Gabriele Di Francesco Sociologia dei gruppi

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Gabriele Di Francesco
Sociologia dei gruppi - Sintesi
1) Premesse storiche
L'analisi dei gruppi e del loro funzionamento diviene oggetto di interesse scientifico negli
Stati Uniti d'America intorno agli anni Trenta, sotto la spinta di eventi storici, quali la grande crisi
economica iniziata con il cosiddetto mercoledì nero di New York, il 24 ottobre 1929, data di
demarcazione per il crollo della Borsa di Wall Street. Questo evento ebbe effetti economici
disastrasi, che si protrassero per diversi anni, portando disoccupazione e povertà in larghi strati
della popolazione.
In quegli anni in Europa si stavano intanto affermando in molti Stati varie forme di
totalitarismo politico (fascismo in Italia e Spagna, nazismo in Germania, comunismo in Russia e
poi nella nascente Unione Sovietica). Il totalitarismo che si sviluppa in questo periodo, secondo
Hannah Arendt, "costituisce qualcosa di diverso dalle altre forme di regime autoritario
storicamente conosciute, poiché dove ha conquistato il potere ha distrutto le tradizioni politiche e
sociali del paese per introdurne delle nuove, ha portato alle estreme conseguenze' le caratteristiche
della società di massa (trasformando le classi sociali in masse di individui intercambiabili fra loro),
ha invaso la sfera privata degli individui con il terrore e l'ideologia" [G. Speltini e A. Palmonari, /
gruppi sociali, II Mulino, Bologna, 1999].
La Seconda Guerra Mondiale, le sue tristi conseguenze ed i suoi orrori, compresi gli
"stermini di massa compiuti principalmente dai nazisti, furono eventi collettivi di portata così vasta
da avere effetti su molte discipline, nel tentativo di capire cosa fosse successo, come fosse potuto
accadere, come evitare che si ripetesse nel futuro" [Ibidem],
Secondo McGuire tutti questi eventi dei primi decenni del '900 provocarono, nelle
discipline scientifiche psico-sociali, lo spostamento dell'interesse dalla misurazione degli
atteggiamenti allo studio dei processi sociali di gruppo, in quanto sembrava più urgente . «scoprire
in che modo l'azione sociale possa essere controllata e manipolata per cambiare gli
atteggiamenti e il comportamento, invece di limitarsi a misurarlo».
Oltre agli eventi storici furono altre pressioni di natura scientifica che ponevano in
evidenza l'importanza dello studio dei gruppi ristretti. Con gli esperimenti condotti negli
stabilimenti Hawthorne (vicino a Chicago) della Western Electric Company, Elton Mayo mise in
evidenza l'incidenza dei fattori umani sulla produzione e del gruppo come forte organizzatore del
comportamento degli individui. «In generale si giunse alla conclusione che la produttività del
gruppo era funzione della soddisfazione lavorativa dei suo membri, soddisfazione che a sua volta
dipendeva dalla struttura sociale che il gruppo si dava in maniera informale». [Ibidem]
Nel 1945 Kurt Lewin fonda, presso il Massachussetts Institute of Technology (il
prestigioso MIT) il «Research Centre far Group Dynamics», che diventa il cuore di una serie di
ricerche e di elaborazioni teoriche sul gruppo concepito come una totalità dinamica che
evidenzia caratteristiche diverse da quelle risultanti dalla somma delle sue componenti. Si può
far risalire proprio a Lewin la fondazione dello statuto psico-sociale della nozione di gruppo.
L'interesse di Lewin ha avuto origine probabilmente dalle sue vicissitudini di ebreo tedesco
emigrato negli USA per le persecuzioni naziste. Quando morì si stava occupando intensamente dei
problemi legati alle minoranze etniche e alla questione ebraica. [Ibidem]
Le ricerche di Lewin sui gruppi non sono finalizzate solo a conoscere i fenomeni
dinamici, ma anche a mettere a fuoco il problema del cambiamento sociale.
Dopo gli anni '50 la ricerca sui gruppi si spostò in Europa, dove gli americani erano
preoccupati di promuovere gli studi sociali per contrastare l'ideologia marxista. Dagli anni '60 in poi
l'interesse degli psicologi sociali si spostò più verso i concetti di identità sociale e di relazioni
intergruppi (Tajfel) di influenza minoritaria (Moscovici), e si pongono le prime distinzioni tra
ambiti disciplinari diversi: l'etologia, la sociologia clinica, la pragmatica della comunicazione e,
come affermano Levine e Moreland, la psicologia delle organizzazioni.
Al contrario della psicologia dette discipline si servono di osservazioni e di studi sul campo
e riservano poco spazio agli studi sperimentali e di laboratorio, propri della psicologia; detti
studi permettono maggiori acquisizioni di conoscenze e l'allargamento degli orizzonti scientifici
nello studio dei gruppi sociali. Da ambito proprio della psicologia sociale lo studio dei gruppi ha
acquistato sempre più valenze sociologiche.
A questo proposito il sociologo Elias fa rimarcare come molti aspetti delle società umane
non possono essere spiegati nei termini di contributi e di idee individuali, «neppure pensando in
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termini di un'accumulazione di quelle idee», ma devono essere spiegati in termini di «sviluppo
sociale», espressione che si riferisce al continuo intrecciarsi «dei piani e delle azioni degli esseri
umani che agiscono in gruppo». Secondo l'autore il termine «interazione» è troppo debole per
rendere adeguatamente conto della potente interdipendenza fra individui e gruppi, poiché rimanda
ad un «modello tradizionale di società come unità puramente cumulativa di un numero di
individui, inizialmente isolati». In realtà tutto ciò che viene descritto come «processo sociale», con
ì suoi sviluppi e innovazioni, è il prodotto unico e originale dell'interdipendenza funzionale di
individui e gruppi. [Ibidem, p. 29]
2) Definizioni e tipologie di gruppo
II termine "gruppo" è talmente connotato a livello di impiego quotidiano e di senso
comune da costituire, per lo studioso che se ne occupa, un problema preliminare di definizione
[Ibidem]. Senza voler qui approfondire la questione, piuttosto ampia, ci si limita a riportare alcune
definizioni relative a tipi di gruppo. Gruppo viene dal germanico Kruppa, che "sta ad indicare
insieme di persone o cose legate da caratteristiche comuni o da rapporti di vicinanza che li rendono
indistinguibili" [Francesco Mattioli, Introduzione alla sociologia dei gruppi, edizioni SEAM,
Formello, 2002]
"Un gruppo sociale è costituito da un certo numero di individui che interagiscono l'uno
con l'altro con regolarità. Questa regolarità di interazione tiene insieme i partecipanti, dando vita a
una distinta unità con una propria complessiva identità sociale. I membri di un gruppo si aspettano
determinate forme di comportamento l'uno dall'altro, che non sono invece richieste ai non
appartenenti. I gruppi differiscono quanto a dimensioni: vanno da associazioni intime, come una
famiglia, a collettività più ampie, quali un circolo sportivo" [A. Palmonari, L'interazione nei
gruppi, in L. Arcuri, Manuale di psicologia sociale, II Mulino, Bologna, 1995, p. 364 ss.]
Il punto di partenza della panoramica sulle definizioni di gruppo, che qui si vuole dare, è
l'affermazione di McGrath, il quale fa notare che "se è vero che ogni gruppo è un'aggregazione
di individui, ogni aggregazione non è necessariamente un gruppo". E' possibile offrire alcune
definizioni, [tratte da G. Speltini e A. Palmonari, I gruppi sociali, Il Mulino, Bologna, 1999],
che di seguito si presentano:
1) Aggregazioni artificiali, quali i gruppi statistici o le categorie sociali, i cui
componenti sono classificati insieme in base a qualche caratteristica comune (sesso, età, livello di
reddito, nazionalità, ecc), ma che non sono necessariamente implicati in qualche tipo di relazione;
2) Aggregazioni non organizzate, che Giddens chiama semplicemente aggregati,
che sono degli insiemi di individui che si trovano nello stesso luogo e nello stesso momento
senza altro tipo di legame; ci sono distinzioni da fare anche per gli aggregati, in quanto essi
possono includere o meno la vicinanza fisica e uno scopo contingente comune. Ad esempio, chi
costituisce il pubblico di uno stesso spettacolo televisivo o naturale non condivide
(necessariamente) la vicinanza fisica, come avviene invece per la folla; il pubblico di una
conferenza o dei viaggiatori nello stesso aereo condividono provvisoriamente una stessa
mèta e sono fisicamente vicini; i giocatori delle lotterie pubbliche condividono lo stesso scopo
(vincere del denaro) ma non la vicinanza fisica;
3) Unità sociali con modelli di relazione, sono insiemi di individui che condividono
un set di valori, costumi, abitudini, un linguaggio comune, come le culture, le sub-culture, le
parentele;
4) Unità sociali strutturate, in cui diviene più forte il carattere di interdipendenza
e di relazioni strutturate, come una società (che pur presentandosi come un vasto aggregato sociale,
condivide zone geografiche, sistemi politici, relazioni strutturate e livelli di interdipendenza),
una comunità, una famiglia (in cui le caratteristiche di interdipendenza e di struttura di relazioni
sono molto più forti e pervasive che nella parentela);
5) Unità sociali intenzionalmente progettate, come un'organizzazione (scopi
comuni, status e ruoli differenziati) o un gruppo di lavoro;
6) Unità sociali meno intenzionalmente progettate, come un'associazione o una
organizzazione volontaria (vi sono scopi comuni mentre possono esserci o non esserci
relazioni interpersonali dirette; se vi sono questa aggregazione somiglia ad una organizzazione
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o a un gruppo di lavoro, se non vi sono relazioni dirette somiglia ad un pubblico) o a un gruppo di
amici.
E' possibile peraltro ricordare che in sociologia i gruppi si distinguono anche in
primari e secondari:
7) I gruppi primari sono insiemi di persone che interagiscono direttamente e sono
legate da vincoli di natura emotiva. Esempi caratteristici di gruppi primari sono la famiglia, i
gruppi amicali e certi gruppi a finalità educativa [Palmonari in Arcuri, cit., 1995]. Secondo Peter
Meyer, il gruppo primario è composto da un numero ridotto di individui, capaci di sviluppare mediante un'interazione regolare e diretta - un forte sentimento di identificazione collettiva
[Peter Meyer, Gruppi sociali, in Horst Reimann, Introduzione alla sociologia, II Mulino,
Bologna, 1991, p. 77 ss.]. Per Cooley i gruppi primari sono caratterizzati da un modello vitale
comunitario e da contatti personali immediati (face- to-face = il quotidiano faccia a faccia) fra
i vari membri che ne favorirebbe l'identificazione comunitaria [Cooley C.H., L'organizzazione
sociale, Comunità Milano, 1977];
8) I gruppi secondari sono gruppi formati da persone che hanno rapporti più o meno
frequenti ma di tipo prevalentemente impersonale, in quanto determinati principalmente da scopi
pratici [Palmonari in Arcuri, cit., 1995], Secondo Peter Meyer, il gruppo secondario è composto
da un numero elevato di membri, fra i quali non vi è alcuna forma di comunicazione
immediata. Le relazioni fra ogni appartenente al gruppo sono di carattere strumentale, mentre
quelle tra individui sono pressoché indifferenti sotto il profilo affettivo. Ad esempio si
possono considerare gruppi secondari organizzazioni di grandi dimensioni, le unità militari
di un esercito, una grande fabbrica [Peter Meyer, Gruppi sociali, in Horst Reimann, cit. 1991].
9) Gruppi formali sono invece quelli che si costituiscono sulla scorta di considerazioni
impersonali, di tipo organizzativo, in vista dell'ottenimento di certi scopi e sono basati su
relazioni strumentali (gruppi sportivi, politici, religiosi, culturali, ecc).
10) Gruppi informali sono invece quei gruppi che pura avendo esteriormente un
fondamento "formale e organizzato" si articolano con i caratteri dei gruppi primari. "Gli individui",
si fa osservare dal Meyer con riferimento alle ricerche sulla produttività delle officine Hawthorne di
Chicago, "uniti dal caso in gruppi formali cercano soprattutto di realizzare delle relazioni
soddisfacenti sul piano personale perché gratificanti emotivamente e socialmente stabili".
Sono peraltro gruppi informali quelle aggregazioni spontanee, naturali, il cui fine va soprattutto
ricercato nel bisogno di socializzazione (ad es. tra gli adolescenti, che spesso si aggregano o si
trovano in gruppi informali).
11) Gruppo di appartenenza è quello cui si sente di appartenere, è il gruppo in cui
ognuno è integrato e che si caratterizza sia in base agli individui di appartenenza sia sulle diversità
con gli altri.
12) Gruppo di riferimento (reference groups) è quello verso il quale una persona si
è abituata ad orientarsi nella valutazione di determinati fatti, situazioni ed eventi. L'esempio è
offerto dal Merton (che parla di modelli di ruolo) con riferimento ai comportamenti di
"socializzazione anticipatoria" posti in essere da coloro che magari aspirano a divenire parte di
un altro gruppo nella speranza di attuare realmente l'aspirata mobilità sociale. Si parla anche di
"gruppi d'aspirazione", intendendo il gruppo di riferimento cui si spera un giorno o l'altro di
appartenere.
13) In-group secondo la lezione di Sumner e la concezione dell'altro di Mead, è il
"gruppo di noi", quella immagine o rappresentazione del sé, che ogni individuo media dal gruppo
di appartenenza.
14) Out-group è invece il "gruppo dei loro", il gruppo che si individua come "altro da
noi", quello che individua la nostra "non appartenenza".
3) Origine ed evoluzione dei gruppi e modalità di ingresso
La realtà dei gruppi è sempre una realtà dinamica ed in continua trasformazione e
cambiamento. Alla base della vita di un gruppo vi sono dunque sempre modalità dinamiche che
riguardano il gruppo fin dal suo primo formarsi.
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In particolare secondo Tuckman [Tuckman, B.W., Developmental sequences in small
groups, in Psycological Bulletin, 63, 1905] e sebbene sia piuttosto difficile trovare dei riscontri
empirici del modello di sviluppo proposto, la vita del gruppo «passa attraverso cinque stadi di
sviluppo:
1) uno costitutivo (forming) in cui i membri potenziali sono incerti e dubbiosi
circa la propria appartenenza al gruppo e perciò si comportano in modo molto cauto;
2) uno conflittuale (o tempestoso, storming) in cui i membri diventano assertivi e si
trovano implicati in vari conflitti quando tentano di piegare il gruppo alle proprie esigenze
personali;
3) uno normativo (norming) in cui i membri tentano di risolvere i conflitti
negoziando regole di comportamento;
4) uno realizzativo (performmg) in cui i membri lavorano cooperando tra loro per
raggiungere scopi comuni;
5) uno, infine, di sospensione (adjouming) in cui i membri si distinguono dal
gruppo sia sul piano socio-relazionale ed emozionale, sia sul piano operativo» [tratto da A.
Palmonari, L'interazione nei gruppi, in L. Arcuri, Mannaie di psicologia sociale, II Mulino,
Bologna, 1995, p. 399],
Per quanto riguarda l'ingresso di un individuo nel gruppo si fa rimarcare come spesso si
possano riscontrare dei veri e propri riti di iniziazione, più frequenti peraltro nelle società arcaiche
e meno nelle società moderne. Tra questi riti, nel Cristianesimo, è il battesimo «che conserva un
carattere di mistero iniziatico, che modifica lo statuto ontologico dell'individuo» [Ibidem]. Nel
Cristianesimo si è passati peraltro da un unico atto a più atti iniziatici (battesimo, eucarestia,
cresima), tappe che sono comprensibili solo all'interno della simbologia cristiana.
Anche altre religioni hanno analoghi processi iniziatici per divenire componenti del
gruppo a tutti gli effetti. Senza entrare nei particolari si fa riferimento a prove di resistenza al
dolore fisico, alla paura, alla fatica, ma anche a fasi di apprendimento di un determinato lavoro, ai
processi che portano l'individuo ad arruolarsi, ad entrare all'università, in un'associazione, ecc.
Sono state riscontrate delle vere e proprie strategie di accesso, studiate specie tra i bambini
negli ambienti scolastici e nei giochi, e tutta una serie di rituali collettivi che sottolineano la
valenza delle ed. transizioni sociali e di ruolo.
Vi sarebbero secondo Levine e Moreland [riportato da Speltini-Palmonari, op. cit., p. 76
ss.] quattro tattiche che permetterebbero ai neofiti un più semplice ingresso nel gruppo:
1) condurre un processo di ricognizione del gruppo per conoscere e verificare cosa e
come è il gruppo;
2) fare il "nuovo arrivato", cioè essere attento alle regole e alle necessità dei membri
anziani, avere un comportamento conseguente, ecc;
3) cercare dei modelli di guida, dei veri e propri "tutor" o referenti nel gruppo;
4) essere collaborativi con altri neofiti, per avere una più facile socializzazione.
4) II processo di socializzazione nei gruppi
Quando un individuo entra in un gruppo deve immergersi nella cultura di quel gruppo
che include nodi condivisi di vedere la realtà e costumi comuni. Vi sono cerimoniali particolari,
l'uso di espressioni gergali, di canti, di divise, di cerimonie che solennizzano, ritualizzandoli,
particolari eventi e ricorrenze. Un esempio di tutto questo può essere rintracciato, nelle società
occidentali avanzate, dall'acceso e dalla partecipazione dei ragazzi alle associazioni dei "boyscout".
Tutto questo fa parte del processo di socializzazione «mediante il quale ad un nuovo
membro di un gruppo sociale vengono trasmessi valori, norme, atteggiamenti e comportamenti che
sono condivisi dai membri preesistenti del gruppo stesso. In questa prospettiva il processo di
socializzazione può essere visto come un processo che si svolge lungo tutto l'arco della vita di un
individuo, nel senso che l'apprendimento non ha mai fine; ciò nonostante va subito precisato che
gran parte dell'apprendimento di base si compie nei primi anni di vita.» [B. Tellia, Socializzazione,
in Demarchi, Ellena Cattarinussi, Nuovo Dizionario di sociologia, Paoline, Milano, 1987].
Si usa distinguere a questo proposito tra socializzazione primaria e socializzazione
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secondaria. Con la prima si intende quella fase di apprendimento che, durante l'infanzia, ogni
individuo si trova ad affrontare e che ne farà un membro della società mettendolo in grado di
rispondere alle sue aspettative.
La socializzazione secondaria si riferisce invece al processo di apprendimento di un
individuo adulto che ha già avuto la sua socializzazione di tipo primario e che viene messo in
condizione di potersi adattare alle aspettative di comportamento impostegli da nuovi ambienti
sociali o nuovi gruppi di riferimento.
I processi di socializzazione (primaria e secondaria) si basano sui meccanismi
dell'identificazione e dell'interiorizzazione.
Per identificazione si intende [Klaus Kiefer, Socializzazione, in H. Reimann, cit] quel
«processo nel corso del quale, in virtù di una dipendenza emotiva o di un diverso grado di
autorità, l'individuo si cala nella situazione di un altro assumendone il ruolo e gli atteggiamenti».
Per interiorizzazione deve intendersi invece quel processo, che porta ad accogliere «le
norme e gli atteggiamenti socialmente sanzionati, per effetto di processi di identificazione già
avvenuti» (...) «nel proprio repertorio dei modelli dì azione di cui si è fatta esperienza ad un livello
soggettivo ed autonomo».
Nel processo di socializzazione vi è un aspetto soggettivo nella risposta - che si caratterizza
in un maggiore o minore grado di accettazione di valori e modelli del gruppo -, che ognuno da alla
pressione di agenti socializzanti, o agenzie di socializzazione: la famiglia, il gruppo di gioco, la
scuola, la chiesa, il gruppo politico, i mezzi di comunicazione di massa.
Alcuni sociologi accentuano le capacità socializzanti dei gruppi e considerano l'individuo
quasi completamente come un prodotto della società, plasmato anche nelle caratteristiche più
profonde dalla pressione socializzante e dall'azione di manipolazione culturale.
5) II sistema di status nel gruppo e i ruoli
Se si osserva un gruppo, una delle prime osservazioni è certo relativa al fatto che «i
membri non sembrano essere tutti allo stesso livello, non sembrano avere tutti la stessa rilevanza e
centralità: alcuni sembrano più ascoltati di altri, possono assumere iniziative e dare direttive agli
altri, sono valutati e considerati consensualmente come più importanti. (...) E' possibile rendersi
conto di chi all'interno del gruppo occupa un posto elevato anche solo dal comportamento non
verbale: (...) chi ha più potere tende a parlare con voce ferma e con poche esitazioni, mantiene il
contatto visivo con gli altri, ha postura eretta (...) parla più degli altri, più probabilmente esprime
critiche, da ordini o interrompe gli altri e riceve anche un maggiore numero di comnunicazioni da
parte degli altri membri.» [Speltini-Palmonari, op. cit., p. 112 ss.] Vi è cioè una caratterizzazione e
una differenziazione in base allo status di ognuno.
Il concetto di status si riferisce alla posizione che una persona occupa in un gruppo
sociale e alla valutazione di tale posizione su una scala di prestigio.
«Il significato più comune e importante del termine status nelle scienze sociali, condiviso
da R. Linton, T. Parsons e R.K. Merton, è quello di una posizione in un sistema sociale che
implica aspettative reciproche di azione rispetto a coloro che occupano altre posizioni nella stessa
struttura. (...) Le varie posizioni quindi o status che i membri di una società o gruppo occupano in
relazione l'uno all'altro, come pure il "ruolo" che essi devono svolgere di conseguenza, hanno
un significato fondamentale nell'organizzazione e funzionamento sociale, dal momento che ogni
individuo, ogni categoria di individui e ogni gruppo ha una posizione sociale o un punto
identificabile di locazione nel modello di organizzazione di un particolare sistema. Questo
status deve naturalmente essere distinto dalla locazione ecologica e spaziale. D suo significato è
distintamente psicologico e sociale.» [G. Bartoli, Status, in Demarchi et al, Nuovo dizionario di
Sociologia, cit., p. 2057 ss.]
Le differenziazioni di status appaiono articolate secondo un sistema gerarchico che tiene
conto del prestigio delle varie posizioni. Chi ha uno status più elevato sembra avere un maggiore
potere di promuovere iniziative, attività ed idee, di avviare azioni. Il capo è colui che ha in
maggior misura questi poteri e queste capacità. Vi è inoltre una valutazione consensuale del
prestigio connesso ad un certo status.
Anche negli studi etologici si applica il concetto di gerarchia, specie nelle relazioni degli
animali che vivono in gruppo. «La più nota fra le gerarchie osservate è quella dell' "ordine di
beccata", in base a cui ogni gallinaceo si sottomette a quelli che risultano superiori nel
combattimento e predominano sui più deboli» [Galimberti U., Dizionario di psicologia, UTET,
Torino, 1997].
Gli studi sullo status si sono occupati anche dei criteri che portano all'individuazione ed
all'attribuzione di una data posizione all'interno di un gruppo sociale o di una società. Bartoli ne
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precisa alcuni che sono presenti pressoché in ogni società:
1) il sesso: in tutte le società si prescrivono attività e atteggiamenti diversi sulla base
del sesso, spesso ciò viene giustificato con motivazioni fìsiologiche, ma si tratta in genere di
diversità di carattere culturale;
2) l'età: anche l'età viene presa in considerazione per l'attribuzione di status,
generalmente in riferimento a tre principali suddivisioni: la gioventù, l'età adulta e la vecchiaia;
3) la parentela: anche questo criterio è basilare per l'attribuzione di status. Si fa
riferimento alla nascita, ma anche al matrimonio ed all'affinità di sangue per stabilire lo status di
una persona;
4) i fattori sociali: tutte le società dividono i propri membri in una serie di gruppi o
categorie, con l'attribuzione di vari livelli di importanza sociale. Bartoli, con riferimento a C.
J. Barnard, elenca cinque tipi di differenze e bisogni che danno origine ai sistemi di status:
a) la differenza nelle abilità degli individui: chi sa corrispondere meglio alle attese del
gruppo può raggiungere uno status elevato;
b) la diversità nelle difficoltà relative inerenti a un compito, di fare cioè quanto un
gruppo desidera (più sono in grado di fare un compito meno il compito è valutato);
e) la diversità e l'importanza dei vari tipi di lavoro sulla base del sistema dei valori che
orienta una società;
d) il desiderio di uno status ufficiale al di fuori del gruppo;
e) il bisogno di protezione dell'integrità della persona.
Secondo Max Weber allo status si attribuisce il significato di posto, posizione, in
riferimento alla distribuzione del prestigio in un sistema sociale.
6) I ruoli nel gruppo e le norme
Lo status presenta anche un aspetto dinamico, che consiste nel comportamento che la
società o l'individuo si aspettano da chi occupa una determinata posizione.
E' Linton che definisce queste aspettative comportamentali come ruoli e precisa che «Un
ruolo rappresenta dinamico dello status. L'individuo socialmente è assegnato a uno status che egli
occupa in relazione ad altri status. Quando egli usa i diritti e doveri che costituiscono lo status,
egli svolge un ruolo». [R. Linton, The study of man, New York, 1936, riportato da Bartoli, cit]
Per ruolo si intende dunque "un insieme di aspettative condivise circa il modo in cui
dovrebbe comportarsi un individuo che occupa una determinata posizione nel gruppo [A.
Palmonari, L'interazione nei gruppi, in L. Arcuri, Marmale di psicologia sociale, II Mulino,
Bologna, 1995, p. 364 ss.]
Alcuni parlano di «status-ruoli» - definendo per status ciò che uno è nel gruppo, per
ruolo ciò che uno fa nel gruppo - e precisando che «ogni individuo ha tanti status-ruoli quanti sono i
gruppi a cui appartiene: familiare, economico, religioso, politico, educativo, ecc. In ognuno di
essi può avere anche più status-ruoli: ad esempio, nel gruppo familiare un individuo può essere
figlio, fratello, marito, padre, cognato, zio ecc. secondo la presenza di altre persone con le quali
deve stabilire delle relazioni secondo le norme indicate dalla cultura» di appartenenza. [T. Sorgi,
Schemi di Sociologia, n° 4, Pescara, 1977, p. 43]
I ruoli nel gruppo adempirebbero almeno a tre funzioni, secondo la lezione di Brown,
come riportato da Speltini e Palmonari:
1) facilitare il raggiungimento dello scopo di gruppo (i ruoli concorrono a dividere il
lavoro tra i vari componenti);
2) portare ordine e prevedibilità nel gruppo (tutto sanno cosa aspettarsi e da chi);
3) definire alla nostra "autodefinizione" nel gruppo (contribuiscono alla
consapevolezza di ciò che siamo).
In ogni gruppo esistono comportamenti consentiti e non consentiti. Sono le norme a
stabilire qual è il limite oltre cui i comportamenti non sono accettabili e sono da biasimare, o
sanzionare, adeguandosi alle scale di valori condivisi in una società o in un gruppo.
Non includono soltanto regole di comportamento, ma riguardano anche la lingua (per
esempio la grammatica), le modalità di abbigliarsi o di acconciarsi, le pratiche alimentari
(divieto di consumo di carni particolari o di bevande), ecc.
Si possono distinguere diverse tipologie di norme: la più importante è senz'altro quella
che distingue le norme formali (di tipo istituzionale, tese a fissare i cardini di una organizzazione o
un gruppo formale) da quelle informali (di carattere più emotivo e motivazionale). Ma si distingue
anche tra norme esplicite (quando, ad esempio, in un gruppo c'è un regolamento che sancisce ciò
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che è permesso e ciò che
non lo è) ed implicite (nulla è scritto e sancito ufficialmente, ma le norme hanno un grande
impatto e una cogenza tale da sancire addirittura l'esclusione di un membro che le abbia violate ),
tra centrali (quelle che sono centrali per la vita e la sopravvivenza di un gruppo) e periferiche
(quelle che non sono centrali, ma marginali al gruppo, riguardando il comportamento soggettivo del
componente nella sua sfera privata).
Sempre secondo Palmonari «Le norme possono essere definite come aspettative
condivise rispetto a come dovrebbero comportarsi i membri del gruppo. La dinamica di
interazioni sociali all'interno di ogni gruppo comporta la costruzione di un set limitato di
comportamenti ed opinioni cui ci si attende che i membri debbano uniformarsi, un insieme di
norme consensuali la cui effrazione può comportare delle sanzioni per coloro che deviano. (...)
Queste norme permettono di definire la "latitudine" dell'espressione delle differenze individuali,
cioè i limiti entro i quali la diversità di opinioni o comportamenti individuali può essere accettata
senza essere giudicata come "devianza"».
Le norme avrebbero almeno quattro funzioni [Cartwright e Zander citati da Palmonari,
op. ult. cit.]:
1) l'avanzamento del gruppo (le norme servono al gruppo per raggiungere i propri
obiettivi);
2) il mantenimento del gruppo (le norme permettono al gruppo di sopravvivere come
entità a se stante);
3) la costruzione della realtà sociale (le norme offrono sostegno alle opinioni dei
vari membri per costruire attraverso il consenso una realtà condivisa, una realtà sociale);
4) la definizione dei rapporti con l'ambiente sociale (1 enorme permettono ai membri
del gruppo di definire le proprie relazioni rispetto all'ambiente sociale più vasto, composto di
gruppi, istituzioni, organizzazioni).
Le norme fissano e regolano la vita dei gruppi con la partecipazione di tutti i componenti.
«Fu Lewin a mostrare l'importanza dell'impegno e della partecipazione dei membri nel mutare
degli standard di gruppo. Rispetto all'uniformità di gruppo, di cui le norme costituiscono un
esempio paradigmatico, Lewin riteneva che essa fosse una situazione di "equilibrio quasi
stazionario" in un campo di forze la cui distribuzione è tale per cui la deviazione dal livello
normativo incontra forze contrarie che tendono a ritornare a detto livello. (...) Le norme sono un
prodotto collettivo, come pure collettive sono sia la resistenza sia la possibilità di cambiarle».
[Speltini-Palmonari, cit., p. 148]
«Gli individui non possono da soli cambiare una norma, allo stesso modo in cui non
possono cambiare una regola grammaticale, il valore di una moneta o il senso di marcia dei
veicoli. (...) è necessario uno sforzo concertato dell'insieme del gruppo».[Moscovici e Doise,
Dissensi e consensi. Una teoria generale delle decisioni collettive, II Mulino, Bologna, 1992]
7) Comunicare nel gruppo
Un gruppo sociale è anche il flusso di comunicazione che passa al suo interno, è la
possibilità di scambiare significati, di costruire il senso comune. Se venissero meno questi flussi di
comunicazione ogni componente si ritroverebbe isolato e il gruppo non potrebbe più esistere.
Attraverso la comunicazione ininterrotta tra i suoi membri il gruppo si crea una finalità
comune, i suoi membri acquisiscono atteggiamenti comuni e rafforzano il gruppo al suo interno
(creano una maggiore coesione del gruppo).
Per molti autori è possibile studiare tutte le dinamiche dei gruppi attraverso l'analisi della
comunicazione di gruppo, delle sue reti e delle sue modalità.
Alla base del comunicare è indispensabile la discussione, considerata come «rito di
comunicazione che riunisce periodicamente i membri di un gruppo in un luogo idoneo - salotto,
caffè, mercato - secondo regole prescritte» [Moscovici e Doise, cit.] e la conversazione con
la quale, «discutendo a fondo i vari elementi dell'esperienza si assegna loro un posto ben preciso
nel mondo reale» secondo un apparato continuo, coerente e senza fratture.
Attraverso la molteplicità delle opinioni, degli scambi di idee e punti di vista, si crea,
si costruisce la realtà sociale all'interno del gruppo, portando i componenti, secondo la lezione di
Festinger, a condividere una realtà comune.
E' possibile dunque affermare che senza la comunicazione il gruppo non esiste. Per
esistere ha peraltro necessità che la comunicazione sia possibile e concretamente attiva. Si ha
dunque bisogno di una rete e di una struttura di comunicazione.
Per "rete di comunicazione" si intende l'insieme dei canali di comunicazione presenti
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in un gruppo (insieme di possibilità materiali di comunicazione), mentre per "struttura di
comunicazione" deve intendersi l'insieme di comunicazioni che si sono effettivamente scambiate
all'interno di un gruppo. La rete è possibilità di comunicare, la struttura è la realtà del comunicare.
E1 possibile distinguere tra vari modi di comunicare all'interno del gruppo, distinguere tra
comunicazione calda e fredda, spontanea e vincolata da procedure e tempi, mediata ed
immediata, gerarchica e non gerarchica, ecc.
Alcuni autori (Bavelas e Leavitt) hanno analizzato le reti di comunicazioni nei gruppi
con metodologia sperimentale e hanno concluso che non tutti i gruppi agiscono nello stesso modo
nelle reti di comunicazione di cui possono disporre. In particolare essi hanno approfondito quattro
tipi di reti:
1) la rete centralizzata o a ruota;
2) la rete a catena;
3) la rete a Y;
4) la rete circolare o a cerchio.
Attraverso questi tipi di reti si studiò l'indice di distanza (numero minimo di legami di
comunicazione che un individuo deve attraversare per collegarsi con un altro componente del
gruppo) e si stabilirono delle correlazioni tra l'indice di centralità di una rete (che misura quanto
le comunicazioni in un gruppo siano centralizzate in una persona) e certe manifestazioni del
lavoro di gruppo. Più la rete è centralizzata e più rapido è lo svolgimento se il compito è semplice,
mentre se il compito è complesso appare favorita una rete meno centralizzata (rete circolare).
8) II potere nel gruppo e la leadership
Nella vita di un gruppo i vari componenti non hanno la stessa posizione. Lo si è visto
in precedenza analizzando le questioni relative allo status, al ruolo, alle norme e implicitamente
alla comunicazione.
Questa diversità di posizione è uno degli aspetti caratteristici della vita di un gruppo e
si caratterizza in un rapporto di dominanza e subalternità. Tale rapporto può essere indicato come
un vero rapporto di potere.
Il potere, che si individua come capacità di influenzare o controllare altre persone,
secondo alcuni studiosi può derivare da cinque fonti principali:
1) il potere di ricompensa, che si basa sulla capacità di un individuo di dare o
promettere ricompense anche di tipo simbolico;
2) il potere coercitivo, che si basa sulla forza obbligatoria e minacciosa di una sanzione;
3) il potere legittimo, che proviene da norme interiorizzate. Esse statuiscono il diritto
legittimo di un individuo, o di un gruppo, su altri individui, o gruppi, che si sentono a loro
volta obbligati ad accettare questa influenza o dominanza;
4) il potere di esempio, o di riferimento, che si basa sulla identificazione del
singolo con un altro soggetto o meglio con il gruppo di appartenenza;
5) il potere di competenza si basa sulle esperienze e sulle capacità, reali o supposte,
attribuite ad un soggetto.
Il concetto di potere all'interno di un gruppo ci porta ad esaminare il concetto di leader e
di leadership, della figura cioè di chi esercita il potere e delle modalità attraverso cui lo esercita.
«Possiamo definire leader colui il quale, nel corso della sua appartenenza alla vita di
un organismo sociale, influenza gli altri membri e, più in generale, le attività che l'organismo
svolge o si accinge a svolgere. Questa definizione, per non sembrare troppo rigida e classificatoria,
va attenuata nel senso che, essendo la leadership un processo di interazione interpersonale, tutti
gli appartenenti ad un dato contesto tendono a possedere quella che si potrebbe chiamare una
quota parte. In realtà, quindi, il leader non risulta essere l'unico detentore di modalità di influenza,
bensì colui che possiede la quota parte qualitativamente più rilevante. Inoltre, nella misura in cui
la leadership, per essere attuata, richiede l'esistenza di relazioni interpersonali, ne deriva che
anche i seguaci di un capo hanno verso di esso una certa modalità di influenza.» [G. Manco,
Leader, in Demarchi e al., Nuovo dizionario..., cit]
Secondo Speltini e Palmonari «II leader è la persona che può influenzare gli altri membri
di un gruppo più di quanto sia essa stessa influenzata ».
Vi sono in letteratura diverse distinzioni di leader e di leadership. In particolare con
riferimento al leader si possono distinguere: leader formali ed informali, legittimi ed illegittimi,
socio-emozionali e centrati sul compito, leaders carismatici.
Sono leaders formali coloro che hanno una qualche forma di investitura istituzionale e
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leaders informali coloro che emergono nei gruppi spontanei. E' opportuno peraltro sottolineare
come a volte il vero leader di un gruppo istituzionale, o gerarchicamente organizzato, non sia il
superiore gerarchico, ma un altro membro del gruppo, che emerge informalmente.
La leadership si manifesta peraltro come un processo, «una forma di influenza
caratterizzata dalla capacità di determinare un consenso volontario» ed è comunque sempre
determinata dalla interazione tra leader, seguaci e situazioni.
All'interno di un gruppo si possono distinguere altre figure quali il gregario, il capro
espiatorio, l'esperto, che concorrono ciascuno nella sua posizione e con lo svolgimento del propri
ruolo a determinare la vita e le dinamiche del gruppo di appartenenza.
Per quanto riguarda la leadership è possibile far riferimento alle classiche tipologie
relative allo stile di conduzione di un gruppo scolastico, individuate da Lewin, Lippitt e White :
1) leadership autocratica; 2) leadership democratica; 3) leadership lassista o permissiva.
«Il leader autocratico organizza e dirige ogni attività, resta piuttosto distaccato nei
confronti dei ragazzi, tende a inibire le comunicazioni fra coetanei, non rende partecipi gli
allievi del progetto operativo. Il leader democratico discute con il gruppo ogni decisione ed
attività, è piuttosto amichevole e disponibile, non inibisce i contatti fra pari, rende partecipativi i
membri del gruppo. Il leader permissivo interviene pochissimo nelle attività di gruppo, lasciando
quest'ultimo libero di agire.» [riportato in Speltini e Palmonari, I gruppi..., cit.].
Quello testé presentato non è ovviamente l'unico tentativo di schematizzazione della
leadership. Vi sono schemi a più dimensioni che fanno riferimento alle funzioni manageriali o ai
modelli decisionali, all'approccio situazionista e a quelli della contingenza.
E' possibile far riferimento ai cinque stili di leadership della ed. "griglia manageriale": 1)
stile povero o lassista; 2) stile associazione ricreativa; 3) stile di leadership orientato al compito;
4) stile intermedio tra compito e relazione; 5) stile di squadra per il raggiungimento degli obiettivi
con massimo coinvolgimento relazionale.
Sulla base della situazione (o della contingenza) è possibile distinguere secondo alcuni
autori un «normative model of decision making» (modello decisionale normativo) nel quale è
possibile rintracciare cinque stili di conduzione: 1) autocratico; 2) autocratico con richiesta di
informazioni ai collaboratori; 3) consultivo individuale; 4) consultivo di gruppo; 5) partecipativo.
Tra le forme di leadership, due sembrano peraltro avere una certa rilevanza: la leadership
trasformazionale e la leadership carismatica.
La leadership trasformazionale è quella di chi è impegnato nella trasformazione dei suoi
seguaci e di se stesso in una prospettiva dinamica, che tiene conto delle motivazioni dei membri
del gruppo, dei loro bisogni e delle loro necessità. Il leader in questo caso tenta di solito di mutare i
valori di riferimento in senso umanizzante, di far riferimento a principi di lealtà e giustizia.
Anche la leadership carismatica sarebbe una forma di leadership trasformazionale.
Facendo riferimento al termine carisma, nel significato cristiano di dono soprannaturale elargito
dallo Spirito Santo a membri della Chiesa per il bene della comunità, Max Weber individua un tipo
di individuo con speciali caratteristiche personali e con poteri straordinari.
I leaders carismatici hanno effetti potenti sui seguaci: 1) forniscono forti modelli di
ruolo, in modo da permettere l'adozione di credenze e valori (santi); 2) mostrano livelli di
competenza elevati (condottieri militari, grandi capitani d'industria, ecc); 3) esprimono scopi
ideologici che hanno implicazioni morali; 4) hanno la capacità di comunicare un elevato grado di
aspettative nei loro confronti e hanno fiducia nella loro capacità di rispondere a tali attese; 5) sono
in grado di attivare motivazioni importanti con veri e propri sentimenti di affiliazione e
appartenenza. [Speltini e Palmonari, I gruppi..., cit.]
9) Forze centripete nel gruppo: coesione e conformità
Si è detto come un gruppo abbia natura essenzialmente dinamica. Al suo interno agiscono
forze diverse; ogni individuo nel momento in cui ne entra a far parte produce delle modificazioni
che vanno pian piano riequilibrate e che possono distinguersi come forse centripete (che
rafforzano il gruppo unendolo in un centro ideale) e forze centrifughe (che tendono invece a
separarlo, a farlo dissolvere).
Ogni gruppo ovviamente ha una sua vita, una origine e una fine, in cui i membri si
separano magari per dare vita ad altri gruppi. In queste dinamiche aggregative e dispersive si
individuano generalmente i concetti di coesione e di conformità, di conflitto, di protesta e di exit.
Per coesione Festinger individua «la risultante di quel processo per cui un insieme di
individui diventa un gruppo e si mantiene come tale, resistendo alle forze che possono tendere alla
separazione».
La coesione si individua come una forza centripeta, perché tiene unito il gruppo.
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Nella ricognizione proposta da Speltini e Palmonari la definizione del concetto di coesione
passa attraverso varie fasi, che vanno dalla caratterizzazione unidimensionale in cui viene
concepita unicamente come attrazione interpersonale tra i membri del gruppo alla
riconsiderazione dello stesso in senso multidimensionale. Nella coesione di un gruppo
influiscono dunque il grado di comunicazione interpersonale, l'identità sociale, la
rappresentazione sociale condivisa della realtà di gruppo, la condivisione di norme, il processo
di consensualizzazione che conduce all'uniformità, l'attrazione sociale, e individuale, la leadership,
ecc.
Sulla vita di un gruppo influisce anche il fenomeno della conformità, inteso come
"effetto dell'influenza maggioritaria". Mucchi Faina [L'influenza sociale, 11 Mulino, Bologna,
1996] definisce meglio il concetto precisando che per conformità deve intendersi «l'adesione a
un'opinione o a un comportamento prevalente anche quando questi sono in contrasto con il proprio
modo di pensare».
Il fenomeno, che porta ad allinearsi su posizioni proprie della maggioranza, può peraltro
avere effetti gravi, specie quando si ha paura di spezzare il vincolo di gruppo e l'armonia che vi
regna. Le risorse cognitive del gruppo vengono canalizzate in razionalizzazioni a sostegno
della posizione del leader e della sua maggioranza e non si leva alcuna voce di contrasto. Mucchi
Faina ha riassunto in tre punti focali, o motivi prevalenti, le decisioni di chi si allinea e si
conforma alle decisioni della maggioranza: 1) la compiacenza (i soggetti vogliono compiacere la
maggioranza e il leader, non vogliono apparire diversi, temono o non vogliono ritorsioni o essere
giudicati male); 2) l'accettazione (accade quando il compito è poco chiaro, fumoso, o la fonte
di influenza ritenuta più attendibile); 3) la convergenza (parte da motivazioni emotive: opporsi
alla maggioranza stanca e l'individuo si convince che la propria posizione non è corretta).
10) Forze centrifughe nel gruppo: devianza, conflitto, exit
Alla stregua delle forze che uniscono, gravitano sui gruppi forze che dividono e che
possono procurarne la fine. Sono fonti di instabilità all'interno dei gruppi, la devianza, cioè la
posizione di chi si pone in modo diverso rispetto alla maggioranza e che gli altri membri
avvertono come fonte di perturbazione dell'armonia del gruppo; il conflitto, cioè l'insorgere di
posizioni di contrasto tra i membri o tra i gruppi; l'exit, cioè l'uscita, l'abbandono del gruppo che
può portare alla fine del percorso vitale del gruppo stesso.
Il deviante è percepito spesso come una minaccia; nei suoi confronti si attuano spesso
manifestazioni persuasive e inviti a tornare sulle posizioni del gruppo, aumento delle quantità di
comunicazioni, ecc. Se tutto questo non ha esito si può arrivare fino all'espulsione dal gruppo, o
alla sua emarginazione. Se si effettuasse un test sociometrico chi devia avrebbe molti rifiuti tra i
membri del gruppo.
Il conflitto costituisce un ulteriore grave rischio per la vita del gruppo. Quando vi è
competizione e lotta le opinioni dei vari membri non sono più allineate e conformi fra loro, ma
distanti e tese a salvaguardare il proprio punto di vista, ottenere la propria affermazione,
raggiungere i propri scopi. Non c'è più consenso, né coesione.
Si individuano in genere in tre meccanismi le possibilità che i gruppi hanno per
affrontare i conflitti con la speranza di risolverli:
1) l'evitamento del conflitto, che è un intervento preventivo teso ad impedire o a
bloccare la comparsa delle posizioni conflittuali;
2) la riduzione del conflitto, in modo da riportare entro limiti accettabili per la
sussistenza del gruppo il conflitto già esploso;
3) la creazione del conflitto in modo intenzionale in un momento di quiete per evitare
danni maggiori in futuro.
Si possono distinguere: 1) il conflitto sociocognitivo, in cui è necessario che i componenti
di un gruppo raggiungano una soluzione comune e che di solito ha valenza positiva in quanto
riesce spesso ad essere di stimolo; 2) il conflitto costruttivo, che porta alla cooperazione ed alla
ricostruzione; 3) il conflitto distruttivo, che si manifesta con un crescendo di conflittualità e
che può proseguire anche quando le cause che lo hanno generato non sono più note o significative.
Il conflitto distruttivo è una delle cause che portano alla fine del gruppo, alla sua
trasformazione in sotto-gruppi o nuovi gruppi. L'individuo non può più condividere finalità e
scopi,-sente minacciata la stessa identità di gruppo, vede accentuarsi le differenze e percepisce che
i principi di autorità e leadership sono mutati e non più condivisibili.
Il soggetto può attuare l'uscita dal gruppo, l'abbandono del gruppo stesso in una sorta di
scisma, da solo o insieme con altri. L'abbandono dei componenti porta spesso alla fine del gruppo.
L'uscita dal gruppo, per abbandono o per dissoluzione del gruppo stesso, può portare peraltro alla
creazione di nuovi gruppi da parte dei vecchi membri, che possono cosi iniziare un nuovo
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processo, aggregando nuovi componenti e originando nuovi cicli dinamici di gruppo.
Bibliografìa di riferimento
Francesco Mattioli, Introduzione alla sociologia dei gruppi, edizioni SEAM, Formello, 2002;
G. Speltini e A. Palmonari, I gruppi sociali, II Mulino, Bologna, 1999;
F. Demarchi, A. Ellena e B. Cattarinussi, Nuovo Dizionario dì Sociologia, Edizioni Paoline,
Milano, 1987 per le seguenti definizioni: Associazione di B. Cattarinussi, Gruppo di P. Gabassi,
Gruppo di pressione di B. Tellia, Leader di G. Manco, Socializzazione di B. Tellia, Status di G.
Bartoli ;
A. Palmonari, L'interazione nei gruppi, in L. Arcuri, Manuale di psicologia sociale, II Mulino,
Bologna, 1995, p. 364 ss.;
Peter Meyer, Gruppi sociali, in Horst Reimann, Introduzione alla sociologia, II Mulino, Bologna,
1991, p. 77 ss.;
Cooley C.H., L'organizzazione sociale, Comunità Milano, 1977;
Galimberti U., Dizionario di psicologia, UTET, Torino, 1997;
Albert 0. Hirschman, Lealtà defezione protesta, Bompiani, 1982;
Tuckman, B.W., Developmental sequences in small groups, in Psycological Bulletin, 63, 1965;
Moscovici e Doise, Dissensi e consensi. Una teorìa generale delle decisioni collettive, II
Mulino, Bologna, 1992;
Mucchi Faina, L'influenza sociale, II Mulino, Bologna, 1996
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Alcune domande a risposta multipla
1) Nel 1945 Kurt Lewin elabora il concetto di "gruppo sociale" come:
a) aggregato di individui classificato secondo caratteristiche sociologiche comuni.
b) totalità dinamica che evidenzia caratteristiche diverse da quelle risultanti dalla somma delle
sue componenti.
e) manifestazione delle società umane che raggnippa individui in aggregati finalizzati al
raggiungimento di uno scopo predeterminato, d) organizzazione stabile tra più soggetti che
hanno relazioni di tipo emotivo.
risposta corretta (____)
2) Per "gruppi secondari" devono intendersi:
a) gruppi formati da persone che hanno rapporti di tipo prevalentemente impersonale,
strumentali e determinati da scopi pratici.
b) insiemi di persone che interagiscono direttamente e sono legate da vincoli di natura emotiva,
c) gruppi a cui ci si sente di appartenere.
d) i gruppi verso i quali ci si è abituati ad orientarsi nella valutazione di fatti ed eventi.
risposta corretta (___)
3) Per "Out-group" si intende:
a)
il "gruppo di noi", l'immagine o rappresentazione di sé che ogni individuo media dal gruppo
di appartenenza.
b)
una aggregazione artificiale intenzionalmente progettata per fini statistici.
e)
il "gruppo dei loro", quello che si individua come "altro da noi", che individua la nostra "non
appartenenza",
d)
l'insieme di coloro che stanno al di fuori delle norme del gruppo di appartenenza.
risposta corretta (___)
4) Il c.d. "stadio normativo" di sviluppo dei gruppi
a)
è quello in cui i membri potenziali sono incerti e dubbiosi circa la propria appartenenza e si
comportano in modo molto cauto.
b)
è quello in cui i membri lavorano cooperando tra loro per raggiungere scopi comuni.
c)
è quello in cui i membri si trovano implicati in vari conflitti quando tentano di piegare il
gruppo alle proprie esigenze personali,
d)
è quello in cui i membri tentano di risolvere i conflitti negoziando regole di comportamento.
risposta corretta (___)
5) Nel processo di socializzazione si fa riferimento al meccanismo della "interiorizzazione"
inteso come:
a)
processo nel corso del quale l'individuo si cala nella situazione di un altro assumendone il
ruolo e gli atteggiamenti.
b)
processo di apprendimento delle abilità sociali da parte di un individuo adulto che ha già
avuto una socializzazione primaria.
c)
meccanismo che porta ad un processo di acculturazione e ad assumere stili di vita e costumi
di altri popoli,
d)
meccanismo che porta ad accogliere nel proprio repertorio dei modelli di azione le norme
e gli atteggiamenti socialmente sanzionati, per effetto di processi di identificazione
già avvenuti.
risposta corretta (___)
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6) Il concetto di status
a)
si riferisce alla posizione che una persona occupa in un gruppo sociale e alla valutazione di
tale posizione su una scala di prestigio in un dato sistema sociale,
b)
si riferisce al comportamento dinamico che la società o l'individuo si aspettano da chi
occupa una determinata posizione.
e)
si riferisce alla nostra "autodefinizione" nel gruppo di appartenenza, d) in un sistema
sociale si riferisce all'individuazione dei criteri di appartenenza all'interno di un gruppo.
risposta corretta (___)
7) Per "leadership carismatica" deve intendersi:
a)
un tipo di leadership che organizza e dirige ogni attività del gruppo con forza di imperio e
tende a inibire la comunicazione tra i suoi membri.
b)
un tipo di leadership in cui si attribuiscono al leader speciali caratteristiche personali, poteri
e capacità straordinari, con valenze quasi soprannaturali.
c)
un tipo di leadership che si basa sulla competenza dell'organizzazione per il raggiungimento
degli obiettivi predeterminati, senza coinvolgimento relazionale,
d)
un tipo di leadership che si caratterizza per la partecipazione di tutti i membri del gruppo
nell'espressione della volontà del gruppo stesso.
risposta corretta (___)
8) Sulle dinamiche di un gruppo influisce anche il fenomeno della conformità, inteso come:
a)
la risultante di quel processo per cui un insieme di individui diventa un gruppo e si mantiene
tale, resistendo alle forze che tendono alla separazione.
b)
una modalità di riduzione dei conflitti socio-cognitivi all'interno di un dato gruppo.
c)
l'adesione a un'opinione o a un comportamento prevalente anche quando questi sono
in contrasto con il proprio modo di pensare,
d)
modalità di adeguamento del gruppo nel suo insieme alle spinte centrifughe dei suoi
membri.
risposta corretta (___)
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