l`esperienza culturale del partito comunista italiano

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Dicembre 1972
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P.C.I.
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L'ESPERIENZA CULTURALE
DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO
l - GLI ANNI '60: LOGORIO DEL GRAMSCIANESIMO
E RICERCA DI NUOVI SIGNIFICATI DEL MARXISMO (*)
1) l nuovi orizzonti culturali del P.C.I. e la problematizzazione delio storicismo
gramsciano.
Gli anni da l 1956 ad oggi sono stati d ensi di avvenimenti ricchi di
implicazioni teoriche, oltrechè politiche, per il comunismo internazionale; avvenimenti che, in particolare, hanno chiamato in causa l'indirizzo cu lturale dominante nel PCI: lo storicismo gram sciano.
Infatti, la crisi manifestatas i all'interno de i Paesi comunisti, ma,
soprattutto, lo stabilizzarsi dell'antagonismo cino-sovietico, hanno smentito la tesi della irriproducibllità, all 'interno del movimento comu•
nista, delle stesse forme più radicali di contraddizione sociale che car atterizzano l'assetto delle società borghesi. Nel contempo, le s tr utture
neocapitalistiche rivelavano una capacità di contenere a tempo indeterminato molte delle proprie contraddizioni: in questa luce era probabilmente interprctabile la svolta poli tica e sociale dell'Italia nei primi anni '60, che aveva registrato la rottura dell'unità delle sinistre, una
parte delle quali (q uella che si riconosceva nel PSI) era stata coinvolta
nel di segno "interclassistico" del centro-sinistra. I connotati del neocapitalismo mettevano così seriamente in discussione l'assioma di una
sostanziale fragilità del tessuto economico-sociale borghese, che aveva
ispirato le prognosi di crisi catas trofiche d el capitalismo, ricorrent i
nella pubblicistica economica e polit ica dei part iti comunisti s ino agli
anni ·so.
Tanto la profondità delle contraddizioni affioranti nei Paesi comun isti, quanto le risorse di tenuta d e l capita lismo, avevano compromesso un aspetto fondamentale dell'ispirazione storicislica gramsciana,
cioè la tendenza ad assorbire la problematica storica all'in terno di un
modello teor ico interamente definito in via di principio. Tale atteggiam ento era riconnesso, in Gramsci, al s ignificato rivesti to dalla Rivoluzione d'ottobre , in quanto il "salto di qua lità" da essa rappresentato
avrebbe reso ormai su perfluo ogni interrogativo teorico che investisse
( • ) La prima parte di questo studio è s t ata p ubblica ta In Aggiornamenti Socia li, (novembre) 1972, pp. 645
~s.,
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gli assiomi-base del marxis mo. L'attualità di questi interrogativi, ripropos ta dagli eventi di ques t'ultimo periodo s torico, si è tradotta in un
ritorno alle «fonti»: la dottrina di Marx, naturalmente, m a anche il
pensiero di Lenin, di cui si sono andate sottolineando doti di concretezza e di creatività nell'interpretazione e nell'applicazione della dottrina del fondatore del socialismo, che contras terebbero sovente con
gli irrigidimenti meccani cis tici, tipici della complessiva tradizione del
marxismo secondinternazionalista.
Ques to ritorno a i classici del marxismo, non tendeva p erò a valorizzar e le prese di posizione su singoli temi che interessano l'analisi
marxis ta (una simile propensione avrebbe anzi costitui to un a rretramento rispetto allo storicismo gramsciano). Si trattava, invece, di rintracciare l'effettiva discriminante del marxismo rispetto al pensiero
borghese: si s piega così l'attenzione preminen te, riservata dal nuovo
orientamento marxista a quelle parti dell'opera di Marx in cui egli e nucleava il metodo della sua teoria economica, mediante l'articolazione
di categorie ad un tempo economiche e sociologiche, come il lavoro e
la merce. L'identificazione del << proprium , del pensie ro marxiano, in
quanto implicava un vaglio delle esperienze filosofiche che lo avevano
influenzato, postulava necessariamente la riproblematizzazione del rapporto Hegei-Marx.
Negli anni '60, la messa a punto di una definizione, il più possibile
comprensiva, dei nuovi orien tamenti teorici emersi nel comunismo italiano, appariva ancor pitt impellente, a causa dell'affermarsi di forme
di marxismo eterodosso (l'espress ione più cospicua delle quali è costituita dalla <<Scuola di Francoforte»), le cui istanze hanno attecchito
p rofonda mente nella sinistra italiana, e hanno largamente ispirato la
<<contestazione s tudentesca, del '68-'69.
In effetlo, però, va sottolineato che i fenomeni sociali degli ul timi
anni, se da un Jato hanno agito come r ilevanti fattori di fe rmento e
an che di divisione, sotto il profilo culturale, per il PCI (lo attestano
sia l'espulsione degli esponen ti de l << Manifesto », sia il confluire di un
certo numero di intellettuali, peraltro non di primissimo piano, nelle
file delle forma zioni marxiste alla sinistra del PCI ), dall 'altro, r iproponendo l'attualità della dimensione confli ttuale nella società, hanno
accresciuto l'importanza del PCI sotto il profilo politico.
Rileviamo come sia corretto parlare di logorio, e non di crisi, dello
s toricismo gramsciano.
Infatti, mentre il neomarxismo eterodosso rivelava la s ua impotenza, in particolare s ul terreno pratico, dove non era stato in grado di
animare durevolmente un movimento di massa, il neomarxismo che potremmo denominare << metodologico >> non è ancora pervenuto a sviluppare sintesi organiche ed esaurienti del fenome no neocapitalis tico nelle
società occidentali, in particolare in Italia. Tali vedute sintetiche dell'assetto sociale sembrano, d'altra parte , imposte anche dalla necessi tà
di superare, in qualche misura, le divisioni e le lacerazioni che permangono, in tema di s trategia politica, s ui diversi versanti del marxismo
italiano, e anche a ll'interno del PCI.
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I limiti degli indirizzi marxisti affermatisi negli anni '60, nonchè
un contes to della società e della cultura che, per la complessità di articolazioni e per il dinamismo crescente, rende oggi più ardua che in
passato la comprensione sintetica del reale, hanno così concorso a garantire una collocazione prioritaria, anche se non più predominante,
del pensiero gramsciano nell 'ambito dell'<< alta cultura » comunista. Ricordia mo, tra l'altro, che la dottrina di Gramsci risulta congenia le alla
linea politica perseguita dall'attuale dirigenza del PCI.
2) Il neomarxlsmo metodologico: Della Volpe, Luporlnl, Colletti, Vacca.
a) Galvano Della Volpe.
Abbiamo anticipato, nella pa rte precedente del nostro studio (1),
il rilievo attribuito da Della Volpe a lla critica marxiana dell'aprioris mo
idealis tico di Hegel, che si manifesta principalmente nel mi sconoscimento della autonomia e della priorità dei rapporti sociali, declassati
a m ere es pressioni della dinamica interna dell'idea (che, com'è noto,
costituisce, secondo Hegel, la vera r ealtà). All'assorbimento del dato
empirico nella dimensione speculativa a stratta corrisponde altresì, conform emente alla struttura monis tica e d idealistica dello hegelismo, una
assunzione, sempre in base a criteri astrattamente speculativi, del dato
empirico da parte dell'idea.
Fin qui la << pars destruens » del marxismo di Della Volpe, il quale,
aggiornando le elaborazioni degli anni '40, in << Logica come scienza positiva ,, (1950) perviene alla formulazione centrale della propria epistemologia, la teoria dell'<< astrazione determinata>>, muovendo dalla enunciazione di una teoria materialistica del giudizio comune. Ques ta teoria qualifica essenzialmente la struttura del concetto e del giudizio come << dialettismo diadico >>, cioè come compenetrazione dell 'ele mento
razionale, che è unitario e dialettico, con l'elemento materiale, che è
molteplice e singolare. Inoltre, la teoria del giudizio comune considera
la dialettica come fun zione conoscitiva individuante la peculiarità singolare del dato empirico.
Sulla teor ia del giudizio comune si modella la teoria materialis tica
del giudizio scientifico, che Della Vo lpe eleva al ra ngo di metodologia
univer sale per le scien ze naturali ed umane. Quest 'ultima teoria s'impernia sulla categoria di «astrazione determinata >>, che Della Volpe
vede applicata per la prima volta, in sede di scienza economica , da
Marx, il quale mostra piena consapevolezza della sua scoperta nella
<< Introduzione a " Per la critica dell 'economia politica"» del 1857.
In questo scritto, Marx vaglia l' utilizznbilità, ai fini esplicativi della realtà
economica, della categoria d el lavoro astrattamente considerato, che la « scuola
classica >> dell'economia (Smitb, Ricardo, ecc.) aveva posto a fondamento del
(l)
Cfr. I.
VACCARINI, L'esperienza cultm·ale d el Partito Comunista Italia-
no (1), In Aggiornamenti Sociali, (novembre) 1972, pp. 661 ss., r ubr. 72 1.
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proprio sistema teorico. In realtà, il concetto di lavoro può scaturire da due di.
~tinti processi astrattivi. In un pt·imo caso, i l lavoro rappresenta la sempli<·e al·
tivitù produttiva: tale concetto di lavoro è applicabile a tulle le et•odte della
umanità. Nel secondo caso, il lavoro astratto denota invece un'indifferenza ad
un lavoro determinato, e «corrisponde od IITUI forma tli societiÌ in c11i gli indi·
vitl11i pnssnn o con facilità da un lavoro nel 11.11 altro e in cui il genere detenni.
rwto del la voro è per essi fortuito e f/IIÌIItli indifferente" (2). In quest'ultimo
caso, il concetto di lavoro è applica bi le ~o hanto ad una singola fa se storica,
quella contrassegnata da rapporti di produzione c·apitalistici.
Ucl la Volpe rileva come il primo com·etto tli la voro scaturisca da un'astra·
zione indeterminata, e pertanto scientifi.:am enle infeconda, mentre il secondo
t•oJH:etto di lavoro è frullo di un'astrazione determinata, in quanto include Ja
valutazione di un dato empirico pe<·uliare al momento storit•o nel quale opera
il procedimento astrattivo. L'errore metodologico della «scuola cla ssit·a " è cOri·
sistito dunque nell'aver post o a fondamento rlcl pro prio sistema teoriro H con·
celio di lavoro intiiJlerminato, m e:1tre Marx, in quanto ha valorizzato un con·
cetto determinrt/o e storico d i favore. l1a potuto sviluppa re quell'analisi crono·
mi co-sociale che, attrave•·so con•· ellu~li zzazioni successive (denaro, merce, va lo·
re d'uso, valor e di scamhio, ··~pi t~ le, ecc.), perseguite nel costante Jnp lit·e riferimento all'istanza razionale e all'istanza empirica, è approdata a ll' individuazione rlella produzione n tpitalistica come fattore basilare dell'economia c quindi
de lla sodetà t·ontemporanea.
L'articolazione principale della proposta gnoseologica dellavo lpiana
è il cosiddetto circolo « concreto-astratto-concreto "• ch e muove dalla
r ilevazione dell'esperienza fatluale ( = concreto), p erv iene a lla formulazione di concetti comprensivi delle dete rminazioni p eculiari della
realtà a lla quale si riferiscono ( = astratto), c, infine, attribu isce a tali
concetti caratte re normativo in sede pt·atico-storica ( = concreto). Il
movente della prassi risiede, com'è ovvio, nella rilevazione della fondamentale contraddizione sociale c he dist ingue la società capitalis tica. In
effetto, però, tale contraddizione, secondo Della Volpe, su ssiste priorilariamente a livello epistemologico, come contraddizione interna ad
un'as trazione determinala: la produttività capi ta listica del lavoro. Que·
s to concetto, infatti, nella misura in cui è es tensibile a precedenti epo·
che storiche, s i colloca in un rapporto di continuità rispetto al conce!·
to generico di produttività del lavoro; invece, nella misura in cui esso
è applicabile al solo contesto storico contemporaneo - il quale è caratterizzato da lla contraddizione capitale-lavoro -. conosce una contradd izione interna che opera una rottura della continuità precedente·
mente considerata.
In conclu sione, osser viamo che le e laborazion i gnoseologiche di
Della Volpe hanno incontrato grande fortuna nel marxi smo non soltanto itali ano; i limiti del suo pensiero sono generalmente stati rilevati
ne lla pretesa universalistica di una metodologia che pl"ivilegia il dato
intellettivo inerente a l contesto discorsivo-scientifico e sembra per con-
(2) Cfr. K. MARX, Introctttzione [del 18571 a « Per la critica dell·economi,,
politica »,
In K. MARX, Per la criUca dell'economia politica, Editori Riuniti.
Roma 1969. p. 192.
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verso neutralizzare le potenzialità di autonomo dinamismo dell'espe·
rienza storica. Beninteso, la coerenza marxis ta della dottrina dellavol·
piana non è, astrattamente, meno solida di quella che caratterizza altre espressioni del marxismo italiano. Tuttavia, i rischi di deviazione
scientistica insiti nell'epis temologia di Della Volpe, si sono palesati n el·
le sue prese di posizione circa tematiche fondamentali del marxismo,
come il rapporto democrazia-socialismo: s u questo tema, Della Volpe
perviene a forme di assolutizzazione di categorie individualistiche (3)
tipiche di quella filosofia « cristiano-borghese "• alla cui demistificazione aveva dedicato i suoi sforzi maggiori.
b)
Cesare Luporini.
l. Luporini contrappone a lla metodologia dellavolpiana dell'astrazione de terminata, una metodologia che recupera il valore dell'astrazione non determinata. In effetto, la « teoria del giudizio scientifico »,
se ha rappresentato un 'interessante formula di individuazione dell'originalità dell'approccio marxiano alla r ealtà storica, non ha titoli sufficienti per aspirare ad un riconoscimen to in sede di metodologia delle
scienze. Sotto tale profilo, infatti, la distinzione tra astrazione indeterminata e determinata, quale si evince dalle elaborazioni di Della Volpe,
appare di scarsa o nessuna funzionalità.
Luporini persegue invece la valorizzazione dell'as trazione « pura "•
mediante la ricezione di quel metodo strutturalista che, applicato alla
linguistica, aveva consentito di elevare questa disciplina al rango di
scienza esatta: prerogativa che, nell'ambito delle discipline sociali, era
stata, in precedenza, appannaggio della sola economia politica.
Secondo Luporini, il significato dell'opera di Marx non consis te nella scoperta di « leggi, che governano la storia, bensì nella elaborazione
di un modello sistematico esplicativo dell'assetto economico-sociale a
lui contemporaneo: modello la cui credibilità scientifica è garantita
dalla ricorrenza di tutti i requisiti richiesti dalle acquisizioni strutturaliste, fra i quali la presenza dominante di un tipo di produzione quella capitalistica - che conferisce significato a tutte le articolazioni
del modello.
L'itinerario gnoseologico di Luporini si s noda, all'opposto di quello
di Della Volpe, nel circolo "astratto-concreto-astratto"· Infatti, viene
sottolineato come l'analisi marxiana abbia preso le mosse non da un
presunto dato empirico, bensì dal modello generale dell'economia mercantile, il quale ha agito da indispensabile quadro di riferimento rispet(3) A proposito del tema della democrazia, nel rapporti con il socialismo,
Della Volpe riteneva che l a democrazia - nella sua formu lazione roussovlana era destinata a caratterizzare una società post-borghese nella quale « il criterio
dei diritti del Lavoro contrasti dinamicamente - tramite riforme di struttur a come criterio delL'ordine sociale, il criterio del di1·itto della proprietà, e venga
così 1'istorato quel princi pio dei meriti personali, e quindi del valore anche
creativo della persona umana in genere, su cui si edificò la società botghese ma
1iducendolo storicamente a privilegio d·i una cLasse, ai meriti-diritti d ei posstdentes » (G. DELLA VOLPE, Logica come scienza storica, Roma 1969, p . 285).
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to alla raccolta di una ingente messe di dati - cui aveva atteso Marx
in particolare nel corso del suo soggiorno in Inghilterra -: questa attività d'ordine e mpirico-sperimentale, ch e costituisce il momento concr eto, è sfociata nel disegno sis tematico dell'assetto - o «formazione
sociale, - capitalistico.
Risulta evidente, da queste osservazioni, il connotato antistoricistico
del discorso fi losofico di Luporini, secondo il quale gli accadimenti s toric i - che costituiscono il mom ento «storico-genetico, - non presentano carattere di necessità, configurandosi come variabili, sia pure entro limiti dati. Insomma, la t ransizione da una « formazione sociale>>
a quella successiva non è predeterminata (in ossequio ad una concezione deterministica del processo storico) , ma neppure arbitraria, dipendendo essa dall'attuazione di alcune delle possibilità racchiuse nella
«formazione sociale, comparsa in precedenza. Di conseguenza, il modello strutturale delle form azioni sociali - in particolare, sia di quella capitalistica sia di quella socialista - risulta cosi disponibile in direzioni diverse da quelle storicamente verificates i.
La di sponibilità di tale mode llo è confermata dalla concezione Juporiniana della dialettica materialistica. Questa, considerata nella qualificazione di azione reciproca, prevede come naturale la possibilità dell'ineguale sviluppo della produzione economica (la struttura) r ispetto
alle a ltre attività che formano la sovrastruttura. Inoltre, va considerata inammissibile la pretesa di una soluzione necessariamente univoca
per tutti i piani della ~ovrast ru ttura.
2. I n sede di va lutazione del pensiero di Luporini - il quale si è
distinto più di altri pen satori marxisti nel dialogo con il cattolicesimo
e con le correnti dottr inali più moderne ( neopositivismo, s trutturalismo) -, n e rileviamo lo sforzo di disincagliare il marxismo da una
non facile alternativa, che gravava particolarmente in ambienti comunis ti sensibili alle indicazioni della più aggiornata cultura non marxista.
Tale a lternativa si confi gura da un Jato come una valorizzazione in un
certo modo apriorist ica del dato s torico (sconfessata dal dissidio in
corso tra le due massime potenze socialiste, ciascuna delle quali rivendica nei confronti dell'altra l'ortodossia marxista della propria esperienza storica, senza avvedersi del suo spessore di variabile s torica).
L'altro es tremo di questa a lternativa è dato dal ricorso prioritario a
categorie (come la «totalità », o la " dialettica, intesa forma lmente
nella s ua versione hegeliana) tipiche soprattutto de l marxismo degli
ann i '20, che possono apparire, nel contesto di una cultura nutrita di
indicazioni provenienti dal mondo scien tifico, un 'ingombrante sop ravvivenza idealistica.
Va tuttavia osservato come Luporini, professando un orientamento che riconosce largo spazio al metodo s t r utturalista, non si sottrae
alla critica rivolta generalmen te a questo m etodo, di privilegiare cioè
eccessivamente la dimensione sincronica rispetto a quella diacronica (4).
(4) I termini « slncronla • e « diacronia » sono largamente utilizzati n ella
linguistica e nelle altre discipline strutturaliste. La dimensione slncronlca
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E' dato infatti di riscontrare una tensione, nel marxis mo di Luporini,
tra la categoria del modello sistematico-astratto della formazione sociale capitalistica e la necessità storico-oggettiva del superamento del
capitalismo nel socialismo. Infatti si evince dal discorso di Luporini
che la possibilità di elaborare un modello compiuto di formazione sociale risulta necessariamente differito al momento in cui questa rivela
tutte le sue caratteristiche essenziali. Ne conseguirebbe che le fasi storiche di transizione non sarebbero suscettibili di conoscenza scientifica, con implicazioni d'ordine pratico che sono evidentemente inaccettabili dal punto di vista marxista.
Il recupero del momento diacronico, relativo alla transizione dal
capi talismo al socialismo, avviene pertanto, nel pensiero del Luporini,
in via indiretta; la validità scientifica del modello teorico capitalistico,
infatti, comprende tutti i momenti costitutivi di questo modello, incluso
il necessario rovesciamento dei rapporti di classe che lo caratterizzano.
c) Lucio Colletti.
l. La critica di Della Volpe all'apriorismo di Hegel, in quanto denuncia del suo procedimento speculativo, coinvolge implicitamente la
dialetti.ca, che è la legge basilare del dinamismo interno dell'idea. La
radicale messa in discussione della dialettica finisce per investire un
luogo comune della tradizione marxista: .il presunto rovescia mento materialistico della dialettica hegeliana. Colletti ha tematizzato questi nodi della speculazione marxista pervenendo a soluzioni rilevanti, che reclamano una breve illustrazione del suo pensiero, in particolare della
sua ricostruzione dell'itinerario hegeliano.
Il quadro di riferimento speculativo è cost1tmto, in Hegel, da coppie di
termini ( finito·infinito, essere-pensiero, ecc.) in scritti in un ambito idealistico e
monistico.
Una corretta utilizzazione di questi termini a fini teoretici, è riconosciuta
incompatibile c· o n una univoca collocazione di essi setondo un ordine causale:
infatti, la sequenza finito-infinito comporterebbe l'incongruenza di considerare
l'infinito come causato dal finito, mentre la sequenza infinito-finito si ri solve·
rebbe in una fidei stica petizione di principio dell'infinito. Hegel rirorre pertan.
lo alla di stinzione tra livello apparente e livello reale del propro itinerario spe·
culativo. Al livello apparente si situa la sequenza finito-infinito, e al livello
reale quella infinito-finito, nel quale l'infinito si « nega » ponendosi come finito: la reale natura del finito, dunr1ue, è l'idea, mentre la sua dimensione specifica - quella empirica - è mera parvenza. Il finito si presenta duntJue, a livello
reale, come « negazione » dell'infinito, mentre opera, a livello apparente, come
<< affermazione >> della propria dimensione specifica : que lla empirica.
Orbene, il momento, successivo a quelli ora considerati, della « negazione
della negazione », che registra la simultaneità di « affermazione » e « negazio·
gli elementi di un modello s istem atico, e le relative lnterazloni, !n
condizioni d! simultaneità. La dimensione diacronica considera le varlazlonl, nel
tempo, di tale modello, che sono provocate d a elementi estranei, non facenti parte, a loro volta, d! un altro modello sistematico.
con~idera
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ne >>, è erroneamente indicato da Hegel come manifestazione del p r esunto principio l ogico di contraddizione, in quanto l'« affermazione» c la <<negazione»
si presentano in questo caso ai d ue diversi livelli : I'« affermazione» del finito
come infinito, al livello reale, e la « negazione » del finito come dimensione
empirica, al livello apparente. Cade così il fondamento del principio di contraddizi one (5) e, con esso, la sostanza lo gica del principio della dialettica, come è stata intesa da Hegel. Cade anche la distinzione tra funzioni dell' << intelletto », idonee a compre ndere il finito nella sua dimensione particolare, e
presiedute dal principio di non contraddizione, e funzioni della «ragione»,
idonee a comprendere l'infinito, e p r esiedute dal principio di contraddizione.
2. Le implicazioni che Colletti trae da lla s ua interpretazione dello
hegelismo sono di vasta portata. Innanzitutto, il metodo dialettico, in
quanto manifes tazione coerente di una filosofia, come quella di Hegel,
che svalu ta la dimensione s torico-naturale a un particolarismo empirico
privo di significato autonomo, si presenta incompatibile con l'approccio materialistico alla realtà che ispira il marxismo. Ma Colletti compie un passo u lteriore nella demistificazione della dia let tica, in quanto,
insistendo sul carattere fantastico del principio di contraddizione enunciato da Hegel, finisce per negare la stessa possibilità astratta di una
conversione materialis tica del metodo dialettico.
Colletti rileva come la consacrazione della dialettica materialistica
sia stata un fattore d i distorsione e di evasione idealistica nei due grandi filoni del marxismo: da un lato, il marxismo della Seconda Internazionale ha risentito for temente l'influsso della concezione engelsia na
della dialettica, prolungatasi poi nel materialismo dialettico professato
dal marxismo sovietico; dall 'altro la to, il metodo dialetti co ha perm eato
molte delle più rilevanti espressioni del marxismo occidentale, da Luk<ics a Sartre e a Goldmann.
Dalla valorizzazione engelsiana della dialettica, non sarebbero scaturite soltanto le grossolanità di una "dialettica della natura » sovrapposta a i metodi propri de lle scienze na turali. Engels infatti, considerando l'inte lle tto (inteso hegelianamente come la funzione discorsiva
presieduta dal pr incipio di non contraddizione) quale fonte di conoscenza << m etafisica », e propugnando il superamento dei s uoi limiti ad
opera di una presunta << ragione diale ttica», avrebbe introdotto nel marxismo fattori di apriorismo idealis tico. Tale aprior ismo avrebbe so rtito
l'effetto d i subordinare la com prensione delle contraddizioni reali alla
loro formulabilità come contraddizioni di tipo ideale.
Riflessi ancor più fuorvian ti sa rebbero sca turiti dalla valorizzazlone
lukacsiana della dialettica. Il filosofo ungherese avrebbe mutuato una
tesi di fondo della componente irraziona listica de lle fi losofie borghesi
del primo Novecento.
(5) Il principio di contradd izione consisterebbe nell'affermaz ione e n egazione
di una medesima r ealtà, nello stesso tempo e nello stesso senso. Collett i rileva
come In Hegel - che « nega h Il f init o nella sua qualità di parvenza empirica, e
lo «afferma » nella sua qualità di sostanza Ideale - non si registri Il superamento del principio aristotelico di non contraddizione. Cfr. L. CoLLETTI, Il marxismo e Hegel, Bari 1969. p . 19.
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Come abbiamo avuto modo di constatare, in quest'ultimo contesto filo sofico
operava un'incrinatura dei momenti che si tro;·avan o organicam ente congiunti
nello storicism o ottocentesco: l'essere, inteso come esistenza, empiria, e il dover essere, inteso come idea, pensiero. Una de lle manifestazioni più significative di tale incrinatura è o ggetto d'attenzione da parte di Colletti: una svalutazione del potere conoscitivo de ll'intelletto - inteso n el sen so più volte ricordato - ancora più accentuata di quella che caratteri zzava l'idealismo otto·
centesco.
Infatti, se, come sostiene in particolare Bergson, la realtà consiste essenz ialmente in un divenire fluido, si deve ritenere che la conoscenza fornita dall'intelletto, in quanto immobilizza la realtà in forme analitiche ed astratte, de,-e qualificarsi piuttosto come sostanzialmente fitti zia ed illusoria che soltanto
come unilaterale.
Secondo Colletti, queste indicazioni irrazionalistiche avrebbero ispirato una fondamentale categoria di Luk:ks : la << reificazione, (6). Ques ta, in effetto, a nnette carattere alienante all'aggettivazione operata dalla scienza, e pertanto, in ultima analisi, alla s tessa conoscenza intellettiva . Tale formida bile equivocazione dell'alienazione marxlana, commessa da Lukacs, avrebbe influenza to, secondo Colletti, alcune manifestazioni fondamen tali della filosofia borghese, come << Essere c tempo » di
Heidegger, e sarebbe s tata all'origine del cla moroso irrazionalismo che
grava sul pensiero dei maestri della Scuola di Francoforte.
Colletti individua l'originalità qualitativa del metodo e dell'opera
m arxiana nel superamento del vizio speculativo della cui tura « cristiano-borghese»: vizio che con siste nel dissolvimento della concretezza del
r eale nell'ipos tatizzazione astratta. In virtù di questo suo criticismo,
Marx è approdato al ri conoscimento della categoria di «rapporti sociali
di produzione "• che anima tutta la sua costruzione teorica. La società
consumista dell'Occidente consente a Colletti un approfondimento del
concetto di lavoro as tratto (che è l'e lemento costitutivo della teoria
m arxiana del valore-lavoro) (7). Poichè tale astrazione comporta l'abolizione della caratteristica del prodotto de l lavoro, cioè la sua oggettività naturale e sensibile, l'oggettività si trasferisce sul lavoro umano,
che viene avulso da lla soggettività del lavoratore e considera to una proprietà della m erce. Teoria del valore-lavoro e teoria del feticismo della
merce (8) finiscono dunque per coincidere.
(6) Lukacs, nell'Introduzione ad una recente edizione ltallana di Storia e
coscienza dt classe (Mllano 1967, p. XXV), ha amm esso l'err ore che ha contraddistinto la sua opera principale, consistente nell'aver posto Il concetto di alienazione n el s ignificato attribuitogli da Hegel (Il q uale ldentlftca l'allenazlone con
l'estraneità dell'essere, cioè dell'oggetto, rispetto al pensiero) sullo stesso plano
del concetto d! alienazione nel significato m arxlano d! estraneità al lavoratore
d el prodotto della sua attività lavorativa.
(7) Secondo la teoria d el valore-lavoro, Il valore d! scambio delle merci è
misurato dal tempo d! la voro «socialmente necessario » per produrle, lntenden~
dosi, con tale categoria di tempo, U tempo medio di lavoro quale risulta dalle
condizioni sociali medie di produzione.
(8) La teoria del fetici smo della m erce esprime l'Interpretazione, caratteri-
3. In conclusione, il pensiero di Colletti va considerato a lla luce del
problema che travaglia il marxismo italiano dell'ultimo periodo storico: la ricerca di una figura speculativa fondamentale per interpretare
sinteticamente una realtà storica, che non sembra agevo lmente s ussumibile in categorie s toricistiche e comunque di derivazione idealist ica.
L'astrazione de terminata di Della Volpe e il modello stru tturale delle
formazioni sociali di Luporini rappresentano appunto d ei tentativi di
approssimazione a quella fondamentale categoria speculativa.
Lo sfo rzo di Colletti sembra propendere per una confluenza del nu·
eleo della proposta d ellavolpiana (median te il richiamo a lla concretezza e determinatezza de l metodo marxiano) e delle istanze del giovane
LuJuics (promozione d ella consapevolezza del m ovimen to operaio, a ttraverso un processo di critica incessan te dei fenomeni di ipostatizzazione a s tratta che caratterizzano la cult ura e la socie tà borghesi).
La propos ta di Colle tti sembra tutt avia soffr ire lo s tesso lim ite di
altri orienta menti del marxi smo italiano: cioè la difficoltà a verificare
compiutamente, a un livello di s pec ificità s torica, i propri enunciati
teorici, attuando un'organica « lettura , d ella dinamica d ella società capitalistica.
d)
Giuseppe Vacca.
Anche il Vacca valorizza la ca tegoria dellavolpiana dell'ast razione
determinata e temalizza in via principa le l'aspetto metodologico dell'opera di Marx. Tuttavia, egli si pone origina lmente il problema del nesso diretto sussis tente tra la cri ti ca marxiana dell'economia politica e la
dimensione s torico-pratica, cioè la s trutturazione in classi della soc ietà.
L'opera di Marx viene considerata dunque come s cienza critica: tale criticità non si caratterizza soltanto in senso speculativo, bensì include il riferimento alla s oggettività della classe proletaria, al punto di
vista della quale la "scienza critica, ri sulta relazionata.
Vacca, ponendo la ca tegoria di lavoro in relazione con quella di
merce, giunge ad esiti differenti da quelli di Colletti, argomentando che
il concetto di merce, in q ua nto qualifica il p rodotto di lavoro cara tterizzante la società capitalistica, racchiude un r ife rime nto alla for za-lavoro come r ea ltà specifica di ta le fase d ella storia umana. E la forzalavoro corrisponde a lJ a classe opera ia, la quale ra pp resenta pertanto
la categoria centra le della critica marxiana dell'econo mia politica.
Il recupero di una dimensione storicis tica, nel q ual e sembra sfociare l'approccio m etodologico di Vacca, concorre forse a s piegar e il
suo approfondimen to di una tema tica marxist a pa rticolarmente de licata : la fase di transizione al socialismo. Vacca sost iene che la radicata
sopravvivenza di situazion i capitalistiche nel tempo successivo all'inse-
stica della società ca pitalis tica , del valore della merce, non come effetto di un
rapporto sociale tra soggetti, b ens ì come proprietà oggettiva, scissa dall'attività
del lavoratore, della merce s tessa.
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diamento dei regimi socialisti, crea le premesse per l'emergere non
solo di semplici contraddizioni tra i ceti sociali, ma anche di rapporti
antagonistici di natura analoga a quelli che hanno accompagnato le fasi
di sviluppo del capitalismo (9). Il salto di qualità rappresentato dall'avvento di un regime socialista consiste propriamente nel controllo proletario dello Stato, il quale si limita a garantire la possibilità di orientare lo sviluppo delle forze produttive verso mete di socializzazione.
3) Le nuove for.m e di marxlsmo eterodosso.
Gli anni '60 hanno visto sorgere una nuova domanda rivoluzionaria
.da parte di settori del movimento operaio - assoggettati ad un regime
di fabbrica più duro, e s ui quali gravavano in misura più acuta gli squilibri vecchi c nuovi accumulati dal capi talismo in Italia - e da parte
del nuovo proletaria to studentesco, che aveva maturato la consapevolezza della crisi della società tecnica occidentale.
Queste istanze rivoluzionarie tendevano ad attribuire alle strutture
neocapitalistiche una capacità illimitata di risolvere le proprie contraddizioni. Tale valutazione contrastava diametralmente con l'essenza della
dottrina marxista-leninista.
l. Raniero Panzieri, verso la fine degli anni 'SO, formulò un'interpretazione dell 'assetto capitalistico che si stava profilando, che era destinata ad esercitare un considerevole influsso in ambienti operai e giovanili lungo il decennio successivo. Secondo Panzieri, il ncocapitalismo
aveva messo a punto tecniche efficienti di razionalizzazione dei propri
squilibri, mediante la pianificazione dell'economia, la stabilizzazione
dell'espansione dei consumi, l'assorbimento della s tessa dimensione conflittuale tra i ceti sociali. Panzieri proponeva di sostituire la strategia
dello sviluppo della democrazia borghese, individuata dal PCI come
condizione necessaria per l'instaurazione del socialismo in Italia, con
la strategia della democrazia operaia.
In effetto, Panzieri rilevava che la sede nella quale, mediante l'organizzazione scientifica del lavoro e la tecnica delle relazioni umane,
si genera lo sfruttamento, è la fabbrica; e che l'ingerenza dci condizionamenti consumistici nella stessa sfera privata del lavoratore attesta
una sorta di estensione del regime della fabbrica a tutta la società.
Conseguentemente, Panzieri, ristabilendo i contatti con tematiche
particolarmente dibattute nel marxismo italiano del primo dopoguerra,
teorizza la fabbrica come luogo privilegiato per la genesi del processo
rivoluzionario. La consapevolezza degli effettivi connotati del neocapitalismo, maturata nella fabbrica, avrebbe posto le premesse per la formazione, in quella sede, di istituzioni rivoluzionarie operaie, le quali
dovrebbero caratterizzarsi per una valorizzazione delle istanze di base,
(9) Cfr. G . VACCA, Scienza, Stato e critica di classe. Galvano della Volpe e il
marxismo, Bari 1970, p. 223.
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contrastando le tendenze « burocratiche •• connesse con gli istituti r appresentativi.
La valu tazione delle strutture neocapitalistiche come realtà « totalizzanti », in quanto comporta un disconoscimento, ai fini di un 'azione
rivoluzionaria, dell'analisi della dinamica capitalistica, ripropone in qualche misura il primato della prassi sull'analisi teorica, valorizzando gli
e lemen ti di spontanei tà nell'operare rivoluzionario del la classe operaia.
Questo atteggiamento, ancora in parte implicito nel pensiero di Panzieri, si profila più nitidamente nelle posizioni di Tronti. Questi, contrapponendo alla g lobalità dell'assetto neocapitalistico la vocazione rivoluzionaria della classe operaia, afferma che la conoscenza della classe
operaia è da considerarsi prioritaria rispetto alla conoscenza delle s trutture de lla società borghese.
La conclusione di questo processo di dissolvimento del nesso teoria-prassi, che è una dominante del marxis mo-leninismo, si registra nella posizione della rivista «Classe e stato», nella quale si proclama l'ins u fficienza, sul piano pratico, dell'analisi delle contraddizioni sociali e
si postula il r icorso ad un comportamento eversivo per certi versi puramente gratuito.
2. Le masse stu dentesche degli anni '60 sono state sensibilizzate all'ideologia della totalità neocapitalistica, in prevalenza dai maestri della
Scuola di Francoforte (M. Horkheimer, T. Adorno, H. Marcuse). Questi,
operando in un contesto in cui confluivano, prevalentemente, molteplici
articolazioni della cultura borghese (m arxismo h egelizzante di Luk:ks,
sociologia di Weber, fenomenologia di Husserl, ecc.). ha nno sv iluppato
una forma di sincretismo tra le dottrine di Hegel, Marx e Freud.
Il monismo idealistico hegeliano viene interpretato dai rappresentanti della Scuola di Francoforte come totalità razionale, la quale categoria bene esprime la natura della società capitalis tica. Rispetto a
ques ta totalità, la dialettica non si pone, com e in Hcgel e in Marx, a lla
s tregua di una legge interna, bensì, esternamente, come possibilità di
negazione della totalità unitaria costituita dalla società capitalistica.
La sede in cui si mani festa fondamentalmente il disvalore del ca·
pitallsmo non viene indicata, dai teorici della Scuola di Francoforte,
nella sfera economica, dove, secondo Marx, si situa la « struttura >>, bensì nella sfera psicologica e quindi sovrastrutturale. Manifestazione precipua c più generale del dominio sociale è infatti la repressione istintuale, mortificatrice di quella forza originaria e creativa, che è in grado, se lasciata libera a sè stessa, di promuovere una realizzazione umana integrale. Questa consisterebbe, in particolare secondo Marcuse, in
una espansione della « libido •• (IO) che coinciderebbe con la liberazione
da ogni forma di attività non gratificante e l'instaurazionc di un rapporto non più artificiosamente distorto con la natura.
( 10) La « Ub!do • Indica l'Istinto fondamentale dell'uomo, al quale Freud
attribuiva natura genericamente sessuale.
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I noltre, la Scuole di Francoforte si caratterizza per una svalutazione talvol·
la oscurantista della complessiva scienza occidentale, che è considerata come
espr essione del dominio dell'uomo sulla natura e sui suoi simili . La scienza è
pertanto dis•·onosci uta nelle su e rivendicazioni teorctiche, le qua li costituireb·
b ero ideologizzazioni di strutture sociali repressive.
In sede di prospe ttiva storica, la Scuola di Francoforte condivide
l'opinione che il movimento operaio d'Occidente, data la sua integrazione nel sistema, è irrecuperabile per un processo rivoluzionario, a
promuovere il quale sono chiamate altre forze storiche: i movimenti
studenteschi, i ceti diseredati, i Paesi del terzo mondo. La rivoluzione,
peraltro, è una pura possibilità, perchè, come afferma Marcuse, il futuro storico non è in alcun modo teorizzabile.
Negli anni che hanno visto la parabola dei movimenti studenteschi,
sono stati ampiamente dibattu ti problemi inerenti alla teoria della ri·
voluzione. Il richiamo a lla differenza della figura dell'operatore culturale nella situazione odierna, caratterizzata dalla proletarizzazione degli
intellettuali, rispetto a contesti storici passati nei quali la rivoluzione
era guidata da intellettuali d 'origine borghese; la predicazione della
sovversione permanente come contromis ura alla totali tà capi ta listica,
da parte dei più noti animatori dei moli s tudenteschi e uropei (Dutschke.
e Cohn Bendit); la teorizzazione della guerriglia u rbana; l'esaltazione
dello spontaneismo, eventualmente assecondato dalla fu nzione lievitat rice di minoranze attive; infine, la postulazione di avanguardie esterne
di sta mpo bordighiano: t u tte queste proposte, fra loro anche eterogenee, sembrano convergere nella messa in discussione delle elaborazioni
leniniste della lotta r ivo luzionaria: il nesso teoria-prassi, il rapporto
partito-masse popolari, la compenetrazione tra strategia e tattica.
4) Le problematlche economiche.
Il dibattito economico ha attinto punte di eleva to interesse negl i
ultimi anni, che hanno registrato interpretazioni talvolta spregiudica te
di assiomi basilari dell'economia marxista .
l. Ha contribu ito cospicuamente a questo dibattito l'opera di due
marxis ti americani, Baran e Sweezy, « Il capitalismo monopolistico "·
In essa è analizzata la struttura economica del Paese capitalistico più
avanzato: gli USA. La categoria centrale di « Il capitalismo monopolis tico >> è il "surplus», termine con cui si vuole indicare la differenza
tra l'ammontare della produzione e i costi sostenuti per attenerla. Pertanto, i due studiosi americani, differenziandosi da Marx, non individuano l'espressione dell a crisi strutturale del capitalismo nella tendenziale caduta del saggio di profitto, bensì nell'aumento crescente di " surplus>>, che caratterizzerebbe l'economia capita listica dal periodo in cui
sorsero i primi complessi monopolistici. Il problema fondamentale del
capitali smo monopolistico è oggi, d unque, l'assorbimento del «surplus "•
che viene persegui lo, tra l'altro, con massicci e spese pubblici t arie e l'obsolescenza artificiosa dei prodotti, con la d ilatazione d i spese pubbliche
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e militari e con l'adozione di una politica imperialistica. Il capitalismo
monopolistico si qualifica quindi per una contraddizione tra l'aumento
delle risorse e l'impiego di esse per fini irrazionali e disumani, e crea
disfunzioni psicologiche, tensioni politiche internazionali e con fii t ti razziali. Baran e Sweezy scartano l'ipotesi di una rivoluzione promossa
dal proletariato indus triale, il quale gode ormai di un certo benessere,
oppure dagli s tessi ceti che risentono maggiormente le contraddizioni
della società (a bi tanti dei ghetti metropolitani, vecchi con basse pensioni, ecc.), a causa della loro eteroge neità e dispersione organizzativa.
La prospettiva rivoluzionaria si riduce ai Paesi del terzo mondo, che
subiscono l'imperialismo americano.
Fra i rilievi mossi all'opera di Baran e Sweezy, alcuni hanno riguardato
l'allendibiltà delle statistiche con c ui essi suffra gano le loro lesi, ma soprattutto la consistenza della categoria di « surplu s ». Infnlli, è stato sottolineato che
tale cate goria, eludendo la distinzione Ira produzione venduta e invenduta,
occulta la natura reale della crisi dell'economia capitalistil:a: il formarsi di un
eccesso di capacità produttiva, il quale rimanda allo squilibrio strutturale tra
domanda ed offerta globali.
A << Il capitalismo monopo listico " è stata anche imputata la preferenza accordata al « su rplus » rispetto alla categoria marxiana di « plusvalore >> . I due
marxisti americani hanno di chiarato di avere evitato tale categoria, in quanto essa
ingloba soltanto profitto, interesse e rendita, trascurando altri fattori indispensabili nd una corretta lettura della dinamka economica. Un organo culturale del
PCI ha censurato il discor so di Baran e Sweezy come revisionistico, precisando
che, in Marx, il plusvalore non si riduce alle tre funzioni economiche ricordate,
ma si definisce, più profondamente, in riferimento ad un contesto di produzione
di « merci >>, il qnale si fonda sul rapporto sociale capita listico. Ignorando i
rapporti sociali di produzione, e pertanto i l concetto di sfruttamento - che si
traduce, in lin guaggio economico, n ella categoria di plusvalore - , e m evitabile che i due marxisti americani giungano a negare l'esistenza di contraddizioni insuperabili all'interno del capitalismo americano (li).
2. In questa critica a «Il capitalismo monopolistico, è adombrata
una problematica di teoria economica, che è cruciale da l punto di vista
marxista, investendo la fondatezza della nozione di sfruttamento e, di
conseguenza, dell'intero sistema teorico marxiano. Tale problematica
riguarda la teoria del v;;~lore-lavoro. Questa teoria, sviluppata da Marx
nel I libro del Capitale, dovrebbe logicamente trovare una corrispondenza nell'analisi dei prezzi delle merci, ubicata nel III . libro del Capitale (12).
Vari economisti non marxisti hanno argomentato che una spiegazione corretta della formazione dei prezzi delle merci - cioè dei rapporti
di scambio delle merci - non possa fondars i sulla teoria del valorelavoro (13). Questa opinione ha finito per trovare consenziente uno dei
( 11) Cfr. G. MORI , Un contributo alla teoria del capitale monopoltstico, In
Critica marxista, n . 6, 1967, pp. 74 ss.
( 12) Infatti, a rigor dl logica, l prezzi delle merci dovrebbero corrispondere
al valore-lavoro Incorporato nelle merci stesse. Per una analisi critica della teoria
economica dJ Marx, cfr. P. Bxco, Marxismo e Umanismo, Bomplani, Milano 1963.
( 13) J . Robinson rlleva, tra l'altro, come l fattori naturali di produzione
Influiscano sul valore di scambio, particolarmente nel caso di scarsa disponi-
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più illustri economisti comunisti, Claudio Napoleoni, il quale era rimasto persuaso dalla spiegazione dei rapporti di scambio delle merci fo rnita da Sraffa (14), traendone il convincimento che la teoria del valore
fosse inutilizzabile.
Napoleoni, muovendo da questa premessa, operò, s ulle pagine de
« La rivista trimestrale », un tentativo di riformulazione della natura
del capitalismo e del suo superamento.
Poichè l'inconsistenza della teoria del valore compromette anche
la correlazione tra produzione capitalistica e sfruttamento, la spiegazione di questo non va rintracciata all 'interno delle strutture capitalistiche, cioè nel profitto, bensì in una realtà che sopravvive dall'epoca
precapitalistica: la rendita. Questa ha acquisito una nuova funzionalità,
in quanto, come fattore di consumo improduttivo, costituisce una forma di garanzia per il profitto capitalistico. Il processo rivoluzionario
deve dunque promuovere le risorse di razionalità e di efficienza insite
nel capitalismo, mediante l'abolizione della rendita e del consumo improduttivo e una programmazione deslinata a orientare la produzione
verso forme di cons umo pubblico che si collochino in alternativa al
presente regi me di consumo privato ( 15).
Per quanto riguarda la problematica del tramonto del capitalismo,
a nche Napoleoni si dissocia dall'assioma marxiano della caduta Lendenziale del saggio di profitto, negando l'esistenza di contraddizioni oggettive che non siano resolubili all'interno delle strutture capitalistiche,
ed affidando le prospettive di s uperamento del capitalismo sostanzialmente alla sola iniziativa politica.
bllltà di detti fattori (es.: minerali preglatl) . Inoltre la Roblnson osserva che Il
problema principale relativo alla teoria del valore-lavoro. riguarda « la tendenza
del saggio d i profitto ad eguagliarsi in tutti i rami della produzione. In un sistema in cui i prezzi corrispondono ai valori il prodotto netto d i quantità uguali di
lavo,·o è venduto contro quantità uguali di moneta. Perciò (dati saggi uniformi di
sala!·i in moneta) il plusva101·e, in moneta, per tmitci di lavoro è dappertutto uguale. Dire che i prezzi relativi cm·rispondono ai valori !'elativi è lo stesso che
dire che il saggio di sfntttamento è uguale in ttttte le industrie. Ma se il capitale
per operaio (cioè la composi~ione o?·ganica d g! capitale) è dilferente nelle va1·ie
indust!'ie, mentre il profitto per operaio (cioè il saggio di sfrut tamento) è lo
stesso, il pmfitto per unità di capitale deve variare in senso inverso al capitale
per operaio» (cfr. J . RoBINSON, Marx e la scienza economica, Firenze 1951, pp. 13
s.). Pertanto, la non uniformità della composizione organica del capitale ostaco-
lerebbe la corrispondenza tra valore-lavoro e prezzo della merce.
(14) L . SRIIFFII, nel suo libro P i'Oduzioni d i merci a mezzo merci, aveva
sostenuto che 11 prezzo delle merci è, sì, riconducibile alla quantità di lavoro in
e~se Incorporato, m a aveva aggiunto che questa si determina In base al salario
corrente all'epoca In cui 11 lavoro è stato prestato, e In base al profitto relativo
al tempo trascorso tra Il momento !n cui Il lavoro è stato prestato e quello !n
cui la merce è stata venduta. Pertanto, Il fattore temporale, irriducibile al dato
della quantità di lavoro, concorrerebbe a determinare Il valore delle merci.
( 15) Negli ultlmlsslml tempi, Napoleonl ha ritrattato il discorso di La rivista trimestrale, affermando che non sussiste contraddizione tra 11 I e 11 III
libro del Capitale, polchè la tesi che « i prezzi di produzione possono determinarsi fuori dal riferimento al lavoro, implica che il lavoro sia preso rtcardianamente come determinazione tecnico-naturale, anziché marxianamente, come determinazione storico-sociale» (cfr. C. NAPOLEONI, Quale fttnzione ha avuto la
«Rivista T rimestrale »?, In Rinascita, n. 39, 6 ott. 1972, p. 32).
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3. Un economista m essosi recentemente in luce, Guido Carandini,
crede di risolvere il contrasto tra la teoria del valore-lavoro e la formazione dei prezzi, mediante la distinzione tra scambio individuale e scambio sociale delle merci. Nel primo caso, in cui il valore di scambio è
determinato dall'incontro arbitrario di offerta e domanda privata sul
mercato, la teoria del valore sarebbe inutilizzabile. Essa sarebbe invece
operante nell'ambito dello scambio sociale complessivo; il valore-lavoro è tuttavia misurabile soltanto successivamente allo scambio, a llorchè la produzione h a potuto definirsi in funzione dei bisogni collettivi
regis trati sul mercato. Carandini spiega la inestensibilità della teoria
de l valore agli scambi individuali con la struttura dell'economia capitalistica, nella quale è l'arbitrio dei privati, e non i bisogni collettivi,
a fungere da regolatore della produzione.
5) Le problematiche artistico-letterarie.
La svolta impressa al movimento comunista dagli eventi del '56
aveva contribuito a mettere in crisi una concezione statica del realismo
socialista, che tendeva a subordinare la funzionalità sociale della produzione artistico-letteraria all'adesione ad un genere artistico determinato e ad esigere possibilmente una partecipazione militante alla vita
politica da parte dell'operatore culturale.
Di fatto, il repentino <<disimpegno» di molti intellettuali vicini al
PCI, nella seconda metà degli anni 'SO, non scaturiva soltanto da un 'accresciuta difficoltà, per il PCI, di incanalare nell'alveo politico-partitico, conformemente all'insegnamento gram sciano, movimenti culturali
che, pur r iconoscendosi politicamente nel PCI, partecipavano troppo
intensa mente a sensibilità comuni a settori importanti della cultura
occidentale per essere suscettibili di un sicuro e costante inquadramento nei canoni della dottrina marxista-leninista. Infatti, il << disimpegno " si spiegava anche con l'esigenza di corrispondere alle indicazioni del nuovo contesto culturale e sociale italiano, attraverso la prob lematizzazione del << realismo " socialista.
1. Una prima r ilevazionc della nuova situazione nella cultura artistico-letteraria è rintracciabile, verso la metà degli anni 'SO, sulle pagine
della rivista <<Officina », dove si auspica un più serrato confronto della
nostra letteratura, ormai s provincializzata, con le letterature straniere,
il dialogo con le nuove discipline umane (sociologia, antropologia, linguistica, ecc.), e il superamento di un modello di poesia << tesa verso
esperienze essenziali nel dominio della parola e della vita interiore" a
favore di una nuova poesia << tesa verso esperienze essenziali nel dominio della realtà e clelia vita di relazione» . Quest'ul t ima proposta eli
<< Officina » sembrava esprimere un'esigenza di revisione del connotato
simbolico-evoca tivo, il quale pareva doversi considerare connaturale al
linguaggio poetico, anche all'interno di una concezione << realista» della
letteratura.
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2. Successivamente la presenza rilevante di caratteri totalizzanti
nell'assetto neocapitalistico - che era in larga misura all'origine delle
divaricazioni nelle interpretazioni comuniste delle nuove forme della
società borghese, registrate sia in sede di cultura fi losofica sia in sede
politica (anche all'interno dello s tesso PCI) - ha alimentato divergenze analoghe presso gli ambienti artistici e letterari vicini al partito
comunista.
Ques t e divergenze vertono sul modo di valutare lo s trumento linguistico e sui contenuti più meritevoli di essere ripresi dalla produzione artistica e letteraria. A proposito di quest'ultimo problema, secondo
uno degli orientamenti emersi in ambienti culturali della sinistra italiana, il letterato e l'artista devono concentrarsi sulla rappresentazione
del malessere psicologico dell'uomo contemporaneo nella società occidentale: malessere che viene us ualmen te riassunto nel termine di «alienazione ».
Per quanto riguarda la tematizzazione del linguaggio, si sostiene
che la rappresentazione adeguata dell'« alienazione » postula una disintegrazione del tessuto linguistico in vigore, il quale risulta depositario di un ordine che ha attributi di organicità e universalità, e correlativamente esige l'adozione di form e disarticolate, pitt idonee a riprodurre la condizione caotica dell'uomo contemporaneo.
Alla disintegrazione del linguaggio hanno •·oncorso anche lo sviluppo delle
discipline linguistiche, che hanno consentilo di verificare la fahitù delle concezio.
ni oggettivistiche d el lin guaggio, e di rilevarne la tiUa relatività a singoli gruppi
sociali, ed anche a singoli individui; si è in ta l modo indotti a ritenere che l'ope·
ra di ogni operatore artistico o letterario sia interamente spiegabile all'interno
del suo mondo di << stilemi », cioè delle unità stilistit·he che lo contraddistinguono. E' agevole riscontrare che questo tipo di valutazioni tende a negare il rap·
porto tra linguaggio e realtà oggettiva e contribuisce pertanto a complicare il
processo di aggiornam e nto del « realismo socialista » .
3. A questo orientamento si contrappone una tendenza che si ispi·
ra ad un reali smo, in diversa misura problematico, che deplora come
inficiata da decadentismo la propensione a svalutare radicalmente ogni
ordine linguistico e la latente diffidenza verso ogni realtà ogge ttiva,
che caratterizzano l'orientamento che possiamo qualificare « apocalittico », e richiama ad una maggiore consapevolezza di una realtà s torica
che è contrassegnata dal s uperamento della società capitalis tica e dall'ascesa del socialismo.
Figura, tra gli es ponenti di questa tendenza, una delle personalità
letterarie vicine al PCI più significative nell'ultimo decennio, Edoardo
Sanguineti, che ha contribuÙo in misura importante ad acclima tare
nella cultura del nostro Paese l'analisi s trutturalista delle opere letterarie affermatasi, in particolare, in Francia. Uno dei temi pitt dibattuti
da Sanguineti, è la necessità di estendere la lotta alla società borghese
dal piano specificamente ideologico al plano linguistico: il linguaggio,
infatti, non rappresenta un fenomeno neutro, bensì, in quanto include
. determinazioni storico-culturali che lo qualificano, è relativo ad una
singola struttura sociale, costituendo, dal punto di vista marxista, un
prodotto di classe, e possiede quindi un'autonoma capacità di influire
«politicamente» sui proprio destinatari. Sanguineti propone pertanto
di perseguire la demistificazione del travisamento della realtà attuato
dal linguaggio borghese, mediante uno sperimentalismo linguistico sorretto da un'intenzione critica.
E' assai sign ificativo che l'ispirazione costruttiva dell'ideologia letteraria di Sanguineti non trovi alcun riscontro nella s ua produzione
poetica: questa, infatti, predilige i temi della disgregazione sociale e
del caos esis tenzia le, cari all'orientamento «apocalittico, della cultura
comu ni s ta.
4. Un settore nel quale la presenza comunista ha assunto un particolare rilievo è il teatro. In diversi centri, e soprattutto nelle metropoli del Nord, la formula dei teatri s tabili ha consentito a registi di
talento, simpatizzanti per il PCI, di interpretare pregevolmente i repertori europei ed italiani secondo i moduli di un realismo sloricista,
e di valorizzare efficacemente la drammaturgia di Brecht.
Gli ultimi anni hanno registrato, nel PCI, lo svilu ppo di una fitta
rete di circuiti teatrali periferici, amministrati dall'A.R.C.I. (Associazione Ricreativo-Culturale Italiana), che richiamano masse ingenti di spettatori e ne promuovono la partecipazione creativa alla produzione teatrale, ponendo le premesse di una linea alternativa alla strategia perseguita da ll'industria culturale in Italia.
Il • UN TENTATIVO DI INTERPRETAZIONE
DELL'ATTUALE CONGIUNTURA CULTURALE DEL P.C.I.
l. Nicola Badaloni, noto studioso comunista d'orientamento storicista, concludeva un ampio excursus s ul marxismo degli anni '60 ( 16), individuando il problema centrale della cultura marxista nella necessità
di superare una certa polarizzazione delle analisi su due estremi: quello
della problematica politica immediata e quello della messa a punto di
categorie speculative atte ad individuare i connotati originali del marxismo. Badaloni indicava la soluzione di tale problema nella individuazione dei termini in cui, nell'attuale momento storico, si pone la fondamentale contraddizione sussistente tra capitale e forze produttive,
cioè, in altre parole, tra espansione del capitale e capacità del capitale
di creare profitto.
Trattandosi di un problema che assilla, con diverse moda lità, l'intero marxismo contemporaneo, un tentativo adeguato di spiegare le
( 16) Un bilancio critico del pensiero marxlsta negli anni '60 è stato compiuto In un convegno organizzato dall'Istituto Gramsci e svoltosl a R.oma dal
23 al 25 ottobre 1971. Le due più Importanti relazioni furono quelle di N. Badaloni e di G. Vacca. Gli atti sono raccolti nel volume Il marxismo italiano degli
anni '60 e la formazione teorico-politica delle nuove genemzioni, Ist. Gramsci Editori Riuniti, Roma 1972.
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ragioni ultime di tale ques tione postula la problematizzazione di aspetti
fondamentali della tradizione marxista.
Come abbiamo avuto modo di es porre, l'assetto economico-sociale
neocapitalistico h a provocato ripensamenti radicali delle tesi marxiane
da parte di illus tri economisti marxi st i. L'organico sforzo di a na lisi
delle strutture economiche americane, condotto da Baran e Sweezy, è
pervenuto alla conclusione che la teoria marxiana della caduta tendenziale del saggio di profitto non è più utilizzabile, e che, di ri flesso, il
tramonto del capitalismo è scaduto al livello di mera possibilità storica. Ad analoghe conclusioni è approdato Napoleoni in un recente s tudio (17).
In ques to quadro, si comprende anche l'acuirsi del dibattito sulla
fo ndatezza della teoria del valore-lavoro, che è s tata - come abbiamo
indicato - persino oggetto di una radica le messa in di scussione da
parte di alcuni economisti comunisti . E ' significativo, a ques to proposito, che il recupero de lla teoria del valore-lavoro viene pe rseguito sempre più s ul piano, per così dire, me taeconomico, mediante l'asserzione
che questa fondamentale categoria m arxiana presenta connotati che
non sono racchiud ibili nell'ambito d'elle form ulazioni J ella scienza economica come si è venuta configurando a tutt'oggi (sia a ll 'Ovest che
all'Est), in quanto in cludono specificazioni di natura s torico-socia le, attin enti ai rapporti di produzione capitalistici. La stessa teoria della caduta tendenziale del saggio di profi tto, nello scritto di due tra le maggiori personalità culturali comuniste ( 18), viene destituita di fondamento oggettivo, in quanto la sua formu lazione risentirebbe l' influsso del
modo tipicamen te capitalistico di interpretare i problemi economicosociali.
Svalutazione e relativizzazione delle basilari categorie marxiane
sembrano gius ti ficare l'impressione che il marxismo si vada configurando sempre meno come << teoria critica dell'economia politica >> e sempre più come scienza degli antagonismi sociali.
2. Questa nuova prospettiva del marxismo pare favorita In qualche
misura da due fenomeni storici dell'ultimo decennio: i fermenti sociali
nelle società capitalistiche e il travaglio del comunismo 'internazionale
(dissidio russo-cinese, gravi ritardi nello sviluppo della << democra zia socialista >> ).
Abbiamo in precedenza rilevato l'incompatibilità de lle filosofie che
danno una interpretazione totali zzante del << neocapitalis mo >>, con l'essenza della dottrina marxista-leninista. Giova sottolineare che nelle tematiche della << contestazione >> il capitalismo si caratterizza sostanzialmente nella sua dimensione sociologico·antmpologlca di eserc izio dis potico dd potere, mentre il vincolo di dipendenza causa le tra questa
(17) Cfr. L . COLLETTI- C. NAPOLEONI, Il futuro del capitalismo : crollo o sviiuppo?, Bari 1970, pp. XL e LXX.
(18 ) Cfr. i bidem, pp. CIV s.
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manifestazione del capitalismo e la contraddizione rilevata da Marx
tra l'espansione del capitale e la sua capacità di erogare profitto (contradizione nella quale si esprime l'antagonismo fondamentale tra forze produttive e rapporti di produzione) non soltanto non è mai stato
seriamente tematizzato, ma non è neppure stato avvertito come importante problema teorico.
Per quanto riguarda il rapporto tra teoria economica di Marx e tematica della società di transizione, è opportuno rilevare come la p ercezione delle forme anche radicali di contraddizione interne al mondo
comunista contribuisca indirettamente ad incrinare in qualche misura
la « tenuta » delle fondamentali categorie economiche marxiane. Infatti, l'apparente incongruenza tra il riconoscime nto - compiuto da alcuni studiosi - di contraddizioni antagonis tiche, omogenee a quelle
della società borghese, nei n:gimi socialisti, e l'ovvia circos tanza che a
tali rapporti antagonistici risulta estranea la qualificazione essenziale
delle contraddizioni tipiche della stessa società borghese (cioè la contraddizione capitale-lavoro, che porta ineluttabilmente al rovesciamento dei rapporti di classe) viene risolta qualora si convenga che la
dimensione strutturale della società sia da identificarsi nella sfera propriamente sociale, anzichè nella sfera economica.
L'oscuramento della centralità delle contraddizioni economiche risulta evidente nella posizione di chi sos tiene la necessità di superare
il modello vigente del cosiddetto « socialismo di Stato "• in direzione
di un modello che favorisca un pluralismo istituzionale e garantisca i
diritti di libertà ( 19). La necessità di tale supera mento, infatti, viene
fondata sull 'accresciuta domanda delle libertà personali e di una flessibili tà istituzionale, domanda provocata n elle società socialiste specificamente dal progresso tecnico-scientifico.
3. La dislocazione in atto del ce ntro di gravità del marxismo dalla
sfera economica a quella propriamente sociale, sp iega forse la difficoltà provata dai marxisti nell'individuare con sicurezza le contraddizioni del neocapitalismo. Questa difficoltà risulta accentuata da due
fenomeni fra loro correlati.
Innanzi tutto, il compimento, da parte della cultura marxis ta, della dislocazione alla sfera sociale presuppone una circostanza che appare lontana dal realizzarsi: l'acquisizione, da parte delle discipline
sociali (sociologia, antropologia, psicologia sociale, ecc.), dello stesso
grado eli maturità, sotto il profilo scientifico, che l'economia politica
ha conseguito da tempo.
Inoltre, la società occidentale non sembra attualmente suscettibile
di una interpretazione univoca, la quale privilegi drasticamente la sfera economica, o, alternativamente, sostenga la centralità della sfera
sociale. I nfatti, da un lato, il persiste nte rilievo primario del fattore
economico sembra attestato da una serie di situazioni (formazione di
( 19) Cfr. L.
LoMBARDO RADICE,
Gli
accusati, Bari 1972, pp. 371-375.
-758-
Dicembre 1972
721.
P. C. l.
20
imprese multinazionali, contraddizione tra espansione dei consumi privati e carenza di consumi pubblici, dislivelli di sviluppo tra Paesi economicamente progrediti e Paesi del terzo mondo, ecc.); dall'altro, i
problemi propriamente sociali non hanno ancora acquisito quel rilievo
centrale e predominante, al quale sembrano des tinati in un assetto
contrassegnato da un alto sviluppo tecnologico, entro il quale l'accumulazione intensiva delle conoscenze, la stabilizzazione del potere di
ceti tecnici (il cui «ruolo» è assai distante da quello del capitalis ta
ottocentesco, e anche da quello del dirigente amministrativo emerso
con le prime forme di C<lpitalismo monopolistico) e il conseguente dilatarsi dei possibili condizionamenti sociali sul cittadino, sposteranno
definitivamente l'area di esercizio degli antagonismi fondamentali che sono connaturali alla società liberal-capitalistica - dalla sfera economica a q uella sociale.
111 - IL PUNTO SUl RAPPORTI
TRA CATTOLICI E COMUNISTI IN ITALIA
In sede di bilancio conclusivo delle nos tre analisi sulle esperienze
politiche e culturali del PCI (20), riteniamo di poter esprimere alcune
considerazioni sul problema del rapporto tra ca ttolici e comunisti
in Italia, e, pertanto, sui rapporti tra DC e PCI, che rappresentano politicamente - in misura preponderante, nel primo caso, e in misura
pressocchè totale, nel secondo - quelle forze sòciali.
L'approccio di parte cattolica al tema dei rapporti con il PCI varia
da u n atteggiamento aperturista d'indole pragmatis tica - che vede
un Gr amsci travestito da populista e concepisce lo storicismo del PCI
come un fattore di dissoluzione dei tra tti pitt originali del marxismo -,
ad un aperturismo ancorato a più solide basi teoriche, e, infine, al «veto
storico» fondato sulla identificazione del comunismo con la negazione
dei diritti di libertà e del metodo democratico.
A proposito di quest'ultimo orientamento, riteniamo doveroso osservare che la medesima coerenza che impone di trarre tutte le implicazioni dalla compressione dei diritti civili e polilici nei regimi comunisti, deve mantenersi operante, pur con diversa accentuazione dei termini e in d iversa prospettiva, anche nei confronti dei problemi di
libertà e di promozione umana posti dalla società liberai-capitalistica.
E' noto che la DC, alle origini, si è ispirata al p ensiero sociale cristiano più robust o del Novecento, a quello cioè di Maritain e, meno direttamente, a quello di Mounier. Ques ti due grandi pensatori concordavano nel ritenere che la società liberai-capitalistica sorta nell'era moderna, pur presentando manifestazioni positive (ispirazione critica della
cultura fi losofica, affermazione dei di ritti di libertà, svilu ppo ·scienti(20) Oltre alla prima p arte di questo studio (cfr. nota 1), si veda I. Vt..cL 'esperien za politica del Partito Comunista Italiano , in Aggiornamenti
Sociali, (giugno) 1972, pp. 395 ss., e (luglio-agosto) 1972, pp. 489 ss., rubr. 721.
CARINI,
-759-
fico), si colloca in radicale antitesi, nei valori che ne sostanziano il
nucleo (il razionalismo astratto sul piano filosofico, e, ad esso correlato, l'individualismo egoistico sul piano etico-sociale), con la concezione cristiana della società. L'assimilazione di questi esiti della cultura cattolica più consistente ha ispirato l'azione dei cattolici nella Resistenza e nella fase di elaborazione della Costituzione.
L'ultimo periodo storico, che ha regi-strato il crescente d islivello
di sviluppo tra Paesi industrializzati e Terzo Mondo e l'emergere di
una rinnovata protesta nei confronti della società liberai-capitalistica
(protesta la cui radicaltà ha, peraltro, manifestato i propri limiti culturali), ha confermato l'attualità del moderno pensiero sociale cattolico culturalmente più attrezzato.
Se si accettano queste valutazioni e si concorda s ul fatto che il
progetto di edificare in Italia uno Stato genuinamente « democratico e
sociale » prescindendo sostanzialmente dal PCI rischia di essere velleitario, si può stabilire che una preclusione sistematica nei confronti del
PCI stesso si legittima soltanto nell'ipotesi che questo partito, pur avendo largamente « sdogmatizzato », a livello teorico, la dottrina marxistaIeninista - come ci sembra di aver adeguatamen te documen tato -,
rimanga, nei fatti, ancorato a una interpretazione rigida e non storicizzata della sua tradizione culturale.
In ques t'ordine di idee e nei limiti che abbiamo ora precisa ti, ci
sembra auspicabile che si consolidi e si amplii il processo, già avviato,
di confronto tra cattolici e marxisti e di verifica costruttiva delle reciproche posizioni: e ciò, anche per allontanare il pericolo che un eventuale accesso del partito comunista all'area di governo nel nostro Paese si riduca a una semplice operazione trasformistica di vertice.
ltalo Vaccarlni
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