Dicembre 1972 721. P.C.I. 10 L'ESPERIENZA CULTURALE DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO l - GLI ANNI '60: LOGORIO DEL GRAMSCIANESIMO E RICERCA DI NUOVI SIGNIFICATI DEL MARXISMO (*) 1) l nuovi orizzonti culturali del P.C.I. e la problematizzazione delio storicismo gramsciano. Gli anni da l 1956 ad oggi sono stati d ensi di avvenimenti ricchi di implicazioni teoriche, oltrechè politiche, per il comunismo internazionale; avvenimenti che, in particolare, hanno chiamato in causa l'indirizzo cu lturale dominante nel PCI: lo storicismo gram sciano. Infatti, la crisi manifestatas i all'interno de i Paesi comunisti, ma, soprattutto, lo stabilizzarsi dell'antagonismo cino-sovietico, hanno smentito la tesi della irriproducibllità, all 'interno del movimento comu• nista, delle stesse forme più radicali di contraddizione sociale che car atterizzano l'assetto delle società borghesi. Nel contempo, le s tr utture neocapitalistiche rivelavano una capacità di contenere a tempo indeterminato molte delle proprie contraddizioni: in questa luce era probabilmente interprctabile la svolta poli tica e sociale dell'Italia nei primi anni '60, che aveva registrato la rottura dell'unità delle sinistre, una parte delle quali (q uella che si riconosceva nel PSI) era stata coinvolta nel di segno "interclassistico" del centro-sinistra. I connotati del neocapitalismo mettevano così seriamente in discussione l'assioma di una sostanziale fragilità del tessuto economico-sociale borghese, che aveva ispirato le prognosi di crisi catas trofiche d el capitalismo, ricorrent i nella pubblicistica economica e polit ica dei part iti comunisti s ino agli anni ·so. Tanto la profondità delle contraddizioni affioranti nei Paesi comun isti, quanto le risorse di tenuta d e l capita lismo, avevano compromesso un aspetto fondamentale dell'ispirazione storicislica gramsciana, cioè la tendenza ad assorbire la problematica storica all'in terno di un modello teor ico interamente definito in via di principio. Tale atteggiam ento era riconnesso, in Gramsci, al s ignificato rivesti to dalla Rivoluzione d'ottobre , in quanto il "salto di qua lità" da essa rappresentato avrebbe reso ormai su perfluo ogni interrogativo teorico che investisse ( • ) La prima parte di questo studio è s t ata p ubblica ta In Aggiornamenti Socia li, (novembre) 1972, pp. 645 ~s., rubr. 721. -739- gli assiomi-base del marxis mo. L'attualità di questi interrogativi, ripropos ta dagli eventi di ques t'ultimo periodo s torico, si è tradotta in un ritorno alle «fonti»: la dottrina di Marx, naturalmente, m a anche il pensiero di Lenin, di cui si sono andate sottolineando doti di concretezza e di creatività nell'interpretazione e nell'applicazione della dottrina del fondatore del socialismo, che contras terebbero sovente con gli irrigidimenti meccani cis tici, tipici della complessiva tradizione del marxismo secondinternazionalista. Ques to ritorno a i classici del marxismo, non tendeva p erò a valorizzar e le prese di posizione su singoli temi che interessano l'analisi marxis ta (una simile propensione avrebbe anzi costitui to un a rretramento rispetto allo storicismo gramsciano). Si trattava, invece, di rintracciare l'effettiva discriminante del marxismo rispetto al pensiero borghese: si s piega così l'attenzione preminen te, riservata dal nuovo orientamento marxista a quelle parti dell'opera di Marx in cui egli e nucleava il metodo della sua teoria economica, mediante l'articolazione di categorie ad un tempo economiche e sociologiche, come il lavoro e la merce. L'identificazione del << proprium , del pensie ro marxiano, in quanto implicava un vaglio delle esperienze filosofiche che lo avevano influenzato, postulava necessariamente la riproblematizzazione del rapporto Hegei-Marx. Negli anni '60, la messa a punto di una definizione, il più possibile comprensiva, dei nuovi orien tamenti teorici emersi nel comunismo italiano, appariva ancor pitt impellente, a causa dell'affermarsi di forme di marxismo eterodosso (l'espress ione più cospicua delle quali è costituita dalla <<Scuola di Francoforte»), le cui istanze hanno attecchito p rofonda mente nella sinistra italiana, e hanno largamente ispirato la <<contestazione s tudentesca, del '68-'69. In effetlo, però, va sottolineato che i fenomeni sociali degli ul timi anni, se da un Jato hanno agito come r ilevanti fattori di fe rmento e an che di divisione, sotto il profilo culturale, per il PCI (lo attestano sia l'espulsione degli esponen ti de l << Manifesto », sia il confluire di un certo numero di intellettuali, peraltro non di primissimo piano, nelle file delle forma zioni marxiste alla sinistra del PCI ), dall 'altro, r iproponendo l'attualità della dimensione confli ttuale nella società, hanno accresciuto l'importanza del PCI sotto il profilo politico. Rileviamo come sia corretto parlare di logorio, e non di crisi, dello s toricismo gramsciano. Infatti, mentre il neomarxismo eterodosso rivelava la s ua impotenza, in particolare s ul terreno pratico, dove non era stato in grado di animare durevolmente un movimento di massa, il neomarxismo che potremmo denominare << metodologico >> non è ancora pervenuto a sviluppare sintesi organiche ed esaurienti del fenome no neocapitalis tico nelle società occidentali, in particolare in Italia. Tali vedute sintetiche dell'assetto sociale sembrano, d'altra parte , imposte anche dalla necessi tà di superare, in qualche misura, le divisioni e le lacerazioni che permangono, in tema di s trategia politica, s ui diversi versanti del marxismo italiano, e anche a ll'interno del PCI. - 740 - --- --------------------~------------------------- - ------ 721. Dicembre 1972 P. C. l. 11 I limiti degli indirizzi marxisti affermatisi negli anni '60, nonchè un contes to della società e della cultura che, per la complessità di articolazioni e per il dinamismo crescente, rende oggi più ardua che in passato la comprensione sintetica del reale, hanno così concorso a garantire una collocazione prioritaria, anche se non più predominante, del pensiero gramsciano nell 'ambito dell'<< alta cultura » comunista. Ricordia mo, tra l'altro, che la dottrina di Gramsci risulta congenia le alla linea politica perseguita dall'attuale dirigenza del PCI. 2) Il neomarxlsmo metodologico: Della Volpe, Luporlnl, Colletti, Vacca. a) Galvano Della Volpe. Abbiamo anticipato, nella pa rte precedente del nostro studio (1), il rilievo attribuito da Della Volpe a lla critica marxiana dell'aprioris mo idealis tico di Hegel, che si manifesta principalmente nel mi sconoscimento della autonomia e della priorità dei rapporti sociali, declassati a m ere es pressioni della dinamica interna dell'idea (che, com'è noto, costituisce, secondo Hegel, la vera r ealtà). All'assorbimento del dato empirico nella dimensione speculativa a stratta corrisponde altresì, conform emente alla struttura monis tica e d idealistica dello hegelismo, una assunzione, sempre in base a criteri astrattamente speculativi, del dato empirico da parte dell'idea. Fin qui la << pars destruens » del marxismo di Della Volpe, il quale, aggiornando le elaborazioni degli anni '40, in << Logica come scienza positiva ,, (1950) perviene alla formulazione centrale della propria epistemologia, la teoria dell'<< astrazione determinata>>, muovendo dalla enunciazione di una teoria materialistica del giudizio comune. Ques ta teoria qualifica essenzialmente la struttura del concetto e del giudizio come << dialettismo diadico >>, cioè come compenetrazione dell 'ele mento razionale, che è unitario e dialettico, con l'elemento materiale, che è molteplice e singolare. Inoltre, la teoria del giudizio comune considera la dialettica come fun zione conoscitiva individuante la peculiarità singolare del dato empirico. Sulla teor ia del giudizio comune si modella la teoria materialis tica del giudizio scientifico, che Della Vo lpe eleva al ra ngo di metodologia univer sale per le scien ze naturali ed umane. Quest 'ultima teoria s'impernia sulla categoria di «astrazione determinata >>, che Della Volpe vede applicata per la prima volta, in sede di scienza economica , da Marx, il quale mostra piena consapevolezza della sua scoperta nella << Introduzione a " Per la critica dell 'economia politica"» del 1857. In questo scritto, Marx vaglia l' utilizznbilità, ai fini esplicativi della realtà economica, della categoria d el lavoro astrattamente considerato, che la « scuola classica >> dell'economia (Smitb, Ricardo, ecc.) aveva posto a fondamento del (l) Cfr. I. VACCARINI, L'esperienza cultm·ale d el Partito Comunista Italia- no (1), In Aggiornamenti Sociali, (novembre) 1972, pp. 661 ss., r ubr. 72 1. - 741- proprio sistema teorico. In realtà, il concetto di lavoro può scaturire da due di. ~tinti processi astrattivi. In un pt·imo caso, i l lavoro rappresenta la sempli<·e al· tivitù produttiva: tale concetto di lavoro è applicabile a tulle le et•odte della umanità. Nel secondo caso, il lavoro astratto denota invece un'indifferenza ad un lavoro determinato, e «corrisponde od IITUI forma tli societiÌ in c11i gli indi· vitl11i pnssnn o con facilità da un lavoro nel 11.11 altro e in cui il genere detenni. rwto del la voro è per essi fortuito e f/IIÌIItli indifferente" (2). In quest'ultimo caso, il concetto di lavoro è applica bi le ~o hanto ad una singola fa se storica, quella contrassegnata da rapporti di produzione c·apitalistici. Ucl la Volpe rileva come il primo com·etto tli la voro scaturisca da un'astra· zione indeterminata, e pertanto scientifi.:am enle infeconda, mentre il secondo t•oJH:etto di lavoro è frullo di un'astrazione determinata, in quanto include Ja valutazione di un dato empirico pe<·uliare al momento storit•o nel quale opera il procedimento astrattivo. L'errore metodologico della «scuola cla ssit·a " è cOri· sistito dunque nell'aver post o a fondamento rlcl pro prio sistema teoriro H con· celio di lavoro intiiJlerminato, m e:1tre Marx, in quanto ha valorizzato un con· cetto determinrt/o e storico d i favore. l1a potuto sviluppa re quell'analisi crono· mi co-sociale che, attrave•·so con•· ellu~li zzazioni successive (denaro, merce, va lo· re d'uso, valor e di scamhio, ··~pi t~ le, ecc.), perseguite nel costante Jnp lit·e riferimento all'istanza razionale e all'istanza empirica, è approdata a ll' individuazione rlella produzione n tpitalistica come fattore basilare dell'economia c quindi de lla sodetà t·ontemporanea. L'articolazione principale della proposta gnoseologica dellavo lpiana è il cosiddetto circolo « concreto-astratto-concreto "• ch e muove dalla r ilevazione dell'esperienza fatluale ( = concreto), p erv iene a lla formulazione di concetti comprensivi delle dete rminazioni p eculiari della realtà a lla quale si riferiscono ( = astratto), c, infine, attribu isce a tali concetti caratte re normativo in sede pt·atico-storica ( = concreto). Il movente della prassi risiede, com'è ovvio, nella rilevazione della fondamentale contraddizione sociale c he dist ingue la società capitalis tica. In effetto, però, tale contraddizione, secondo Della Volpe, su ssiste priorilariamente a livello epistemologico, come contraddizione interna ad un'as trazione determinala: la produttività capi ta listica del lavoro. Que· s to concetto, infatti, nella misura in cui è es tensibile a precedenti epo· che storiche, s i colloca in un rapporto di continuità rispetto al conce!· to generico di produttività del lavoro; invece, nella misura in cui esso è applicabile al solo contesto storico contemporaneo - il quale è caratterizzato da lla contraddizione capitale-lavoro -. conosce una contradd izione interna che opera una rottura della continuità precedente· mente considerata. In conclu sione, osser viamo che le e laborazion i gnoseologiche di Della Volpe hanno incontrato grande fortuna nel marxi smo non soltanto itali ano; i limiti del suo pensiero sono generalmente stati rilevati ne lla pretesa universalistica di una metodologia che pl"ivilegia il dato intellettivo inerente a l contesto discorsivo-scientifico e sembra per con- (2) Cfr. K. MARX, Introctttzione [del 18571 a « Per la critica dell·economi,, politica », In K. MARX, Per la criUca dell'economia politica, Editori Riuniti. Roma 1969. p. 192. -742- - ~- ------- Dicembre 1972 721. P. C. l. 12 verso neutralizzare le potenzialità di autonomo dinamismo dell'espe· rienza storica. Beninteso, la coerenza marxis ta della dottrina dellavol· piana non è, astrattamente, meno solida di quella che caratterizza altre espressioni del marxismo italiano. Tuttavia, i rischi di deviazione scientistica insiti nell'epis temologia di Della Volpe, si sono palesati n el· le sue prese di posizione circa tematiche fondamentali del marxismo, come il rapporto democrazia-socialismo: s u questo tema, Della Volpe perviene a forme di assolutizzazione di categorie individualistiche (3) tipiche di quella filosofia « cristiano-borghese "• alla cui demistificazione aveva dedicato i suoi sforzi maggiori. b) Cesare Luporini. l. Luporini contrappone a lla metodologia dellavolpiana dell'astrazione de terminata, una metodologia che recupera il valore dell'astrazione non determinata. In effetto, la « teoria del giudizio scientifico », se ha rappresentato un 'interessante formula di individuazione dell'originalità dell'approccio marxiano alla r ealtà storica, non ha titoli sufficienti per aspirare ad un riconoscimen to in sede di metodologia delle scienze. Sotto tale profilo, infatti, la distinzione tra astrazione indeterminata e determinata, quale si evince dalle elaborazioni di Della Volpe, appare di scarsa o nessuna funzionalità. Luporini persegue invece la valorizzazione dell'as trazione « pura "• mediante la ricezione di quel metodo strutturalista che, applicato alla linguistica, aveva consentito di elevare questa disciplina al rango di scienza esatta: prerogativa che, nell'ambito delle discipline sociali, era stata, in precedenza, appannaggio della sola economia politica. Secondo Luporini, il significato dell'opera di Marx non consis te nella scoperta di « leggi, che governano la storia, bensì nella elaborazione di un modello sistematico esplicativo dell'assetto economico-sociale a lui contemporaneo: modello la cui credibilità scientifica è garantita dalla ricorrenza di tutti i requisiti richiesti dalle acquisizioni strutturaliste, fra i quali la presenza dominante di un tipo di produzione quella capitalistica - che conferisce significato a tutte le articolazioni del modello. L'itinerario gnoseologico di Luporini si s noda, all'opposto di quello di Della Volpe, nel circolo "astratto-concreto-astratto"· Infatti, viene sottolineato come l'analisi marxiana abbia preso le mosse non da un presunto dato empirico, bensì dal modello generale dell'economia mercantile, il quale ha agito da indispensabile quadro di riferimento rispet(3) A proposito del tema della democrazia, nel rapporti con il socialismo, Della Volpe riteneva che l a democrazia - nella sua formu lazione roussovlana era destinata a caratterizzare una società post-borghese nella quale « il criterio dei diritti del Lavoro contrasti dinamicamente - tramite riforme di struttur a come criterio delL'ordine sociale, il criterio del di1·itto della proprietà, e venga così 1'istorato quel princi pio dei meriti personali, e quindi del valore anche creativo della persona umana in genere, su cui si edificò la società botghese ma 1iducendolo storicamente a privilegio d·i una cLasse, ai meriti-diritti d ei posstdentes » (G. DELLA VOLPE, Logica come scienza storica, Roma 1969, p . 285). -743- to alla raccolta di una ingente messe di dati - cui aveva atteso Marx in particolare nel corso del suo soggiorno in Inghilterra -: questa attività d'ordine e mpirico-sperimentale, ch e costituisce il momento concr eto, è sfociata nel disegno sis tematico dell'assetto - o «formazione sociale, - capitalistico. Risulta evidente, da queste osservazioni, il connotato antistoricistico del discorso fi losofico di Luporini, secondo il quale gli accadimenti s toric i - che costituiscono il mom ento «storico-genetico, - non presentano carattere di necessità, configurandosi come variabili, sia pure entro limiti dati. Insomma, la t ransizione da una « formazione sociale>> a quella successiva non è predeterminata (in ossequio ad una concezione deterministica del processo storico) , ma neppure arbitraria, dipendendo essa dall'attuazione di alcune delle possibilità racchiuse nella «formazione sociale, comparsa in precedenza. Di conseguenza, il modello strutturale delle form azioni sociali - in particolare, sia di quella capitalistica sia di quella socialista - risulta cosi disponibile in direzioni diverse da quelle storicamente verificates i. La di sponibilità di tale mode llo è confermata dalla concezione Juporiniana della dialettica materialistica. Questa, considerata nella qualificazione di azione reciproca, prevede come naturale la possibilità dell'ineguale sviluppo della produzione economica (la struttura) r ispetto alle a ltre attività che formano la sovrastruttura. Inoltre, va considerata inammissibile la pretesa di una soluzione necessariamente univoca per tutti i piani della ~ovrast ru ttura. 2. I n sede di va lutazione del pensiero di Luporini - il quale si è distinto più di altri pen satori marxisti nel dialogo con il cattolicesimo e con le correnti dottr inali più moderne ( neopositivismo, s trutturalismo) -, n e rileviamo lo sforzo di disincagliare il marxismo da una non facile alternativa, che gravava particolarmente in ambienti comunis ti sensibili alle indicazioni della più aggiornata cultura non marxista. Tale a lternativa si confi gura da un Jato come una valorizzazione in un certo modo apriorist ica del dato s torico (sconfessata dal dissidio in corso tra le due massime potenze socialiste, ciascuna delle quali rivendica nei confronti dell'altra l'ortodossia marxista della propria esperienza storica, senza avvedersi del suo spessore di variabile s torica). L'altro es tremo di questa a lternativa è dato dal ricorso prioritario a categorie (come la «totalità », o la " dialettica, intesa forma lmente nella s ua versione hegeliana) tipiche soprattutto de l marxismo degli ann i '20, che possono apparire, nel contesto di una cultura nutrita di indicazioni provenienti dal mondo scien tifico, un 'ingombrante sop ravvivenza idealistica. Va tuttavia osservato come Luporini, professando un orientamento che riconosce largo spazio al metodo s t r utturalista, non si sottrae alla critica rivolta generalmen te a questo m etodo, di privilegiare cioè eccessivamente la dimensione sincronica rispetto a quella diacronica (4). (4) I termini « slncronla • e « diacronia » sono largamente utilizzati n ella linguistica e nelle altre discipline strutturaliste. La dimensione slncronlca -744- 721. Dicembre 1972 P. C. l. 13 E' dato infatti di riscontrare una tensione, nel marxis mo di Luporini, tra la categoria del modello sistematico-astratto della formazione sociale capitalistica e la necessità storico-oggettiva del superamento del capitalismo nel socialismo. Infatti si evince dal discorso di Luporini che la possibilità di elaborare un modello compiuto di formazione sociale risulta necessariamente differito al momento in cui questa rivela tutte le sue caratteristiche essenziali. Ne conseguirebbe che le fasi storiche di transizione non sarebbero suscettibili di conoscenza scientifica, con implicazioni d'ordine pratico che sono evidentemente inaccettabili dal punto di vista marxista. Il recupero del momento diacronico, relativo alla transizione dal capi talismo al socialismo, avviene pertanto, nel pensiero del Luporini, in via indiretta; la validità scientifica del modello teorico capitalistico, infatti, comprende tutti i momenti costitutivi di questo modello, incluso il necessario rovesciamento dei rapporti di classe che lo caratterizzano. c) Lucio Colletti. l. La critica di Della Volpe all'apriorismo di Hegel, in quanto denuncia del suo procedimento speculativo, coinvolge implicitamente la dialetti.ca, che è la legge basilare del dinamismo interno dell'idea. La radicale messa in discussione della dialettica finisce per investire un luogo comune della tradizione marxista: .il presunto rovescia mento materialistico della dialettica hegeliana. Colletti ha tematizzato questi nodi della speculazione marxista pervenendo a soluzioni rilevanti, che reclamano una breve illustrazione del suo pensiero, in particolare della sua ricostruzione dell'itinerario hegeliano. Il quadro di riferimento speculativo è cost1tmto, in Hegel, da coppie di termini ( finito·infinito, essere-pensiero, ecc.) in scritti in un ambito idealistico e monistico. Una corretta utilizzazione di questi termini a fini teoretici, è riconosciuta incompatibile c· o n una univoca collocazione di essi setondo un ordine causale: infatti, la sequenza finito-infinito comporterebbe l'incongruenza di considerare l'infinito come causato dal finito, mentre la sequenza infinito-finito si ri solve· rebbe in una fidei stica petizione di principio dell'infinito. Hegel rirorre pertan. lo alla di stinzione tra livello apparente e livello reale del propro itinerario spe· culativo. Al livello apparente si situa la sequenza finito-infinito, e al livello reale quella infinito-finito, nel quale l'infinito si « nega » ponendosi come finito: la reale natura del finito, dunr1ue, è l'idea, mentre la sua dimensione specifica - quella empirica - è mera parvenza. Il finito si presenta duntJue, a livello reale, come « negazione » dell'infinito, mentre opera, a livello apparente, come << affermazione >> della propria dimensione specifica : que lla empirica. Orbene, il momento, successivo a quelli ora considerati, della « negazione della negazione », che registra la simultaneità di « affermazione » e « negazio· gli elementi di un modello s istem atico, e le relative lnterazloni, !n condizioni d! simultaneità. La dimensione diacronica considera le varlazlonl, nel tempo, di tale modello, che sono provocate d a elementi estranei, non facenti parte, a loro volta, d! un altro modello sistematico. con~idera -745- ne >>, è erroneamente indicato da Hegel come manifestazione del p r esunto principio l ogico di contraddizione, in quanto l'« affermazione» c la <<negazione» si presentano in questo caso ai d ue diversi livelli : I'« affermazione» del finito come infinito, al livello reale, e la « negazione » del finito come dimensione empirica, al livello apparente. Cade così il fondamento del principio di contraddizi one (5) e, con esso, la sostanza lo gica del principio della dialettica, come è stata intesa da Hegel. Cade anche la distinzione tra funzioni dell' << intelletto », idonee a compre ndere il finito nella sua dimensione particolare, e presiedute dal principio di non contraddizione, e funzioni della «ragione», idonee a comprendere l'infinito, e p r esiedute dal principio di contraddizione. 2. Le implicazioni che Colletti trae da lla s ua interpretazione dello hegelismo sono di vasta portata. Innanzitutto, il metodo dialettico, in quanto manifes tazione coerente di una filosofia, come quella di Hegel, che svalu ta la dimensione s torico-naturale a un particolarismo empirico privo di significato autonomo, si presenta incompatibile con l'approccio materialistico alla realtà che ispira il marxismo. Ma Colletti compie un passo u lteriore nella demistificazione della dia let tica, in quanto, insistendo sul carattere fantastico del principio di contraddizione enunciato da Hegel, finisce per negare la stessa possibilità astratta di una conversione materialis tica del metodo dialettico. Colletti rileva come la consacrazione della dialettica materialistica sia stata un fattore d i distorsione e di evasione idealistica nei due grandi filoni del marxismo: da un lato, il marxismo della Seconda Internazionale ha risentito for temente l'influsso della concezione engelsia na della dialettica, prolungatasi poi nel materialismo dialettico professato dal marxismo sovietico; dall 'altro la to, il metodo dialetti co ha perm eato molte delle più rilevanti espressioni del marxismo occidentale, da Luk<ics a Sartre e a Goldmann. Dalla valorizzazione engelsiana della dialettica, non sarebbero scaturite soltanto le grossolanità di una "dialettica della natura » sovrapposta a i metodi propri de lle scienze na turali. Engels infatti, considerando l'inte lle tto (inteso hegelianamente come la funzione discorsiva presieduta dal pr incipio di non contraddizione) quale fonte di conoscenza << m etafisica », e propugnando il superamento dei s uoi limiti ad opera di una presunta << ragione diale ttica», avrebbe introdotto nel marxismo fattori di apriorismo idealis tico. Tale aprior ismo avrebbe so rtito l'effetto d i subordinare la com prensione delle contraddizioni reali alla loro formulabilità come contraddizioni di tipo ideale. Riflessi ancor più fuorvian ti sa rebbero sca turiti dalla valorizzazlone lukacsiana della dialettica. Il filosofo ungherese avrebbe mutuato una tesi di fondo della componente irraziona listica de lle fi losofie borghesi del primo Novecento. (5) Il principio di contradd izione consisterebbe nell'affermaz ione e n egazione di una medesima r ealtà, nello stesso tempo e nello stesso senso. Collett i rileva come In Hegel - che « nega h Il f init o nella sua qualità di parvenza empirica, e lo «afferma » nella sua qualità di sostanza Ideale - non si registri Il superamento del principio aristotelico di non contraddizione. Cfr. L. CoLLETTI, Il marxismo e Hegel, Bari 1969. p . 19. -746- ·------- Dicembre 1972 721. P. C. l. 14 Come abbiamo avuto modo di constatare, in quest'ultimo contesto filo sofico operava un'incrinatura dei momenti che si tro;·avan o organicam ente congiunti nello storicism o ottocentesco: l'essere, inteso come esistenza, empiria, e il dover essere, inteso come idea, pensiero. Una de lle manifestazioni più significative di tale incrinatura è o ggetto d'attenzione da parte di Colletti: una svalutazione del potere conoscitivo de ll'intelletto - inteso n el sen so più volte ricordato - ancora più accentuata di quella che caratteri zzava l'idealismo otto· centesco. Infatti, se, come sostiene in particolare Bergson, la realtà consiste essenz ialmente in un divenire fluido, si deve ritenere che la conoscenza fornita dall'intelletto, in quanto immobilizza la realtà in forme analitiche ed astratte, de,-e qualificarsi piuttosto come sostanzialmente fitti zia ed illusoria che soltanto come unilaterale. Secondo Colletti, queste indicazioni irrazionalistiche avrebbero ispirato una fondamentale categoria di Luk:ks : la << reificazione, (6). Ques ta, in effetto, a nnette carattere alienante all'aggettivazione operata dalla scienza, e pertanto, in ultima analisi, alla s tessa conoscenza intellettiva . Tale formida bile equivocazione dell'alienazione marxlana, commessa da Lukacs, avrebbe influenza to, secondo Colletti, alcune manifestazioni fondamen tali della filosofia borghese, come << Essere c tempo » di Heidegger, e sarebbe s tata all'origine del cla moroso irrazionalismo che grava sul pensiero dei maestri della Scuola di Francoforte. Colletti individua l'originalità qualitativa del metodo e dell'opera m arxiana nel superamento del vizio speculativo della cui tura « cristiano-borghese»: vizio che con siste nel dissolvimento della concretezza del r eale nell'ipos tatizzazione astratta. In virtù di questo suo criticismo, Marx è approdato al ri conoscimento della categoria di «rapporti sociali di produzione "• che anima tutta la sua costruzione teorica. La società consumista dell'Occidente consente a Colletti un approfondimento del concetto di lavoro as tratto (che è l'e lemento costitutivo della teoria m arxiana del valore-lavoro) (7). Poichè tale astrazione comporta l'abolizione della caratteristica del prodotto de l lavoro, cioè la sua oggettività naturale e sensibile, l'oggettività si trasferisce sul lavoro umano, che viene avulso da lla soggettività del lavoratore e considera to una proprietà della m erce. Teoria del valore-lavoro e teoria del feticismo della merce (8) finiscono dunque per coincidere. (6) Lukacs, nell'Introduzione ad una recente edizione ltallana di Storia e coscienza dt classe (Mllano 1967, p. XXV), ha amm esso l'err ore che ha contraddistinto la sua opera principale, consistente nell'aver posto Il concetto di alienazione n el s ignificato attribuitogli da Hegel (Il q uale ldentlftca l'allenazlone con l'estraneità dell'essere, cioè dell'oggetto, rispetto al pensiero) sullo stesso plano del concetto d! alienazione nel significato m arxlano d! estraneità al lavoratore d el prodotto della sua attività lavorativa. (7) Secondo la teoria d el valore-lavoro, Il valore d! scambio delle merci è misurato dal tempo d! la voro «socialmente necessario » per produrle, lntenden~ dosi, con tale categoria di tempo, U tempo medio di lavoro quale risulta dalle condizioni sociali medie di produzione. (8) La teoria del fetici smo della m erce esprime l'Interpretazione, caratteri- 3. In conclusione, il pensiero di Colletti va considerato a lla luce del problema che travaglia il marxismo italiano dell'ultimo periodo storico: la ricerca di una figura speculativa fondamentale per interpretare sinteticamente una realtà storica, che non sembra agevo lmente s ussumibile in categorie s toricistiche e comunque di derivazione idealist ica. L'astrazione de terminata di Della Volpe e il modello stru tturale delle formazioni sociali di Luporini rappresentano appunto d ei tentativi di approssimazione a quella fondamentale categoria speculativa. Lo sfo rzo di Colletti sembra propendere per una confluenza del nu· eleo della proposta d ellavolpiana (median te il richiamo a lla concretezza e determinatezza de l metodo marxiano) e delle istanze del giovane LuJuics (promozione d ella consapevolezza del m ovimen to operaio, a ttraverso un processo di critica incessan te dei fenomeni di ipostatizzazione a s tratta che caratterizzano la cult ura e la socie tà borghesi). La propos ta di Colle tti sembra tutt avia soffr ire lo s tesso lim ite di altri orienta menti del marxi smo italiano: cioè la difficoltà a verificare compiutamente, a un livello di s pec ificità s torica, i propri enunciati teorici, attuando un'organica « lettura , d ella dinamica d ella società capitalistica. d) Giuseppe Vacca. Anche il Vacca valorizza la ca tegoria dellavolpiana dell'ast razione determinata e temalizza in via principa le l'aspetto metodologico dell'opera di Marx. Tuttavia, egli si pone origina lmente il problema del nesso diretto sussis tente tra la cri ti ca marxiana dell'economia politica e la dimensione s torico-pratica, cioè la s trutturazione in classi della soc ietà. L'opera di Marx viene considerata dunque come s cienza critica: tale criticità non si caratterizza soltanto in senso speculativo, bensì include il riferimento alla s oggettività della classe proletaria, al punto di vista della quale la "scienza critica, ri sulta relazionata. Vacca, ponendo la ca tegoria di lavoro in relazione con quella di merce, giunge ad esiti differenti da quelli di Colletti, argomentando che il concetto di merce, in q ua nto qualifica il p rodotto di lavoro cara tterizzante la società capitalistica, racchiude un r ife rime nto alla for za-lavoro come r ea ltà specifica di ta le fase d ella storia umana. E la forzalavoro corrisponde a lJ a classe opera ia, la quale ra pp resenta pertanto la categoria centra le della critica marxiana dell'econo mia politica. Il recupero di una dimensione storicis tica, nel q ual e sembra sfociare l'approccio m etodologico di Vacca, concorre forse a s piegar e il suo approfondimen to di una tema tica marxist a pa rticolarmente de licata : la fase di transizione al socialismo. Vacca sost iene che la radicata sopravvivenza di situazion i capitalistiche nel tempo successivo all'inse- stica della società ca pitalis tica , del valore della merce, non come effetto di un rapporto sociale tra soggetti, b ens ì come proprietà oggettiva, scissa dall'attività del lavoratore, della merce s tessa. -748- Dicembre 1972 721. P. C. l. 15 diamento dei regimi socialisti, crea le premesse per l'emergere non solo di semplici contraddizioni tra i ceti sociali, ma anche di rapporti antagonistici di natura analoga a quelli che hanno accompagnato le fasi di sviluppo del capitalismo (9). Il salto di qualità rappresentato dall'avvento di un regime socialista consiste propriamente nel controllo proletario dello Stato, il quale si limita a garantire la possibilità di orientare lo sviluppo delle forze produttive verso mete di socializzazione. 3) Le nuove for.m e di marxlsmo eterodosso. Gli anni '60 hanno visto sorgere una nuova domanda rivoluzionaria .da parte di settori del movimento operaio - assoggettati ad un regime di fabbrica più duro, e s ui quali gravavano in misura più acuta gli squilibri vecchi c nuovi accumulati dal capi talismo in Italia - e da parte del nuovo proletaria to studentesco, che aveva maturato la consapevolezza della crisi della società tecnica occidentale. Queste istanze rivoluzionarie tendevano ad attribuire alle strutture neocapitalistiche una capacità illimitata di risolvere le proprie contraddizioni. Tale valutazione contrastava diametralmente con l'essenza della dottrina marxista-leninista. l. Raniero Panzieri, verso la fine degli anni 'SO, formulò un'interpretazione dell 'assetto capitalistico che si stava profilando, che era destinata ad esercitare un considerevole influsso in ambienti operai e giovanili lungo il decennio successivo. Secondo Panzieri, il ncocapitalismo aveva messo a punto tecniche efficienti di razionalizzazione dei propri squilibri, mediante la pianificazione dell'economia, la stabilizzazione dell'espansione dei consumi, l'assorbimento della s tessa dimensione conflittuale tra i ceti sociali. Panzieri proponeva di sostituire la strategia dello sviluppo della democrazia borghese, individuata dal PCI come condizione necessaria per l'instaurazione del socialismo in Italia, con la strategia della democrazia operaia. In effetto, Panzieri rilevava che la sede nella quale, mediante l'organizzazione scientifica del lavoro e la tecnica delle relazioni umane, si genera lo sfruttamento, è la fabbrica; e che l'ingerenza dci condizionamenti consumistici nella stessa sfera privata del lavoratore attesta una sorta di estensione del regime della fabbrica a tutta la società. Conseguentemente, Panzieri, ristabilendo i contatti con tematiche particolarmente dibattute nel marxismo italiano del primo dopoguerra, teorizza la fabbrica come luogo privilegiato per la genesi del processo rivoluzionario. La consapevolezza degli effettivi connotati del neocapitalismo, maturata nella fabbrica, avrebbe posto le premesse per la formazione, in quella sede, di istituzioni rivoluzionarie operaie, le quali dovrebbero caratterizzarsi per una valorizzazione delle istanze di base, (9) Cfr. G . VACCA, Scienza, Stato e critica di classe. Galvano della Volpe e il marxismo, Bari 1970, p. 223. -749- contrastando le tendenze « burocratiche •• connesse con gli istituti r appresentativi. La valu tazione delle strutture neocapitalistiche come realtà « totalizzanti », in quanto comporta un disconoscimento, ai fini di un 'azione rivoluzionaria, dell'analisi della dinamica capitalistica, ripropone in qualche misura il primato della prassi sull'analisi teorica, valorizzando gli e lemen ti di spontanei tà nell'operare rivoluzionario del la classe operaia. Questo atteggiamento, ancora in parte implicito nel pensiero di Panzieri, si profila più nitidamente nelle posizioni di Tronti. Questi, contrapponendo alla g lobalità dell'assetto neocapitalistico la vocazione rivoluzionaria della classe operaia, afferma che la conoscenza della classe operaia è da considerarsi prioritaria rispetto alla conoscenza delle s trutture de lla società borghese. La conclusione di questo processo di dissolvimento del nesso teoria-prassi, che è una dominante del marxis mo-leninismo, si registra nella posizione della rivista «Classe e stato», nella quale si proclama l'ins u fficienza, sul piano pratico, dell'analisi delle contraddizioni sociali e si postula il r icorso ad un comportamento eversivo per certi versi puramente gratuito. 2. Le masse stu dentesche degli anni '60 sono state sensibilizzate all'ideologia della totalità neocapitalistica, in prevalenza dai maestri della Scuola di Francoforte (M. Horkheimer, T. Adorno, H. Marcuse). Questi, operando in un contesto in cui confluivano, prevalentemente, molteplici articolazioni della cultura borghese (m arxismo h egelizzante di Luk:ks, sociologia di Weber, fenomenologia di Husserl, ecc.). ha nno sv iluppato una forma di sincretismo tra le dottrine di Hegel, Marx e Freud. Il monismo idealistico hegeliano viene interpretato dai rappresentanti della Scuola di Francoforte come totalità razionale, la quale categoria bene esprime la natura della società capitalis tica. Rispetto a ques ta totalità, la dialettica non si pone, com e in Hcgel e in Marx, a lla s tregua di una legge interna, bensì, esternamente, come possibilità di negazione della totalità unitaria costituita dalla società capitalistica. La sede in cui si mani festa fondamentalmente il disvalore del ca· pitallsmo non viene indicata, dai teorici della Scuola di Francoforte, nella sfera economica, dove, secondo Marx, si situa la « struttura >>, bensì nella sfera psicologica e quindi sovrastrutturale. Manifestazione precipua c più generale del dominio sociale è infatti la repressione istintuale, mortificatrice di quella forza originaria e creativa, che è in grado, se lasciata libera a sè stessa, di promuovere una realizzazione umana integrale. Questa consisterebbe, in particolare secondo Marcuse, in una espansione della « libido •• (IO) che coinciderebbe con la liberazione da ogni forma di attività non gratificante e l'instaurazionc di un rapporto non più artificiosamente distorto con la natura. ( 10) La « Ub!do • Indica l'Istinto fondamentale dell'uomo, al quale Freud attribuiva natura genericamente sessuale. -750- - - ----- Dicembre 1972 721. P. C. l. 16 I noltre, la Scuole di Francoforte si caratterizza per una svalutazione talvol· la oscurantista della complessiva scienza occidentale, che è considerata come espr essione del dominio dell'uomo sulla natura e sui suoi simili . La scienza è pertanto dis•·onosci uta nelle su e rivendicazioni teorctiche, le qua li costituireb· b ero ideologizzazioni di strutture sociali repressive. In sede di prospe ttiva storica, la Scuola di Francoforte condivide l'opinione che il movimento operaio d'Occidente, data la sua integrazione nel sistema, è irrecuperabile per un processo rivoluzionario, a promuovere il quale sono chiamate altre forze storiche: i movimenti studenteschi, i ceti diseredati, i Paesi del terzo mondo. La rivoluzione, peraltro, è una pura possibilità, perchè, come afferma Marcuse, il futuro storico non è in alcun modo teorizzabile. Negli anni che hanno visto la parabola dei movimenti studenteschi, sono stati ampiamente dibattu ti problemi inerenti alla teoria della ri· voluzione. Il richiamo a lla differenza della figura dell'operatore culturale nella situazione odierna, caratterizzata dalla proletarizzazione degli intellettuali, rispetto a contesti storici passati nei quali la rivoluzione era guidata da intellettuali d 'origine borghese; la predicazione della sovversione permanente come contromis ura alla totali tà capi ta listica, da parte dei più noti animatori dei moli s tudenteschi e uropei (Dutschke. e Cohn Bendit); la teorizzazione della guerriglia u rbana; l'esaltazione dello spontaneismo, eventualmente assecondato dalla fu nzione lievitat rice di minoranze attive; infine, la postulazione di avanguardie esterne di sta mpo bordighiano: t u tte queste proposte, fra loro anche eterogenee, sembrano convergere nella messa in discussione delle elaborazioni leniniste della lotta r ivo luzionaria: il nesso teoria-prassi, il rapporto partito-masse popolari, la compenetrazione tra strategia e tattica. 4) Le problematlche economiche. Il dibattito economico ha attinto punte di eleva to interesse negl i ultimi anni, che hanno registrato interpretazioni talvolta spregiudica te di assiomi basilari dell'economia marxista . l. Ha contribu ito cospicuamente a questo dibattito l'opera di due marxis ti americani, Baran e Sweezy, « Il capitalismo monopolistico "· In essa è analizzata la struttura economica del Paese capitalistico più avanzato: gli USA. La categoria centrale di « Il capitalismo monopolis tico >> è il "surplus», termine con cui si vuole indicare la differenza tra l'ammontare della produzione e i costi sostenuti per attenerla. Pertanto, i due studiosi americani, differenziandosi da Marx, non individuano l'espressione dell a crisi strutturale del capitalismo nella tendenziale caduta del saggio di profitto, bensì nell'aumento crescente di " surplus>>, che caratterizzerebbe l'economia capita listica dal periodo in cui sorsero i primi complessi monopolistici. Il problema fondamentale del capitali smo monopolistico è oggi, d unque, l'assorbimento del «surplus "• che viene persegui lo, tra l'altro, con massicci e spese pubblici t arie e l'obsolescenza artificiosa dei prodotti, con la d ilatazione d i spese pubbliche -751- e militari e con l'adozione di una politica imperialistica. Il capitalismo monopolistico si qualifica quindi per una contraddizione tra l'aumento delle risorse e l'impiego di esse per fini irrazionali e disumani, e crea disfunzioni psicologiche, tensioni politiche internazionali e con fii t ti razziali. Baran e Sweezy scartano l'ipotesi di una rivoluzione promossa dal proletariato indus triale, il quale gode ormai di un certo benessere, oppure dagli s tessi ceti che risentono maggiormente le contraddizioni della società (a bi tanti dei ghetti metropolitani, vecchi con basse pensioni, ecc.), a causa della loro eteroge neità e dispersione organizzativa. La prospettiva rivoluzionaria si riduce ai Paesi del terzo mondo, che subiscono l'imperialismo americano. Fra i rilievi mossi all'opera di Baran e Sweezy, alcuni hanno riguardato l'allendibiltà delle statistiche con c ui essi suffra gano le loro lesi, ma soprattutto la consistenza della categoria di « surplu s ». Infnlli, è stato sottolineato che tale cate goria, eludendo la distinzione Ira produzione venduta e invenduta, occulta la natura reale della crisi dell'economia capitalistil:a: il formarsi di un eccesso di capacità produttiva, il quale rimanda allo squilibrio strutturale tra domanda ed offerta globali. A << Il capitalismo monopo listico " è stata anche imputata la preferenza accordata al « su rplus » rispetto alla categoria marxiana di « plusvalore >> . I due marxisti americani hanno di chiarato di avere evitato tale categoria, in quanto essa ingloba soltanto profitto, interesse e rendita, trascurando altri fattori indispensabili nd una corretta lettura della dinamka economica. Un organo culturale del PCI ha censurato il discor so di Baran e Sweezy come revisionistico, precisando che, in Marx, il plusvalore non si riduce alle tre funzioni economiche ricordate, ma si definisce, più profondamente, in riferimento ad un contesto di produzione di « merci >>, il qnale si fonda sul rapporto sociale capita listico. Ignorando i rapporti sociali di produzione, e pertanto i l concetto di sfruttamento - che si traduce, in lin guaggio economico, n ella categoria di plusvalore - , e m evitabile che i due marxisti americani giungano a negare l'esistenza di contraddizioni insuperabili all'interno del capitalismo americano (li). 2. In questa critica a «Il capitalismo monopolistico, è adombrata una problematica di teoria economica, che è cruciale da l punto di vista marxista, investendo la fondatezza della nozione di sfruttamento e, di conseguenza, dell'intero sistema teorico marxiano. Tale problematica riguarda la teoria del v;;~lore-lavoro. Questa teoria, sviluppata da Marx nel I libro del Capitale, dovrebbe logicamente trovare una corrispondenza nell'analisi dei prezzi delle merci, ubicata nel III . libro del Capitale (12). Vari economisti non marxisti hanno argomentato che una spiegazione corretta della formazione dei prezzi delle merci - cioè dei rapporti di scambio delle merci - non possa fondars i sulla teoria del valorelavoro (13). Questa opinione ha finito per trovare consenziente uno dei ( 11) Cfr. G. MORI , Un contributo alla teoria del capitale monopoltstico, In Critica marxista, n . 6, 1967, pp. 74 ss. ( 12) Infatti, a rigor dl logica, l prezzi delle merci dovrebbero corrispondere al valore-lavoro Incorporato nelle merci stesse. Per una analisi critica della teoria economica dJ Marx, cfr. P. Bxco, Marxismo e Umanismo, Bomplani, Milano 1963. ( 13) J . Robinson rlleva, tra l'altro, come l fattori naturali di produzione Influiscano sul valore di scambio, particolarmente nel caso di scarsa disponi- -752- - - --~ --- . - - - --·- Dicembre 1972 721. P. C. l. 17 più illustri economisti comunisti, Claudio Napoleoni, il quale era rimasto persuaso dalla spiegazione dei rapporti di scambio delle merci fo rnita da Sraffa (14), traendone il convincimento che la teoria del valore fosse inutilizzabile. Napoleoni, muovendo da questa premessa, operò, s ulle pagine de « La rivista trimestrale », un tentativo di riformulazione della natura del capitalismo e del suo superamento. Poichè l'inconsistenza della teoria del valore compromette anche la correlazione tra produzione capitalistica e sfruttamento, la spiegazione di questo non va rintracciata all 'interno delle strutture capitalistiche, cioè nel profitto, bensì in una realtà che sopravvive dall'epoca precapitalistica: la rendita. Questa ha acquisito una nuova funzionalità, in quanto, come fattore di consumo improduttivo, costituisce una forma di garanzia per il profitto capitalistico. Il processo rivoluzionario deve dunque promuovere le risorse di razionalità e di efficienza insite nel capitalismo, mediante l'abolizione della rendita e del consumo improduttivo e una programmazione deslinata a orientare la produzione verso forme di cons umo pubblico che si collochino in alternativa al presente regi me di consumo privato ( 15). Per quanto riguarda la problematica del tramonto del capitalismo, a nche Napoleoni si dissocia dall'assioma marxiano della caduta Lendenziale del saggio di profitto, negando l'esistenza di contraddizioni oggettive che non siano resolubili all'interno delle strutture capitalistiche, ed affidando le prospettive di s uperamento del capitalismo sostanzialmente alla sola iniziativa politica. bllltà di detti fattori (es.: minerali preglatl) . Inoltre la Roblnson osserva che Il problema principale relativo alla teoria del valore-lavoro. riguarda « la tendenza del saggio d i profitto ad eguagliarsi in tutti i rami della produzione. In un sistema in cui i prezzi corrispondono ai valori il prodotto netto d i quantità uguali di lavo,·o è venduto contro quantità uguali di moneta. Perciò (dati saggi uniformi di sala!·i in moneta) il plusva101·e, in moneta, per tmitci di lavoro è dappertutto uguale. Dire che i prezzi relativi cm·rispondono ai valori !'elativi è lo stesso che dire che il saggio di sfntttamento è uguale in ttttte le industrie. Ma se il capitale per operaio (cioè la composi~ione o?·ganica d g! capitale) è dilferente nelle va1·ie indust!'ie, mentre il profitto per operaio (cioè il saggio di sfrut tamento) è lo stesso, il pmfitto per unità di capitale deve variare in senso inverso al capitale per operaio» (cfr. J . RoBINSON, Marx e la scienza economica, Firenze 1951, pp. 13 s.). Pertanto, la non uniformità della composizione organica del capitale ostaco- lerebbe la corrispondenza tra valore-lavoro e prezzo della merce. (14) L . SRIIFFII, nel suo libro P i'Oduzioni d i merci a mezzo merci, aveva sostenuto che 11 prezzo delle merci è, sì, riconducibile alla quantità di lavoro in e~se Incorporato, m a aveva aggiunto che questa si determina In base al salario corrente all'epoca In cui 11 lavoro è stato prestato, e In base al profitto relativo al tempo trascorso tra Il momento !n cui Il lavoro è stato prestato e quello !n cui la merce è stata venduta. Pertanto, Il fattore temporale, irriducibile al dato della quantità di lavoro, concorrerebbe a determinare Il valore delle merci. ( 15) Negli ultlmlsslml tempi, Napoleonl ha ritrattato il discorso di La rivista trimestrale, affermando che non sussiste contraddizione tra 11 I e 11 III libro del Capitale, polchè la tesi che « i prezzi di produzione possono determinarsi fuori dal riferimento al lavoro, implica che il lavoro sia preso rtcardianamente come determinazione tecnico-naturale, anziché marxianamente, come determinazione storico-sociale» (cfr. C. NAPOLEONI, Quale fttnzione ha avuto la «Rivista T rimestrale »?, In Rinascita, n. 39, 6 ott. 1972, p. 32). -753- 3. Un economista m essosi recentemente in luce, Guido Carandini, crede di risolvere il contrasto tra la teoria del valore-lavoro e la formazione dei prezzi, mediante la distinzione tra scambio individuale e scambio sociale delle merci. Nel primo caso, in cui il valore di scambio è determinato dall'incontro arbitrario di offerta e domanda privata sul mercato, la teoria del valore sarebbe inutilizzabile. Essa sarebbe invece operante nell'ambito dello scambio sociale complessivo; il valore-lavoro è tuttavia misurabile soltanto successivamente allo scambio, a llorchè la produzione h a potuto definirsi in funzione dei bisogni collettivi regis trati sul mercato. Carandini spiega la inestensibilità della teoria de l valore agli scambi individuali con la struttura dell'economia capitalistica, nella quale è l'arbitrio dei privati, e non i bisogni collettivi, a fungere da regolatore della produzione. 5) Le problematiche artistico-letterarie. La svolta impressa al movimento comunista dagli eventi del '56 aveva contribuito a mettere in crisi una concezione statica del realismo socialista, che tendeva a subordinare la funzionalità sociale della produzione artistico-letteraria all'adesione ad un genere artistico determinato e ad esigere possibilmente una partecipazione militante alla vita politica da parte dell'operatore culturale. Di fatto, il repentino <<disimpegno» di molti intellettuali vicini al PCI, nella seconda metà degli anni 'SO, non scaturiva soltanto da un 'accresciuta difficoltà, per il PCI, di incanalare nell'alveo politico-partitico, conformemente all'insegnamento gram sciano, movimenti culturali che, pur r iconoscendosi politicamente nel PCI, partecipavano troppo intensa mente a sensibilità comuni a settori importanti della cultura occidentale per essere suscettibili di un sicuro e costante inquadramento nei canoni della dottrina marxista-leninista. Infatti, il << disimpegno " si spiegava anche con l'esigenza di corrispondere alle indicazioni del nuovo contesto culturale e sociale italiano, attraverso la prob lematizzazione del << realismo " socialista. 1. Una prima r ilevazionc della nuova situazione nella cultura artistico-letteraria è rintracciabile, verso la metà degli anni 'SO, sulle pagine della rivista <<Officina », dove si auspica un più serrato confronto della nostra letteratura, ormai s provincializzata, con le letterature straniere, il dialogo con le nuove discipline umane (sociologia, antropologia, linguistica, ecc.), e il superamento di un modello di poesia << tesa verso esperienze essenziali nel dominio della parola e della vita interiore" a favore di una nuova poesia << tesa verso esperienze essenziali nel dominio della realtà e clelia vita di relazione» . Quest'ul t ima proposta eli << Officina » sembrava esprimere un'esigenza di revisione del connotato simbolico-evoca tivo, il quale pareva doversi considerare connaturale al linguaggio poetico, anche all'interno di una concezione << realista» della letteratura. -754- Dicembre 1972 721. P. C. l. 18 2. Successivamente la presenza rilevante di caratteri totalizzanti nell'assetto neocapitalistico - che era in larga misura all'origine delle divaricazioni nelle interpretazioni comuniste delle nuove forme della società borghese, registrate sia in sede di cultura fi losofica sia in sede politica (anche all'interno dello s tesso PCI) - ha alimentato divergenze analoghe presso gli ambienti artistici e letterari vicini al partito comunista. Ques t e divergenze vertono sul modo di valutare lo s trumento linguistico e sui contenuti più meritevoli di essere ripresi dalla produzione artistica e letteraria. A proposito di quest'ultimo problema, secondo uno degli orientamenti emersi in ambienti culturali della sinistra italiana, il letterato e l'artista devono concentrarsi sulla rappresentazione del malessere psicologico dell'uomo contemporaneo nella società occidentale: malessere che viene us ualmen te riassunto nel termine di «alienazione ». Per quanto riguarda la tematizzazione del linguaggio, si sostiene che la rappresentazione adeguata dell'« alienazione » postula una disintegrazione del tessuto linguistico in vigore, il quale risulta depositario di un ordine che ha attributi di organicità e universalità, e correlativamente esige l'adozione di form e disarticolate, pitt idonee a riprodurre la condizione caotica dell'uomo contemporaneo. Alla disintegrazione del linguaggio hanno •·oncorso anche lo sviluppo delle discipline linguistiche, che hanno consentilo di verificare la fahitù delle concezio. ni oggettivistiche d el lin guaggio, e di rilevarne la tiUa relatività a singoli gruppi sociali, ed anche a singoli individui; si è in ta l modo indotti a ritenere che l'ope· ra di ogni operatore artistico o letterario sia interamente spiegabile all'interno del suo mondo di << stilemi », cioè delle unità stilistit·he che lo contraddistinguono. E' agevole riscontrare che questo tipo di valutazioni tende a negare il rap· porto tra linguaggio e realtà oggettiva e contribuisce pertanto a complicare il processo di aggiornam e nto del « realismo socialista » . 3. A questo orientamento si contrappone una tendenza che si ispi· ra ad un reali smo, in diversa misura problematico, che deplora come inficiata da decadentismo la propensione a svalutare radicalmente ogni ordine linguistico e la latente diffidenza verso ogni realtà ogge ttiva, che caratterizzano l'orientamento che possiamo qualificare « apocalittico », e richiama ad una maggiore consapevolezza di una realtà s torica che è contrassegnata dal s uperamento della società capitalis tica e dall'ascesa del socialismo. Figura, tra gli es ponenti di questa tendenza, una delle personalità letterarie vicine al PCI più significative nell'ultimo decennio, Edoardo Sanguineti, che ha contribuÙo in misura importante ad acclima tare nella cultura del nostro Paese l'analisi s trutturalista delle opere letterarie affermatasi, in particolare, in Francia. Uno dei temi pitt dibattuti da Sanguineti, è la necessità di estendere la lotta alla società borghese dal piano specificamente ideologico al plano linguistico: il linguaggio, infatti, non rappresenta un fenomeno neutro, bensì, in quanto include . determinazioni storico-culturali che lo qualificano, è relativo ad una singola struttura sociale, costituendo, dal punto di vista marxista, un prodotto di classe, e possiede quindi un'autonoma capacità di influire «politicamente» sui proprio destinatari. Sanguineti propone pertanto di perseguire la demistificazione del travisamento della realtà attuato dal linguaggio borghese, mediante uno sperimentalismo linguistico sorretto da un'intenzione critica. E' assai sign ificativo che l'ispirazione costruttiva dell'ideologia letteraria di Sanguineti non trovi alcun riscontro nella s ua produzione poetica: questa, infatti, predilige i temi della disgregazione sociale e del caos esis tenzia le, cari all'orientamento «apocalittico, della cultura comu ni s ta. 4. Un settore nel quale la presenza comunista ha assunto un particolare rilievo è il teatro. In diversi centri, e soprattutto nelle metropoli del Nord, la formula dei teatri s tabili ha consentito a registi di talento, simpatizzanti per il PCI, di interpretare pregevolmente i repertori europei ed italiani secondo i moduli di un realismo sloricista, e di valorizzare efficacemente la drammaturgia di Brecht. Gli ultimi anni hanno registrato, nel PCI, lo svilu ppo di una fitta rete di circuiti teatrali periferici, amministrati dall'A.R.C.I. (Associazione Ricreativo-Culturale Italiana), che richiamano masse ingenti di spettatori e ne promuovono la partecipazione creativa alla produzione teatrale, ponendo le premesse di una linea alternativa alla strategia perseguita da ll'industria culturale in Italia. Il • UN TENTATIVO DI INTERPRETAZIONE DELL'ATTUALE CONGIUNTURA CULTURALE DEL P.C.I. l. Nicola Badaloni, noto studioso comunista d'orientamento storicista, concludeva un ampio excursus s ul marxismo degli anni '60 ( 16), individuando il problema centrale della cultura marxista nella necessità di superare una certa polarizzazione delle analisi su due estremi: quello della problematica politica immediata e quello della messa a punto di categorie speculative atte ad individuare i connotati originali del marxismo. Badaloni indicava la soluzione di tale problema nella individuazione dei termini in cui, nell'attuale momento storico, si pone la fondamentale contraddizione sussistente tra capitale e forze produttive, cioè, in altre parole, tra espansione del capitale e capacità del capitale di creare profitto. Trattandosi di un problema che assilla, con diverse moda lità, l'intero marxismo contemporaneo, un tentativo adeguato di spiegare le ( 16) Un bilancio critico del pensiero marxlsta negli anni '60 è stato compiuto In un convegno organizzato dall'Istituto Gramsci e svoltosl a R.oma dal 23 al 25 ottobre 1971. Le due più Importanti relazioni furono quelle di N. Badaloni e di G. Vacca. Gli atti sono raccolti nel volume Il marxismo italiano degli anni '60 e la formazione teorico-politica delle nuove genemzioni, Ist. Gramsci Editori Riuniti, Roma 1972. -756- 721. Dicembre 1972 P. C. l. 19 ragioni ultime di tale ques tione postula la problematizzazione di aspetti fondamentali della tradizione marxista. Come abbiamo avuto modo di es porre, l'assetto economico-sociale neocapitalistico h a provocato ripensamenti radicali delle tesi marxiane da parte di illus tri economisti marxi st i. L'organico sforzo di a na lisi delle strutture economiche americane, condotto da Baran e Sweezy, è pervenuto alla conclusione che la teoria marxiana della caduta tendenziale del saggio di profitto non è più utilizzabile, e che, di ri flesso, il tramonto del capitalismo è scaduto al livello di mera possibilità storica. Ad analoghe conclusioni è approdato Napoleoni in un recente s tudio (17). In ques to quadro, si comprende anche l'acuirsi del dibattito sulla fo ndatezza della teoria del valore-lavoro, che è s tata - come abbiamo indicato - persino oggetto di una radica le messa in di scussione da parte di alcuni economisti comunisti . E ' significativo, a ques to proposito, che il recupero de lla teoria del valore-lavoro viene pe rseguito sempre più s ul piano, per così dire, me taeconomico, mediante l'asserzione che questa fondamentale categoria m arxiana presenta connotati che non sono racchiud ibili nell'ambito d'elle form ulazioni J ella scienza economica come si è venuta configurando a tutt'oggi (sia a ll 'Ovest che all'Est), in quanto in cludono specificazioni di natura s torico-socia le, attin enti ai rapporti di produzione capitalistici. La stessa teoria della caduta tendenziale del saggio di profi tto, nello scritto di due tra le maggiori personalità culturali comuniste ( 18), viene destituita di fondamento oggettivo, in quanto la sua formu lazione risentirebbe l' influsso del modo tipicamen te capitalistico di interpretare i problemi economicosociali. Svalutazione e relativizzazione delle basilari categorie marxiane sembrano gius ti ficare l'impressione che il marxismo si vada configurando sempre meno come << teoria critica dell'economia politica >> e sempre più come scienza degli antagonismi sociali. 2. Questa nuova prospettiva del marxismo pare favorita In qualche misura da due fenomeni storici dell'ultimo decennio: i fermenti sociali nelle società capitalistiche e il travaglio del comunismo 'internazionale (dissidio russo-cinese, gravi ritardi nello sviluppo della << democra zia socialista >> ). Abbiamo in precedenza rilevato l'incompatibilità de lle filosofie che danno una interpretazione totali zzante del << neocapitalis mo >>, con l'essenza della dottrina marxista-leninista. Giova sottolineare che nelle tematiche della << contestazione >> il capitalismo si caratterizza sostanzialmente nella sua dimensione sociologico·antmpologlca di eserc izio dis potico dd potere, mentre il vincolo di dipendenza causa le tra questa (17) Cfr. L . COLLETTI- C. NAPOLEONI, Il futuro del capitalismo : crollo o sviiuppo?, Bari 1970, pp. XL e LXX. (18 ) Cfr. i bidem, pp. CIV s. -757- manifestazione del capitalismo e la contraddizione rilevata da Marx tra l'espansione del capitale e la sua capacità di erogare profitto (contradizione nella quale si esprime l'antagonismo fondamentale tra forze produttive e rapporti di produzione) non soltanto non è mai stato seriamente tematizzato, ma non è neppure stato avvertito come importante problema teorico. Per quanto riguarda il rapporto tra teoria economica di Marx e tematica della società di transizione, è opportuno rilevare come la p ercezione delle forme anche radicali di contraddizione interne al mondo comunista contribuisca indirettamente ad incrinare in qualche misura la « tenuta » delle fondamentali categorie economiche marxiane. Infatti, l'apparente incongruenza tra il riconoscime nto - compiuto da alcuni studiosi - di contraddizioni antagonis tiche, omogenee a quelle della società borghese, nei n:gimi socialisti, e l'ovvia circos tanza che a tali rapporti antagonistici risulta estranea la qualificazione essenziale delle contraddizioni tipiche della stessa società borghese (cioè la contraddizione capitale-lavoro, che porta ineluttabilmente al rovesciamento dei rapporti di classe) viene risolta qualora si convenga che la dimensione strutturale della società sia da identificarsi nella sfera propriamente sociale, anzichè nella sfera economica. L'oscuramento della centralità delle contraddizioni economiche risulta evidente nella posizione di chi sos tiene la necessità di superare il modello vigente del cosiddetto « socialismo di Stato "• in direzione di un modello che favorisca un pluralismo istituzionale e garantisca i diritti di libertà ( 19). La necessità di tale supera mento, infatti, viene fondata sull 'accresciuta domanda delle libertà personali e di una flessibili tà istituzionale, domanda provocata n elle società socialiste specificamente dal progresso tecnico-scientifico. 3. La dislocazione in atto del ce ntro di gravità del marxismo dalla sfera economica a quella propriamente sociale, sp iega forse la difficoltà provata dai marxisti nell'individuare con sicurezza le contraddizioni del neocapitalismo. Questa difficoltà risulta accentuata da due fenomeni fra loro correlati. Innanzi tutto, il compimento, da parte della cultura marxis ta, della dislocazione alla sfera sociale presuppone una circostanza che appare lontana dal realizzarsi: l'acquisizione, da parte delle discipline sociali (sociologia, antropologia, psicologia sociale, ecc.), dello stesso grado eli maturità, sotto il profilo scientifico, che l'economia politica ha conseguito da tempo. Inoltre, la società occidentale non sembra attualmente suscettibile di una interpretazione univoca, la quale privilegi drasticamente la sfera economica, o, alternativamente, sostenga la centralità della sfera sociale. I nfatti, da un lato, il persiste nte rilievo primario del fattore economico sembra attestato da una serie di situazioni (formazione di ( 19) Cfr. L. LoMBARDO RADICE, Gli accusati, Bari 1972, pp. 371-375. -758- Dicembre 1972 721. P. C. l. 20 imprese multinazionali, contraddizione tra espansione dei consumi privati e carenza di consumi pubblici, dislivelli di sviluppo tra Paesi economicamente progrediti e Paesi del terzo mondo, ecc.); dall'altro, i problemi propriamente sociali non hanno ancora acquisito quel rilievo centrale e predominante, al quale sembrano des tinati in un assetto contrassegnato da un alto sviluppo tecnologico, entro il quale l'accumulazione intensiva delle conoscenze, la stabilizzazione del potere di ceti tecnici (il cui «ruolo» è assai distante da quello del capitalis ta ottocentesco, e anche da quello del dirigente amministrativo emerso con le prime forme di C<lpitalismo monopolistico) e il conseguente dilatarsi dei possibili condizionamenti sociali sul cittadino, sposteranno definitivamente l'area di esercizio degli antagonismi fondamentali che sono connaturali alla società liberal-capitalistica - dalla sfera economica a q uella sociale. 111 - IL PUNTO SUl RAPPORTI TRA CATTOLICI E COMUNISTI IN ITALIA In sede di bilancio conclusivo delle nos tre analisi sulle esperienze politiche e culturali del PCI (20), riteniamo di poter esprimere alcune considerazioni sul problema del rapporto tra ca ttolici e comunisti in Italia, e, pertanto, sui rapporti tra DC e PCI, che rappresentano politicamente - in misura preponderante, nel primo caso, e in misura pressocchè totale, nel secondo - quelle forze sòciali. L'approccio di parte cattolica al tema dei rapporti con il PCI varia da u n atteggiamento aperturista d'indole pragmatis tica - che vede un Gr amsci travestito da populista e concepisce lo storicismo del PCI come un fattore di dissoluzione dei tra tti pitt originali del marxismo -, ad un aperturismo ancorato a più solide basi teoriche, e, infine, al «veto storico» fondato sulla identificazione del comunismo con la negazione dei diritti di libertà e del metodo democratico. A proposito di quest'ultimo orientamento, riteniamo doveroso osservare che la medesima coerenza che impone di trarre tutte le implicazioni dalla compressione dei diritti civili e polilici nei regimi comunisti, deve mantenersi operante, pur con diversa accentuazione dei termini e in d iversa prospettiva, anche nei confronti dei problemi di libertà e di promozione umana posti dalla società liberai-capitalistica. E' noto che la DC, alle origini, si è ispirata al p ensiero sociale cristiano più robust o del Novecento, a quello cioè di Maritain e, meno direttamente, a quello di Mounier. Ques ti due grandi pensatori concordavano nel ritenere che la società liberai-capitalistica sorta nell'era moderna, pur presentando manifestazioni positive (ispirazione critica della cultura fi losofica, affermazione dei di ritti di libertà, svilu ppo ·scienti(20) Oltre alla prima p arte di questo studio (cfr. nota 1), si veda I. Vt..cL 'esperien za politica del Partito Comunista Italiano , in Aggiornamenti Sociali, (giugno) 1972, pp. 395 ss., e (luglio-agosto) 1972, pp. 489 ss., rubr. 721. CARINI, -759- fico), si colloca in radicale antitesi, nei valori che ne sostanziano il nucleo (il razionalismo astratto sul piano filosofico, e, ad esso correlato, l'individualismo egoistico sul piano etico-sociale), con la concezione cristiana della società. L'assimilazione di questi esiti della cultura cattolica più consistente ha ispirato l'azione dei cattolici nella Resistenza e nella fase di elaborazione della Costituzione. L'ultimo periodo storico, che ha regi-strato il crescente d islivello di sviluppo tra Paesi industrializzati e Terzo Mondo e l'emergere di una rinnovata protesta nei confronti della società liberai-capitalistica (protesta la cui radicaltà ha, peraltro, manifestato i propri limiti culturali), ha confermato l'attualità del moderno pensiero sociale cattolico culturalmente più attrezzato. Se si accettano queste valutazioni e si concorda s ul fatto che il progetto di edificare in Italia uno Stato genuinamente « democratico e sociale » prescindendo sostanzialmente dal PCI rischia di essere velleitario, si può stabilire che una preclusione sistematica nei confronti del PCI stesso si legittima soltanto nell'ipotesi che questo partito, pur avendo largamente « sdogmatizzato », a livello teorico, la dottrina marxistaIeninista - come ci sembra di aver adeguatamen te documen tato -, rimanga, nei fatti, ancorato a una interpretazione rigida e non storicizzata della sua tradizione culturale. In ques t'ordine di idee e nei limiti che abbiamo ora precisa ti, ci sembra auspicabile che si consolidi e si amplii il processo, già avviato, di confronto tra cattolici e marxisti e di verifica costruttiva delle reciproche posizioni: e ciò, anche per allontanare il pericolo che un eventuale accesso del partito comunista all'area di governo nel nostro Paese si riduca a una semplice operazione trasformistica di vertice. ltalo Vaccarlni -760- ~~-------- -