Ci sono ancora troppi timori».
Perché gli oppioidi sono ancora considerati rischiosi? «Perché nell'immaginario collettivo ma purtroppo
anche nella classe medica esiste quella che io definisco oppiofobia. Si ha paura che questi farmaci
deprimano l'attività respiratoria mentre se usati a giusto dosaggio aiutano il paziente ad eliminare il senso di
soffocamento. Esiste ancora il tabù della morfina, si pensa che rappresenti l'ultimo stadio prima della
condanna a morte e invece è un farmaco molto meno pericoloso di aulin o aspirina se usato da mani esperte.
Quanto alla cannabis, che in Toscana è possibile utilizzare a scopi terapeutici da oltre un anno, posso dire
che sia un ottimo coadiuvante per lenire i sintomi di varie malattie».
Ha conosciuto pazienti che se la erano procurati da soli? «Prima della legge avevo dei pazienti che erano
andati in Svizzera a comprarla, naturalmente loro la fumavano e alcuni avevano avuto dei benefici da questo.
In generale dovremmo sviluppare tutte le cure palliative, che sono diventate importanti non solo per chi ha un
tumore ma per chi soffre di patologie croniche progressive in fase avanzata. La Asl di Firenze ha un servizio
molto attivo a cui rivolgersi».
Foto: CURE PALLIATIVE Paolo Morino dirige il coordinamento della Asl 10
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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L'INTERVISTA
06/09/2014
La Repubblica - Roma
Pag. 7
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Il primo soccorso in ogni municipio Ecco gli studi medici sette giorni su
sette
Siglato l'accordo tra Regione e sindacati "Assistenza anche ai codici verdi e bianchi" Obiettivo, allentare
l'assalto agli ospedali
ANNA RITA CILLIS
STUDI medici di famiglia aperti anche nel weekend.
Se ne discute da anni (moltissimi) ma ora c'è una novità: la Regione, con le principali sigle sindacali dei
camici bianchi, ha infatti siglato un protocollo d'intesa per la realizzazione di una rete assistenziale attiva il
sabato e la domenica. Il tutto, previa definizione degli aspetti contrattuali che dovrebbe avvenire nei prossimi
giorni, sarà attuato l'autunno prossimo. Già delineati, intanto, i prossimi appuntamenti tecnici: per lunedì 15
dovrà essere elaborato il documento programmatico, ed entro la fine del mese dovrà arrivare, sul tavolo
istituito nei giorni scorsi, la proposta di definizione contrattuale.
«Finalmente abbiamo iniziatoa definirei dettagli per avviare l'apertura, nei weekend, di 14 studi medici di
base su Roma», spiega Pier Luigi Bartoletti, segretario regionale della Fimmg, la Federazione dei medici di
medicina generale. Che entrando nel dettaglio aggiunge: «Abbiamo diviso la città in quattordici zone e in
ognuna sarà attivo uno studio dove lavoreranno più medici di famiglia». Il punto di partenza è l'esperienza
accumulata a piazza Istria dove 55 camici bianchi si sono associati ormai da anni gestendo, con successo
anche le piccole urgenze sanitarie, «quelle che in un pronto soccorso sarebbero codici bianchi o verdi». E il
mese scorso si è aggiunto quello di Ostia. Anche lì stesso schema: un pool di medici di famiglia a rotazione
offrono assistenza: dalle piccole emergenze alla prescrizioni di farmaci ed eventuali certificati. «In autunno
dovrebbero partire i primi presidi poi via via gli altri: ora dobbiamo trovare gli spazi, comunque il tutto sarà
attivo definitivamente entro febbraio 2015 e nel Lazio», aggiunge il segretario regionale della Fimmg.
Ma il progetto non si chiude qui. «Puntiamo a rendere l'assistenza di base un punto di riferimento per i malati
cronici troppo spesso sballottati da una Asl all'altra alla ricerca di prestazioni - rimarca Bartoletti - apriremo un
percorso per ogni patologia che consentirà al malato di curarsi presso le strutture del proprio quartiere dove
potrà ottenere tutte le prestazioni necessarie per il suo stato cronico attraverso un promemoria che il medico
di base rilascerà una sola volta all'inizio del percorso di cura».
E dalle Regione assicurano: «Nei prossimi giorni si entrerà nella fase operativa e saremo in grado di
concretizzare il progetto che porterà all'apertura degli studi medici di medicina generale nei fine settimana e
nei giorni festivi. Si tratterà di almeno uno studio in ogni distretto o municipio». Per il governatore del Lazio,
Nicola Zingaretti «è un progetto che segna il cambiamento concreto della sanità della nostra Regione, prima
in Italia a istituzionalizzare l'apertura degli studi medici nei weekend e nei festivi. Partiamo dall'esperienza
pilota di piazza Istria, già operativa 365 giorni l'anno, ormai da tre anni. Ma il modello che metteremo in
campo andrà oltre perché potenzieremo la griglia dei servizi offerti in queste strutture. Le famiglie, gli anziani
e tutti i cittadini, già dalla fine di quest'anno, avranno una rete sanitaria di prossimità sempre disponibile». LE
TAPPE L'ACCORDO Siglato il protocollo d'intesa tra Regione e sindacati.
La rete di studi medici potrà diventare attiva già dal prossimo autunno LA RETE Quattordici gli studi medici,
uno per distretto, di assistenza medica aperti dalla mattina alla sera nei giorni prefestivi e festivi
L'ESPERIENZA Ha funzionato l'esperienza dello studio di piazza Istria dove 55 medici si sono associati e
gestiscono le piccole urgenze, i codici bianchi
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Sanità
06/09/2014
La Repubblica - Milano
Pag. 6
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Sanità, Maroni ci riprova "Grazie a fondi nazionali eliminerò le liste
d'attesa"
Il Pd replica al presidente: "Basta annunci, serve una riforma" Saranno sessanta i centri abilitati alla
fecondazione assistita La giunta annuncia anche un'azione legale per la vicenda del farmaco Lucentis
PRESIDENTE Roberto Maroni annuncia di voler tagliare liste d'attesa e il suo appoggio al referendum
leghista contro le moschee
SANDRO DE RICCARDIS
ELIMINAZIONE delle liste d'attesa, rilancio degli ambulatori aperti di sera, norme sulla fecondazione
eterologa. Buona parte dei provvedimenti annuncianti ieri dal presidente della Regione, Roberto Maroni,
riguardano la sanità. Senza dimenticare le azioni legali contro Novartis e La Roche, condannate dall'Antitrust
perché avrebbero favorito l'uso di un farmaco dieci volte più costoso di un altro con lo stesso principio attivo.
Per portare avanti «l'impegno gravoso e costoso di arrivare progressivamente all'eliminazione delle liste
d'attesa», Maroni intende utilizzare «le risorse aggiuntive del Fondo sanitario nazionale, oltre 500 milioni per il
2014 e altrettanti per il 2015». Una mano alle statistiche arriverà dal progetto "Ambulatori aperti", che dà la
possibilità ai cittadini di avere visite ed esami anche di sera e nei fine settimana. Da quando è partito il piano,
a maggio, «sono state 56mila le prenotazioni e oltre 35mila le prestazioni effettuate», ha detto Maroni.
Di «interventi spot» parlano invece le opposizioni. Con la vicepresidente del Consiglio regionale, Pd, Sara
Valmaggi, che invita Maroni a promuovere «una vera riforma del sistema sanitario lombardo. Abbiamo
presentato un nostro progetto di legge che punta sulla necessità di omogeneizzare servizi sanitari e sociali ricorda Valmaggi - . L'ultima riforma globale è del 1997, i bisogni dei lombardi sono cambiati e aumentati.
Questi interventi spot non bastano». Necessario, per il Pd, è «creare un unico punto di accesso al sistema
sanitario, con un unico assessorato per creare economie di scala». Dopo l'accordo in Conferenza delle
Regioni, Maroni ha poi annunciato che anche la Lombardia legifererà sulla fecondazione assistita. «L'idea è
portare venerdì prossimo in giunta la delibera che consentirà da noi la fecondazione assistita, ma con la
certezza dei costi. Ci sono ancora da definire dettagli come, per esempio, capire chi paga la prestazione, che
non è compresa nei "Livelli essenziali di assistenza"». Da evitare, disparità di trattamento e tariffe differenti
tra regione e regione. «In Lombardia - ha spiegato l'assessore alla Salute Mario Mantovani - sarà possibile
accedere alla fecondazione assistita in 60 centri, che raccolgono seimila richieste all'anno».
La giunta ha poi deciso, con una delibera, di avviare azioni legali nei confronti di Novartis e La Roche,
società condannate dall'Antitrust con una multa da 180 milioni, perché avrebbero favorito l'uso esclusivo di un
farmaco (Lucentis, costo medio 900 euro) al posto di uno con lo stesso principio attivo (Avastin, costo di circa
80 euro). «Abbiamo stimato un danno per il Servizio sanitario regionale di oltre 60 milioni», ha detto Maroni.
«Novartis intende respingere in maniera decisa le accuse di pratiche anti-concorrenziali - replica la società - e
per questo ha impugnato il provvedimento dinanzi al Tar del Lazio. Il procedimento è ancora in corso e la
sentenza è attesa entro la fine dell'anno. Pertanto risulta infondata qualsiasi richiesta di risarcimento. Novartis
ribadisce la correttezza del proprio operato e di avere sempre agito nel pieno rispetto della normativa».
LA SCHEDA LE PRENOTAZIONI Da maggio il servizio Ambulatori aperti ha assicurato 35mila prestazioni a
fronte di 56mila prenotazioni GLI AMBULATORI La Regione conta anche di allargare l'esperienza degli
ambulatori aperti, strutture aperte di sera e nei fine settimane LE RISORSE Per eliminare le liste d'attesa per
esami e analisi, Maroni vuole utilizzare le risorse nazionali del fondo sanitario
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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La sanità
08/09/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 19
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Giochi all'aperto e meno videogame Così nei piccoli si fa prevenzione"
Dovremmo prenderci cura degli occhi e fare controlli periodici ai bambini
c.s.
ROMA. «Le cattive abitudini di vita peggiorano la nostra vista. Come abbiamo imparato che prima di esporre
la pelle al sole è meglio proteggerla con le creme o che una alimentazione equilibrata migliora la salute, così
dovremmo prenderci cura degli occhi e stare attenti al modo in cui li usiamo. Con i controlli periodici e
vigilando sul comportamento dei bambini». Matteo Piovella è presidente della Società Oftalmologica italiana,
associazione nata nel 1869 che oggi raggruppa settemila oculisti. Quanto uno stile di vita sbagliato ha in
fluenzato l'aumento della miopia? «Sappiamo dagli studi che il maggior tempo trascorso al chiuso invece che
all'aria aperta, le ore trascorse sui libri o a leggere e l'uso massiccio di computer, tablet e smartphone, per i
più piccoli soprattutto videogames, hanno giocato la loro parte. Ma quanto i dispositivi elettronici abbiano
determinato la diffusione del difetto non è esattamente misurabile: la comunità scientifica ne sta dibattendo».
Quali sono le precauzioni da adottare peri bambini? «Un po' quelle che un tempo si raccomandavano per la
tv: non attaccare gli occhi allo schermo, non trascorrerci ore davanti, ma fare una pausa ogni 40-50 minuti.
Preferire, quando possibile, i giochi al parco.
Il rimedio migliore è quello che suggerisce il buon senso: evitare gli eccessi».
Come accorgersi del difetto? «Si manifesta in piccole dosi e poi nell'età evolutiva peggiora fino a stabilizzarsi
verso i 25 anni. Un mal di testa frequente o la visione faticosa della lavagna a scuola o delle immagini di un
film al cinema sono in genere i primi sintomi».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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L'INTERVISTA
06/09/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 12
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Marijuana di Stato, coro di sì "Ma no alla liberalizzazione"
Veronesi: "Un ottimo farmaco anche se è uno stupefacente" E gli anti- proibizionisti ora sperano che si apra
una breccia
AMEDEO LA MATTINA ROMA
Ora gli antiproibizionisti esultano e sperano che sia un primo passo, la fine di un tabù. Il via libera alla
coltivazione della cannabis a uso terapeutico presso l'Istituto farmaceutico militare di Firenze ha dato la carica
alle forze politiche e a tutti coloro che si battono per la marijuana libera. Era facile prevedere che la notizia
(anticipata dalla Stampa e confermata dal sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi) riaprisse una
discussione che nel nostro Paese va avanti da decenni e si intreccia con le battaglie referendarie del partito
Radicale. Un tema tornato in auge dopo la legalizzazione della cannabis per uso ricreativo in Uruguay e
Colorado. Ma quello che sta succedendo in Italia non ha nulla a che fare con lo spinello libero. «Non bisogna
confondere i due piani e strumentalizzare il tema con atteggiamenti ideologici», non si stanca di ripetere il
ministro della Salute Beatrice Lorenzin, che insieme alla sua collega della Difesa Roberta Pinotti ha aperto le
porte alla produzione di farmaci cannabinoidi finora importati dall'estero a costi altissimi. Quindi niente
equivoci e facili illusioni. Così il fronte proibizionista alza il muro e dice che l'uso terapeutico non significa
cannabis libera. Non è così e non sarà così, sostiene Maurizio Gasparri. «Chi pensa di coltivare in balcone si
metta il cuore in pace: non si può fare. C'è chi tenta di far passare l'idea che la marijuana non fa male perché
il farmaco derivato da questa pianta lenisce il dolore ai malati». Ma gli antiproibizionisti sono convinti che sia
aperta una breccia nel muro. E si fanno forti delle parole di Umberto Veronesi. Ieri a Cernobbio per il
workshop Ambrosetti, l'oncologo ha detto che è «giustissimo usare e coltivare» la marijuana a scopo
terapeutico. La cannabis è «un ottimo farmaco. Siccome è anche uno stupefacente, si ha sempre paura ad
usarlo. Invece è ottimo contro il dolore, contro i malesseri, contro il vomito, è un sedativo. È la stessa cosa ha aggiunto Veronesi - che è successa con la morfina, che per anni non sono riuscito a far avere a questi
poveri diavoli che soffrivano. Io sono anche per la liberalizzazione cella marijuana, ma questo è un altro
discorso». È un altro discorso, appunto. La battaglia, però, si è riaperta sulla scia della decisione dei ministri
Pinotti e Lorenzin. Un antico combattente su questo fronte come il senatore del Pd Luigi Manconi ora può dire
che è stata dura ma l'obiettivo è stato raggiunto: «La tragedia è che ci sono voluti 7 anni e relative sofferenze
dei pazienti. Non è stata ancora scritta l'ultima riga del protocollo ma così sarà entro poco tempo». Si
intestano una vittoria in molti, da Sel ai 5 Stelle e ai Radicali che, in effetti, ne hanno maggiore diritto. Ma
adesso il passo successivo è la legalizzazione della cannabis, almeno la possibilità di coltivarla per uso
privato. Benedetto Della Vedova riconosce che i due piani sono nettamente distinti, ma il suo auspicio è che
l'introduzione della marijuana terapeutica consenta una discussione senza pregiudizi anche su come
affrontare la questione più generale del mercato della cannabis, oggi in mano alla criminalità organizzata.
Ecco, reagisce Alessandro Pagano, deputato di Ncd (lo stesso partito di Lorenzin) «gli antiproibizionisti hanno
gettato la maschera: la smettano con le loro malvagie ipocrisie ideologiche che contribuiscono a uccidere
cerebralmente le generazioni future. Anche Renzi faccia dichiarazioni non ambigue e ponga un freno a
queste follie che vengono anche dal suo partito».
Foto: Le piante Per la produzione è stato scelto lo stabilimento chimico di Firenze
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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DROGA SVOLTA TERAPEUTICA
06/09/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 13
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"Per la mia terapia non dovrò più pagare gli spacciatori"
L'odissea di Andrea, malato di sclerosi e epilessia: "Per anni ho subito le perquisizioni dei carabinieri"
GIACOMO GALEAZZI ROMA
«Sai qual è il colmo per un ragazzo che a 24 si ammala di sclerosi multipla e di epilessia? Subire
perquisizioni in casa e dover spiegare ai carabinieri che la cannabis è un medicinale». Andrea Trisciuoglio
era un rampante agente immobiliare quando i suoi polsi cominciarono ad irrigidirsi. Spasmofilia, sminuirono i
medici. Purtroppo era ben altro. «Dal 2004 al 2009 ho fatto uso illegale di marijuana, da cinque ricevo il
Bedrocan attraverso l'ospedale- racconta Andrea-. Ho dovuto affrontare un percorso ad ostacoli, una trafila
surreale». Un vero e proprio calvario di carte bollate da affiancare a quello provocato da una malattia
inesorabile. Con momenti da teatro dell'assurdo. Come il giorno in cui Andrea comprò su Internet «semi di
canapa» e rischiò di finire nei guai con le forze dell'ordine per una piantina «ad uso personale». Eppure nel
quadro clinico i vantaggi sono stati immediatamente evidenti. E così è da un decennio. «I dolori si attenuano
e ho benefici su sonno, umore, appetito», spiega. E soprattutto «diminuiscono gli spasmi, i sintomi della
neuropatia, i tremori», aggiunge. «Mi pesava dovermi rifornire al mercato nero, scendere in strada a
comprare la dose come un tossicosi incupisce-. Mi umiliava pagare gli spacciatori per acquistare una
terapia». Da lì l'idea di coltivare da sè quella marijuana che rende più sopportabile le sue sofferenze fisiche.
«La fumo solo raramente perché la combustione spreca il 40% dei principi attivi, ma la assumo in prevalenza
come olio oppure tramite vaporizzatore - precisa Andrea-. Qui in Puglia dal 2009 basta una firma e un timbro
su una prescrizione medica per avere la continuità terapeutica». Guai a paragonarlo a chi fuma per diletto.
«Io con la canapa mi ci curo in modo sistematico», replica. In maniera metodica elenca la sua «tabella di
marcia». Per il tremore affianca ai cannabinoidi i farmaci antiepilettici, però non gli va giù di sentirsi un
«privilegiato» anche se sa che «per tanta gente bisognosa quanto me il diritto alla salute è ancora una lotta
atroce contro la burocrazia e l'ignoranza». Troppi i tabù da abbattere. Adesso perciò Andrea aiuta pazienti
come lui attraverso «Lapiantiamo», un'associazione per la libertà di cura. «L'incidenza di effetti collaterali è
bassissima, eppure si incontrano una sequela infinita di difficoltà a curarsi se la terapia è con farmaci che
contengano la parola cannabis», sottolinea Andrea. Infatti «la legge Fini-Giovanardi regolamenta l'accesso
alla canapa con pesanti pene per chi coltiva canapa». Il risultato è che «molti malati, persone oneste e
integerrime, vengono trattatati come criminali». Andrea ai carabinieri che lo perquisivano ha chiesto: «Vi
sembro il tipo che usa la cannabis per sballarsi?». La risposta è stato uno sguard o a b b a s s at o. « C e rc
ava n o ovunque piante di canapa, addirittura nelle federe del cuscino di mio figlio neonato che piangeva
mentre mi portavano via in caserma per il verbale. E la voce si incrina: «Aveva otto mesi, ho ancora il suo
pianto nella testa». La malattia gli ha creato gravi disabilità. L'utilizzo dei farmaci tradizionali (chemioterapici,
immunosoppressori, miorilassanti) e trecento punture di interferone sono un incubo dai mille effetti negativi:
febbre alta, continui tremori e incontinenza. «Non si può criminalizzare un malato che ha bisogno della
canapa per soffrire meno», scuote la testa. E non «si può dirgli che questa terapia provoca buchi nel cervello
ed è l'anticamera delle droghe pesanti». Del suo corpo malato Andrea ha fatto un «campo di battaglia». Il
sorriso non lo abbandona, com e l a co nv i n z i o n e d i « fa re qualcosa di buono per me e per gli altri». La
libertà di cura «non deve soccombere ai luoghi comuni e ai pregiudizi». Una parola d'ordine per una giusta
causa:«Non darsi per vinti è un passo avanti di civiltà: mai arrendersi».
Ha detto I benefici I dolori si attenuano, diminuiscono gli spasmi e migliorano sonno, umore e appetito Gli
effetti collaterali L'incidenza è bassissima, e poi non si può criminalizzare un malato che vuole stare meglio
Foto: In cura dal 2004 Andrea Trisciuoglio, ex agente immobiliare colpito dieci anni da sclerosi multipla: «Mi
umiliava pagare gli spacciatori per potermi curare»
Foto: GAETANO LO PORTO/AGF
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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il caso
06/09/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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Glaucoma, cancro, Aids e Parkinson La cannabis in soccorso alla
medicina
Un antinfiammatorio che agisce sul sistema nervoso centrale
VALENTINA ARCOVIO ROMA
che agiscono sul sistema nervoso centrale, inducendo il rilassamento dei muscoli, e scatenando un'azione
antinfiammatoria. Tuttavia, attualmente nel nostro paese l'uso terapeutico è molto limitato. Solo pochi italiani
sarebbero riusciti di fatto ad accedere alla cannabis per scopi terapeutici. Qualcuno ha dovuto addirittura
pagare un capitale per ottenere qualche dose del farmaco. Infatti, le Asl che rimborsano i farmaci
cannabinoidi importati dall'estero, dopo lunghe procedure burocratiche, si contano sulle dita di una mano. Chi
non acquista direttamente i prodotti da compagnie farmaceutiche all'estero, rischia sanzioni penali
coltivandola privatamente. Secondo i dati del ministero della salute, nel 2013 sono state rilasciate 213
autorizzazioni all'importazione di medicinali a base di cannabis dall'Olanda. Dal momento che ogni paziente è
tenuto a importare il farmaco per un dosaggio non superiore alle necessità di tre mesi di terapia, deve
inoltrare la richiesta di importazione per quattro volte in un anno. Il dato di 213 a u t o r i z z a z i o n i va
diviso, quindi, per quattro. Si può quindi dedurre che nel 2013 meno di 60 persone sono riuscite a ottenere il
farmaco. Un altro problema è la differenza tra l e r e g i o n i . A t t u a l m e n t e quelle che hanno introdotto d
e i p rov ve d i m e n t i c h e r i g u a r d a n o l 'e r o ga z i o n e d i medicinali a base di cannabis sono nove:
P uglia, Toscana, Veneto, Liguria, Marche, Friuli Venezia Giulia , Abruzzo, Sicilia, Umbria. L e n o r m at i ve
re g i o n a l i convergono tutte nel disciplinare l'erogazione dei medicinali a carico dei propri Servizi sanitari
regionali, ma sotto altri aspetti presentano una grande disomogeneità: in alcuni casi si limitano
semplicemente a recepire quanto già stabilito dalla normativa nazionale, in altri sono previste delle specifiche
competenze regionali circa l'informazione al personale medico, in altri casi sono stanziati degli appositi
capitoli di spesa nei bilanci regionali per garantire le disposizioni dei testi, in altri casi ancora vengono
introdotti degli articoli che impegnano le regioni su iniziative quali l'avvio di progetti pilota per la coltivazione a
scopi terapeutici Di fatto, non tutti i malati italiani che potrebbero trarre beneficio dalla cannabis hanno uguale
accesso a questa possibilità terapeutica. Almeno è così è dal 2007 e lo sarà fin quando non il nostro paese
non sarà operativo nella produzione di marijuana. LFunziona contro la nausea, il vomito e l'inappetenza nei
pazienti affetti da cancro e Aids. Ma anche contro i dolori cronici e neuropatici, come quelli della sclerosi
multipla. Non solo. La cannabis sembra essere efficace anche contro il glaucoma, i traumi cerebrali, gli ictus,
la sindrome di Tourette, l'epilessia e l'artrite reumatoide. A queste si aggiungono altre patologie - come le
sindromi ansioso-depressive, le malattie auto-immuni e l'asma bronchiale - per le quali l'uso della marijuana è
potenzialmente indicato. La lista degli effetti benefici della cannabis, quindi, è lunga e variegata, così come è
lungo l'elenco di studi che ne appoggiano l'utilizzo terapeutico. Ci sono alcune ricerche che ne hanno
dimostrato addirittura gli effetti neuro -protettivi contro malattie degenerative come il Parkinson. Due sono i
principi attivi che renderebbero la cannabis una terapia efficace. Si tratta del «delta-8-tetraidrocannabinolo» e
del «delta-9-tetraidrocannabinolo»
1 2 3 Dolori neuropatici La cannabis viene utilizzata contro i dolori cronici e soprattutto neuropatici come
quelli provocati dalla sclerosi multipla: il sollievo è dimostrato da molte ricerche Traumi cerebrali Nei reparti di
rianimazione i prodotti a base di cannabis vengono usati anche per curare i pazienti colpiti da ictus, ma
funzionano anche per il glaucoma e l'epilessia Sindromi depressive L'uso della marijuana è potenzialmente
indicato anche per chi soffre di sindromi ansioso-depressive e le malattie auto-immuni
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Dove viene usata
07/09/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 12
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Vaccino, una speranza dall'Italia "Così possiamo battere il morbo"
Oggi l'Irbm di Pomezia presenta una cura su "Nature Medicine"
PAOLO RUSSO ROMA
Un 'idea tutta made in Italy, che diventa realtà con capitale di rischio straniero, consentendo in solo cinque
anni di ottenere ricavi almeno dieci volte tanto l'investimento iniziale. Il tutto salvando e promettendo di
implementare posti di lavoro altamente qualificati. È il «miracolo italiano» del vaccino anti-Ebola, che oggi
verrà spiegato nei dettagli alla comunità scientifica internazionale dall'edizione on line di «Nature Medicine».
La scoperta che promette di fermare l'epidemia che in Africa è costata già 2100 vite nasce a 25 chilometri da
Roma, nella cittadella scientifica che è la Irbm Science Park di Pomezia. Un po' di verde, pannelli solari che
ne garantiscono l'autonomia energetica, un inceneritore per smaltire i rifiuti e tanti laboratori super attrezzati,
dove lavorano una cinquantina di persone, in larga parte ricercatori under 40. Una bella realtà, che non ne
cancella però un'altra, quella delle tante aziende che hanno sbaraccato o ridotto drasticamente gli organici in
quello che era considerato fino a due anni fa uno dei più grandi poli farmaceutici italiani. L'Irbm l'aveva messa
su proprio quel professor Riccardo Cortese, alla guida del team italo-svizzero che promette di dare scacco
non solo a Ebola ma anche ad Hiv, epatite C e malaria, «perché il meccanismo con il quale agisce il vaccino
è praticamente lo stesso, bastano piccole modifiche e può funzionare anche contro altri virus», assicura il
professore. Lui l'Irbm l'ha diretta per 15 anni, prima di togliere il disturbo dopo l'acquisto da parte del colosso
farmaceutico americano Merk, la quale a sua volta l'ha ceduta a un lungimirante imprenditore italiano, Piero
Di Lorenzo. M a all'inizio con gli americani non c'è intesa. Da qui l'idea di creare Okairos, società biotech
specializzata in vaccini ancora tutti da scoprire. «L'idea del vaccino contro Ebola e altri virus micidiali
l'avevamo già in mente, ma nessuna delle tante porte alla quali ho bussato si è aperta», racconta Cortese.
Tutto il contrario di quel che avviene quando il professore si trasferisce a Basilea, «perché se da noi ne trovi
due disposti a investire capitale di rischio qui sono almeno mille». E i soldi arrivano, inizialmente 20 milioni, ai
quali poi si aggiungeranno le risorse messe sul piatto dalla Regione Lazio, dal Cnr e dall'Istituto Superiore di
Sanità. Quando le professionalità ci sono però il rischio viene ripagato. La piccola Okairos si rilancia a testa
bassa nella ricerca del vaccino anti-Ebola, lavorando a stretto contatto anche con i National Institutes of Healt
americani. I risultati arrivano, «con mio stupore i test sulle scimmie danno risultati eccezionali e arriva l'ok
dell'Aifa e della Food & Drug Administration americana alla sperimentazione sull'uomo», ricorda il professore.
Che poi spiega in parole semplici come funziona il vaccino, anticipando i risultati pubblicati oggi. «Siamo
partiti da un banale adenovirus (quello del raffreddore, ndr). Con delle modificazioni genetiche siamo riusciti a
trasformarlo in un killer capace di agire contro gli agenti patogeni». Ebola, ma anche Hiv e altri virus. «Le
cellule modificate - prosegue non si limitano a creare anticorpi come i tradizionali vaccini preventivi, ma
riescono a individuare il virus proprio quando questo si introduce nell'organismo, bloccando l'infezione sul
nascere». Una scoperta che potrebbe salvare milioni di vite umane se supererà l'esame dei test sull'uomo,
che partiranno su 10 mila portatori di Ebola ma che potrebbero presto essere estesi ad altre malattie mortali.
Ma per passare dall'invenzione alla produzione servono stabilimenti attrezzati e specializzati. Servono
insomma capitali che solo le multinazionali possono mettere in campo. E infatti la bella favola italiana finisce
qui, per virare verso un finale già noto a molte imprese nostrane. Non certo solo del farmaceutico. Cortese
infatti vende la sua Okairos alla multinazionale della pillola Glaxo Smith Kline, che preparerà sempre a
Pomezia, i primi lotti di vaccino. «Siamo partiti da 20 milioni di venture capital e abbiamo venduto nel 2013
dopo solo 5 anni per 260 milioni», dichiara con orgoglio l'inventore del vaccino. Che però ci tiene a ricordare
che il capitale umano resta made in Italy. In Usa quando parlano di innovazione usano dire «we need a new
game», abbiamo bisogno di un nuovo gioco. Chissà che il vaccino anti-Ebola non ci insegni come essere
anche noi della partita.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Retroscena
07/09/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 12
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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20
milioni Il capitale iniziale che ha permesso la ricerca che ha portato al vaccino
Foto: La squadra Il professor Riccardo Cortese guida il team italo-svizzero che promette di dare scacco a
Ebola dai laboratori di Pomezia
08/09/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 13
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Ma isolare le comunità non può essere l'unica arma per fermare i contagi
In passato simili misure hanno creato tensioni sociali
EUGENIA TOGNOTTI
Èforse la prima volta, nella pur lunga e corposa storia delle grandi emergenze epidemiche, che un intero
Paese, la Sierra Leone, su cui incombe il flagello Ebola, viene sottoposto a quarantena. Qualche settimana
fa, la stessa misura, questa volta contro la peste bubbonica, ha riguardato l'antico e popoloso quartiere di una
città nel Nord-ovest della Cina, Yumen, dove trentamila persone sono state tenute in isolamento per otto
giorni. Ma è da più di un decennio che sono tornate a risuonare nel mondo globale le parole quarantena e
isolamento, pietre angolari dell'antico sistema di difesa, nato in Italia nel XV secolo, e messo a punto lungo i
secoli, contro la minaccia di malattie mortali di cui s'ignorava l'eziologia: peste, colera, febbre gialla, febbre
spagnola. Pressoché sepolte come strategie di prevenzione, con l'entrata in scena di vaccini e farmaci che
promettevano la definitiva vittoria sulle malattie epidemiche, sono ricomparse all'alba di questo millennio con
la Sars , che, al pari di quello di Ebola, sembrava farsi beffe dei ricercatori e della sofisticata tecnologia del
nostro tempo. Allora - era il 2003 - allarme e paura avevano spinto Canada, Cina, Hong Hong e Singapore a
ricorrere alla quarantena, nel tentativo di arginare il diffusione della nuova malattia. È stata poi la volta
dell'influenza suina, che indusse le autorità sanitarie messicane a imporre l'isolamento dei malati e il
confinamento nelle loro case. Dalla Sars a Ebola. Riuscirà la messa in quarantena di intere comunità , tra il
19 e il 21 settembre, a fermare il virus? E soprattutto riusciranno le autorità sanitarie ad imporre questa
coercitiva misura che, qualche settimana fa, ha provocato gravit umulti in un quartiere povero di Monrovia?
Le preoccupazioni espresse questi giorni da medici, esperti e responsabili di istituzioni sanitarie internazionali
non sono ingiustificate. Certo, una malattia virale come Ebola - trasmessa attraverso il contatto diretto con i
fluidi corporei di una persona infetta e capace di diffondersi rapidamente in una comunità - è proprio il genere
di malattia che la quarantena potrebbe aiutare a tenere sotto controllo. Ma occorre tener conto che si tratta di
una misura di salute pubblica discussa e controversa che solleva importanti questioni etiche e impone un
conflitto tra l'interesse della società a tutelare la libertà dell'individuo e quello della salute collettiva, in nome
della quale viene imposta la restrizione della libertà di movimento e dei contatti con l' esterno. Se, nel
passato, ha rappresentato un utile strumento per arrestare la diffusione di spaventose malattie, ma anche un
antidoto importante per far fronte al panico - come avveniva durante le epidemie di febbre gialla e di colera è stata però sempre accompagnata da un sottofondo di ansia e sospetto, in quanto, troppe volte, imposta
ingiustamente sotto la spinta della paura e del pregiudizio contro individui, indicati come «untori», ma anche
contro gruppi di popolazione e intere etnie. E, in realtà, il ricorso all'apparato repressivo agiva in alcuni
contesti politici e istituzionali come potente detonatore di tensioni sociali. Gli individui costretti alla quarantena
e all'isolamento trovavano intollerabile la limitazione della libertà di circolazione. Il fatto che, quasi sempre,
solo i poveri, fossero costretti alla quarantena, aggiungeva un carattere di discriminazione di classe,
stigmatizzazione, e «colpa» a queste misure, suscitando paura e rabbia. Inducendo, tra l'altro, alla fuga per
sfuggire all'isolamento, cosa che contribuiva a diffondere la malattia. Queste reazioni del passato hanno una
sorprendente somiglianza con quelle documentate durante l'epidemia di Sars in Cina e d'influenza suina in
Messico, e, nelle settimane scorse, a Monrovia, dove i soldati hanno dovuto usare i gas lacrimogeni per
disperdere la folla. C'è da sperare che le lezioni del passato insegnino qualcosa: una misura come quella
annunciata in Sierra Leone , esige , da una parte , il rafforzamento delle strutture sanitarie. Dall'altra una
grande attenzione - da parte dei responsabili deal gestione dell'emergenza - ai valori etici e un attento
bilanciamento tra i diritti degli individui e la tutela della salute collettiva, nonché il coinvolgimento della
popolazione nei processi decisionali per conquistare la fiducia nelle strategie messe in campo contro il
flagello che sta minacciando l'Africa e il mondo.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Analisi
08/09/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 13
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Gli altri casi Sars Nel 2003 per arginare la diffusione della Sars Cina, Hong Kong, Canada e Singapore
hanno fatto ricorso alla quarantena Peste Qualche settimana fa 30mila persone di Yumen città nel Nord-Ovest
della Cina sono state tenute in isolamento per 8 giorni
06/09/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Carla Massi
Cannabis contro il dolore: la coltiverà e la produrrà l'Esercito. Accordo quasi fatto tra i ministri della Difesa e
della Salute per poter disporre di questi farmaci senza doverli importare dall'estero a costi elevati. Vicini al sì,
dunque, per la produzione a Firenze nello Stabilimento farmaceutico militare, una volta dedicato ai medicinali
per il mondo militare e oggi aperto anche al settore civile. Entro il prossimo anno i prodotti potrebbero già
essere disponibili nelle farmacie. A pag. 13
LA SVOLTA R O M A Cannabis contro il dolore, la coltiverà e la produrrà l'Esercito. Accordo quasi fatto tra i
ministri della Difesa e della Salute per poter disporre di questi farmaci senza doverli importare dall'estero a
costi elevati. Vicini al sì, dunque, per la produzione a Firenze nello Stabilimento farmaceutico militare una
volta dedicato ai medicinali per il mondo militare oggi aperto anche al settore civile.
I CONTROLLI Si tratta di aver a disposizione quei prodotti contro il dolore di pazienti con Sla o sclerosi a
placche ma anche di chi è sottoposto a chemioterapia. Entro il prossimo anno i prodotti a base di
cannabinoidi made in Italy potrebbero già essere disponibili nelle farmacie. La cannabis contiene due
importanti principi attivi: il Thc (tetraidrocannabinolo) e al Cbd (cannabidiolo) in grado di sia di diminuire il
dolore che di rallentare la malattia. Fino ad oggi i pazienti hanno dovuto sopportare trafile burocratiche molto
lunghe per poter entrare in possesso dei farmaci sottoposti a rigidi controlli. Anche se da noi il ricorso a questi
medicinali è legittimo ormai dal 2007. Due le opzioni che si possono seguire: l'importazione dall'estero e
quella dei normali canali italiani (preparazione galenica). La prima richiede numerosi passaggi burocratici ma
permette di far arrivare al malato il prodotto ad un prezzo congruo, circa 11 euro al grammo e quindi nessun
aggravio di costi rispetto ai pazienti stranieri, la seconda, seppur più veloce, ha lo svantaggio di un
incremento del prezzo di vendita salendo fino a 30-40 euro al grammo nelle nostre farmacie. «Nel corso del
2013 appena qualche decina di pazienti ha potuto utilizzare questi farmaci - spiega il senato del Pd Luigi
Manconi da sempre sostenitore della cannabis terapeutica - a causa di una procedura lenta e farraginosa.
L'acquisto all'estero comporta tempi infinitamente lunghi».
IL DOSAGGIO Nel 2013 il ministero della Salute ha rilasciato 153 autorizzazioni all'acquisto dall'estero. Dal
momento che ogni malato non può disporre di una quantità di farmaco per un dosaggio non superiore alle
necessità di tre mesi di terapia è obbligatorio inoltrare la richiesta almeno quattro volte l'anno. Tra i politici
generale soddisfazione. Applaudono Prc e Sel. I deputati del Movimento 5 Stelle in commissione Difesa si
dicono soddisfatti e rivendicano la paternità dell'iniziativa. «Alcuni, per ignoranza o per malafede, confondono
attività farmaceutiche o terapeutiche con la possibilità che possa circolare liberamente la cannabis. Non è
così e non sarà mai così - assicura Maurizio Gasparri Forza Italia - e i militari sono garanzia a questo scopo».
E' «giustissimo usare la marijuana terapeutica» sentenzia l'oncologo Umberto Veronesi particolarmente
attento al dolore nella malattia. «La marijuana è un ottimo farmaco - aggiunge ma essendo anche uno
stupefacente si ha sempre paura di usarlo. La stessa cose accadde per la morfina e ora viene utilizzata per le
cure palliative». Carla Massi
I p ossibili usi terap eutici ANSA I derivati Chemioterapia Riduce in modo significativo la pressione
intraoculare Già in bassissime dosi ha un effetto antinausea e antivomito, molto più efficace di molti farmaci in
commercio Glaucoma marijuana: foglie e fiori essicati hashish: resine della pianta trattate Sclerosi multipla e
lesioni del midollo spinale In molti casi si è dimostrata efficace nel ridurre spasmi e tremori 2Aids Aiuta nella
sindrome da deperimento perché stimola l'effetto fame ed eleva il tono generale dell'umore 3Epilessia Con
l'assunzione di cannabis le crisi diminuiscono drasticamente La pianta: canapa indiana. Cresce in climi caldi e
temperati Nome scientifico: Cannabis indica
Foto: Foglie di cannabis lavorate in un laboratorio per produrre farmaci
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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L'Italia produrrà medicine alla marijuana
06/09/2014
Il Messaggero - Roma
Pag. 41
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Al San Filippo Neri i lavori di ristrutturazione del reparto sono finiti da nove mesi ma manca il nullaosta
antincendio Ci sono quattro centri di procreazione assistita pubblici in grado di praticare la fecondazione e tre
sono chiusi L'UNICO REPARTO CHE FUNZIONA È IL SANT'ANNA MA IL CONTRATTO AI BIOLOGI NON
È STATO RINNOVATO ALL'UMBERTO I CANTIERE IN CHIUSURA ARAGONA: «SIAMO OTTIMISTI SUI
TEMPI PRIMA L'OMOLOGA POI SIAMO PRONTI»
Alessia Marani
IL CASO I centralini dei quattro centri pubblici che a Roma potrebbero partire con la fecondazione eterologa
in queste ore sono presi d'assalto da coppie che da anni sognano di potere avere un bambino. Ma i telefoni
squillano invano. C'è un esercito di donne nel Lazio (un altro centro c'è solo a Latina) che dal varo della legge
40 nel 2004 sono stati costretti a estenuanti viaggi in altri Paesi dove la tecnica è permessa - il più gettonato
è la Spagna - e che ora vorrebbero potersi sottoporre a fecondazione nelle strutture del sistema sanitario
nazionale. Ma ancora oggi, sebbene la Corte Costituzionale abbia bocciato ad aprile qualsiasi preclusione
per l'eterologa equiparandola, di fatto, all'omologa, e le Regioni si siano appena date una sorta di codice di
autoregolamentazione, continuano a vedersi negato il diritto. Manca ancora una delibera attuativa regionale,
ma se anche arrivasse oggi a Roma le strutture pubbliche non sono pronte. LA RICHIESTA Al San Filippo
Neri il centro di procreazione assistita è chiuso da quando nel 2012 un guasto all'impianto di azoto liquido ha
scongelato, distruggendoli, embrioni, ovociti e campioni di liquido seminale. La ristrutturazione è terminata da
ormai nove mesi - sarebbe già nato un bambino - ma tutto è bloccato perché non arriva il nullaosta
antincendio. Lavori in corso anche all'Unità operativa complessa di Infertilità che dipende dal Dipartimento di
Ostetrica dell'Umberto I, che per la omologa (l'inseminazione artificiale con gameti appartenenti alla coppia),
aspettando l'eterologa, ha già accumulato una lista d'attesa di 350 donne. POLICLINICO Qui il cantiere è
pressoché ultimato e proprio un paio di giorni fa il responsabile, professore Cesare Aragona e il direttore di
dipartimento, Pierluigi Benedetti Panici, hanno chiesto lumi all'azienda sanitaria sulla tempistica per la
riapertura: «Siamo ottimisti - dice Aragona - confidiamo di ricominciare entro uno o due mesi. È stato un
grosso sforzo per azienda e Regione metterci in linea con la normativa europea, un impegno che dovrà
rendere al massimo. Il diktat a Roma in questo momento è: prima l'omologa poi siamo pronti a metterci in
pista anche con l'eterologa». IL PARADOSSO Il caso del San Filippo Neri è emblematico. «In un reparto
sottoposto a restauro come il nostro - spiega il responsabile del centro di procreazione assistita, Francesco
Timpano - il rilascio del certificato di prevenzione incendi è vincolato dalla messa in regola dell'intera struttura
ospedaliera. Così ci siamo trovati in una impasse burocratica assurda per cui prima della ristrutturazione il
vecchio reparto funzionava grazie a deroghe ministeriali quinquennali che ora sono state azzerate. C'erano
state date assicurazioni direttamente dal ministro della Salute Lorenzin sul superamento del problema, ma a
oggi, non si vede luce». Dalla Regione assicurano che il supercommissario nominato da Zingaretti per
rimettere ordine nella giungla della fecondazione assistita, Corrado Melega, è al lavoro anche su questo
fronte. IL CAOS Dopo il caos dello scambio degli embrioni, è fermo ai box in attesa di nuova autorizzazione,
la Riproduzione e terapia dell'infertilità del Pertini. Operativo ma con liste d'attesa zeppe il Sant'Anna di via
Garigliano, struttura storica, aperto fin dall'86. «Abbiamo operato a ritmo serratissimo fino a giugno spiega il
professor Antonio Colicchia - ma da allora siamo a scartamento ridotto per il mancato rinnovo di alcuni
contratti». In pratica: c'è solo una biologa in servizio. Risultato? Le romane continuano a migrare in altre
regioni (Toscana) per sottoporsi all'inseminazione artificiale con rimborso sanitario. E i privati scalpitano:
«Entro un mese partiremo con l'eterologa, abbiamo aspettato fin troppo», dicono dall'European Hospital.
I nodi
Pertini
S. Filippo Neri
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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L'eterologa a Roma resta un miraggio
06/09/2014
Il Messaggero - Roma
Pag. 41
(diffusione:210842, tiratura:295190)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Umberto I Il centro universitario dell'Umberto I è in corso di ristrutturazione Dopo lo scandalo dello scambio
degli embrioni, il servizio è in attesa di nuova autorizzazione Il pma è stato ristrutturato nove mesi fa ma non
è aperto perché manca il nullaosta antincendio
Foto: A mezzo servizio
07/09/2014
Il Messaggero - Ancona
Pag. 39
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Black out, Beatrice Lorenzin vuol acquisire la relazione dei carabinieri «Non sono tollerabili situazioni che
mettano a rischio la sicurezza dei pazienti»
Black out all'ospedale di Torrette, il ministro alla salute Beatrice Lorenzin vuole conoscere la verità e chiede al
Nas una relazione dettagliata sull'accaduto. Il disservizio subito dal nosocomio regionale, esploso alle 22.30
del 28 agosto scorso quando per dieci ore il nosocomio regionale è rimasto al buio con difficoltà per ricevere
energia elettrica in maniera continuata durata fino alla mattina del giorno dopo, finisce quindi sul tavolo del
ministero della Salute. «Voglio comprendere le ragioni - dice la Lorenzin - che hanno potuto determinare un
difetto di funzionamento così grave che se non fosse stato nella capacità e l'abnegazione del personale
medico ed infermieristico avrebbe potuto comportare ben altre gravi conseguenze sulle persone assistite». Il
ministro intanto conferma il rigore da parte del suo ministero e di Agenas (l'agenzia nazionale per i servizi
sanitari) per il monitoraggio ed i controlli sui sistemi di sicurezza degli impianti ospedalieri. «Attendo la
relazione del Nas - prosegue la Lorenzin - affinché quanto accaduto ad Ancona non si ripeta. Non sono
tollerabili situazioni che mettono a rischio la sicurezza dei pazienti assistiti nelle strutture sanitarie».
Verdenelli a pag. 40
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Torrette, il ministro chiama i Nas
08/09/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:210842, tiratura:295190)
QUARANTENA IN SIERRA LEONE PER FERMARE L'INFEZIONE NESSUNO POTRÀ USCIRE DI CASA
PER QUATTRO GIORNI
Carla Massi
L'EPIDEMIA ROMA Sulle scimmie ha funzionato. Sui macachi infettati con il virus Zaire Ebola il vaccino
contro la febbre emorragica che sta devastando l'Africa occidentale ha dato buoni risultati: protegge per
almeno dieci mesi. E' il vaccino allo studio con l'efficacia più lunga. IL TEST Il prodotto sta per essere testato
sull'uomo e viene prodotto in Italia, negli stabilimenti Okairos/Advent all'Irbm Science Park di Pomezia. Solo
qui, dove è stato concepito, Chad3Ebola-Zaire (questo il nome tecnico) può essere realizzato. Diecimila dosi
per la sperimentazione che è frutto di un gruppo internazionale di ricercatori italiani e americani dell'Istituto
nazionale della salute degli Stati Uniti. Immediato il commento del presidente Obama: «Gli Usa aiuteranno i
paesi africani che lottano contro il virus dell'Ebola inviando anche mezzi militari come le unità di messa in
quarantena. Parliamo di una malattia che non rappresenta nell'immediato una minaccia, non si propaga
attraverso i voli aerei». LA PROTEZIONE Fino ad oggi i vaccini a disposizione riuscivano a garantire la
protezione per appena trenta giorni. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista "Nature medicine". Questa
copertura immunitaria è stata indotta nei macachi utilizzando un vaccino basato sul ChAd3, un adenovirus
(negli uomini è responsabile di raffreddori e congiuntiviti)derivato dagli scimpanzé. E' stato scelto proprio
l'adenovirus degli scimpanzé e non quello degli umani, spiega Riccardo Cortese che da oltre cinque anni
lavora a questo vaccino, «perché molti uomini sono già stati esposti all'adenovirus umano e quindi il loro
sistema immunitario è in grado di neutralizzarlo». Il vaccino dovrebbe proteggere da due diversi ceppi
dell'Ebola, sia lo Zaire che il Sudan. Migliorano ma restano gravi le condizioni di Rick Sacra, il medico
americano che si è infettato in Liberia ed è tornato a casa la scorsa settimana. «E' molto malato e molto
debole - racconta la moglie - ma sta un po' meglio da quando è tornato negli Stati Uniti. E' anche riuscito a
mangiare un po' di brodo di pollo». Quella di Sacra sembra una situazione più allarmante rispetto a quella dei
due missionari statunitensi che si sono ammalati ma sono usciti dall'infezione. Il medico non riceverà il siero
sperimentale ZMapp perché le scorte sono esaurite e, con ogni probabilità, verrà messa a punto una
strategia terapeutica a base del sangue di persone che sono guarite. Vere trasfusioni con anticorpi del virus.
L'Organizzazione mondiale della sanità ha dato il via libera a questo trattamento. L'urgenza è stata
giustificata dall'aumento continuo dei casi: secondo l'ultimo bollettino ha superato quota duemila morti con
quasi quattromila casi. «Il siero di convalescente - fa sapere Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto
Spallanzani di Roma è già stato utilizzato. Nel 1995 un'epidemia di Ebola a Kikwit, nella Repubblica
Democratica del Congo, con buoni risultati». La terapia di sostegno seguita fino ad ora dai colleghi di Rick
Sacra consiste nella prescrizione di farmaci contro la nausea, il vomito e degli antidolorifici. Viene idratato e
controllato nella respirazione perché potrebbe aver bisogno di una macchina per aiutarlo. A CASA Stretta in
Sierra Leone, uno dei paesi più colpiti dal virus per contenere la diffusione dell'epidemia. La popolazione,
infatti, dovrà rimanere in casa per quattro giorni, dal 18 al 21 settembre. Una misura decisa dal governo
africano per impedire il contagio e per consentire ai sanitari di identificare ed isolare nuovi casi. «È
necessario un approccio aggressivo una volta per tutte - spiega il consigliere presidenziale della task force
anti-Ebola in Sierra Leone Ibrahim Ben Kargbo - per far rispettare la quarantena saranno reclutate 21.000
persone». E già è scoppiata la polemica: l'obbligo di residenza rischia di sollevare questioni relative ai diritti
umani, oltre ad innescare manifestazioni violente.
Foto: IL BILANCIO L'epidemia, per l'Oms, ha superato quota duemila morti con quasi quattromila casi
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Ebola, il vaccino targato Italia «respinge il virus per 10 mesi»
07/09/2014
QN - Il Resto del Carlino - Ancona
Pag. 10
(diffusione:165207, tiratura:206221)
La Lorenzin: «Situazioni di rischio simili non sono tollerabili». Indagano i Nas
«VOGLIO una relazione dettagliata su quanto accaduto all'ospedale di Torrette la scorsa settimana in
occasione del black-out. Non sono tollerabili situazioni che mettono a rischio la sicurezza dei pazienti assistiti
nelle strutture sanitarie». Parola del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, a cui, evidentemente, nei giorni
scorsi è arrivata una relazione sulle modalità dell'improvviso ed inatteso calo di tensione che rischiava di
costare caro. Il ministro, che ad Ancona è venuta due volte in poche settimane nel maggio scorso, si è
informata sui fatti e sulla cronaca degli eventi, ora attende una dettagliata relazione da parte degli inquirenti
per stabilire le cause del black-out e risalire ad eventuali responsabilità. Come anticipato ieri dal Carlino, pare
che la reazione a catena sia partita da un banale interruttore, costo commerciale 5 euro, bruciato per un
sovraccarico di energia. Scarsa manutenzione, forse, da qui il passagio ai raggi X di tutto il settore, un
appalto da milioni di euro. In merito al black out di oltre 10 ore avvenuto la sera del 28 agosto scorso al
regionale di Torrette, il ministro Lorenzin ha chiesto una relazione circostanziata ai Nas: «Bisogna
comprendere le ragioni che hanno potuto determinare un difetto di funzionamento così grave - afferma il
ministro -. Se non fosse stato per la capacità e l'abnegazione del personale medico ed infermieristico, il
quadro generale avrebbe potuto comportare ben altre gravi conseguenze sulle persone assistite. E' mia
intenzione confermare il rigore da parte del ministero della Salute e di Agenas (l'agenzia nazionale della
sanità, ndr.) per il monitoraggio ed i controlli sui sistemi di sicurezza degli impianti ospedalieri, affinché quanto
accaduto non si ripeta. Non sono tollerabili situazioni che mettono a rischio la sicurezza dei pazienti assistiti
nelle strutture sanitarie. Ora attendo la relazione dei Nas». E LA RELAZIONE dei carabinieri del Nas
dovrebbe arrivare presto. L'altro ieri c'è stato l'ennesimo sopralluogo sul posto con annessa riunione tecnica,
alla presenza della direzione sanitaria. Il problema è stato risolto, le ripetute prove hanno confermato il
funzionamento dei quattro gruppi di continuità di cui l'ospedale regionale si è dotato circa due anni. Uno dei
quattro gruppi è stato responsabile del black-out, probabilmente a causa del pezzo da 5 euro bruciato. E
pensare che l'impianto, costato milioni di euro, era stato revisionato a luglio.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Il ministro: «Black out, subito la relazione»
07/09/2014
QN - Il Resto del Carlino - Ancona
Pag. 10
(diffusione:165207, tiratura:206221)
Pronto soccorso pediatriaco: caos «Stop al trasferimento del Salesi»
LAVORI fermi da quasi un anno e cantiere ridotto nel degrado assoluto: preoccupazione legata al progetto
del nuovo pronto soccorso pediatrico a Torrette. La direzione sanitaria dell'azienda 'Ospedali Riuniti' è
tranquilla. Più volte, nel corso degli ultimi mesi, ha ribadito che il pronto soccorso del Salesi sarà pronto in
tempo per il trasferimento dell'intero pediatrico-infantile a Torrette, primavera 2015. INTANTO il cantiere è
fermo e gli spazi desolatamente vuoti. Il progetto in realtà è cambiato in corso d'opera. Il cantiere era stato
inaugurato nel 2012 e prevedeva l'allargamento del pronto soccorso per adulti di Torrette, così bisognoso di
nuovi spazi per dividere i percorsi e migliorare il servizio. La decisione del direttore generale dell'azienda,
Paolo Galassi - avallata dalla Regione - di trasferire il Salesi a Torrette abbandonando il vecchio immobile del
Passetto, ha cambiato gli orizzonti. Almeno fino a quando non sarà realizzato il nuovo plesso che ospiterà,
stavolta in maniera definitiva e non temporanea, l'intero ospedale Salesi. Di questo se ne riparlerà verso il
2020. I lavori del vecchio disegno sono stati più volte interrotti, una volta a causa di un vizio progettuale,
un'altra a causa del maltempo, ma poi erano sempre ripresi. Fino al dicembre scorso quando gli addetti non
sono tornati più al lavoro e le macchine si sono fermate. Da allora il cantiere è in totale abbandono. Il pronto
soccorso pediatrico sorgerà di fianco a quello per adulti, ma il grosso del cantiere è al di sotto, nella zona
dove vengono parcheggiate le ambulanze per il 118 e per l'elisoccorso. L'area è stata transennata e al di là
delle transenne regna il degrado. Di recente una pioggia più abbondante del solito ha mandato il sito
sott'acqua. La pioggia è penetrata dal vano superiore, completamente aperto allagando tutto. Oggi a terra ci
sono i materiali di risulta, cumuli di tavole gettate a terra, pezzi di impalcature, ferraglia, il tutto in mezzo agli
spazi vuoti intervallati dalle colonne che dovrebbero sorreggere il nuovo pronto soccorso pediatrico. Il deserto
del cantiere è davanti agli occhi di tutti e non solo di pochi addetti. Arrivando al pronto soccorso, sulla sinistra
rispetto alla 'camera calda' riservata alle ambulanze per scaricare i pazienti, il vuoto è evidente. SUL
trasferimento del Salesi a Torrette interviene il vicepresidente del Consiglio regionale, Giacomo Bugaro: «La
vicenda del blackout all'ospedale regionale deve indurre una riflessione sulla opportunità di trasferire, seppur
temporaneamente, il pediatrico Salesi. Non oso immaginare cosa sarebbe accaduto se la neonatologia fosse
stata già lì al momento del fatto: i tecnici mi hanno detto che l'esito, tragico, sarebbe stato inevitabile. Ritengo
che il trasferimento debba essere sospeso e ripensato».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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LAVORI FERMI DA UN ANNO, BUGARO
06/09/2014
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 1.11
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Lorenzin: «L'eterologa così non sarà sicura» *
Il ministro Lorenzin sull'accordo tra Regioni: si parte senza sicurezza. E anche senza fondi Il patto tra
governatori non ha valore di legge né di linea guida e «non può obbligare alla tracciabilità completa
donatorenato». Gravissima la mancanza di un Registro nazionale dei donatori, senza il quale è impossibile
un controllo puntuale. E nel testo si apre «all'eterologa per tutti: chi paga?» Il Piano fertilità annunciato ad
Avvenire? «Il gruppo di lavoro sarà presentato nei prossimi giorni». Stamina? «Il pa
VIVIANA DALOISO
Dubbi, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, ne ha tanti sulla partenza della fecondazione eterologa delle
Regioni. Bene l'accordo, ma «non sono serena». Perché prima dei dibattiti ideologici ci sono le persone, e
quelle - le coppie in cerca di un figlio, i bimbi che nasceranno - «a mio parere non sono tutelate». E come
potrebbero, da un semplice atto regolatorio? «La verità è che l'eterologa parte in una situazione artigianale,
poco conforme ai nostri standard» Dubbi, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, ne ha tanti sulla partenza
della fecondazione eterologa delle Regioni. Bene l'accordo, bene i criteri condivisi e il Far West scongiurato,
ma «non sono serena». Perché prima dei dibattiti ideologici ci sono le persone, e quelle - le coppie in cerca di
un figlio, i bimbi che nasceranno - «a mio parere non sono tutelate». E come potrebbero, da quello che è un
semplice atto regolatorio, che prevede limiti ma non sanzioni, potrà essere impugnato in qualsiasi tribunale e
sostanzialmente demanda alla responsabilità dei singoli centri la tutela della salute? «La verità è che
l'eterologa parte in una situazione artigianale, poco conforme agli standard qualitativi altissimi della sanità
italiana». Dunque la sua opinione in merito all'accordo raggiunto tra le Regioni, che di fatto ha bypassato una
legge del Parlamento, non è positiva... Sono soddisfatta che i contenuti riprendano in buona sostanza gran
parte del mio decreto legge, che era esclusivamente sanitario, ma ci sono delle criticità. L'accordo ha il
vantaggio di offrire criteri condivisi per le Regioni che vogliono partire subito in modo uniforme, nell'attesa che
il Parlamento legiferi, dopo la decisione del Cdm di non procedere con atti del governo. Ha però il limite che,
non essendo una norma di legge, non può obbligare alla tracciabilità completa donatore-nato, né istituire il
Registro Nazionale dei Donatori, con tutte le garanzie sanitarie connesse, e comunque non è vincolante.
D'altra parte tutte le istituzioni, dal governo alle Regioni stesse, hanno confermato la necessità di una legge.
Condivido a questo proposito la richiesta del presidente Chiamparino di sollecitare le Camere per colmare al
più presto il vuoto normativo nell'interesse della salute delle coppie e dei bambini che nasceranno. In merito
ai contenuti delle linee guida, il ministero le condivide? Innanzitutto è bene capire che non si tratta affatto di
linee guida. Il documento condiviso ieri dai presidenti delle Regioni sulla fecondazione eterologa è un
provvedimento autonomo, che sarà poi utilizzato come riferimento dalle singole Regioni per uniformare gli atti
amministrativi interni sulla fecondazione eterologa. Non è vincolante. Non va confuso con le linee guida, che
sono un provvedimento amministrativo che attua norme di legge e che - condiviso fra lo Stato, le Regioni e le
Provincie Autonome - ha valore vincolante. Le linee guida della legge 40, invece, ancora diverse, sono
previste espressamente dalla 40 stessa: devono essere messe a punto dal ministero della Salute, che si
avvale della collaborazione dell'Istituto Superiore di Sanità, e su di esse deve esprimere un parere il Consiglio
Superiore di Sanità. In questo caso le Regioni non sono coinvolte. Quali sono i punti dell'accordo tra le
Regioni che la preoccupano di più? Il fatto stesso che l'accordo fra le Regioni non sia una legge crea
problemi: tracciabilità completa e registro dei donatori sono elementi fondamentali per l'attuazione in piena
sicurezza dell'eterologa. Senza un coordinamento, di fatto sarà possibile dichiarare di aver donato gameti in
una Regione e poterlo fare anche in tutte le altre. Ho sempre sostenuto la necessità del Registro per la
sicurezza delle donazioni, specie per quelle con gameti importati. Nell'attesa, chi vorrà partire con le
indicazioni delle Regioni si dovrà assumere tutte le responsabilità del caso. Dunque a oggi, dal suo punto di
vista, le coppie non sono tutelate nell'intraprendere questo percorso? A mio parere no, e non sono serena.
Ma c'è un altro punto molto delicato. Quale? Nelle indicazioni cliniche per l'accesso all'eterologa previste dalle
Regioni si spiega che riguarderebbe anche coppie che hanno avuto ripetuti tentativi falliti di fecondazione
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'intervista
06/09/2014
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 1.11
(diffusione:105812, tiratura:151233)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
omologa, o embrioni o gameti di scarsa qualità. Ricordo che la sentenza della Corte Costituzionale non parla
di «eterologa per tutti», ma di condizioni di sterilità assoluta. Sicuramente i medici devono avere tutta
l'autonomia nell'esaminare i singoli casi, e valutare se ci sono o meno le condizioni di una sterilità assoluta. È
però anche vero che non ci può essere un automatismo fra fallimenti di omologa e accesso all'eterologa. Si
tratta di percorsi profondamente differenti, che coinvolgono le coppie in modo diverso, e che implicano
problematiche differenti nei nati: è necessario esserne consapevoli. E poi c'è il problema dei costi... Sì, anche
perché se tutte le omologhe fallite diventassero richieste di accesso all'eterologa i costi per il servizio sanitario
non sarebbero calcolabili. Nel decreto che avevo predisposto era specificato l'inserimento dell'eterologa nei
Livelli essenziali di assistenza, e si era anche trovata la copertura economica fino a che i Lea non fossero
stati aggiornati. Senza decreto, ogni Regione dovrà trovare le risorse per tutto questo, fermo restando che
sono solo otto quelle senza piani di rientro, che quindi hanno margini di manovra nella gestione dei fondi.
Insomma: senza una legge, chi paga? Passiamo a un altro punto decisivo della questione. C'è il rischio di
una deriva eugenetica nei criteri fissati per la selezione dei donatori? Mi sono opposta fin dall'inizio al
catalogo dei donatori, che infatti le Regioni non prevedono. Certo, se per garantire la compatibilità fra
donatore e ricevente si dovessero scegliere carnagione, occhi e capelli, magari confrontando le foto, quello
che abbiamo fatto uscire dalla porta rientra dalla finestra. Vedremo come si muoveranno i centri. Io rimango
dell'idea che su questo argomento debba essere il Parlamento a stabilire i limiti. La possibilità di questa
selezione è prevista, per esempio, nella delibera della Regione Toscana. Su questo devono rispondere gli
amministratori della Regione Toscana. Prima dell'estate, proprio ad Avvenire, lei ha dichiarato l'intenzione di
promuovere un Piano per la fertilità che comprenda un percorso educativo più ampio per le coppie, con la
sensibilizzazione necessaria sui temi del concepimento e della procreazione soprattutto per i giovani. Sta
prendendo corpo? Abbiamo emanato il decreto ministeriale di costituzione e il gruppo di lavoro sarà
presentato proprio nei prossimi giorni. Un altro punto che sta particolarmente a cuore al dibattito pubblico da
mesi a questa parte è la spinosa questione di Stamina. A che punto sono i lavori del comitato ministeriale?
Attendiamo per la fine del mese i risultati del comitato. E per quanto riguarda invece la questione della
"marijuana di Stato", che a quanto pare sarà prodotta dall'Istituto farmaceutico militare di Firenze, qual è la
sua opinione in merito? Ho già detto in passato d'essere d'accordo sull'impiego di farmaci derivati da
cannabis a uso esclusivamente terapeutico. È evidente che questo non può e non deve essere confuso con
la liberalizzazione dell'uso della marijuana tout court, cui sono fermamente contraria. Il centro di Firenze ha
tutti gli standard per procedere in sicurezza.
Foto: Il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin
08/09/2014
Il Gazzettino - Venezia
Pag. 13
(diffusione:86966, tiratura:114104)
Idroambulanza, approdo quasi pronto
CHIOGGIA - L'ospedale di Chioggia presto avrà l'approdo per l'idroambulanza. Il responsabile operativo
provinciale del 118 Paolo Caputo e il primario del Pronto soccorso di Chioggia Andrea Tiozzo hanno fatto un
sopralluogo nei giorino scorsi per valutare le tratte da Venezia a Pellestrina e da Pellestrina a Chioggia.
Un'operazione fondamentale per verificare la qualità dei canali navigabili, i tempi medi di percorrenza, i
problemi che si potrebbero incontrare durante un soccorso: il tutto per valutare al meglio i lavori da
programmare per l'arrivo di una idroambulanza a Chioggia, mentre la ditta Scutari ha cominciato lo scavo del
canale. «Ancora poche settimane - ha dichiarato il direttore generale dell'Asl 14 Giuseppe Dal Ben - e anche
l'ospedale di Chioggia avrà il suo approdo. Si costituirà così un servizio di idrosoccorso lagunare che mette in
collegamento gli approdi dell'ospedale Civile e di piazzale Roma a Venezia, del Lido, di Santa Maria del Mare
a Pellestrina, con quello dell'ospedale clodiense. Un servizio di emergenza rivolto in particolar modo agli
abitanti di Pellestrina che potrebbero, in alcuni casi, venire dirottati verso Chioggia anziché verso Venezia».
M.Bio. © riproduzione riservata
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
SANITÀ Proseguono i lavori all'ospedale e per lo scavo del canale
08/09/2014
Il Gazzettino - Venezia
Pag. 16
(diffusione:86966, tiratura:114104)
«Non si cambiano le regole» Portogruaro contro Cereser
«Non si possono cambiare "in corsa" le regole sulle votazioni della Conferenza dei sindaci. Portogruaro non
intende subire limitazioni o penalizzazioni sui servizi sanitari». È ancora una volta unanime la posizione della
Conferenza dei capigruppo consiliari, che si sono incontrati l'altra sera, su convocazione del sindaco
Bertoncello, per un aggiornamento sulla sanità e sul progetto dell'ospedale unico dopo le novità emerse dalla
riunione dell'esecutivo dell'assemblea dei primi cittadini dello scorso 1 settembre. La posizione dei
capigruppo è quella più volte espressa: no all'ospedale unico, sì all'ospedale di rete su due poli e alla
qualificazione dei servizi territoriali. «Sullo studio dei tecnici - affermano i capigruppo in una nota condividiamo le osservazioni dell'Amministrazione comunale (e cioè che l'eventuale sede ideale dell'ospedale
unico è Portogruaro e non San Donà) e chiediamo che prima di qualsiasi decisione vengano approfondite
tutte le questioni. In ogni caso - proseguono - risulta inaccettabile che le regole sulle votazioni della
Conferenza dei Sindaci vengano cambiate in corsa». Il riferimento è in particolare alle dichiarazioni del
sindaco di San Donà Cereser che ha proposto su questo tema il voto ponderato, cioè in base al numero degli
abitanti. «Le scelte da attuare non possono stravolgere i servizi socio sanitari del Veneto Orientale e nello
specifico del Portogruarese. Il rispetto delle comunità e della parità di condizioni sui servizi - concludono i
capigruppo - non possono essere messi in discussione. Abbiamo lanciato per primi l'idea di un referendum
ma le azioni di contrapposizione fra territori non ci piacciono. La voce dei cittadini deve essere sentita ma per
ottenere risultati positivi per tutti. Questo è il compito delle istituzioni». © riproduzione riservata
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Teresa Infanti PORTOGRUARO
06/09/2014
QN - Il Giorno - Milano
Pag. 18
(diffusione:69063, tiratura:107480)
Circolare Areu: fate solo quel che fanno i volontari
STEFANO CASSINELLI
di STEFANO CASSINELLI - MILANO - METTERE un medico in ambulanza potrebbe essere vietato se
passerà la linea introdotta da Areu in Lombardia. Chiunque dovesse scegliere se andare in barca a vela con
Giovanni Soldini o con un dottore, sceglierebbe il velista professionista e secondo logica quando qualcuno
fosse chiamato a formare un equipaggio di un'ambulanza preferirebbe il medico allo sportivo. Ma questa
logica è annullata da "Ordine 100" con cui l'Agenzia regionale per le emergenze e urgenze chiede con
decisione a medici e infermieri di non fare i volontari sulle ambulanze, dove sono evidentemente preferiti
ingegneri, muratori, sarti o macellai. UNA SCELTA che sta mettendo in subbuglio gli operatori sanitari di tutta
Italia e che il giurista toscano Luca Benzi, specializzato in professioni sanitarie e biodiritto, non esita a definire
«assurda e inspiegabile». L'esperto infatti spiega: «Appare assurdo e misterioso il motivo per cui l'Azienda
regionale per le emergenze e urgenze della Lombardia vada contro i propri interessi facendo di tutto per
impedire a medici e infermieri qualificati di operare sulle ambulanze come volontari. Appare inspiegabile».
"Ordine 100" è un documento con cui Areu di fatto chiede a medici e infermieri di non fare i volontari sulle
ambulanze, ma nel caso lo facciano dovranno fare un corso e se attueranno pratiche mediche o
infermieristiche lo faranno sotto la loro responsabilità. "ORDINE 100" è già stato pesantemente criticato dal
Sindacato dei medici italiani che ne ha chiesto l'immediato ritiro perché lesivo della professionalità, chiedendo
l'intervento dell'Ordine e affermando che «è un'assurdità perché un medico abilitato è tenuto sempre a
esercitare la professione, se non lo fa incorre nel reato di omissione di soccorso, quindi non si capisce quale
è la ratio di questa, a dir poco, anomala disposizione dell'Areu». Benci entra da giurista nel dettaglio del
provvedimento: «Siamo al di fuori della ragionevolezza se pensiamo che un medico che viene da un percorso
formativo deve fare un corso, che in alcuni casi è fatto da volontari che fanno altro di lavoro, per poter fare il
soccorritore in ambulanza. Inoltre "Ordine 100" è anche vagamente minaccioso perché afferma che le
procedure mediche saranno eseguite sotto la loro responsabilità e si creeranno difficoltà organizzative. Il
motivo di questo ordine è sconosciuto e non è comprensibile la logica». SECONDO il legale una chiamata al
118 da cui poi parte l'intervento di Areu può comportare una sottovalutazione della situazione reale e «quindi
trovarsi un volontario medico o infermiere sull'ambulanza dovrebbe essere perfetto per Areu perché
metterebbe anche al riparo da eventuali errori. Questo documento deve essere ritirato». Tra i medici si sono
ipotizzati anche rilievi penali rispetto: «Questo documento contiene illegittimità, ma non penali. Areu non può
chiedere a un medico di non fare il suo dovere. Quando un medico non si attiva secondo le sue conoscenze
può esporsi al rischio di omissione di soccorso, Areu inoltre dice che il medico non deve usare medicinali o
strumenti medici, ma se un dottore ha medicine, strumenti e conoscenze non può non utilizzarli perché il quel
momento è un volontario. Inoltre Areu non ha dato alcuna spiegazione delle motivazioni di questo ordine».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Sanità, equipaggi del 118: medico a bordo, meglio di no Camici bianchi in
subbuglio
06/09/2014
QN - Il Giorno - Milano
Pag. 5
(diffusione:69063, tiratura:107480)
Venti posti letto in più per i malati cronici Il Bassini apre un nuovo reparto
ad hoc
ANDREA GUERRA
di ANDREA GUERRA - CINISELLO BALSAMO - VENTI POSTI letto, 800 metri quadri, 12 camere a uno o
due posti letto. E un milione e 300mila euro di investimenti. Sono i numeri del nuovo reparto Sub Acuti,
inaugurato ieri mattina al terzo piano dell'Ospedale Bassini di Cinisello Balsamo. Presenti per l'occasione il
direttore generale dell'azienda ospedaliera Icp (Istituti clinici di perfezionamento) Alessandro Visconti, il
sindaco di Cinisello Balsamo Siria Trezzi e il vicepresidente della Regione Lombardia, Mario Mantovani, che
ha anche la delega alla Sanità. IL REPARTO è dedicato ai cosiddetti pazienti fragili, principalmente anziani
che necessitano di un'assistenza medico-infermieristica specializzata e di terapie di media complessità, ma
anche malati cronici, che non richiedono ricovero in un reparto per pazienti acuti, o che hanno un preciso
piano terapeutico da eseguirsi in un ambiente protetto. «In tutta la Regione sono circa tremilioni le persone
affette da cronicità e pluricronicità: uno dei temi su cui ci stiamo interrogando è la presenza di anziani che
necessitano di un'assistenza specializzata. Per questo credo che il reparto che inauguriamo oggi si inserisce
in maniera corretta in questo solco e va nella direzione giusta», ha detto il vice governatore Mantovani. Che
ha riservato i complimenti alla struttura cinisellese: «Congratulazioni per l'aria che si respira entrando in
questo ospedale - ha aggiunto nella conferenza in Aula Magna -. L'accoglienza che avete riservato a me oggi
è il segno distintivo della qualità della sanità lombarda». IL NUOVO reparto si apre al terzo piano. Occupa
circa 800 metri quadrati e per ora è stato attrezzato con 20 posti letto anche se, parola di Alessandro
Visconti, «possiamo anche arrivare a 24». Dodici le camere pronte ad accogliere i pazienti, tutte dotate di
servizi igienici, televisore e climatizzatore: due di queste sono riservate ai pazienti che hanno specifiche
problematiche e necessitano di un ulteriore isolamento per problemi, per esempio, di natura infettivologica. I
lavori sono stati realizzati grazie a un finanziamento regionale per un importo di circa 1,3 milioni di euro. «I
successi dell'Ospedale Bassini, come quello che celebriamo qui oggi, sono motivo di orgoglio per la nostra
città ma anche per tutti i cittadini», ha detto il sindaco di Cinisello, Siria Trezzi. L'inaugurazione, con tanto di
taglio del nastro e di benedizione da parte del cappellano don Luigi Lesmo e del parroco di Sant'Ambrogio
don Alberto Capra, è solo la punta dell'iceberg di una lunga lista di interventi migliorativi messi in atto al
Bassini. «Tra le prossime opere in programma - ha dichiarato il direttore generale Icp Visconti -, dobbiamo
annoverare anche il restyling del reparto di Medicina fisica riabilitativa al sesto piano». Image:
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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CINISELLO BALSAMO L'ASSESSORE REGIONALE MANTOVANI ALL'INAUGURAZIONE
06/09/2014
Il Manifesto - Ed. nazionale - editoriale
Pag. 1
(diffusione:24728, tiratura:83923)
È la fine di un tabù
Luigi Manconi, Antonella Soldo
Finalmente una buona notizia. O almeno così sembra. Sarebbe prossimo, cioè, il parere favorevole del
ministero della Salute per l'avvio di una produzione di cannabis medicinale presso lo Stabilimento chimico
farmaceutico militare di Firenze. Se davvero così fosse, dovremmo esserne soddisfatti. Innanzitutto perché
questa misura potrebbe introdurre una rilevante cesura nei processi di stigmatizzazione della cannabis come
droga letale: una convinzione così pervicacemente impressa (e con effetti così perniciosi) tanto nella
mentalità diffusa quanto nel senso comune di molte categorie: medici e operatori sociali, legislatori e opinion
leaders. CONTINUA|PAGINA8 DALLA PRIMA
Una interdizione morale e ideologica, che ha finito con l'assumere nel corso del tempo il peso di un vero e
proprio tabù. Il che ha prodotto profonde conseguenze sia sul piano della ricerca scientifica che su quello
dell'organizzazione sanitaria e, infine, nella sfera delle politiche pubbliche. Ora, sembra che si sia arrivati a un
passaggio cruciale: è in via di formulazione e di definitiva stesura un protocollo tra i ministeri della Difesa e
della Salute, frutto di una discussione che ha coinvolto esperti e tecnici dei due ministeri e l'Istituto superiore
di sanità. E si va verso la decisione di affidare allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze
l'incarico di preparare farmaci cannabinoidi. E' esattamente quanto abbiamo proposto a partire dal gennaio
del 2014 attraverso un disegno di legge, una conferenza stampa, alcuni convegni e numerosi articoli (anche
su queste stesse colonne). Accanto al diritto, davvero intangibile, all'auto-coltivazione per uso medico
personale da parte dei pazienti, va assicurata una produzione industriale, magari pubblica, dal momento che
finora non una sola azienda farmaceutica italiana ha chiesto la relativa licenza. Ebbene, quello Stabilimento
di Firenze, dipendente dal ministero della Difesa, ci è sembrata la sede più adeguata per una coltivazione
controllata e garantita. La proposta, che aveva sollecitato l'interesse della direzione dell'istituto, era stata
accolta con il massimo favore da parte del ministro della Difesa, Roberta Pinotti. E fu proprio il sottosegretario
di quel ministero, Domenico Rossi a illustrare - durante il convegno «La cannabis fa bene, la cannabis fa
male» organizzato da «A buon Diritto» e dall'Associazione Luca Coscioni - la «capacità tecnica dello
Stabilimento, con uno spettro che potrebbe andare dalla coltivazione al confezionamento», sottolineando,
tuttavia, l'esigenza di raggiungere un accordo con il ministero della Salute. Quell'intesa oggi sembra a portata
di mano. La tragedia è che ci sono voluti sette anni e tante sofferenze inascoltate perché si arrivasse a
questo primo risultato. Risale, infatti, al 2007 il decreto ministeriale firmato da Livia Turco che inserisce il Thc
e altri due farmaci analoghi di origine sintetica (il Dronabinol e il Nabilone) nella tabella delle sostanze
psicotrope con attività farmacologica, riconoscendone così la legittimità dell'utilizzo in ambito medico. Nel
2013 un ulteriore decreto, emanato dal ministro della Salute Renato Balduzzi, sancisce l'efficacia
farmacologica dell'intera pianta della cannabis. Nel frattempo undici regioni (Puglia, Toscana, Marche,
Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Abruzzo, Sicilia, Umbria, Basilicata, Emilia Romagna) hanno approvato
leggi sulla cannabis medicinale. Questi provvedimenti, sebbene disomogenei tra loro, convergono tutti nel
prevedere l'erogazione di quei farmaci con spese a carico dei rispettivi servizi sanitari regionali. Nonostante
questi dispositivi, però, i numeri raccontano tutt'altro: solo 40 pazienti nel 2013 hanno avuto accesso a quella
terapia. Gli ostacoli sono in primo luogo di natura culturale: il personale sanitario non è adeguatamente
informato e medici e farmacisti il più delle volte sono riluttanti a fornire i cannabinoidi. A ciò si aggiunge un iter
burocratico complesso e farraginoso. Al presente, questa la procedura: medico curante, azienda sanitaria,
ministero della Salute, mercato estero, importazione, farmacia ospedaliera e infine paziente. Ciò porta il costo
del prodotto a livelli altissimi, così che un mese di assunzione del farmaco può comportare una spesa di
molte centinaia di euro. L'esito è che ancora oggi troppi pazienti si riforniscono al mercato nero.
In conclusione, si può dire che questa vicenda, e il suo probabile risultato positivo, sono sommamente
istruttivi: se anche l'uso terapeutico della cannabis è tuttora gravato da un tabù così pesante da impedirne la
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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MARIJUANA DI STATO
06/09/2014
Il Manifesto - Ed. nazionale - editoriale
Pag. 1
(diffusione:24728, tiratura:83923)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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piena utilizzazione, si può ben capire perché una ragionevole legalizzazione per uso ricreativo incontri tanti
ostacoli. Non è un caso che nel momento stesso in cui sembra accertato il consenso del ministro della Salute
alla produzione di cannabis medica, il primo interesse di Beatrice Lorenzin sembra quello di affermare la sua
irresistibile, impermeabile e inossidabile opposizione a ciò che ella chiama «liberalizzazione». Ci cascano le
braccia.
E' da quarant'anni che gli antiproibizionisti insistono su un punto cruciale: quello vigente oggi in Italia è
propriamente un regime di liberalizzazione. Ovvero un sistema che permette a chiunque, a qualunque ora del
giorno e della notte, in qualsiasi via o piazza di qualunque città, di acquistare una qualsivoglia sostanza
stupefacente presso un'estesa rete di esercizi commerciali: gli spacciatori. Come si vede, un vero e proprio
regime di liberalizzazione (illegale).
All'opposto, ciò che vorremmo è una normativa di regolamentazione uguale a quella adottata per altre
sostanze perfettamente legali e il cui abuso produce danni assai maggiori di quelli determinati dall'abuso di
derivati della cannabis. Dunque, produzione, distribuzione e commercializzazione a carico dello Stato, con
adeguata tassazione, e con limiti e vincoli. Ma è davvero così difficile intenderlo?
07/09/2014
Libero - Ed. nazionale
Pag. 22
(diffusione:125215, tiratura:224026)
(A. S.)
Una survey on line è stata realizzata dalla Daiichi Sankyo insieme alla Società del Ritmo Cardiaco tra 1100
cardiologi in Brasile, Francia Germania, Giappone, Spagna, Regno Unito e USA esaminando la gestione
della Fibrillazione Atriale Non Valvolare e il rischio di sanguinamento, la 'storia' dello stroke emorragico e le
eventuali complicanze del paziente. L'indagine ha evidenziato che il fattore più importante nella scelta del
trattamento per la prevenzione dell'ictus è il profilo di efficacia generale del farmaco. "Una quota significativa
di pazienti con NVAF che dovrebbe ricevere un trattamento per l'anticoagulazione non sta ricevendo alcuna
terapia anticoagulante orale (OAC) - ha detto Hugh Calkins, ultimo Past President della Heart Rhythm
Society - e nei paesi presi in esame quasi tutti i cardiologi hanno riferito che i pazienti NVAF probabilmente
hanno 'sofferto' un ritardo nella diagnosi". Secondo Wolfhard Erdlenbruch, direttore esecutivo Medical Affairs
di Daiichi Sankyo "si tratta di risultati che sottolineano inoltre che un approccio 'uguale per tutti' non è
certamente il modo ideale di gestire i pazienti con NVAF". Tutti i cardiologi (98%) ritengono che nei pazienti
NVAF si può facilmente verificare un ritardo nella diagnosi, soprattutto perché sono asintomatici (86%), ma
anche a causa della scarsa consapevolezza tra i medici di famiglia, medici di medicina generale (40%) e, in
parte, degli stessi pazienti(36%). Sempre secondo il sondaggio l'84% dei cardiologi crede che l'assistenza
coordinata tra gli operatori sanitari sia importante per la gestione della NVAF, ma solo un terzo degli
intervistati (33%) ritiene che questo tipo di approccio 'integrato' per la gestione della NVAF sia oggi nei vari
paesi ad un livello adeguato. Purtroppo gli stessi cardiologi riferiscono che poco meno della metà dei loro
pazienti con NVAF hanno un caregiver e il 73% degli intervistati ritiene che i pazienti con un caregiver siano
in grado di gestire meglio la loro condizione di quelli senza una badante.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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FIBRILLAZIONE ATRIALE NON VALVOLARE (NVAF) LE CURE TROPPO
DIVERSE DA UN PAESE ALL'ALTRO
08/09/2014
Il Secolo XIX - Genova
Pag. 21
(diffusione:103223, tiratura:127026)
Esenti ticket, in coda per gli esami
«Non paga? Allora va dopo gli altri». La Asl apre un'indagine sui centri di diagnostica privati L'AZIENDA La
dirigente Rebagliati: «Escludo che ci sia stata una direttiva da parte della Asl »
EMANUELE ROSSI
NON SI PAGA il ticket, sui raggi, ma il tic-tac. Nel senso del tempo perso, perché messa in coda in quanto
esente dal pagamento della compartecipazione alla spesa sanitaria, in una struttura privata genovese
convenzionata con la Asl3. «Se non paga il ticket deve andare dopo gli altri, perché la Asl non ci rimborsa», si
è sentita dire al centralino al momento della prenotazione. L'episodio è stato denunciato al SecoloXIX da M.
U., una paziente genovese con esenzione CO3, che significa essere invalidi civili con riduzione della capacità
lavorativa dei due terzi, dal 67% al 99% di invalidità. L'esenzione, in Liguria, riguarda tutte le prestazioni,
quindi visite ed esami inclusi. E la donna aveva bisogno di una lastra al bacino. «Il mio medico di famiglia mi
ha fatto la ricetta per una lastra al bacino, senza indicare l'urgenza della prestazione - racconta la donna però
ho deciso di rivolgermi ai centri privati in convenzione, per paura di dover aspettare troppo tempo se fissavo
un appuntamento in ospedale». Prima, quindi, la donna ha chiamato i centralini della Iro di via San Vincenzo,
secondo il suo racconto, «mi hanno subito chiesto se ero esente dal pagamento ticket e ho detto di sì, ma
non sapevo perché me lo chiedessero. Poi mi hanno fissato l'appuntamento per la metà di settembre. Troppo
tardi, però, perché mi fa male e allora ho provato all'istituto Morgagni di corso De Stefanis (che adesso fa
parte del gruppo "Baluardo", ndr). «Anche lì mi sono sentita chiedere se ero esente al pagamento del ticket e
allora ho chiesto perché e mi hanno detto che se ero esente sarei passata in coda ad altri esami». Una
risposta che lascia interdetta la donna, che chiede ulteriori spiegazioni: «Mi hanno detto che siccome la Asl
non paga più avevano questo tipo di politica e che non ci si poteva fare niente. Allora ho telefonato all' ufficio
relazioni pubbliche della Asl 3 e poco dopo mi hanno richiamato dal centro, fissandomi l'esame a distanza di
pochi giorni, come per magia». Sin qui, il racconto della paziente. Ma davvero nei centri diagnostici privati chi
è esente dal pagamento del ticket viene messo "in coda" rispetto ad altri pazienti? Il SecoloXIX ha chiesto
lumi alla sede del "Baluardo" di calata Mandraccio. «Mi sembra una ricostruzione strana - spiega la
dottoressa Paola Deanno del Baluardo - perché nel nostro centro di corso De Stefanis non si fa radiologia in
convenzione con la Asl, quindi la signora avrebbe dovuto pagare comunque, senza distinzione tra esenti
ticket o meno». Ma che l'ipotesi non sia campata in aria lo conferma la stessa dottoressa: «Probabilmente la
signora si è confusa, non si tratta di noi. Ma nei centri convenzionati le prestazioni vengono svolte in
convenzione (quindi la Asl le rimborsa poi al centro) sulla base di un budget assegnato dall'azienda sanitaria
a inizio anno a ciascuna struttura, una dotazione che è stata ridotta negli ultimi anni». Oltre quel budget, il
centro può decidere se offrire comunque la prestazione dietro presentazione di ricetta rossa, ma rischia che
non gli venga rimborsato. «Noi calcoliamo il budget su base mensile, altri centri annuale. Ma si può ipotizzare
che un centro decida di fare più tardi gli esami non urgenti esenti dal pagamento del ticket
perché"consumano" una parte maggiore del budget a disposizione». Mentre con il pagamento del ticket in
cassa al centro rimane subito denaro contante. Insomma, una pratica poco corretta e non ammessa, ma non
certo impossibile, altrimenti non si spiegherebbe il perché della richiesta sull'esenzione prima ancora di
effettuare la prenotazione. Di certo c'è che per la Asl3 non è un comportamento corretto e l' Ufficio relazioni
pubbliche di via Bertani annuncia che sull'accaduto denunciato da M. U. aprirà un'indagine: «A noi non risulta
che venga praticata questa prassi dai centri con i quali siamo in convenzione, perché non sarebbe regolare.
Quanto ai pagamenti, la Asl paga con regolarità e senza ritardi. Può essere vero che il budget viene spesso
esaurito prima del limite dai centri, ma non certo a inizio settembre. Vogliamo vederci chiaro», spiega il
responsabile dell'unità operativa cure primarie Lorenzo Bistolfi. Indicazione ribadita con forza da Bruna
Rebagliati, direttrice sanitaria dei presidi ospedalieri della Asl3: «Quello che posso escludere con certezza è
che ci sia stata una direttiva da parte della Asl in questo senso, ma non che ci sia stato un comportamento
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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IL CASO DALLA DENUNCIA DI UNA PAZIENTE
08/09/2014
Il Secolo XIX - Genova
Pag. 21
(diffusione:103223, tiratura:127026)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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scorretto da parte di qualche centro privato. In ogni caso, indagheremo perché sarebbe un'azione grave, visto
che l'esenzione ticket dà diritto esattamente alle stesse condizioni di trattamento di chi lo paga».
[email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Il caso segnalato al Secolo XIX da una paziente ha spinto l'Asl ad aprire un'inchiesta sui centri
convenzionati
08/09/2014
Il Secolo XIX - Genova
Pag. 21
(diffusione:103223, tiratura:127026)
«LA CENTRALINISTA E QUELLA DIAGNOSI PER TELEFONO, POVERA
SANITÀ PUBBLICA»
L'INCONTRO con la sanità pubblica passa quasi sempre da un centralino. E insieme a migliaia di casi di
centralinisti che si prodigano ben oltre il loro ruolo per fissare appuntamenti secondo le esigenze dei pazienti,
ce ne sono altri che si improvvisano medici e fanno diagnosi per telefono, facendo imbufalire i pazienti. Uno
di questi è raccontato da Fabrizio C., genovese padre di un bambino di quattro anni, che voleva portare suo
figlio a fare una visita oculistica e prenotare una visita vascolare. «Non che ci siano problemi preoccupanti
ma, essendo entrambi genitori miopi, vogliamo rassicurarci con una visita di controllo spiega l'uomo - Il nostro
medico, inoltre (preciso che è un oncologo), ci compila una richiesta per una visita vascolare a causa di un
angioma piano che il bimbo ha sul polpaccio destro e che, col passare del tempo, ha iniziato ad espandersi.
Chiamiamo il Cup (della Asl3) con i certificati del pediatra ed una centralinista, marcatamente scortese,
pretende di farci una diagnosi telefonicamente senza aver mai visto il bambino. Ci chiede di tastarlo e di
vedere che succede, risponde che dobbiamo tornare dal pediatra e farci fare una richiesta per una visita
dermatologica. È a questo punto che mia moglie le porge la fatidica domanda: "ma lei è un medico?". Alla
risposta negativa mia moglie incalza seccata di prenotare l'esame richiesto. La risposta ci lascia spiazzati:
"Non c'è posto prima di febbraio 2015!"». Meglio invece per la visita oculistica, che glòi viene fissata al 4
sdettembre scorso. Ma anche in questo caso Fabrizio C. non ha un buon ricordo: «L'appuntamento è alle 10:
dottori se ne vedono ovunque, vanno e vengono per i corridoi: qualcuno cammina più velocemente, altri
passeggiano e chiacchierano tra loro, c'è chi ti rivolge persino un educato sorriso ma passa e va oltre ...
Anche il tempo passa e arrivano le 11:30 quando finalmente mia moglie viene chiamata all'interno
dell'ambulatorio (l'unico posto dove di dottori non c'è ombra - la vista viene fatta da laureandi che avranno
all'incirca vent'anni). Comincio a pormi infinite domande: "ma a che serve prenotare un appuntamento se si
rimane per ore in sala d'attesa? Perché non pagare il ticket e presentarsi direttamente senza telefonare al
CUP? E chi lavora? Basteranno due ore di permesso? Perché i dottori esistono solo nei corridoi?». Alla fine
l'amara conclusione: «Qualcuno mi ha suggerito che avrei dovuto fare tutto privatamente. La mia risposta è
no, non voglio! Perché non me lo posso permettere e perché non voglio cadere nella trappola tesa per indurti
a non usufruire della Sanità Pubblica. Non entro nel merito della professionalità per non incorrere nello stesso
errore compiuto dalla "solerte" centralinista. Resta, però, una mia ferma convinzione che se ci fosse più
serietà nell'organizzazione e soprattutto una maggiore considerazione per chi versa in una situazione di
bisogno forse si riuscirebbe a vivere in un mondo migliore. Un mondo a misura d'uomo fatto di cortesia, di
rispetto e di quella spensieratezza che è propria dei bambini e ai quali, nostalgicamente, invidio loro ogni
giorno».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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LO SFOGO DI UN GENITORE CHE DEVE ASSISTERE IL FIGLIO IL CASO
07/09/2014
Il Tempo - Roma
Pag. 5
(diffusione:50651, tiratura:76264)
Lavori eterni all'ospedale Nove milioni in 9 anni
Sperperi senza fine e la Regione stanzia altri fondi
Antonio Sbraga
TIVOLI Al nono anno di lavori anche il conto si adegua: 9 milioni di euro. A tanto ammonterà il costo
complessivo della ristrutturazione dell'ex Monte di pietà di Tivoli dopo il nuovo finanziamento di «circa 1,3
milioni di euro per i lavori di restauro e recupero funzionale» del Palazzo Cianti attiguo al nosocomio. Stavolta
i fondi sono quelli appena concessi dal Ministero dell'Economia alla Regione per l'edilizia sanitaria. Ma il
cantiere non è nuovo: è aperto dal 2005, quando la Regione già finanziò per 7 milioni e 746 mila euro il
«progetto esecutivo di ristrutturazione e completamento» del palazzo fatto erigere nel XVII secolo dal
vescovo della Marsica per combattere l'usura. Ma non contro quella arrecata dal passare del tempo: la
struttura, dopo quasi 40 anni di completo abbandono, ha infatti richiesto diversi interventi pur di essere in
grado di poter ospitare la scuola infermieri, oltre ad uffici, servizi e reparti dell'ospedale. Tutti però in attesa
del trasloco da quasi 9 anni, ossia da quando Palazzo Cianti è ostaggio di un cantiere infinito, che nel
gennaio scorso ha visto approvare anche nuove varianti in corso d'opera, «finalizzate al miglioramento e alla
sua funzionalità che non comportano aumento dell'importo del contratto». Ora con questa nuova tranche di
finanziamenti del Mef il cantiere dovrebbe completare l'agognato restyling, «ma non capiamo quali altri tipi di
interventi di restauro e recupero funzionale siano necessari adesso - chiede il responsabile del sindacato
Fials, Vittorio Iannotta- dopo quasi 9 anni di un analogo cantiere per la «ristrutturazione e il completamento»
del Palazzo che, da tempo, peraltro, è stato annunciato dall'Asl Rm G come prossimo alla riapertura». Ma gli
slittamenti dei cronoprogrammi si segnalano anche negli altri ospedali dell'Asl Rm G, interessati da lunghi
«lavori in corsia». A Colleferro 7 anni dopo l'avvio dei «lavori di ristrutturazione, completamento e messa a
norma» del nosocomio, passati tra ben 4 avvicendamenti di diverse società nell'appalto da 12 milioni e 911
mila euro, c'è stato bisogno di un'ennesima perizia perché lo scorso anno «sono sopraggiunte nuove
esigenze che hanno richiesto la redazione di una nuova variante, diversa da quella approvata nel marzo
scorso e non ancora ratificata dalla Regione». Cantieri a rilento anche per il progetto-pilota della prima Casa
della Salute del Lazio a Palombara (6 milioni e 918 mila euro), attesa da 8 anni.
INFO Vanno a rilento anche i lavori dell'ospedale di Palestrina costo di 9 milioni e 812 mila euro, quelli di
messa a norma e ristrutturazione dell'ospedale di Subiaco spesa di 2 milioni e 179 mila euro Ritardi
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Tivoli Ancora lontano il trasloco del Monte di Pietà a Palazzo Cianti
08/09/2014
Il Tempo - Roma
Pag. 2
(diffusione:50651, tiratura:76264)
Ecco i prossimi tagli Via altri 531 letti
Non c'è pace per le strutture romane Nuovo provvedimento entro 2 settimane
Antonio Sbraga
Come una recidiva, la patologia del maxi-deficit torna ad aggredire 4 anni dopo il corpaccione debilitato della
sanità romana, che ha già subito amputazioni per 2280 posti letto nel 2010 con il decreto 80. Ma, per salvare
il tessuto economicamente sano e far rientrare nei parametri l'assistenza ospedaliera pubblica e privata
convenzionata di Roma e provincia, nei prossimi mesi il bisturi dei tagli tornerà ad affondare i suoi colpi, con
una sforbiciata di altri 531 letti, portando a 2811 il computo complessivo dei posti, per acuti e post-acuzie,
perduti in soli 4 anni. IL NUOVO DECRETO Entro giovedì 25, infatti, la Regione dovrà emanare «una
revisione del documento di programmazione relativo alla rete ospedaliera», ossia il Decreto commissariale 80
risalente al 2010. Cosa resterà del Decreto 80 verrà fissato in un nuovo atto «con individuazione per singola
struttura del numero dei posti letto suddivisi per area assistenziale medica, chirurgica, intensiva-subintensiva, materno-infantile-pediatrica, mantenendo la specificità per la specialità di psichiatria, malattie
infettive e post-acuzie». Ma, già da adesso, è certo che «l'intervento proposto prevede una riduzione
massima di 395 posti letto per acuti nel pubblico, pari al 58% della riduzione, e 287 nel privato accreditato, ivi
compresi gli ospedali classificati». Mentre, per quanto concerne le «post-acuzie si prevede un incremento di
73 posti letto nel pubblico ed una riduzione di 5 posti letto nel privato accreditato». IL TAGLIO DI 531 LETTI
Con un saldo, appunto di 531 letti tagliati a partire dal 2015, che si andranno a sommare ai 2280 amputati nel
2010 fra Roma e provincia. Perché, come specificato nei «programmi operativi 2013-2015» della Regione, la
«riduzione dell'offerta ospedaliera per acuti, principalmente, sarà nell'area metropolitana di Roma dove il
numero di posti letto per abitante è al di sopra dello standard di 3 per mille». Nell'intera Regione la
«diminuzione della dotazione dei posti letto» negli ultimi 4 anni è già passata da «4,5 ogni mille abitanti a
3,9». Ma non basta. Soprattutto nella capitale, dove la dieta prescritta per ora prevede altre rinunce dolorose.
A partire dalla «totale dismissione del Presidio ospedaliero Forlanini con trasferimento dell'attività sanitaria al
Presidio ospedaliero San Camillo», ossia i 59 residui posti letto scampati alla mannaia del Decreto 80 di 4
anni fa. FORLANINI E CTO In Regione «sono in corso valutazioni per definire la nuova destinazione ad uso
istituzionale dell'immobile», ossia i 600 mila metri cubi del grande nosocomio inaugurato nel 1934. E, se
ancora non è nota la fine della struttura del Forlanini, è invece già decisa la «Vendita d e l l ' i m m o b i l e del
CTO (Centro ]Traumatologic o Ospedaliero) con focalizzazione della mission assistenziale in sinergia
all'Istituto assicurativo Inail».È previsto il «trasferimento di parte delle attività del Cto al Sant'Eugenio». Però,
malgrado il «mantenimento dell'Unità Spinale Unipolare all'interno del presidio ospedaliero unificato
Sant'Eugenio-CTO, con incremento dei posti letto, da 16 a 32, ed attivazione di un'area di Terapia Intensiva
dedicata», il mantenimento del «polo ortopedico-riabilitativo avrà tra i 100 e i 120 posti letto», quindi 24 in
meno degli attuali 144 (che fino al 2010 erano 215 prima del taglio dei 71 letti apportato dal Decreto 80).
S.FILIPPO NERI E S. SPIRITO Anche il San Filippo Neri subirà una «rimodulazione dei posti letto», anche se
con la «salvaguarda delle specialità legate all'emergenza, di tutta la filiera oncologica sia medica che
chirurgica, dell'area materno-infantile e della riabilitazione». La Regione vuole «rafforzare la vocazione
dell'Ospedale S. Spirito come presidio di emergenza-urgenza, trasferendone parte dell'attività in elezione
presso il San Filippo Neri, con contestuale rimodulazione dei relativi posti letto del Santo Spirito». Che, già
nel 2010, perse 60 letti, mentre al San Filippo Neri il Decreto 80 tagliò 42 posti. EASTMAN E REGINA
MARGHERITA ADDIO Dal 2015 scatterà anche la «cessazione dell'attività di ricovero del presidio pubblico
George Eastman dell'Asl Roma A: l'attività di ricovero in regime ordinario è organizzata in 9 posti letto di
odontoiatria, e 4 posti di otorinolaringoiatria». Dunque rimarranno solo 13 posti letto, l'esatta metà degli attuali
26, dopo gli 11 già tagliati dal Decreto 80. L'Eastman verrà integrato «strutturalmente e funzionalmente
all'Azienda Umberto I» e «le attrezzature, gli ambulatori ed il blocco operatorio» manterranno la «loro
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LA CRISI DELLA SANITÀ
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Il Tempo - Roma
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operatività all'interno dell'assetto organizzativo del Policlinico». È anche prevista la «riconversione del
presidio pubblico Nuovo Regina Margherita in Casa della Salute», con la perdita dei rimanenti 4 posti letto
dopo i 16 già tagliati nel 2010. E anche «l'attività in regime di ricovero diurno, nelle more del completamento
del processo di unificazione della Asl Roma A con la Roma E, è erogata dal presidio come articolazione
organizzativa dell'Ospedale Santo Spirito». Solo dopo questi nuovi interventi si potrà fronteggiare la dolorosa
recidiva e, apportando i tagli dei 531 letti dal 2015 dopo i 2280 operati nel 2010, «la rete ospedaliera
programmata- conclude la diagnosi della Regione- risulterà in linea con le indicazioni nazionali».
Mauro Alessandri Chiedo ai vertici Asl Rm G di agire con scelte opportune, puntuali e coerenti, sul fronte dei
servizi e dell'impiego e salvaguardia del personale Giuliano Sala Ho inviato una lettera al presidente della
Repubblica, per chiedere quali azioni può mettere in atto a difesa e tutela di un bacino di 140mila utenti
Nicola Zingaretti La dotazione totale dei letti, pari a 3,9 Posti ogni mille abitanti, risulta superiore al valore di
riferimento previsto dalla Legge 135-2012 Sandro Bernardini (Uil) Nel decreto dello scorso anno era previsto
un incremento dei posti nelle Asl Rm F e G e ancora una volta non è stato rispettato nessun parametro
Foto: Sforbiciata Non c'è pace per gli ospedali della Capitale e di tutta la provincia che da anni non fanno
altro che sopportare soltato tagli e ridimensionamento non riuscendo così a contenere le richieste degli utenti
Foto: Monterotondo Il provvedimento colpirà anche il SS. Gonfalone Bracciano L'ospedale Padre Pio
nell'occhio del ciclone
08/09/2014
Il Tempo - Roma
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Le aziende locali di Civitavecchia e Tivoli hanno meno di un terzo degli standard previsti Promesse mancate
Le Asl Roma F e G avrebbero dovuto ottenere 55 posti in più La trasfromazione Tre presidi attualmente sedi
di pronto soccorso diventano area disagiata
Ant. Sbr.
La dieta imposta agli ospedali laziali rischia di far collassare anche quelli della provincia romana che, già
attualmente, sono i più carenti di letti. Il decreto atteso per il 25, infatti, taglierà nelle due Asl più povere di
posti del Lazio, che già ora dispongono di meno di un terzo dei letti previsti dagli stessi standard regionali,
circa 100 posti. Nel giro di un anno l'Asl Rm F e Rm G rischiano di passare dal promesso incremento di 55
letti alla perdita del doppio di quei posti. Ossia circa la metà dei 220 letti di cui attualmente dispongono gli
ospedali di Bracciano, Monterotondo e Subiaco, già scampati alle amputazioni del 2010, sospese anche a
causa dei ricorsi ai giudici amministrativi contro il Decreto 80. Un taglio «in contraddizione rispetto al Decreto
480 del 6 dicembre scorso- denuncia Sandro Bernardini, segretario generale della Uil Fpl di Roma e Lazio- In
quel decreto si diceva di aumentare i posti letto nelle strutture carenti, come appunto Asl Rm F ed Asl Rm G:
262 posti nell'Asl F (0,83%) rispetto ai 234 attuali e 625 nell'Asl G (1,26%) rispetto ai 598 attuali». Ora,
invece, da ospedali sede di Pronto soccorso i 3 nosocomi passeranno a «presidi di area disagiata». Che
perderanno la metà degli attuali letti per acuti e i reparti di degenza, ad eccezione di Medicina (con 20 posti
ciascuno) e «una chirurgia elettiva ridotta che effettua interventi in Day surgery o eventualmente in Week
Surgery con la possibilità di appoggio nei letti di medicina per i casi che non possono essere dimessi in
giornata». Così diventeranno i nuovi «presidi ospedalieri di base» di Bracciano, Monterotondo e Subiaco
secondo i piani operativi 2013-15 recepiti dal decreto 247. Il quale dispone anche, per il settembre 2016,
«l'apertura del nuovo Ospedale dei Castelli con circa 300 letti, che andrà a sostituire i Riuniti di Albano e
Genzano e lo Spolverini di Ariccia», con un saldo in attivo di 64 posti letto in più rispetto ai 236 complessivi
attuali. Per la riorganizzazione di Bracciano, Monterotondo e Subiaco, invece, «anche in previsione di un
rafforzamento dell'offerta di emergenza territoriale nelle 3 aree, viene avviato un monitoraggio dell'attività
finalizzato ad una riconsiderazione della loro funzione entro il 31 dicembre 2015». Per ora avranno «risposta
all'emergenza assicurata h24 da medici del Dea di I livello (Civitavecchia per Bracciano e Tivoli per gli altri 2),
posti di Osservazione Breve Intensiva, presenza h24 del mezzo di soccorso medicalizzato, elisuperficie,
laboratorio analisi per l'emergenza, servizio di teleconsulenza per la radiologia. L'attività di ricovero viene
garantita con posti letto medicina generale, di chirurgia e di Day Surgery come dall'emanando regolamento
(punto 9.2.2) della Legge 135/2012». Ma il sindaco di Bracciano, Giuliano Sala, si è già detto pronto a tornare
al Tar, dopo la vittoria al Consiglio di Stato contro la riconversione tentata dal decreto 80 del 2010, perchè
preferisce richiamarsi ad un'altra norma, la legge del 1992 che stabilisce, per il mantenimento della sede di
Pronto Soccorso, la necessaria presenza di Medicina, Chirurgia e Ortopedia ed i relativi posti letto. Invece la
proposta regionale «con la eliminazione di 40 posti letto per acuzie», abbasserebbe il rapporto letti-residenti
nell'Asl Rm F dall'attuale 0,7 allo 0,5 a fronte dello standard regionale che prevede 3 letti ogni mille abitanti.
Un «rapporto posti letto-popolazione residente che mostra di essere il più basso di tutta la Regione», come
lamenta da tempo lo stesso direttore generale dell'Asl Rm F di Civitavecchia, Giuseppe Quintavalle. Anche
l'Asl più estesa del Lazio (con i suoi 70 Comuni), la Rm G di Tivoli, Asl Rm G lamenta la «continua
diminuzione dei posti letto attivi. Attualmente, infatti, l'Azienda nel suo complesso ha a disposizione 470 posti
letto, rispetto ai 1431 necessari e stimati sulla base del fabbisogno della propria popolazione. Questa grave
carenza produce di fatto il trasferimento obbligato del paziente in altri ospedali. Lo stesso vale per gli accessi
di pronto soccorso». Con un conseguente record di mobilità passiva sia nei ricoveri (69%) che negli accessi
(34,7%).
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Il bisturi non risparmia le due Asl più povere
08/09/2014
Il Tempo - Roma
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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INFO Anziani Nel decreto della Regione si evinche anche che in tutto il Lazio anche «la dotazione dei posti
letto presso le strutture residenziali per persone della terza età non autosufficienti e di posti letto per
l'assistenza residenziale psichiatrica risulta carente». Insufficuenti anche i posti esistenti
07/09/2014
QN - La Nazione - Firenze
Pag. 27
(diffusione:136993, tiratura:176177)
Il Consiglio all'unanimità «L'ospedale non si tocca»
TUTTI D'ACCORDO sull'ospedale. Perché «riveste per l'intero territorio mugellano un ruolo importante e
imprescindibile per i servizi sanitari che ospita» e «le evidenziate criticità strutturali del plesso non devono
mettere in discussione la permanenza in Mugello di tali servizi sanitari». Lo dice il consiglio comunale di
Borgo San Lorenzo all'unanimità. Che ha discusso il tema su proposta del capogruppo della lista civica
«Cambiamo insieme», Luca Margheri, con il documento poi modificato dal capogruppo del Pd Sonia
Spacchini. Da oltre un anno i tecnici incaricati dall'Asl di Firenze lo hanno messo nero su bianco: l'ospedale
del Mugello ha gravi problemi statici e di sicurezza sismica. «A giugno - dice Margheri - l'Asl ha deliberato un
intervento di miglioramento statico strutturale, prevedendo un costo di 900mila euro. Un intervento che non
risolve affatto il problema vero, quello della sicurezza sismica. Per questo è doveroso stare addosso a Asl e
Regione. Quando s'ipotizza la demolizione e ricostruzione della struttura, ci sarà permesso di essere
preoccupati. E anche prevedere interventi di consolidamento non sarà cosa indolore per l'organizzazione
dell'ospedale. Per non parlare del fabbisogno economico, saranno necessarie decine e decine di milioni».
SONIA Spacchini nega di aver voluto edulcorare il documento presentato da Luca Margheri: «Il senso di
fondo - nota la capogruppo del Pd - è condiviso. Abbiamo voluto evitare di citare aspetti tecnici che a oggi
sono allo studio. E abbiamo detto le cose che ci stavano a cuore. Non è un tema che nasce oggi...». E il
sindaco Omoboni ricorda che grazie all'iniziativa dell'assessore alla salute Bonanni è già stato programmato
a settembre un 'Tavolo Sanità' con la presenza di sindaci e assessori mugellani, direzione sanitaria e
generale dell'Asl. Paolo Guidotti
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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BORGO SAN LORENZO ALLARME SICUREZZA
06/09/2014
La Padania - Ed. nazionale
Pag. 11
(tiratura:70000)
Prestazioni sanitarie anche alla sera e nei fine settimana. Dal 18 maggio sono state 56.235 le prenotazioni e
oltre 35.500 le cure già effettuate Allo studio anche un nuovo accordo per la gestione delle case del Comune
di Milano, che coinvolga tutta l'area metropolitana
Igor lezzi
La Regione Lombardia continua a lavorare seriamente. Ieri Roberto Maroni ha potuto snocciolare importante
provvedimenti sulla sanità e sulla casa, emergenze tra le più sentite dai cittadini. A cominciare dall'operazione
"Ambulatori aperti" che consente ai cittadini di poter usufruire di prestazioni sanitarie anche alla sera e nei
fine settimana. Dal 18 maggio sono state 56.235 le prenotazioni e oltre 35.500 le prestazioni già effettuate.
Numeri illustrati dal presidente della Regione, che ha sottolineato anche come il numero delle strutture
sanitarie coinvolte (240 in tutta la Lombardia), sia «destinato ad essere incrementato». «Durante la
sperimentazione fra maggio e luglio ha fatto notare il governatore - abbiamo rilevato l'ampio gradimento
dell'iniziativa, quindi abbiamo reso permanente la misura, offrendo un servizio importante ai cittadini». La
Regione non ha intenzione di fermarsi qui. «Il nostro obiettivo - ha spiegato infatti Maroni - è di arrivare
progressivamente alla riduzione e quindi all'eliminazione delle liste d'attesa. Un impegno costoso e gravoso,
che però possiamo coprire grazie alle risorse aggiuntive che ci vengono dal Fondo sanitario nazionale, oltre
500 milioni per il 2014 e altrettanti per il 2015, in virtù dell'applicazione dei costi standard, che proprio la
Regione Lombardia ha fortemente voluto». Somme che possono anche aumentare grazie al decisionismo
della Giunta lombarda che ieri «con una delibera ha stabilito di avviare una serie di azioni legali nei confronti
dei gruppi Novartis e La Roche per la vicenda per cui queste due società sono state condannate dall'Antitrust
a una multa di oltre 180 milioni: avrebbero favorito l'uso esclusivo del farmaco Lucentis, che ha un costo
medio di circa 900 euro, scoraggiando quello di un farmaco analogo, Avastin, avente lo stesso principio
attivo, ma con un costo di circa 80 euro. Questo avrebbe provocato, secondo l'Antitrust, un danno al Servizio
sanitario nazionale stimato, dal 2009 in avanti, in centinaia e centinaia di milioni». Il danno per la sola
Lombardia ammonta a 60 milioni «per cui abbiamo dato incarico all'Avvocatura regionale di procedere nei
confronti delle due società per il recupero giudiziale o stragiudiziale di questo importo». A breve arriverà in
giunta una delibera «che consentirà in Lombardia la fecondazione eterologa sulla quale manca una legge, è
stato raggiunto un accordo in Conferenza delle Regioni, ma ci sono ancora dettagli non trascurabili da
definire, per uniformare il comportamento delle Regioni». Anche sul fronte dell'edilizia popolare la giunta
Maroni non sta con le mani in mano: «Regione Lombardia è pronta a studiare un nuovo accordo per la
gestione delle case del Comune di Milano che coinvolga tutta l'area metropolitana». Nei mesi scorsi Aler
aveva dato la disdetta della convenzione con il comune di Milano. Grazie a questa mossa «abbiamo suscitato
una nuova valutazione, perché la vecchia convenzione non aveva più senso, a maggior ragione con l'arrivo
della Città metropolitana. Abbiamo dunque formalmente mandato la disdetta, con l'intesa di studiare un
nuovo accordo e un nuovo piano a partire da gennaio, altrimenti ognuno gestirà le proprie case». Il
presidente ha infatti spiegato che l'assessore alla Casa, Housing sociale e Pari opportunità Paola Bulbarelli
sta lavorando proprio col Comune, per arrivare a un accordo che garantisca alla Città metropolitana «i compiti
che la nuova legge stabilisce». Anche se sul tema delle nuove realtà locali regna ancora la confusione. «In
Conferenza delle Regioni - ha chiarito Maroni - si è discusso di un accordo con il Governo sul riparto delle
competenze. L'accordo che doveva essere fatto per legge entro l'8 luglio non è stato sottoscritto, perché il
Governo non ci mette i soldi. Siamo in procinto delle elezioni delle nuove Province (a fine settembre), ma non
sappiamo ancora né quali risorse né quali competenze avranno». Nel frattempo è stato preparato un elenco
con tutte le competenze trasferite alle Province (la Lombardia ne ha delegate 220) e «ora dobbiamo valutare
se lasciarle o riportarle in Regione, ma il punto fondamentale è sapere se il governo mette i soldi. Altrimenti le
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Maroni e la sanità lombarda: «Sempre più ambulatori aperti, VIA LE LISTE
D'ATTESA»
06/09/2014
La Padania - Ed. nazionale
Pag. 11
(tiratura:70000)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Province avranno le competenze, ma non le risorse». Maroni ha poi sottolineato che in Lombardia la
situazione è complicata perché, a fronte di 12 Province, la Città metropolitana partirà il 1 gennaio, 9 Province
il 1 ottobre e Pavia e Mantova rimarranno con l'assetto attuale fino al 2016. «Tramite il sottosegretario Nava ha fatto presente Maroni - stiamo incontrando i sindaci di tutte le Province, perché loro sono quelli più
direttamente interessati. Se le nuove province in materia di servizi per l'impiego, di manutenzione delle strade
e scuole non saranno in grado di svolgere queste funzioni, tutto ricadrà sui sindaci. Sono preoccupato, non
ho intenzione di ripotare qui le funzioni, perché, da federalista, voglio applicare il principio di sussidiarietà. È
chiaro che se poi le deleghe saranno date a un soggetto che non funziona, dovremo intervenire». Infine, a
due giorni dal Gran Premio di Monza, non poteva mancare una polemica con Bernie Ecclestone e con la folle
idea di cancellare questo appuntamento dal calendario di Formula Uno. «Andrò al Gran Premio - ha
assicurato il Governatore ma non parlerò con Bernie Ecclestone. Sono d'accordo con Capelli e con Dell'Orto
sull'assoluta impossibilità che ci sia un calendario della F1 senza Monza perché non esiste la F1 senza
Monza. Lo scorso anno ho parlato con Ecclestone, ma non ci parlerò quest'anno perché ho capito che da
quel colloquio, che ho fatto per dimostrare l'interesse della Regione Lombardia alla vicenda, sono nate delle
convinzioni che la Regione possa intervenire mettendoci dei soldi, ma non è così, ovviamente, a meno che il
Comune di Milano e il Comune di Monza decidano, come da mia richiesta, di farci entrare nel consorzio che
gestisce il parco dove c'è il circuito, mentre la Regione è solo nel consorzio della Villa Reale. Fin quando sarà
così, noi i soldi non possiamo metterceli».
08/09/2014
Corriere Economia - N.28 - 8 settembre 2014
Pag. 17
La tecnologia indossabile può anche essere una «cura di mantenimento» contro le malattie gravi. La fascia
Ybrain tiene sotto controllo le condizioni di chi soffre del morbo di Alzheimer, o di deterioramento cognitivo
lieve. Nata dall'idea del neuroscienziato coreano Kyongsik Yun, Ybrain (ybrain.com), si indossa sulla testa.
Due sensori incorporati emettono segnali elettronici a 2 milliampère (circa 1/8 della potenza di uno
smartphone) per stimolare l'attività cerebrale. Il dispositivo dovrebbe essere usato per 30 minuti al giorno,
cinque giorni alla settimana, a casa e senza bisogno di staff medico specializzato. Secondo gli attuali studi
clinici, questo dispositivo è dal 20 al 30% più efficace di farmaci esistenti per i malati di Alzheimer. Ybrain è
entrato nell'ultima fase di sperimentazione. Ottenute le autorizzazioni dalla Food and Drug Administration Usa
e dell'omologa autorità coreana, dovrebbe essere possibile acquistarlo online o negli ospedali.
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Un cerchietto in testa controlla l'Alzheimer
08/09/2014
ItaliaOggi Sette - N.212 - 8 settembre 2014
Pag. 19
(diffusione:91794, tiratura:136577)
Fondo crescita per selezionati
Domande ordinate in base alla sostenibilità economica
ROBERTO LENZI
Sarà molto selettivo il bando previsto dal Fondo crescita sostenibile, che concede agevolazioni alle imprese
che presenteranno progetti per la ricerca e lo sviluppo. Il bando funzionerà a sportello, ma prevede che il
giorno in cui si esauriranno le risorse a disposizione, pari a 300 milioni di euro, le domande saranno ordinate
in base alla valutazione della sostenibilità economicofi nanziaria. È probabile che le risorse si esauriscano già
il primo giorno, di conseguenza le imprese si giocheranno la possibilità di ottenere contributi con la
compilazione della scheda tecnica che dovrà essere accompagnata da un piano di sviluppo. Per questo
motivo, le caratteristiche del soggetto proponente, la fattibilità tecnica, la sostenibilità economico-fi nanziaria,
la qualità tecnica e l'impatto del progetto saranno gli aspetti che determineranno la possibilità per le imprese
di ottenere il fi nanziamento agevolato previsto dal Fondo crescita sostenibile. Il tutto dovrà, come previsto dal
decreto ministeriale 25/07/2014, essere allegato alla domanda che potrà essere inviata a partire dalle ore 10
del 30 settembre 2014. L'invio sarà effettuato utilizzando la procedura di compilazione guidata di cui alla
sezione «Progetti di R&S negli ambiti tecnologici di Horizon 2020» del sito internet del ministero dello
sviluppo economico www.mise.gov.it. L'importanza del soggetto proponente. Il bando funziona a sportello,
ma è comunque prevista una soglia minima di punteggio da raggiungere in base alla valutazione tecnica del
progetto. Uno dei cardini della valutazione prevede di analizzare la capacità di realizzazione del progetto di
ricerca e sviluppo con risorse interne, la qualità delle collaborazioni e la fattibilità tecnica del progetto. Il piano
di sviluppo deve quindi descrivere le competenze e le esperienze del proponente rispetto al settore/ambito in
cui il progetto ricade, con particolare riferimento alla presenza di personale qualifi cato, di strutture interne
dedicate all'attività di ricerca e sviluppo, alle tipologie e alla numerosità dei progetti di ricerca e sviluppo
realizzati nei tre anni precedenti la presentazione della domanda di agevolazione e all'ammontare delle spese
di ricerca e sviluppo sostenute nello stesso periodo. Inoltre, sarà importante descrivere le eventuali
collaborazioni con organismi di ricerca, sia che partecipino in qualità di co-proponenti che in qualità di fornitori
di servizi di consulenza. Sarà opportuno evidenziare le competenze e le esperienze specifi che degli
organismi di ricerca rispetto alle tecnologie al cui sviluppo è fi nalizzato il progetto presentato, l'attinenza delle
attività previste a carico degli organismi di ricerca all'ambito della ricerca industriale piuttosto che a quello
dello sviluppo sperimentale e la misura in cui le attività degli organismi di ricerca risultano necessarie per
l'effettiva realizzazione del progetto. Infi ne, l'azienda deve descrivere le risorse strumentali e organizzative;
con particolare riferimento all'idoneità e alla rispondenza delle apparecchiature scientifi che e delle strutture
dedicate alle attività di ricerca e sviluppo, già in possesso del proponente. La sostenibilità economicofinanziaria è fondamentale per ottenere l'agevolazione. Il criterio di valutazione più importante dei quattro
previsti è quello relativo alla sostenibilità economico-fi nanziaria. Oltre ad avere un ruolo nella costruzione del
punteggio complessivo del progetto, questo è l'unico criterio che viene preso a riferimento per costruire la
graduatoria relativa all'ultimo giorno di apertura dello sportello, cioè quello in cui si verificherà l'esaurimento
delle risorse. L'analisi effettuata riguarderà una serie di indicatori economico-finanziari. Particolare importanza
avranno i seguenti quattro indici: copertura fi nanziaria delle immobilizzazioni, indipendenza finanziaria,
incidenza degli oneri fi nanziari sul fatturato, incidenza della gestione caratteristica sul fatturato. Focalizzare il
piano sui risultati attesi. La qualità tecnica del progetto è il terzo punto della valutazione. Il piano di sviluppo
deve esporre in modo approfondito i risultati attesi. Deve essere chiara la rilevanza, l'utilità e l'originalità
rispetto allo stato dell'arte e la capacità del progetto di generare miglioramenti tecnologici nel settore/ambito
di riferimento nel quale la tecnologia innovativa può essere utilizzata. Inoltre, va descritta la tipologia di
innovazione, con riferimento alla capacità del progetto di introdurre dei cambiamenti tecnologici radicali nei
prodotti o nei processi produttivi, ovvero di generare dei notevoli miglioramenti nei prodotti o nei processi, con
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Come ottenere gli incentivi per progetti di ricerca e sviluppo. Domande dal 30/9
08/09/2014
ItaliaOggi Sette - N.212 - 8 settembre 2014
Pag. 19
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una graduazione del punteggio in misura crescente, a seconda che si tratti di notevole miglioramento di
processo, notevole miglioramento di prodotto, nuovo processo o nuovo prodotto. Porte chiuse se l'interesse
industriale è ridotto. Il ministero si propone di fi nanziare esclusivamente progetti di ricerca & sviluppo che
siano di chiaro interesse industriale e abbiano prospettive di sviluppo. Dal piano deve risultare chiaro
l'interesse industriale all'esecuzione del progetto, la determinare in relazione all'impatto economico dei
risultati attesi, con particolare riferimento alla capacità del progetto di generare soluzioni tecnologiche in
grado di soddisfare i bisogni esistenti e/o di generare nuovi bisogni nei mercati in cui l'impresa opera, nonché
di penetrare in nuovi mercati. Inoltre, va esposta la potenzialità di sviluppo, valutata sulla base della capacità
del progetto di sviluppare il settore/ambito di riferimento e di generare ricadute industriali anche in altri
ambiti/settori attraverso cambiamenti nell'architettura dei prodotti o dei processi o nelle modalità con le quali
le singole parti e le tecnologie specifi che insite nei prodotti o processi sono collegate tra di loro.
Gli ambiti tecnologici da individuare Il piano di sviluppo deve evidenziare l'ambito al quale è diretto il
progetto di R&S fra i seguenti: tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Tlc); • nanotecnologie; •
materiali avanzati; • biotecnologie; • tecnologie di fabbricazione e trasformazione avanzata; • spazio; •
tecnologie inerenti alle «Sfi de per la società». •l piano di sviluppo deve anche specifi care quali tra i seguenti
obiettivi si propone di realizzare il progetto di R&S: nuovi prodotti o servizi; • nuovi processi; • notevole
miglioramento dei prodotti o servizi esistenti; • notevole miglioramento dei processi esistenti. •
06/09/2014
Milano Finanza - N.175 - 6 settembre 2014
Pag. 1
(diffusione:100933, tiratura:169909)
PROSTATA, SCATTA IL VERDE
Cristina Cimato
Una luce verde può proteggere chi è affetto da ipertrofia prostatica benigna, una patologia che colpisce l'80%
degli adulti maschi sopra i 50 anni, cui si accompagnano talvolta disfunzioni sessuali come impotenza e
problemi di eiaculazione e difficoltà urinarie. Al primo meeting internazionale organizzato da un gruppo
internazionale di ricerca a livello urologico, dal titolo Nuovi orizzonti nel trattamento medico e chirurgico
dell'ipertrofia prostatica e del tumore alla prostata, previsto al Policlinico Tor Vergata di Roma dall'11 al 13
settembre, si discuteranno recenti dati, pubblicati sulla rivista European Urology, che indicano la
comparabilità di questa tecnica con il trattamento più invasivo. «Quando la prostata si ingrossa in modo
importante, ostacolando il passaggio dell'urina, è necessario togliere il tessuto in eccesso, l'adenoma», ha
spiegato Roberto Miano, ricercatore dell'Unità operativa di urologia all'Università Tor Vergatae relatore al
convegno, «fino a qualche anno fa veniva eseguita la resezione endoscopica, con il rischio di un
sanguinamento importante e ospedalizzazione certa, mentre da qualche annoè in uso il laser al triborato di
litio, che emette una luce verde e permette di concentrare l'energia in modo selettivo, vaporizzando il tessuto
in eccesso con un'immediata coagulazione, nonché tassi di sanguinamento e tempi di cateterizzazione
decisamente inferiori». Il 50% dei pazienti trattati è stato dimesso in 24 ore, e questo permette di proporre lo
studio come trattamento in day surgery per casi ben selezionati. Inoltre,è l'unico laser applicabile anche ai
pazienti in terapia anticoagulante e antiaggregante, perché non necessita la sospensione dei farmaci. Lo
studio, denominato Goliath, è stato condotto in molti centri europei e coordinato dal Sant'Andrea di Roma e
dal professor Andrea Tubaro. Sempre per contrastare l'ipertrofia si è diffuso in modo capillare l'utilizzo del
farmaco tadalafil, ossia Cialis, che cura contemporaneamente i disturbi urinari e sessuali. Il limite risiede nel
fatto che è un medicinale caro perché non coperto dal Sistema Sanitario Nazionale. Nel 70% dei casi la
disfunzione erettile è accompagnata da ipertrofia prostatica benigna. Come è emerso la scorsa primavera al
Congresso della European Association of Urology e come verrà ribadito al prossimo congresso della Società
italiana di urologia, previsto a Firenze dal 26 al 28 settembre, l'86% dei pazienti non abbandona la terapia se
seguitoe sostenuto dai medici, migliorando così le proprie condizioni, altrimenti la rinuncia avviene entro
poche settimane dall'inizio del trattamento. «Esiste ancora un'ampia fascia di pazienti che cerca di risolvere i
problemi legati alla sessualità con il fai da te», ha affermato Vincenzo Mirone, ordinario di urologia
all'Università Federico II di Napoli e segretario generale Siu, «su circa 3 milioni di italiani affetti da disfunzione
erettile, solo1 milione risulta in terapia ufficiale». Per riuscirea diminuire la grandezza della ghiandola, quando
fonte di problemi,è in corso attualmente al San Raffaele la sperimentazione di una microiniezione con un
medicinale che ha un effetto apoptotico, ossia favorisce il meccanismo di morte cellulare per permettere una
riduzione del volume. «Finora sono stati arruolati circa 20 pazienti», ha commentato Francesco Montorsi,
primario di Urologiae direttore scientifico dell' Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, «ma è una strada che
dà buone speranze». Nuova Rm e Psa predittivo per il tumore. Più giovani e più numerosi, ma curati meglio e
con sempre minor invasività. Nonostante il numero dei casi sia in aumento, anche la ricerca sul tumore alla
prostata si avvantaggia di nuovi approcci, come per esempio le diagnosi precoci attraverso l'indicatore Psa,
da eseguire già a 40 anni. «Negli ultimi mesi sono emersi risultati convergenti rispetto alla validità di questo
esame, se eseguito precocemente, nell'escludere per almeno 5 anni la possibilità di insorgenza di tumore
quando i livelli sono molto bassi, ossia inferiori a 1», ha commentato Montorsi, «sta invece esplodendo
l'importanza, per coloro che hanno un Psa superiore ai livelli normali, di eseguire una risonanza magnetica
transettale multiparametrica (eseguibile attraverso una sonda che somiglia a quella utilizzata per l'ecografia
ma anche dall'esterno, grazie a magneti molto potenti che restituiscono immagini precise, ndr ). L'esame è
innovativo e permette di rendersi conto in modo preciso se vi siano zone sospette di tumore. Grazie a esso è
possibile, se serve e in un momento successivo, eseguire una biopsia su quelle zone mirate». Di recente
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SALUTE
06/09/2014
Milano Finanza - N.175 - 6 settembre 2014
Pag. 1
(diffusione:100933, tiratura:169909)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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sono emersi anche i dati a 10 anni relativi alla chirurgia robotica, che confermano la tecnica sovrapponibile
per efficacia all'intervento tradizionale, con recupero dal punto di vista della continenza e dell'erezione
decisamente migliori. Terapie focali in sviluppo. I due aspetti sopracitati sono senz'altro i più nevralgici e
sentiti anche dai pazienti vittime di tumore della prostata perché socialmente invalidanti ed emotivamente
fonte di imbarazzo e stress. Al meeting di Roma verranno eseguiti per la prima volta in Italia due trattamenti
innovativi, ossia la Hifu e la crioablazione in modo focale. «In molti casi i tumori presentano una crescita lenta
e un'aggressività ridotta, quindi i trattamenti radicali sono sconsigliabili, perché determinano complicanze
vaste», ha commentato Roberto Miano, «attraverso la risonanzae all'identificazione spaziale del tumore, si
possono applicare tecniche mininvasive, come quelle focali. I due approcci che verranno eseguiti a Roma da
due massimi esperti mondiali sono già utilizzati per i trattamenti radicali, ma non sono mai stati applicati con
questa modalità in Italia». Entrambe le tecniche sono in fase di studio, ma i risultati iniziali sono incoraggianti.
Hifu, eseguibile per via transettale, focalizza ultrasuoni sull'area da trattare e produce un effetto termico,
provocando una necrosi dei tessuti, mentre la crioablazione agisce all'opposto, congelando la zona attraverso
l'uso di un ago introdotto dal perineo e producendo uno shock cellulare. «Gli studi su queste tecniche sono in
continuo aggiornamento e i risultati finora indicano una perdita di continenza pari allo 0% e un'impotenza
compresa tra il 5 e il 20%, mentre con la chirurgia radicale queste percentuali salgono del 2-15% per la prima
e del 40-80% per la seconda», ha precisato Miano. (riproduzione riservata)
06/09/2014
Gente - N.37 - 16 settembre 2014
Pag. 94
(diffusione:372741, tiratura:488629)
l'alzheimer si sfida in cinque mosse
cresce sempre più il numero di chi ne soffre. eppure, dicono gli esperti, «basterebbe uno stile di vita più sano
per ridurre i rischi»
Paola Occhipinti
Le statistiche sono impressionanti. In Italia, tra gli over 65, c'è almeno un milione di persone che soffre di
demenza, cioè quel processo degenerativo irreversibile che colpisce progressivamente le cellule cerebrali e
la malattia di Alzheimer da sola rappresenta il 54 per cento di queste demenze neurodegenerative. A
differenza di altre patologie, però, non esiste ancora un esame specifico per diagnosticarla, anche se un team
di ricerca del King's College di Londra avrebbe individuato 10 proteine la cui presenza potrebbe essere indice
di un maggior rischio malattia (ora si sta mettendo a punto un esame del sangue). «Spesso, dopo un primo
campanello d'allarme (perdita di memoria, stato confusionale, alterazione del linguaggio), si inizia un percorso
di visite ed esami clinici che possono però diagnosticare soltanto una "possibile" malattia di Alzheimer.
L'unica certezza diagnostica si può infatti avere soltanto dopo la morte con un esame autoptico», spiega
Gabriella Salvini Porro, presidente Federazione Alzheimer Italia. Il quadro, purtroppo, non è destinato a
migliorare: secondo l'Oms (l'Organizzazione mondiale della Sanità), il numero dei malati nel mondo è
destinato a raddoppiare nei prossimi 20 anni. Soprattutto perché il fattore di rischio più importante è l'età e
l'Italia, che in Europa è al secondo posto dopo la Germania come indice di vecchiaia, deve preoccuparsi più
di altri. Che cosa fare? «Molte ricerche suggeriscono che uno stile di vita sano possa prevenire il rischio di
demenza in tarda età», spiega Gabriella Salvini Porro. L'Università di Exeter (Gran Bretagna) ha
recentemente pubblicato uno studio che rileva come esista una connessione tra aumento del rischio
Alzheimer e carenza di vitamina D, presente in salmoni, aringhe, latte, uova, fegato e verdure verdi. Esiste
comunque una buona regola generale: «Quello che fa bene al cuore fa bene anche al cervello», riassume
con Gente la presidente Federazione Alzheimer Italia. L'importante, perciò, è seguire alcuni punti saldi. Che,
secondo la rivista scientifica Lancet Neurology , potrebbero portare a ridurre i nuovi casi di malattia anche del
30 per cento. Prima cosa da fare è appunto controllare il cuore: fumo, ipertensione, colesterolo alto, diabete e
obesità possono danneggiarlo. Così, un regolare esercizio fisico può controllare pressione e peso e ridurre il
rischio di diabete di tipo 2. Alcune ricerche suggeriscono poi che una dieta mediterranea ricca di cereali,
frutta, verdura e pesce possa diminuire il rischio di demenza. «Benché siano necessari ulteriori studi per
capire i benefici di un alimento specifico, è certo che troppi grassi e zuccheri aumentano il rischio di malattie
cardiache e quindi è meglio evitarli», aggiunge la presidente. Allenare il cervello, dedicarsi a un nuovo hobby,
apprendere una nuova lingua sono buone abitudini per contrastare gli effetti della malattia di Alzheimer.
Stessa valenza ha una vita sociale attiva che risulta benefica per la salute del cervello in quanto ne stimola le
riserve. l dieta mediterranea a tavola, seguite un'alimentazione sana, basata sulla dieta mediterranea, ricca di
cereali, frutta e verdura. allenare la mente dedicatevi a un nuovo hobby, imparate una nuova lingua o a
suonare uno strumento musicale: terrà il vostro cervello in allenamento.
niente fumO La sigaretta è tra le cause maggiori di ictus e malattie cardiache. eserciziO fisicO un'attività fisica
regolare riduce i problemi di obesità, diabete e ipertensione, tutti legati a un maggior rischio di sviluppo della
malattia.
PressiOne sOttO cOntrOLLO Le ricerche confermano che un apparato cardio circolatorio sano aiuta anche il
nostro cervello.
convegno a milano
come aiutarli? si terrà a milano, il 20 settembre, il convegno organizzato dalla federazione Alzheimer italia
per far conoscere la malattia di Alzheimer. L'incontro sarà concentrato sulla difficoltà che le famiglie
incontrano nella gestione della vita quotidiana con il malato. chi è affetto da Alzheimer, infatti, spesso non è
autosufficiente e può presentare un quadro clinico che va dagli scatti d'ira al disorientamento, dalla
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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SALUTE la malattia degli over 65 non è ineluttabile: ecco come prevenirla
06/09/2014
Gente - N.37 - 16 settembre 2014
Pag. 94
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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depressione alle allucinazioni. Gli interventi, avranno l'obiettivo di sostenere la famiglia sia sul piano pratico
sia sul piano organizzativo. tra gli interventi, quello di murna Downs, esperta internazionale di approccio ai
comportamenti della persona con demenza (milano, Palazzo marino, piazza della scala 2, dalle ore 9 alle ore
17).
05/09/2014
Tempi - N.36 - 10 settembre 2014
Pag. 24
(diffusione:102000)
Inutile promettere che la mannaia del rigore risparmierà la sanità. Già oggi perfino nelle regioni più virtuose i
conti tornano a stento. Spending review? Sì, grazie. Ma attenzione, per mettere le mani su un malato occorre
conoscerne le esatte misure. I casi di scuola dell'Inghilterra e del Massachusetts
| DI ACHILLE LANZARINI*
OGNI GIORNO I GIORNALI RICORDANO C h e la spesa pubblica non è più sostenibile ed è necessaria la
spending review, che teoricamente dovrebbe essere una rivisitazione della spesa, ma che praticamente è
limitata al taglio dei costi. L'attuale governo italiano ha ribadito che la sanità non sarà colpita. In realtà,
secondo l'Ocse; come in molti altri paesi europei i nostri governi hanno già provveduto a diminuire la spesa
sanitaria negli ultimi anni. Stime preliminari suggeriscono che queste riduzioni della spesa sanitaria sono
continuate a un tasso pari a -3 per cento in termini reali nel 2013. Infatti, anche le regioni più virtuose, a
seguito dei tagli, faticano a chiudere in pari i bilanci della sanità e ci riescono solo riducendo le voci di spesa
più rilevanti. Nel 2012 in Italia la spesa sanitaria rappresentava il 9,2 per cento del Pii, una percentuale molto
vicina alla media dei paesi Ocse (9,3), ma oggi non è più sostenibile: i costi cioè, alti o bassi che siano, sono
maggiori delle entrate. Per continuare a fornire servizi adeguati in qualità e quantità, è urgente una strategia
diversa dai tagli lineari e capace di garantire la sostenibilità economica delle prestazioni sanitarie, a
cominciare dagli ospedali, il cui costo rappresenta il 50 per cento del totale della spesa pubblica sanitaria,
stimata nel 2014 nella ragguardevole cifra di 111,5 miliardi di euro. Negli anni passati il settore ospedaliero è
stato oggetto di numerosi interventi volti alla riduzione dei posti letto con l'obiettivo di razionalizzare l'attività e
di ridurre i costi di gestione. Il risultato è che sono diminuiti i ricoveri, ma non proporzionalmente la spesa,
anzi. Come è stato • • possibile? L'Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) ha pubblicato
una corposa ricerca dal titolo L'attività ospedaliera: dati e riflessioni, i cui risultati sono indicativi. Ad esempio,
dall'analisi dei bilanci degli ospedali si rileva come il costo medio per ricovero sia fortemente differenziato a
seconda della struttura, e ciò indipendentemente dagli aspetti clinici o organizzativi: in sintesi, molti ospedali
pubblici non sono efficienti. Ciò conferma, secondo Agenas, che spesso il costo degli ospedali pubblici non
dipende dall'attività prodotta, ma da altri fattori, tra cui anche l'abitudine a considerare l'ospedale una specie
di ammortizzatore sociale. Per quanto riguarda gli ospedali privati accreditati, la ricerca di Agenas sottolinea
che mentre le inefficienze dei pubblici sono interamente a carico dello Stato, della collettività, i buchi degli
ospedali privati ricadono esclusivamente sul gestore, sulla proprietà. Paradossi del mercato È un problema
non solo italiano. Nel Massachusetts, ad esempio, si è riscontrata una forte differenza di costo tra diversi
ospedali, pur per lo stesso tipo di prestazione. Come noto, il sistema sanitario americano è diverso dal nostro,
poiché negli Stati Uniti i ricoveri sono pagati dalle assicurazioni che ne negoziano preliminarmente il costo
con i diversi ospedali. Un imponente studio in merito pubblicato dallo stesso Stato del Massachusetts ha dato
risultati sorprendenti: a fare la differenza non è né una diversa qualità della cura, né una maggiore
complessità del servizio, né la tipologia di ospedale, né il comfort alberghiero. Fa la differenza la forza
contrattuale dell'ospedale di imporre alle società di assicurazione un prezzo più elevato. E trattandosi per lo
più di ospedali no profit, è chiaro che la motivazione non è la ricerca di un maggior profitto. Anche negli Stati
Uniti, quindi, il costo della sanità non dipende dall'attività prodotta. Grossi gruppi ospedalieri americani, per
cercare maggiore efficienza, hanno attuato una razionalizzazione degli ospedali chiudendo e accorpando
diverse strutture. Tuttavia, studi apparsi sul Journal of Health Economics, su Economie Inquiry e altri ancora
pubblicati dalla Robert Wood Johnson Foundation non hanno rilevato effetti soddisfacenti. Più vicino alla
nostra realtà europea è quanto accaduto tra il 1997 e il 2006 in Inghilterra, dove è stata attuata una radicale
razionalizzazione ospedaliera, attraverso la chiusura di numerosi piccoli ospedali. Uno studio pubblicato dallo
statunitense National Bureau of Economie Research (Nber) ne ha valutato gli esiti: drastica riduzione del
personale ma nessun miglioramento della qualità clinica e, sorprendentemente, nemmeno della produttività,
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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Per fare i tagli ci vogliono i numeri
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Tempi - N.36 - 10 settembre 2014
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 08/09/2014
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tanto che sono aumentate le liste d'attesa. La ricerca, eloquentemente intitolata "mania delle fusioni"
(Mergermania), afferma che le operazioni di fusione su larga scala non funzionano, perché riducendo l'offerta
ospedaliera riducono anche la concorrenza, che è alla base del miglioramento. Ciò è confermato da una più
recente riforma ospedaliera sempre inglese (studi pubblicati dal Nber e dalVEconomie Journal) che,
perseguendo la realizzazione di un sistema competitivo, ha ottenuto non solo un aumento della qualità
clinica, ma anche un miglior risultato gestionale degli ospedali. L'importanza di saper valutare In Italia, il
decentramento regionale della sanità ha portato allo sviluppo di diversi modelli. Quello lombardo si è distinto,
attraverso il perseguimento del principio di sussidiarietà, per l'accreditamento degli ospedali privati: ciò ha
contribuito a migliorare il sistema regionale, poiché proprio allargando l'offerta si è potenziata per il cittadino la
possibilità di scelta e dunque si è introdotto un sistema concorrenziale. Ma la concorrenza è sufficiente a
salvare i conti pubblici? Di più, la concorrenza non è rischiosa in un ambito delicato come la salute? Michael
Porter, guru dell'economia mondiale, ha scritto suìYHarvard Business Review che ciò che manca è un
appropriato sistema di misurazione dell'attività sia economica che clinica. Infatti, dove si sono resi disponibili
dati accurati, è stato possibile identificare le aree di miglioramento, discuterne con i professionisti e, quindi,
rendere più efficienti i processi organizzativi, valorizzando la clinica. Misurare significa dare trasparenza al
sistema e indicare, numeri alla mano, chi è più bravo, chi è più efficiente, chi è più produttivo. Solo così la
spending review sulla sanità non si tradurrà in un taglio lineare dei costi, ma nell'eliminazione degli sprechi. In
sintesi, concorrenza e valutazione sono la medicina di certa autoreferenzialità, che in sanità può diventare
patologia seria. • *coordinatore U. 0. Patrimonio Fondazione Irccs Policlinico di Milano, collaboratore Centro
studi Sanità pubblica (Università di Milano Bicocca)
Foto: II governatore della Lombardia Roberto Maroni con il suo predecessore Fomiigoni. Grazie al sistema di
accreditamento degli ospedali privati, la sanità lombarda è diventata un modello di efficienza in Italia. È la
virtù della concorrenza e della sussidiarietà L'OPERAZIONE DI FUSIONE SU LARGA SCALA REALIZZATA
IN INGHILTERRA NON HA FUNZIONATO: RIDUCENDO L'OFFERTA OSPEDALIERA SI È RIDOTTA
ANCHE LA CONCORRENZA, LA BASE DEL MIGLIORAMENTO
05/09/2014
Tempi - N.36 - 10 settembre 2014
Pag. 8
(diffusione:102000)
Cosa sappiamo davvero di questo virus misterioso e terribile? Troveremo mai una cura? Che rischi corre
l'Africa? E noi? Parla la dottoressa Sampathkumar, infettivologa i dell'ospedale numero uno d'America
RODOLFO CASADEI
dell'ultimo minuto, scordatevi il colpo di scena di un risolutivo vaccino. Anche stavolta Eboia sarà fermata perché alla fine SCORDATEVI SIERI MIRACOLOSI sarà fermata - coi mezzi tradizionali che abbiamo
imparato a conoscere dalle epidemie precedenti: isolamento dei pazienti e di tutti coloro che sono entrati in
contatto con loro per almeno 21 giorni, reidratazione e assistenza palliativa ai malati, massime precauzioni
per il personale sanitario, che deve evitare di entrare in contatto fisico diretto coi malati e deve
decontaminarsi dopo ogni attività. Le recenti guarigioni non possono essere attribuite allo ZMapp, il farmaco
prodotto dalla Mapp Biopharmaceutical, e la via maestra per arrestare il contagio resta un aggressivo
"contact tracing", cioè l'individuazione e la messa in quarantena di chiunque abbia avuto rapporti con un
infetto conclamato. La febbre emorragica diagnosticata per la prima volta nel 1976, nella regione del fiume
Eboia nell'allora Zaire, continua ad essere una pestilenza contro la quale non esistono pallottole magiche, ma
solo le armi rappresentate dalla disciplina, il coraggio e la capacità di comunicazione del personale medico e
delle autorità sanitarie. È quello che emerge anche da questa intervista con Priya Sampathkumar, consulente
per le malattie infettive alla Mayo Clinic di Rochester, nel Minnesota, e direttrice presso lo stesso centro del
comitato per il controllo delle infezioni, che ha l'intera responsabilità per la sorveglianza e la prevenzione allo
scopo di ridurre il rischio di infezioni in ambito ospedaliero fra pazienti, personale impiegato e visitatori. La
Mayo Clinic non è una struttura sanitaria fra tante: è stata recentemente classificata come il migliore ospedale
di tutti gli Stati Uniti. La dottoressa Sampathkumar smorza gli entusiasmi per il farmaco sperimentale che va
sotto il nome di ZMapp: la sperimentazione del medesimo è appena all'inizio, non ne esiste nemmeno la
quantità sufficiente per condurre una vera sperimentazione con test clinici sui malati. Nel frattempo Eboia,
apparsa a marzo in Guinea Conakry, si è estesa ad altri tre paesi africani: Liberia, Sierra Leone e Nigeria,
mentre si segnalano casi sospetti ai quattro angoli del mondo in seguito a spostamenti in aereo. Al 20 agosto
scorso il paese più colpito risultava essere la Liberia, con 1.020 casi accertati e 624 morti. Seguiva la Sierra
Leone con 910 casi e 392 morti. In totale dai quattro paesi africani si segnalano 2.615 casi che avrebbero
causato 1.427 morti. La mortalità, dunque, si aggira attorno al 54,5 per cento. È il tasso tipico dell'Ebola di
ceppo sudanese. Esistono infatti cinque varietà diverse del virus. Quelle che causano estese epidemie sono
solo tre, e di esse la più letale è quella zairese, che conduce alla morte quasi il 90 per cento degli infettati. Va
ricordato che l'attuale epidemia ha già registrato più casi di qualunque epidemia del passato. Finora la più
estesa aveva avuto luogo nel 2000 nel nord dell'Uganda nella regione di Gulu. I casi erano stati in tutto 425 e
i morti 224. Ed ecco come la professoressa Sampathkumar risponde agli interrogativi più comuni.
Professoressa, c'è una domanda che tutti si fanno, a sei mesi dall'inizio di questa epidemia di Eboia:
possiamo fermare il contagio? In passato i focolai di questa febbre emorragica erano ristretti ad aree remote
dell'Africa. Oggi non rischiamo che l'epidemia diventi incontrollabile e si estenda, per la prima volta, al mondo
intero? No, l'epidemia di Eboia può essere fermata. Ma per fermarla è necessaria una vera cooperazione
internazionale e miglioramenti nell'ambito dell'infrastruttura medica e di quella della sanità pubblica nei paesi
colpiti. Cosa vuoi dire «miglioramenti nell'ambito dell'infrastnittura medica e di quella della sanità pubblica»?
Le infrastnitture africane sono notoriamente fatiscenti. Vuoi dire che non si tratta di mandare nuovi medicinali,
che ancora non esistono, ma di arrivare ad avere ospedali locali dove il personale sanitario disponga
dell'indispensabile per svolgere il suo lavoro in condizioni di relativa sicurezza: maschere, guanti, camici,
eccetera. Dove si utilizzino aghi e siringhe monouso, per ridurre al minimo la possibilità di trasmissione da
paziente a paziente. Dove gli standard di igiene siano rispettati e i rifiuti ospedalieri trattati adeguatamente.
Dove le attrezzature siano disinfettate o eliminate se monouso. Quella che ho definito "infrastruttura della
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EBOLA come si può fermare un'epidemia senza precedenti
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sanità pubblica" invece consiste nella capacità di comunicare al pubblico come ci si deve comportare quando
c'è un caso sospetto per evitare che si espanda il contagio. Si tratta di comportamenti che sono dati per
scontati nel mondo occidentale, ma che in Africa vanno richiamati esplicitamente. Perché questa epidemia
sta durando più a lungo di quelle del passato? E che dire del suo tasso di mortalità? Secondo l'Oms è attorno
al 54 per cento dei contagiati, dunque non particolarmente alta, ma si ha l'impressione che il personale
sanitario sia stato falcidiato. Come si spiegano questi fenomeni? Gli episodi del passato hanno avuto luogo in
aree remote. Gli individui esposti al contagio non viaggiavano e non avevano accesso alle cure mediche. Per
questa ragione le epidemie erano quantitativamente limitate ma presentavano alti tassi di mortalità. Nel
mondo d'oggi, a causa dell'incremento degli spostamenti all'interno delle aree interessate dalla malattia,
l'epidemia si è estesa a città densamente popolate e la trasmissione è avvenuta fra parenti e amici dei
contagiati. I primi casi sono stati ospedalizzati presso strutture sanitarie prive di adeguate risorse umane e
strumentali per individuare immediatamente la natura dell'infezione e questo ha portato effettivamente a un
aumento della sua trasmissione. Il personale ospedaliero è entrato in contatto col virus prima di rendersi
conto che si trattava di • • Eboia, non ha fatto in tempo a prendere le opportune precauzioni. Da qui l'alto
tasso di infezione fra medici e infermieri. Per questo stavolta si riscontrano più morti negli ospedali che nelle
aree remote. Tutto ciò ha indebolito la fiducia della gente nella comunità medica, e le famiglie hanno
cominciato a prendersi cura da sé dei membri infetti dei gruppi familiari a casa propria, spesso all'interno di
aree urbane molto affollate, esponendo in questo modo molti altri individui al virus. A ciò si aggiunga, infine,
che le regioni dell'Africa occidentale colpite dalla malattia vengono da lunghi anni di instabilità politica: la
gente non ha fiducia nelle autorità e nel governo, e nemmeno nelle autorità sanitarie. Sono poco propensi ad
ascoltarle e a seguire i loro consigli. Cosa sappiamo delle origini della malattia a questo punto? Quali sono i
vettori attraverso i quali si espande? Questo morbo così temuto e misterioso ha rivelato finalmente tutti i suoi
segreti? Eboia è un'infezione zoonotica, cioè il virus è ospitato nel corpo di un animale e da lì si trasmette agli
esseri umani di solito attraverso il contatto dentro la foresta con carcasse di animali morti, magari perché
cacciati, o per via alimentare quando si mangiano le carni di questi animali selvatici. Dopodiché il virus può
passare da una persona a un'altra attraverso il contatto senza protezione delle membrane delle mucose o il
contatto di lesioni cutanee con sangue infetto o altri fluidi corporei di un persona infettata. Si sottolinea che il
virus non si trasmette attraverso l'aria, però potrebbe trasmettersi nella forma cosiddetta aerosol: starnuti,
colpi di tosse, eccetera. In base a tutto quello che sappiamo fino ad ora, non sembra che si trasmetta
attraverso l'aria. Negli Stati Uniti il Cdc di Atlanta (Centre for disease contrai, la massima autorità americana
in materia di malattie infettive, ndr) ci ha invitato a prendere precauzioni contro la possibile generazione di
infezioni per via aerosol. Stiamo attrezzandoci di conseguenza. Ma tutte le evidenze scientifiche non fanno
pensare che la trasmissione per via aerea sia una modalità di contagio importante. Quali animali sono
maggiormente sospettati di essere all'origine dell'epidemia in questo caso? Si è parlato molto dei pipistrelli
della frutta. Non lo sappiamo ancora con certezza. Negli episodi del passato i principali indiziati erano i grandi
primati, scimpanzè e gorilla. Animali braccati e cacciati da molti cacciatori. Si dice che stavolta abbiamo a che
fare coi pipistrelli come vettori animali dell'infezione, ma la cosa non è ancora chiara. Non è chiaro se i
pipistrelli sono coinvolti o no. Premesso tutto questo, cosa dobbiamo veramente fare per fermare l'epidemia?
C'è la possibilità che si arresti spontaneamente da sola, come è accaduto in passato? I paesi colpiti hanno
bisogno di aiuto da parte della comunità internazionale per fermare questa epidemia. È improbabile che si
fermi da sé spontaneamente. C'è urgente bisogno di personale e di know-how relativo alla sanità pubblica
soprattutto per effettuare il "contact tracing" al fine di limitare l'ulteriore diffusione della malattia. Bisogna
migliorare l'igiene e la gestione dei rifiuti ospedalieri. Sommando insieme miglioramenti nell'infrastruttura
ospedaliera e un'accresciuta attenzione al controllo di base dell'infezione e ai princìpi dell'igiene, l'epidemia
può essere fermata. Che cos'è il "contact tracing"? Se noi ci troviamo di fronte a un caso di infezione, le
persone che stanno abitualmente intorno al paziente sono tutte esposte al contagio. Potenzialmente possono
tutte ammalarsi,. Se permettiamo loro di continuare ad avere relazioni sociali fuori dalla casa, esponiamo
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Tempi - N.36 - 10 settembre 2014
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un'intera comunità al contagio. Se noi abbiamo un caso di Eboia in una famiglia dove ci sono anche altre
quattro persone, e a queste imponiamo di non uscire di casa per i successivi 21 giorni, il massimo pericolo di
contagio riguarda solo quelle quattro persone. Ma se quelle quattro persone continuano a uscire di casa e
ciascuna di loro ne incontra altre dieci, subito abbiamo un gruppo di 40 persone a rischio. Il "contact tracing"
dunque consiste nell'identificare quelle quattro persone che sono state esposte al virus che ha colpito il loro
familiare, e nell'evitare che entrino in contatto con altri. Altrimenti l'infezione si diffonde in cerchi concentrici. È
proprio ciò che deve essere evitato. Conosciamo il numero esatto delle infezioni avvenute nel corso di
quest'ultima epidemia fino ad oggi? Si tratta di cifre affidabili? L'Oms aggiorna settimanalmente il conteggio
dei casi appurati, ma riconosce che la cifra esatta resta sconosciuta e che i numeri registrati probabilmente
rappresentano una sottostima delle dimensioni dell'epidemia. Dobbiamo continuare a scrivere che non c'è
nessuna cura, nessun farmaco, nessun vaccino per Eboia? Cosa pensa di questo ZMapp, il farmaco
sperimentale che è stato somministrato ad alcuni pazienti? Può essere indicato come l'origine di alcune
guarigioni? Quanto siamo lontani da un vaccino anti-Ebola? Fino ad oggi non esiste nesun trattamento
efficace contro Eboia. Lo ZMapp è stato usato solo con un pugno di pazienti e non ne esiste nemmeno una
quantità sufficiente anche solo per prendere in considerazione una sperimentazione farmacologica sotto
controllo clinico. Siamo lontani ancora parecchi anni da un vaccino efficace contro Eboia. Una persona
guarita dalla malattia per quanto tempo resta ancora infetta e contagiosa? Quando una persona guarisce la
sua infettività diminuisce fino a un livello che rende non più trasmissibile la malattia. Però nel caso dei maschi
il virus rimane presente ancora per molto tempo nello sperma, e nuovi contagi potrebbero avvenire per via
sessuale ancora per quasi tre mesi. Lei è la responsabile delle malattie infettive alla Mayo Clinic. Quali
programmi conducete a questo riguardo? La Mayo Clinic è uno dei più importanti istituti clinici, di ricerca e per
l'insegnamento del paese. È stata indicata come il migliore ospedale di tutti gli Stati Uniti. Non abbiamo un
programma di ricerca dedicato ad Eboia, ma abbiamo un eccellente programma relativo alla prevenzione
delle infezioni e lavoriamo a stretto contatto con le autorità sanitarie pubbliche in materia di focolai di
epidemie e sulle modalità di intervento per limitare la trasmissione delle malattie infettive. •
2.615 Al 20 agosto erano 2.615 i casi di Eboia segnalati tra Guinea Conakry, Liberia, Sierra Leone e Nigeria.
I decessi causati dal virus sarebbero 1.427 CONTAGIATI
54,5 PER CENTO È il tasso di mortalità di Eboia riscontrato per l'epidemia in corso. Un dato che si avvicina al
tasso tipico del ceppo sudanese della malattia
90 PER CENTO Delle cinque varietà di Eboia conosciute, la più letale è quella zairese, che uccide 9 malati
su 10. Finora l'epidemia più estesa aveva avuto luogo nel 2000 in Uganda: 425 casi, 224 morti
Foto: Nella foto, l'addestramento di un gruppo di volontari anti-Ebola a Kailahun, in Sferra Leone, uno dei
paesi maggiormente colpiti dalla nuova epidemia diffusasi nei mesi scorsi in Africa occidentale dopo la
comparsa, a marzo, dei primi casi in Guinea Conakry
Foto: Priva Sampathkumar è consulente per le malattie infettive alla Mayo Clinic di Rochester, Minnesota,
classificata recentemente come il migliore ospedale di tutti gli Stati Uniti. Nella foto a sinistra, personale
sanitario in una struttura di Freetown, Sierra Leone NON ESISTONO PALLOTTOLE MAGICHE CONTRO
QUESTA FEBBRE EMORRAGICA, LE SOLE ARMI EFFICACI SONO DISCIPLINA, CORAGGIO E
CAPACITÀ DI COMUNICAZIONE DELLE AUTORITÀ
Foto: «LO ZMAPP? NON NE ESISTE NEMMENO UNA QUANTITÀ SUFFICIENTE PER UNA
SPERIMENTAZIONE SOTTO CONTROLLO CLINICO. SIAMO LONTANI ANCORA PARECCHI ANNI DA
UN VALIDO VACCINO CONTRO EBOLA»
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Tecnica Ospedaliera - N.8 - settembre 2014
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Con una serie di incontri ufficiali è stato presentato in luglio il "Libro bianco sullo sviluppo del sistema sociosanitario in Lombardia", che nel sottotitolo allude a un impegno comune per la salute, a indicare una diversa
distribuzione e ripartizione delle prerogative tra i principali attori della sanità. «Non è una riforma del sistema,
ma una serie di proposte e di idee sottoposte alla valutazione dei diretti interessati. Mi aspetto spunti di
riessione, integrazioni, suggerimenti e anche critiche. Siamo pronti a migliorare il nostro progetto con il
contributo di tutti». Con queste parole, riportate sul suo sito internet dall'agenzia di stampa Asca, il
governatore regionale Roberto Maroni ha descritto gli scopi e le prerogative del Libro bianco sullo sviluppo
del sistema socio-sanitario in Lombardia che l'amministrazione ha varato e presentato all'inizio dello scorso
luglio. Sempre secondo le agenzie, il numero uno di Palazzo Lombardia ha comunque sottolineato l'esistenza
nel progetto di alcuni principi-cardine destinati a rimanere invariati poiché sono «alla base del sistema
lombardo». Tra questi si segnalano alcuni punti centrali del documento come «la libertà di scelta da parte del
cittadino» e le novità di maggiore rilievo, quali il passaggio dal concetto di «curare» a quello del «prendersi
cura». Ovvero, in lingua inglese, dal to cure al to care. L'analisi dello scenario entro il quale ha preso le
mosse l'iniziativa è essenziale per comprenderne gli orientamenti. Vivono sul territorio circa 10 milioni di
persone che equivalgono a poco meno di un quinto dell'intera popolazione nazionale e che sono addirittura
più di quante non abitino in ben 17 dei 28 Paesi UE. Tra il 2009 e il 2013 le prestazioni ambulatoriali offerte
sono qui aumentate da 150 a 170 milioni mentre negli ultimi 15 anni è calato sensibilmente il numero dei
ricoveri: si è al -26% con un decremento da 1,3 milioni a 958 mila casi. Si è dunque dinanzi agli effetti di un
«processo di de-ospedalizzazione» che è stato trainato anche da un diverso utilizzo delle risorse disponibili a
fronte del riparto del Fondo sanitario nazionale. La Lombardia è in Italia la Regione che alla sanità destina la
più bassa spesa in proporzione al Pil: il 5,47% contro una media del 7,04 nella Penisola e «punte del 10% al
Sud». Una Regione in grigio La Lombardia è tuttavia anche una tra le Regioni più grigie d'Italia, se non quella
in assoluto più anziana. I numeri dell'Istat indicano chiaramente che gli ultra-65enni rappresentano già il 21%
del totale dei residenti. Entro il 2065 si prevede che «il rapporto tra popolazione non attiva - da 0 a 14 anni e
dai 65 anni in avanti - e popolazione attiva - 15-64 anni - passerà dall'attuale 32,7% al 54,4%. Nel 2030,
infine, si potrebbero calcolare ben tre over-65 per ogni due giovani di età inferiore ai vent'anni. Ragion per cui
al centro della «serie di proposte» discusse in più sedi alla metà dell'estate, c'è l'attenzione al trattamento
delle cronicità che è destinatario di molti benefici del passaggio dal to cure al to care. Dopo avere avviato
«forme di sperimentazione dell'assistenza» ai malati cronici, «non più organizzata per patologia ma attraverso
gruppi ROBERTO CARMINATI di lavoro che si prendono cura, insieme e con medicina di iniziativa, del
percorso del paziente», adesso il sistema regionale mira ad altri traguardi. Partendo dall'assunto che il
cronico non può godere della stessa mobilità concessa alle acuzie - «ci si sposta per cercare le eccellenze,
per intervenire in un determinato momento», recita il Libro bianco - la Regione sembra voler mettere in atto
una sorta di rivoluzione copernicana. «Non è la persona a doversi spostare», è stato scritto nelle battute
iniziali del documento, circa 120 pagine in totale, «ma sono i servizi a doversi orientare attorno alle sue
esigenze. Sul territorio l'assistenza assicura continuità e recupera efficacia» complice l'instaurazione di una
galassia di servizi integrati. «Tornare a casa o presso i centri riabilitativi», è l'idea del white paper, «deve
significare entrare in un sistema di relazioni tra famiglie e team multi-professionali» di «presa in carico della
persona». Questo è il senso intimo del concetto di prendersi cura, che intende fare fronte alle esigenze dei
cittadini non solo in termini di qualità del servizio ma di autentica prossimità alle fasce più deboli. Parola
d'ordine: razionalizzazione In linea generale quel che la Regione si attende dal piano di restyling disegnato
dal Libro bianco è una razionalizzazione dell'offerta che passa per la riduzione del numero delle Asl e la loro
trasformazione, oltre dall'introduzione di una Centrale unica di committenza. Maggiori qualità e sicurezza per i
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Linee guida per l'assistenza che verrà
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pazienti dovrebbero essere garantiti anche dalla riqualificazione del personale, formato in maniera tale da
potersi meglio dedicare al supporto delle cronicità. Dall'incrementata continuità terapeutica dovrebbe infine
scaturire una più marcata omogeneità di prestazioni e servizi («più unità», si è potuto leggere nella
documentazione ufficiale) il cui robusto potenziamento deve avvenire in accordo e in stretto contatto con le
amministrazioni comunali. Fanno parte dei «principi cardine» evocati da Maroni alcuni dei punti passati in
rassegna appena più su. È allo studio un'articolazione del SSR che vede le Asl tramutarsi da aziende in
agenzie, per garantire una migliore programmazione territoriale insieme con l'accreditamento di tutti i soggetti
erogatori, la loro contrattualizzazione e la loro appropriatezza. Sempre alle agenzie è demandato il compito di
sovrintendere all'integrazione con i comuni, laddove diverse sono le vocazioni delle Aziende integrate per la
salute o Ais. Facendosi carico di assicurare la continuità assistenziale «integrano i servizi sociali e sanitari» e
propongono un nuovo paradigma. «Superano la distinzione tra ospedale e territorio», stando a quanto riferito
dai documenti ufficiali in arrivo dall'amministrazione lombarda, «attraverso un polo ospedaliero orientato alle
prestazioni in acuzie e specialistiche a livelli crescenti di complessità; e un polo territoriale, che si occupa di
prevenzione sanitaria e sociosanitaria ed erogazione di prestazioni per la cronicità e le fragilità». Una sola
centrale al comando Mentre poi la cabina unica di regia per provvedere alle procedure di acquisto
centralizzate di beni e servizi dovrebbe nascere per portare più concorrenza e trasparenza insieme a una
«riduzione dei costi», sonoro è l'accento che la Lombardia pone sulla valutazione dell'erogazione. L'ipotesi è
dare vita a una Struttura di controllo dell'appropriatezza e della qualità al cui centro c'è un cosiddetto sistema
di vendor rating, ovvero di giudizio dei fornitori. «Aggiornato su base trimestrale, «orienta sia la
programmazione e la messa a contratto degli erogatori sia il cittadino che esercita il diritto alla libera scelta.
Ha funzioni di programmazione del governo clinico, di valutazione delle tecnologie sanitarie, di monitoraggio
del sistema e della qualità dell'assistenza, delle politiche di controllo e della relativa gestione». Scopo del
progetto è quindi il miglior possibile equilibrio tra domanda e offerta con una selezione degli erogatori basata
sulle loro effettive capacità prestazionali. Pietra di paragone è secondo gli osservatori l'esperienza britannica
del National Institute for Health and Care Excellence. Si tratta dell'agenzia che nel Regno Unito si occupa
dello sviluppo di linee guida in ambito socio-sanitario e assistenziale e che ne verifica poi la concreta
applicazione. E sin dal 2009, quando è stata fondata, il suo team di ricerca ha supportato e consigliato 27
produttori su 94 progetti riguardanti 57 diverse aree terapeutico-assistenziali. In quest'ottica la nuova struttura
prevista per la sanità lombarda acquisterebbe «un ruolo di supporto alle scelte strategiche di politica sanitaria
della Regione», secondo la descrizione datane da Corriere Salute, facendo leva in sede di valutazione e
giudizio sulla vasta mole di dati che il sistema informativo regionale già ora elabora. La portata del white
paper è tale da aver suscitato il consenso anche di parti dell'opposizione, visto che il sito di informazione
Affaritaliani.it ha ospitato un intervento in cui la consigliera comunale per il PD a Palazzo Marino Rosaria
Iardino ha parlato di «una logica condivisibile». E, pur manifestando alcune perplessità circa la possibile
strategia di ripartizione della spesa, ha definito il documento «estremamente innovativo sia in termini di
processo sia per i suoi contenuti».
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ROBERTO FRAZZOLI
Una semplice scheda in sette punti, rivolta ai medici e agli infermieri degli ospedali, per facilitare
l'applicazione della legge 38 sulla terapia del dolore: è la proposta di un progetto di ricerca che ha dato
risultati decisamente positivi. Dolore ridotto del 13,7%, miglior controllo degli effetti collaterali con una
diminuzione della loro prevalenza pari al 10,8%, una comparsa degli episodi di Break Through cancer Pain
(BTcP) inferiore del 20% e un'intensità media degli eventi acuti più bassa del 4,2%. È stato sufficiente
chiedere a medici e infermieri di compilare una semplice scheda di sette punti (una check list,
nell'espressione inglese) per ottenere un netto miglioramento del controllo e trattamento del dolore nei reparti
ospedalieri di oncologia, con un ovvio beneficio per i pazienti. Sono questi i risultati preliminari del progetto
"38Checkpain", iniziativa che si propone di facilitare l'applicazione della legge 38 del 15 marzo 2010
("Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore"), tuttora ampiamente
inapplicata negli ospedali. I risultati preliminari del progetto - oltre a dimostrare l'efficacia di uno strumento
semplice come una check list - confermano anche la validità dei presupposti della legge 38, che quindi merita
di raggiungere una piena applicazione: misurare, trattare e monitorare il dolore consente effettivamente di
ridurne l'intensità, a tutto vantaggio dei pazienti e di una sanità più efficace. Per saperne di più abbiamo
rivolto alcune domande a Marta Gentili, presidente dell'associazione "Vivere senza dolore" che ha promosso
l'iniziativa 38Checkpain. Una situazione insoddisfacente L'idea di sperimentare nuovi strumenti che potessero
facilitare l'applicazione della legge 38 è nata in seno all'associazione "Vivere senza dolore" a seguito di
un'analisi che ha consentito di rilevare come negli ospedali italiani il controllo del dolore sia tuttora effettuato
in modo insoddisfacente. «Lo spunto per questo progetto è venuto da una nostra precedente indagine»,
spiega Gentili, «che aveva dimostrato come nei reparti ospedalieri il dolore fosse ancora poco rilevato e
trattato: nel 50-60% dei casi i pazienti tuttora convivono con la sofferenza. La legge 38 ha reso obbligatorio
inserire nella cartella clinica una scheda di valutazione del dolore, che però spesso rimane inutilizzata».
Perché una check list? Lo strumento che l'associazione ha scelto di sperimentare è appunto la check list. Ma
quali sono i motivi alla base di questa scelta? Come spiegare l'efficacia di questo mezzo così semplice?
Spiega Gentili: «Sapevamo, dalla letteratura, che in ambito operatorio le check list (utilizzate per verificare
alcune procedure apparentemente banali, come per esempio la disinfezione delle mani, la corretta
somministrazione di un trattamento antibiotico ecc.) si sono dimostrate estremamente efficaci nel ridurre la
mortalità dovuta a complicazioni post operatorie. Inoltre, nel libro "Check list" scritto dal professor Atul
Gawande, responsabile Oms per la stesura delle check list in ambito operatorio, è riportata brevemente
un'esperienza dell'applicazione di questo strumento anche per il controllo del dolore nei reparti ospedalieri.
Forse l'aspetto essenziale che rende la check list più efficace della scheda inserita nella cartella clinica è che
viene "spuntata" direttamente al letto del paziente dal medico durante il giro visita o dall'infermiere, mentre
misura la temperatura e prova la pressione. La nostra check list», prosegue Gentili, «segue i punti salienti
dell'articolo 7 della legge 38/2010 ed è di veloce compilazione: servono infatti solo 47 secondi per spuntare i
sette item che la compongono. È essenziale che lo strumento sia rapido e semplice e che venga visto come
un supporto e non un inutile atto burocratico». Dolore come malattia, non come sintomo I ritardi
nell'applicazione della legge 38 dimostrano come il sistema sanitario - contrariamente a quanto suggerisce il
senso comune - sia ancora poco sensibile al problema di un paziente che soffre. Come spiegare questa
situazione? «Tradizionalmente», osserva Gentili, «il dolore in medicina veniva considerato un sintomo, non
una malattia in sé. Per di più, un sintomo utile al medico che, monitorando il livello di sofferenza del paziente,
poteva verifi care l'effi cacia del trattamento. Oggi le cose sono cambiate: come nel resto del mondo, grazie
alla legge del 2010 anche in Italia il dolore è stato riconosciuto come quinto parametro vitale da monitorare
quotidianamente, al pari della temperatura corporea, della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e
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Una check list contro il dolore
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respiratoria. E il paragone con gli altri parametri vitali evidenzia il ritardo culturale che riguarda il dolore:
nessuno penserebbe di non trattare la febbre alta, per esempio. La strada per giungere alla piena
applicazione della legge 38, però, è ancora lunga, anche perché spesso i pazienti non hanno la forza di
chiedere il trattamento del dolore o ritengono che la sofferenza sia inevitabilmente connessa alla loro
condizione di malati o di anziani». Il futuro del progetto 38Checkpain Come si è detto, i risultati presentati di
recente si riferiscono alla prima fase del progetto 38Checkpain, che è destinato a proseguire, come chiarisce
Gentili. «Siamo partiti con una fase di test nei reparti di oncologia, riscontrando una grande collaborazione da
parte dei medici; ora l'obiettivo è allargare l'impiego della check list ad altri reparti ospedalieri, in primo luogo
quelli di medicina, geriatria e ortopedia, nei quali il dolore ha una forte prevalenza. Per farlo, cercheremo di
coinvolgere le società scientifi che alle quali aderiscono gli specialisti di queste tre discipline. L'importante è
che i clinici capiscano che la check list non è una nuova incombenza burocratica, ma uno strumento pratico
che può aiutarli nel loro quotidiano a migliorare la qualità di vita dei malati ricoverati. Stiamo inoltre cercando
di coinvolgere il professor Guido Fanelli, in qualità di coordinatore della Commissione Ministeriale di Terapia
del Dolore e Cure Palliative e ci auguriamo di poter collaborare con il Ministero della Salute per valutare la
possibilità di fare della check list uno strumento uffi ciale. Nell'edizione 2015 del World Medicine Park confi
diamo di poter presentare i risultati di questa seconda fase del progetto», conclude Gentili.
IL PROGETTO 38CHECKPAIN Il progetto 38Checkpain è promosso dall'associazione pazienti "Vivere senza
dolore" con il patrocinio di Cipomo (Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri) e dell'associazione
pazienti oncologici Bianco Airone, e con un contributo incondizionato di Mundipharma. La prima fase
dell'iniziativa si è svolta da febbraio a maggio 2014 e ha coinvolto 92 reparti oncologici di altrettanti ospedali
italiani. Lo studio prevedeva la compilazione due volte al giorno, da parte dei clinici aderenti all'iniziativa, di
una check list che aveva lo scopo di verificare l'avvenuto monitoraggio dell'intensità del dolore e
l'impostazione di terapie adeguate per il controllo della sintomatologia algica, ma anche degli effetti collaterali
e degli eventi di BTcP, ove presenti. La check list si compone di sette punti che consentono di verificare
l'avvenuto monitoraggio dei parametri del dolore indicati nell'art. 7 della legge 38. Complessivamente, sono
stati valutati 3.240 pazienti ricoverati presso i centri partecipanti. I risultati preliminari del progetto sono stati
presentati di recente al Congresso World Medicine Park di Minorca - Satellite Event in Oncology.
I RISULTATI IN DETTAGLIO Analizzando in dettaglio i risultati preliminari raccolti nei reparti specialistici,
l'associazione "Vivere senza dolore" ha rilevato che il 47% dei pazienti ricoverati aveva un dolore non
controllato d'intensità pari a 5,5 su scala NRS da 0 a 10. Nell'ambito della prima fase del progetto 38Checklist
(che si è svolta in reparti di oncologia), l'utilizzo della checkpain list ha permesso una riduzione dell'intensità
del dolore del 13,7% rispetto al gruppo di controllo, una diminuzione degli effetti collaterali del 10,8% a fronte
di un loro aumento nel gruppo di controllo pari al 18,6%, un decremento del 20% della frequenza dei
fenomeni di BTcP e una riduzione della loro intensità dell'8,7%, contro un dato pari al 4,2% del gruppo di
controllo. Questi risultati vengono ritenuti particolarmente signifi cativi, considerando che nei reparti di
oncologia il tema del dolore riceve abitualmente una notevole attenzione.
LA LEGGE 38 L'emanazione della legge n. 38 del 15 marzo 2010 ha rappresentato un traguardo importante
nel panorama sanitario italiano ed europeo. La legge 38/2010, tra le prime in Europa a fornire risposte ai
bisogni della popolazione in tema di cure palliative e di dolore cronico, stabilisce la creazione di due reti di
assistenza, che devono rispondere alle esigenze e ai bisogni sia del paziente che necessita di cure palliative
sia del paziente affetto da dolore cronico. Il provvedimento, inoltre, dedica una particolare attenzione al
paziente pediatrico, riconoscendolo come soggetto con specifi ci bisogni ed esigenze. Tra le altre cose, la
legge 38/2010 semplifi ca le procedure di accesso ai medicinali impiegati per il trattamento del dolore: grazie
a essa, i medici di famiglia possono ora prescrivere i farmaci oppiacei utilizzando il semplice ricettario del
Servizio Sanitario Nazionale. In tale contesto, la persona malata può essere assistita e ricevere sostegno,
oltre che dai familiari e dal volontariato, anche da medici, operatori sanitari e altri professionisti specifi
catamente formati in materia di cure palliative e terapia antalgica. La misurazione e il trattamento del dolore è
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un dovere di tutti gli operatori sanitari e, per questo, nella legge si rende obbligatoria la sua rilevazione
all'interno della cartella clinica nei pazienti ricoverati.
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Nel corso della VI Conferenza Nazionale dei Dispositivi Medici (DM) è stato presentato il primo rapporto sui
consumi riferiti al 2012. Un rapporto ancora incompleto per diversi aspetti, ma che contiene molti spunti
interessanti. Si illustrano qui le potenzialità del monitoraggio, se ne spiegano le criticità proponendo in alcuni
casi possibili soluzioni, come il maggior coinvolgimento dei sistemi informativi e delle ingegnerie cliniche, e ci
si chiede se, da strumento di governance, non possa diventare anche strumento di management. Nell'ambito
del fabbisogno di salute della popolazione i dispositivi medici sono diventati una componente importante a
seguito del continuo aumento del "consumo" da parte di utenti professionali e di privati. Questa rilevanza sul
piano sanitario ha comportato anche un incremento notevole nella spesa pubblica per dispositivi medici e per
prestazioni associate al loro utilizzo, tanto che in molte aziende sanitarie la spesa per i DM ha superato la
spesa dei farmaci e si pone come seconda voce di spesa complessiva nel bilancio delle aziende sanitarie,
dopo quella per il personale. In questo contesto è emersa l'impellente necessità di attivare a livello nazionale
e regionale strumenti di governance per gestire e monitorare l'introduzione e l'uso delle tecnologie nell'ambito
del sistema sanitario, valutandone la sostenibilità economico-finanziaria. Il punto di partenza, come per ogni
strumento di governo di un sistema, è consistito nell'acquisire la conoscenza dei processi reali di acquisto dei
DM e l'effettiva dimensione del mercato in termini di volume e spesa, tramite strumenti di recupero ed
elaborazione dei dati per l'analisi critica delle informazioni. In questo ambito si colloca il decreto del ministro
della Salute 11 giugno 2010 che ha previsto "Istituzione del usso informativo per il monitoraggio dei consumi
dei dispositivi medici direttamente acquistati dal Ssn". Il monitoraggio ministeriale Lo scorso 17 dicembre
2013 a Roma, nel corso della VI Conferenza Nazionale dei Dispositivi Medici, è stato presentato il primo
Rapporto sui consumi di DM relativi al 2012, che rappresenta il primo risultato del monitoraggio dei dispositivi
medici direttamente acquistati dal Ssn. I dati contenuti nel rapporto, seppur ancora incompleti, sono
un'importante risorsa e aprono la strada a numerosi spunti di discussione. Gli obiettivi che il Ministero ha
posto alla base di questo progetto sono assolutamente condivisibili: la preoccupazione che la spesa dei DM
possa andare fuori controllo è reale, soprattutto in assenza di parametri di confronto che ne stabiliscano
l'appropriatezza. I dati, quindi, in forma aggregata, sono un potente strumento di governance a livello
centrale. Il Ministero infatti ha già stabilito dei tetti di spesa per questo tipo di dispositivi, fissata per il 2013 al
4,8% del Fondo Sanitario Nazionale e ridotta al 4,4% nel 2014. Lo scopo dell'attività di monitoraggio del
consumo dei DM è riuscire a creare modelli di benchmarking che siano strategici e diano indicazioni di merito
per eventuali manovre di spending review, senza il ricorso sistematico al taglio lineare. In questa ottica i
modelli devono fornire strumenti per verificare l'appropriatezza d'uso del DM in riferimento alla destinazione
d'uso indicata dal fabbricante e alla tipologia di pazienti e di patologia per la quale è usato, garantendo
l'efficacia clinica in relazione alla sicurezza del paziente e degli operatori. A tal proposito vanno sottolineati
due elementi qualificanti dell'iniziativa: • l'individuazione certa del dispositivo attraverso l'istituzione della
Banca Dati dei dispositivi medici, che consente l'avvio della tracciabilità dei consumi, monitorata attraverso i
relativi ussi informativi; • la pubblicazione dei dati sul sito del Ministero in formato open data, aggiornati
periodicamente e disponibili per gli operatori sanitari sulla piattaforma del Nuovo Sistema Informativo
Sanitario (Nsis) in tempo reale. Il modello che c'è dietro al usso è collaudato. Un file xml contenente i
dispositivi medici consumati viene trasmesso periodicamente al Ministero per l'elaborazione. È un file
analitico che riporta gli "estremi" necessari a identificare il consumo. Per rendere possibile il monitoraggio, da
tempo il Ministero ha introdotto una codifica riguardante i DM, nota come Classificazione Nazionale dei
Dispositivi (Cnd). Un dispositivo viene identificato quindi da una coppia di valori, il suo codice Cnd (un valore
alfanumerico costituito da una lettera e da una serie di numeri) e il numero di repertorio, che è un numero
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Flusso informativo ministeriale dei dispositivi medici. Possibile strumento
di gestione?
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progressivo rilasciato dal Ministero. L'onere della registrazione del dispositivo spetta al produttore. Il livello di
dettaglio delle informazioni rilevate consente di riferirsi alle seguenti dimensioni di analisi: • tempo (anno,
mese), • localizzazione (Regione, azienda sanitaria, struttura, reparto), • dispositivo (numero di repertorio,
classificazione Cnd, fabbricante ecc.), • consumo (quantità di unità), • spesa (per le quantità). Il rapporto
ministeriale In un documento di 50 pagine il Ministero ha presentato i risultati del monitoraggio per il 2012.
Molti sono gli spunti interessanti. Sicuramente lo è, per esempio, il dato riguardante la spesa divisa per
categoria di dispositivo (prima lettera del codice Cnd). La fanno da padroni sicuramente i dispositivi protesici,
i cardiologici e gli impiantabili attivi, trattandosi in molti casi di dispositivi ad alto costo. La struttura del codice
Cnd consente di gestire gerarchicamente il dato. In questo modo si possono analizzare i dati con livelli di
aggregazione differenti. Per esempio, nella categoria P, il 51,5% è costituito da dispositivi P09, cioè protesi
ortopediche e mezzi per osteosintesi e sintesi tendineo-legamentosa. Qual è l'attendibilità di questi dati? Qual
è la percentuale di copertura rispetto al numero reale di dispositivi consumati? Nel rapporto c'è una stima
della copertura del monitoraggio effettuata prendendo in considerazione le voci di bilancio relative ai costi
sostenuti per dispositivi prelevate dai conti economici delle aziende sanitarie. Benché in alcuni casi possa
esserci una discrepanza tra il costo puro del dispositivo e quanto in realtà viene fatturato dalla ditta fornitrice
(si immagini il caso di servizi accessori forniti con il dispositivo), il C.E. resta un ottimo riferimento per la stima
della copertura del monitoraggio. Come si evince dalla tabella a pag. 61, si tratta sicuramente di un ottimo
livello di copertura, anche in considerazione del fatto che l'introduzione dell'obbligo di trasmissione dei dati è
piuttosto recente. Criticità e anomalie Benché gli obiettivi di questo progetto siano strategici, se si guarda allo
stesso dal punto di vista dell'IT, salta agli occhi una prima considerazione: dall'introduzione della Sdo e del
relativo usso di trasmissione ogni azione di aumento della governance che si è voluta gestire attraverso
l'introduzione di un nuovo usso informativo è stata sempre accompagnata da investimenti, più o meno
cospicui, in ambiti Ict. In questo caso, si è probabilmente pensato che gli strumenti già a disposizione delle
aziende fossero sufficienti per la preparazione, l'elaborazione e la trasmissione dei dati. Ma anche i sistemi
attualmente usati vanno comunque adattati alle nuove esigenze. È evidente la complessità anche solo della
banale introduzione della codifica Cnd e del numero di repertorio nei gestionali aziendali. Inoltre, rispetto ad
altri ussi, che trovano centri di responsabilità ben localizzati nelle aziende sanitarie, gli attori interni coinvolti a
vario titolo nella gestione dei DM sono diversi: • i Servizi di Acquisizione Beni e Servizi o Provveditorati, in
quanto titolari della procedura amministrativa e dei contratti; • le Far macie Ospedal iere, i n quanto coinvolte
nella movimentazione della maggior parte dei DM; • gli Economati o i Servizi Patrimoniali, in quanto coinvolti
nella movimentazione di tutti i dispositivi che per vari motivi non vengono gestiti dalle Farmacie Ospedaliere; •
le Ingegnerie Cliniche, in quanto coinvolte nella gestione delle apparecchiature biomedicali; • i Servizi
Informativi Aziendali, in quanto facilitatori dei processi telematici e dei ussi informativi. Pertanto è presente
una problematica, relativa alla gestione dei ussi, riferita alla qualità e alla completezza delle informazioni,
dovuta alla frammentazione dei dati e alla scarsa interazione e collaborazione tra i vari attori sopra elencati.
Quanto indicato salta particolarmente all'occhio per i dispositivi con classe Cnd Z, cioè le apparecchiature
sanitarie e relativi componenti accessori e materiali. È evidente che Farmacie e Magazzini riescono, pur con
qualche diffi coltà, ad adempiere agli obblighi relativi all'invio dei dati, mentre le Ingegnerie Cliniche non sono
state probabilmente coinvolte a suffi cienza nella problematica. E la spiegazione potrebbe essere
semplicemente che i diversi servizi usino software gestionali diversi che non comunicano tra loro. Per cercare
di capire quali siano queste anomalie presenti nel rapporto, proviamo a riportare alcuni esempi. Se si fi ltrano
tutti i dati relativi al codice Cnd Z e si aggregano per azienda sanitaria, si scopre che si passa da un'azienda
che ha comunicato una spesa complessiva per apparecchiature sanitarie in tutto il 2012 di poco più di 78
euro ad un'azienda che ha comunicato una spesa complessiva di 5.824.911 euro. Si scopre inoltre che
alcune categorie di apparecchiature sono poco presenti: sono stati acquistati nel 2012, secondo il rapporto,
solo 12 apparecchiature per elettroterapia (Z121501), solo 19 elettrocardiografi (Z1205030X) e solo 45
spirometri (Z1215010X), in tutta Italia. Il tipo di apparecchiatura più presente è il monitor a parametri vitali
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
(Z1203020X) con 477 voci di spesa. Vi sono anche problemi di coerenza che andrebbero studiati: un'azienda
sanitaria ha comunicato di aver speso 22,88 euro per acceleratori lineari ad energia media e multipla
(Z110101). È comprensibile che l'interesse del Ministero in questo momento sia soprattutto aumentare la
copertura in quelle categorie Cnd che rappresentano la maggiore voce di spesa nazionale, ma sarebbe un
peccato non investire per perfezionare la qualità del dato del monitoraggio. Dalla governance ex post alla
gestione ex ante Il monitoraggio avviato ha fornito un patrimonio di informazioni che consente di analizzare i
dati di spesa e assicurare strumenti di controllo, ma potrebbe anche permettere la condivisione di quelli che
effettivamente possono essere considerati prezzi di riferimento per futuri acquisti o elementi per rinegoziare i
contratti in essere. È auspicabile, pertanto, estendere l'utilità del monitoraggio a strumento di management
quotidiano e non solo come supporto alle decisioni per lo strategic apex. La condivisione e la diffusione delle
informazioni dovrebbe essere il punto di inizio di un processo di standardizzazione delle procedure per
l'acquisizione dei dispositivi soprattutto in relazione alle tecnologie "innovative" e di individuazione dei risultati
attesi con la verifica dei criteri di valutazione di efficacia clinica, di impatto organizzativo e di sostenibilità
economica. Le Regioni e anche le singole aziende potrebbero avere a disposizione uno strumento per
iniziare un percorso reale di analisi, correlando i dati di consumo con quelli di produzione sanitaria. Questo
strumento renderebbe possibile analizzare le principali scelte sull'acquisto nelle varie aziende delle tipologie
prevalenti di DM, confrontare i prezzi pagati dalle singole aziende sanitarie per DM simili o equivalenti e infine
confrontare le modalità di acquisizione dei DM e i criteri di natura tecnico/economico, qualitativi usati in sede
di valutazione delle diverse offerte. Il valore di un tale strumento è evidente, in particolare per operatori come
gli ingegneri clinici che affrontano ogni giorno il problema di determinare la congruità dei costi delle
apparecchiature basandosi sul vecchio modello di richiesta dei prezzi praticati agli stessi fornitori. In
particolare, poi, per le apparecchiature sanitarie (Cnd Z), l'analisi dei prezzi è soggetta a criticità di sistema,
infatti le forniture effettuate nelle diverse aziende sanitarie, e perfino all'interno della stessa azienda,
riguardano spesso configurazioni diverse (componenti hardware, moduli software, accessori), modalità
diverse di somministrazione, kit e consumabili (esempio: monouso) differenti. Inoltre un'unica fornitura è
spesso l'insieme di più DM: si citavano prima i monitor a parametri vitali; in una fornitura di un monitor sono
sempre inclusi il cavo paziente per l'acquisizione del dato Ecg, il bracciale per la rilevazione della Nbp, il
sensore per la pulsossimetria, tutti DM a sé stanti che non sempre vengono dettagliati in offerta economica o
in fattura. Questa complessità, propria delle apparecchiature sanitarie, rende più difficile l'attendibilità e la
qualità dei dati rilevati già in fase di elaborazione e quindi di analisi dei ussi informativi. Altro elemento di
complessità che particolarizza l'analisi della spesa relativa alle apparecchiature è la rilevanza in termini
quantitativi della voce relativa ai costi di gestione e manutenzione delle stesse. Le criticità evidenziate
rappresentano alcuni dei fattori che determinano differenze, anche significative, tra il C.E. e il reale
"consumo" di apparecchiature sanitarie. Nonostante tutto, affinando il usso informativo e migliorando la
completezza e qualità dei dati relativo all'apparecchiature, lo strumento di monitoraggio basato sulla
classificazione Cnd e sul repertorio renderebbe più trasparente e soprattutto più efficace il lavoro di confronto
dei prezzi effettivi di mercato e delle modalità di acquisizione con possibili considerazioni tecnico/economico,
estremamente utili per l'introduzione e quindi la gestione delle tecnologie. Conclusioni I presupposti quindi di
un corretto monitoraggio dei DM sono anzitutto la creazione di un'anagrafica comune degli stessi e
l'informatizzazione dei relativi contratti di acquisizione. A riguardo, i dati essenziali per la costruzione
dell'anagrafica sono il Cnd e il numero di repertorio; un'importante criticità ancora non risolta è quella relativa
proprio al processo di informatizzazione dei contratti che, seppur attivato, a oggi è ancora non completo. A tal
fine, l'ingegnere clinico, a livello sia operativo sia gestionale, ha un ruolo fondamentale considerate le sue
conoscenze specifiche. Altra attività strategica, infatti, per il miglioramento della qualità del dato del
monitoraggio, è il processo di acquisto dei DM di tipo disposable che, con la partecipazione dell'ingegnere
clinico, dalla fase di definizione dei capitolati a quella di valutazione delle offerte e alla conclusiva di
esecuzione del contratto, risentirebbe di notevoli vantaggi, come riscontrato per l'analogo processo di
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acquisizione delle apparecchiature biomediche; in particolare, in tempi relativamente brevi, si potrebbe avere
una conoscenza molto approfondita delle problematiche ancora in essere e alla definizione di strumenti
efficienti di controllo locali che sicuramente concorrerebbero a ottimizzare il monitoraggio nazionale.
Un'ulteriore riessione sul perché sia opportuna una figura che faccia da trait d'union per le varie categorie di
dispositivi nasce dalla considerazione che partecipano al monitoraggio anche i dispositivi diagnostici in vitro,
seppure per il momento il Ministero ha preferito non rendere obbligatoria la loro trasmissione (nel
monitoraggio 2012 sono stati trasmessi Ivd solo per poco più di 570mila euro). Si tratta di dispositivi spesso
non gestiti né dalle farmacie ospedaliere né dai magazzini economali ma direttamente dai laboratori. Si tratta
di materiale da laboratorio come provette, cuvette, ampolle ecc.; materiale di consumo come reattivi e
reagenti e, naturalmente, apparecchiature da laboratorio, che insieme costituiscono una fetta importante della
spesa per dispositivi. Dal dato prima citato di copertura, risulta dai conti economici aziendali, una spesa di
quasi 890 milioni di euro nel 2012. Risulta inoltre molto stimolante pensare come dal monitoraggio possano
dipendere scelte gestionali importanti. Si pensi, per esempio, alla logistica dei DM di tipo disposable. Mentre
la gestione del farmaco è una scienza che vive oggi un grado di assessment importante e viene riconosciuta
come strategica all'unanimità, la gestione della logistica del dispositivo è spesso sottovalutata. Riettendo un
attimo, però, sempre più dispositivi oggi hanno una scadenza, sempre più un'inutile giacenza rappresenta un
costo, sempre più la non conoscenza delle proprie scorte di magazzino in termini di dispositivi, rappresenta
un'inefficienza. È facile immaginare, come avviene per una gestione corretta del farmaco, a risparmi
dell'ordine del 20% con una gestione della logistica più efficiente ed efficace. Anche in questo contesto,
l'ingegnere clinico, che spesso ha competenze di project management, potrebbe rivelarsi una risorsa
importante. Infine, non dimentichiamo l'infrastruttura di base sulla quale tutte queste attività si reggono.
Occorre un profondo coordinamento con i sistemi informativi aziendali. Se si pensa che, in alcuni casi,
semplicemente attraverso una personalizzazione e un'ottimizzazione del software amministrativo-contabile
aziendale, si potrebbero ottenere enormi vantaggi in termini di qualità del dato, l'importanza dei Cio in questi
processi è palese. La speranza è che, oltre a un maggiore coinvolgimento delle ingegnerie cliniche e dei
sistemi informativi nei processi interni delle singole aziende, si abbia una maggiore presenza di queste figure
anche nei tavoli di lavoro ministeriali per evidenziare criticità non emerse ma anche nuove potenzialità non
immaginate.
DEFINIZIONE DI DISPOSITIVO MEDICO La direttiva europea 93/42/CEE, poi modificata dalla direttiva
2007/47/CE, definisce il dispositivo medico come segue: «qualunque strumento, apparecchio, impianto,
software, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione, compreso il software destinato dal
fabbricante a essere impiegato specificamente con finalità diagnostiche o terapeutiche e necessario al
corretto funzionamento del dispositivo, destinato dal fabbricante a essere impiegato sull'uomo a fini di
diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; di diagnosi, controllo, terapia,
attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap; di studio, sostituzione o modifica dell'anatomia
o di un processo fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l'azione principale,
nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o immunologici né mediante processo
metabolico ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi». All'interno del monitoraggio sono
presenti anche altre due categorie di dispositivi che non rientrano in questa direttiva. Si tratta dei dispositivi
impiantabili attivi (Iad) e dei dispositivi diagnostici in vitro (Ivd).
60 54,6% 0% 5% 10% 15% 20% 25% 22,3% 12,0% 11,4% 8,9% 7,1% 6,2% 5,9% 4,9% 4,0% 2,9% 2,4%
2,3% 1,9% 1,6% 1,5% 1,4% 1,1% V-DISPOSITIVI VARI 0,4% 0,4% 0,4% 0,3% P-DISPOSITIVI PROTESICI
IMPIANTABILI E PRODOTTI PER OSTEOSINTESI C-DISPOSITIVI PER APPARATO
CARDIOCIRCOLATORIO J-DISPOSITIVI IMPIANTABILI ATTIVI A-DISPOSITIVI DA SOMMINISTRAZIONE,
PRELIEVO E RACCOLTA H-DISPOSITIVI DA SUTURA M-DISPOSITIVI PER MEDICAZIONI GENERALI E
SPECIALISTICHE K-DISPOSITIVI PER CHIRURGIA MINI-INVASIVA ED ELETTROCHIRURGIA TDISPOSITIVI DI PROTEZIONE E AUSILI PER INCONTINENZA (D.Lgs.46/97) Z-APPARECCHIATURE
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SANITARIE E RELATIVI COMPONENTI ACCESSORI E... F-DISPOSITIVI PER DIALISI R- DISPOSITIVI
PER APPARATO RESPIRATORIO E ANESTESIA Q-DISPOSITIVI PER ODONTOIATRIA,
OFTALMOLOGIA, E... B-DISPOSITIVI PER EMOTRASFUSIONE ED EMATOLOGIA U-DISPOSITIVI PER
APPARATO UROGENITALE G-DISPOSITIVI PER APPARATO GASTROINTESTINALE 1,LSTRUMENTARIO CHIRURGICO PLURIUSO O RIUSABILE D-DISINFETTANTI, ANTISETTICI E
PROTEOLITICI (D. Lgs. 46/97) S-PRODOTTI PER DTERILIZZAZIONE V-SUPPORTI O AUSILI TECNICI
PER PERSONE DISABILI N-DISPOSITIVI PER SISTEMA NERVOSO E MIDOLLARE Figura 1 Distribuzione della spesa per categoria Cnd (fonte Rapporto sulla spesa rilevata dalle strutture sanitarie
pubbliche del Ssn per l'acquisto dei DM)
I DISPOSITIVI MEDICI OGGETTO DI MONITORAGGIO Il decreto del ministro della Salute 25 novembre
2013 defi nisce i dati oggetto della rilevazione relativa alla rilevazione monitoraggio dei consumi dei DM
direttamente acquistati dal Ssn. L'alimentazione della banca dati è a cura delle singole Regioni e riguarda
anche i contratti stipulati dal 1 ottobre 2010 per l'approvvigionamento di DM. Per questi ultimi, il monitoraggio
riguarda: i dispositivi medici distribuiti alle Uo delle strutture di ricovero e cura destinati al consumo interno o
alla distribuzione diretta; i dispositivi medici acquistati o resi disponibili dalle Asl o strutture equiparate e
destinate alle strutture del proprio territorio per consumo interno, distribuzione diretta o distribuzione per
conto; i contratti di acquisizione e messa a disposizione di DM sottoscritti dalle Asl.
Percentuale di copertura del monitoraggio (fonte: rapporto sulla spesa rilevata dalle strutture sanitarie
pubbliche del Ssn per l'acquisto dei dispositivi medici) A B C D E=B+C+D F=A/(B+C) Area geografi ca Flusso
consumi spesa per DM BA0220 B.1.A.3.1) Dispositivi medici BA0230 B.1.A.3.2) Dispositivi medici impiantabili
attivi BA0240 B.1.A3.3) Dispositivi medici diagnostici in vitro (IVD) B.1.A.3) Dispositivi medici* Copertura %
Nord 1.539.931.254 1.849.755.000 229.580.000 540.612.000 2.619.947.000 74 Centro 386.557.892
494.768.000 103.264.000 117.008.000 715.040.000 65 Sud e Isole 587.569.097 912.473.000 245.700.000
232.258.000 1.390.431.000 51 Totale 2.514.058.243 3.256.996.000 578.544.000 889.878.000 4.725.418.000
66 NB Dal calcolo della "copertura %" nazionale sono state escluse le Regioni Sardegna e Lazio. * Modelli
CE - consuntivo 2012, dati aggiornati al 25/9/2013. Flusso consumi: dati riferiti al periodo gennaio-dicembre
2012. Si ricorda che al momento i dispositivi diagnostici (IVD) non sono rilevati con il Flusso Consumi.
MONITORAGGIO GRANDI APPARECCHIATURE Il decreto del ministro della Salute del 22 maggio 2014 ha
istituito il usso informativo per il monitoraggio delle grandi apparecchiature sanitarie in uso presso le strutture
sanitarie pubbliche, private accreditate e private non accreditate. Il usso informativo consente attualmente di
rilevare le informazioni relative alle seguenti 7 tipologie di apparecchiature sanitarie individuate dallo specifico
codice della Classificazione Nazionale dei Dispositivi medici (Cnd): • Tac (Cnd Z11030601-04), • Rmn (Cnd
Z11050101-06), • acceleratori lineari (Cnd Z 11 01 01 01-03), • sistemi robotizzati per chirurgia endoscopica
(CND Z 12 02 01 01), • sistemi Tac/Pet (Cnd Z 11 02 03 01), • gamma camere computerizzate (Cnd Z 11 02
01 01-05), • sistemi Tac/gamma camera (Cnd Z 11 02 02 01). I dati dovranno essere trasmessi direttamente
dalle strutture sanitarie al Ministero della Salute, nell'ambito del Nsis. Le informazioni rilevate sono le
seguenti: localizzazione - la struttura presso la quale è collocata o disponibile la grande apparecchiatura
sanitaria; caratteristiche - le principali caratteristiche e sottocaratteristiche della grande apparecchiatura che
determinano l'erogazione di prestazioni sanitarie. Ricomprende anche gli interventi di aggiornamento che
consentono di aumentare le prestazioni sanitarie erogate dalla stessa apparecchiatura; acquisizione - le
modalità di acquisizione della grande apparecchiatura, riferite esclusivamente alle strutture sanitarie
pubbliche; attivazione - modalità e tempi di attivazione della grande apparecchiatura presso la struttura
sanitaria; gestione - i tempi medi di disponibilità di una grande apparecchiatura ed eventuali contratti di
manutenzione.
Foto: GIANLUCA GIACONIA responsabile Settore Ingegneria Clinica, Azienda Ospedaliera Dei Colli, Napoli;
membro del gruppo di lavoro sull'Ict di AIIC ALBERTO LOMBARDI responsabile Ufficio Ingegneria Clinica,
Asl Benevento ANTONIETTA PERRONE responsabile struttura Ingegneria Clinica, Aou Federico II, Napoli
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ROBERTO CARMINATI
La politica di contenimento e razionalizzazione della spesa che ha caratterizzato l'azione dei governi
succedutisi alla guida del Paese negli ultimi anni non ha mancato di far sentire la sua inuenza anche in
ambito sanitario, come la Corte dei Conti ha certificato con il suo Rapporto 2014. Nonostante «il settore
sanitario» si trovi «oggi ancora di fronte a scelte impegnative anche dal punto di vista finanziario», nel 2013
hanno trovato conferma «i progressi già evidenziati negli ultimi esercizi nel contenimento dei costi per
l'assistenza sanitaria». Pur se per entità leggermente inferiori a quelle registrate durante lo scorso biennio «la
spesa complessiva ha continuato a ridursi» risultando infine di 2 miliardi «inferiore alle attese» e stabile «in
termini di prodotto» attorno al 7%. Allo stesso tempo e sempre a dispetto di alcune incertezze non ha
rallentato neppure «il processo di riduzione dei disavanzi delle regioni in squilibrio strutturale». E in questo
caso i dubbi riguardano per lo più la qualità del servizio e l'appropriatezza o l'organizzazione «delle strutture
che sono alla base delle difficoltà economiche esplose negli squilibri strutturali». A mettere in evidenza
progressi e criticità della gestione dell'architettura sanitaria nel Paese è stata la Corte dei Conti con il suo
Rapporto 2014 sul coordinamento della spesa pubblica che conta corposi capitoli dedicati al tema.
Contraddizioni e contrasti paiono pendere ancora sul conto economico nonché sulle politiche delle Regioni
sottoposte a piano di rientro e nel complesso l'autorità ha segnalato difficoltà nel «riassorbire in maniera
duratura gli squilibri» e nell'uso di «strumenti di correzione dei disavanzi». Nel frattempo però «la definizione
di regole contabili e l'esercizio dei conseguenti controlli» hanno permesso di elevare quella che la Corte ha
definito «una cortina di protezione sulla destinazione dei fondi». Mentre le misure mirate al riassorbimento dei
ritardi di pagamento della Pubblica Amministrazione «dovrebbero impedire il ripetersi in futuro dei fenomeni di
ritardo nel uire delle somme destinate al sistema sanitario». Da questo punto di vista desta perplessità «il
provvedimento che consente di destinare ad altre finalità gli sforzi fiscali attivati per il processo di rientro».
Questo «crea opacità», ha scritto l'Istituzione, spezzando «il collegamento tra un prelievo e la sua
destinazione specifica» che è alla base della logica che sottende in linea generale ai Piani di rientro. Il nuovo
Patto per la salute - che mentre scriviamo è oggetto di dibattito tra il governo di Matteo Renzi e i governatorati
regionali - non può inoltre prescindere dall'affrontare in modo efficace istanze inuenzate da una molteplicità di
fattori. La garanzia di disponibilità e accesso a cure e strumenti terapeutici tecnologicamente avanzati ma
anche «costosi» e la «difficoltà di mantenere elevati prelievi fiscali locali», in primo luogo. Ma anche il dovere
di conservare standard qualitativi alti e competitivi rispetto alla media europea in nome, per esempio, della
direttiva Ue 2011/24 sull'assistenza transfrontaliera. E infine, l'imperativo a un rilancio e a un consolidamento
delle strategie territoriali a supporto delle patologie croniche o degenerative dovute ai trend demografici. Due
miliardi in meno rispetto al 2012 Posto il quadro generale, il Rapporto 2014 ha certificato che le uscite per
l'assistenza sanitaria calcolate nel 2013 sono state pari a 109,3 miliardi di euro contro la previsione di 111,1
miliardi del Documento di programmazione economico-finanziaria o Def della primavera dello scorso anno.
Sebbene in proporzione minore (0,3% a fronte dell'1,3% del 2012), la spesa si è ristretta per il terzo anno di
seguito: dei 7 miliardi risparmiati dalle Pubbliche Amministrazioni rispetto al preconsuntivo stilato a ottobre 2
sono riconducibili all'area healthcare che assorbe poco più del 15% del totale. Nel periodo preso in esame si
è registrata una essione da 0,3 punti percentuali degli importi inerenti l'assistenza e le prestazioni offerte dal
servizio pubblico e i budget per il personale dipendente sono calati dell'1,2%. In leggero incremento (+0,2%)
si sono invece attestati i consumi intermedi e secondo la Corte dei Conti tale dinamica «riette anche nel 2013
la scelta delle Regioni di ricorrere alla distribuzione diretta dei farmaci ai fini di un controllo complessivo della
spesa». Anche nel prosieguo di quest'anno la medesima voce dei consumi intermedi è attesa dall'organo di
controllo sulla gestione delle risorse dello Stato a «scontare le misure di contenimento adottate negli ultimi
esercizi». La previsione è di un ridimensionamento del 10% dei corrispettivi per l'acquisto di beni e di servizi,
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Gli effetti del rigore sulla sanità
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ma con la possibilità per le Regioni di ricorrere a «misure alternative di contenimento della spesa»; e l'obbligo
per le Aziende sanitarie locali di «rinegoziare i contratti (ed eventualmente recedervi) qualora i prezzi unitari
siano superiori del 20% ai prezzi di riferimento». In vista c'è un tetto all'investimento in dispositivi medici «pari
al 4,8% del livello di finanziamento del Ssn, cui concorre in via ordinaria lo Stato (4,4% dal 2014)» e la
revisione dei limiti di spesa farmaceutica ospedaliera dal 2,5 al 3,5% con una suddivisione al 50% tra Regioni
e aziende del farmaco delle quote di ripianamento in caso di superamento del limite di spesa. Etichettata
come «stazionaria» anche la spesa degli operatori market, e cioè estranei al perimetro pubblico, sulla quale
pesano il calo del 3% della farmaceutica inuenzata dal +2% delle compartecipazioni a carico dei cittadini e la
riduzione media del 5% che ha interessato il prezzo dei farmaci. Tra le strategie per il contenimento della
spesa che più hanno contribuito a questa performance la Corte dei Conti ha evidenziato «la rideterminazione
del tetto della spesa farmaceutica territoriale (in cui conuisce la spesa farmaceutica convenzionale) dal 13,1%
del finanziamento cui concorre lo Stato del 2012 all'11,35% dal 2013 e la modifica del meccanismo di ripiano
dell'eventuale sforamento della spesa». A sua volta ha virato verso il basso per 0,7 punti la spesa destinata
all'assistenza medico-generica laddove è salita quella relativa ad altre prestazioni, tra le quali la specialistica,
l'ospedaliera convenzionata e la riabilitativa, tutte segnalate in impennata per l'1,4%. I pronostici per il periodo
2015-2018 Alla luce di quanto previsto dal Def 2014, ci si prepara dunque a un incremento del 2% a 111,474
milioni della spesa complessiva, con crescite da 3,8 punti per i consumi intermedi, e a un identico ritocco
della quota riferita al segmento market. L'aspettativa è per un +1,5% attribuibile alla farmaceutica e di uno
0,1% in più per la medicina di base. «Le altre prestazioni in convenzione», ha notato la Corte dei Conti,
«presentano una variazione positiva del 3,4%» che sconta «gli effetti delle misure di contenimento della
spesa e, in particolare, della riduzione del 2% rispetto al valore 2011 degli importi e dei volumi degli acquisti
da erogatori privati», secondo la dicitura dell'organismo. Con le altre componenti di uscita pronosticate in
aumento del 6,7% dai 5 miliardi del 2014, il ritmo di crescita della spesa sanitaria dovrebbe attestarsi tra il
2015 e il 2018 al 2,1% e quindi al di sotto della variazione prevista per il Prodotto interno lordo nominale.
Lungo tutto l'arco del 2013 si è messo a bilancio un andamento positivo (+2,5%) dell'acquisto di beni e tra
questi prodotti farmaceutici (il 54% del totale) e dispositivi (il 38) sono progrediti rispettivamente del 5,8 e del
2,7%; mentre si è assistito a un crollo (-50% circa) dell'acquisizione di componenti chimici. «La riduzione del
finanziamento», ha scritto la Corte dei Conti, «e la rimodulazione in riduzione della quota obiettivo (dal 5,2 al
4,8% del finanziamento medesimo) fanno sì che nel complesso la spesa ecceda l'obiettivo di poco meno del
7% (nel 2012 era inferiore al limite di circa il 5%). Sono soltanto cinque le Regioni che presentano una spesa
inferiore al limite previsto. Fatta eccezione per la Lombardia, si tratta di Regioni del Mezzogiorno», mentre «le
Regioni in Piano di rientro superano in modo solo marginale l'obiettivo», ma presentano anche la crescita più
forte durante l'anno (+6%). Contestualmente, entro il perimetro di queste ultime si è potuta osservare «una
significativa ricomposizione» tra le varie tipologie di dispositivi. In essione gli impiantabili; sulla rampa di
lancio si sono al contrario posizionati quelli indirizzati alla diagnostica in vitro. Differente e di minore incidenza
sul totale degli impiantabili è la tendenza in atto presso le amministrazioni regionali estranee al Piano di
rientro, dove è tuttavia percepibile il tentativo di contenere i costi. Stime più precise dovrebbero essere
disponibili, si evince dal Rapporto 2014, in avvenire, grazie al contributo del Repertorio dei dispositivi medici e
grazie a iniziative come il report istituito dal Ministero della Salute e relativo all'investimento in device
effettuato dalle varie strutture nel 2012. Lo stato dell'arte dei servizi convenzionati Il Rapporto 2014 della
Corte dei Conti ha inoltre calcolato al 3,4% la discesa dei valori riconducibili alla farmaceutica convenzionata,
la cui spesa è stata pari a 8,6 miliardi di euro dopo il ridimensionamento del 10% già vissuto nel 2012. Sono
molteplici gli elementi che hanno contribuito a un tale risultato e tra questi l'organo di controllo ha annoverato
«la riduzione del prezzo medio dei farmaci per effetto dell'inserimento nel prontuario di nuovi farmaci
generici». Accanto a questa sono state menzionate poi «l'implementazione dell'attività di monitoraggio del
livello di appropriatezza delle prescrizioni terapeutiche» e «i risparmi originati dall'incremento dello sconto sul
prezzo dei farmaci a carico di grossisti e farmacisti». Ancora, «la rideterminazione all'11,35% del tetto relativo
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
alla farmaceutica territoriale, al netto degli importi corrisposti dal cittadino per l'acquisto di farmaci a un prezzo
diverso dal prezzo massimo di rimborso stabilito dall'Agenzia Italiana del Farmaco, con l'attivazione del
meccanismo del pay-back già previsto in caso di superamento del tetto». Infine, «la crescita della quota di
compartecipazione alla spesa a carico del cittadino, in relazione alle misure di compartecipazione adottate in
talune Regioni sottoposte a Piano di rientro e ai ticket sui farmaci» vigenti anche in Regioni non toccate dal
Piano». Presso le prime ha fatto avvertire il suo inusso anche l'azione di potenziamento del paradigma della
distribuzione diretta. Nell'opinione e nei numeri visibili nel Rapporto 2014 sul coordinamento della finanza
pubblica, il modello ha infatti inuito sullo «spostamento di alcune quote del mercato dal canale
convenzionale» a quello non-intermediato. A catena, ciò ha generato risparmi dei quali le Regioni sono state
le principali beneficiarie, in virtù della minore retribuzione della supply chain. L'analisi ha quindi preso in
considerazione la specialistica convenzionata, i cui costi sono stati fissati per il 2013 a 4,8 miliardi per una
crescita da 0,7 punti. Il rallentamento del quale essa è stata oggetto deriva tanto dall'adozione degli strumenti
di governo della spesa approntati in tal senso dalle Regioni; quanto poi su scala locale dall'accento sulla deospedalizzazione e sul trasferimento di alcune prestazioni all'ambito ambulatoriale, cioè pratiche diffusesi con
successo in anni recenti. Per finire, quanto agli acquisti di assistenza ospedaliera tra i quali quelli da ospedali
convenzionati e classificati, Irccs e policlinici universitari privati, e case di cura accreditate, essi sono stati
giudicati «sostanzialmente stabili» ed è stato loro assegnato un valore da 8,5 miliardi circa. Su questo
capitolo di uscita, come sul precedente, hanno giocato un ruolo importante - secondo quanto è stato
ufficializzato dalla Corte dei Conti - «le misure introdotte dal dl 95 del 2012, che prevedeva una riduzione
complessiva degli acquisti da erogatori privati in volumi e corrispettivo in misura tale da ridurne la spesa per il
2013 dell'1% rispetto al valore consuntivato nell'anno 2011».
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