LA REGOLAZIONE AFFETTIVA PARTE PRIMA Gruppo di studio e ricerca sulla psicoterapia dei disturbi della regolazione affettiva via lazzaretto 29/A Forlì ALESSITIMIA, RELAZIONE E DISTURBI DELLA REGOLAZIONE AFFETTIVA DOTT. IVANO FRATTINI PSICOLOGO CLINICO PSICOTERAPEUTA PSICOANALITICO, GRUPPOANALISTA PSICOSOMATICISTA Prefazione Il gruppo di ricercatori di Toronto, con a capo Graeme Taylor, ha assunto un ruolo di primo piano nel panorama contemporaneo delle scienze psicologiche. L'importanza fondamentale sta nel fatto che i ricercatori canadesi sono riusciti a far emancipare il costrutto “locale” di alessitimia, confinata inizialmente nell'ambito esclusivo della medicina psicosomatica, e farlo diventare il cardine di una spiegazione più ampia dei fenomeni clinici legati alla disorganizzazione affettiva. Taylor e i suoi collaboratori sottolineano che il costrutto di alessitimia sia un'entità transnosografica che investe tante patologie. Taylor sottolinea pertanto che non si possa considerare l'alessitimia alla maniera di un fenomeno “tutto o nulla”, come se si trattasse di una incapacità assoluta di provare ed esprimere le emozioni. Essa va piuttosto intesa come un deficit nella capacità di regolare gli affetti, che, a seconda del suo grado di strutturazione, può coinvolgere interamente la vita di un individuo e la sua modalità di esperire il proprio corpo, il proprio mondo interno, e le relazioni con l'ambiente esterno, oppure intaccare specifiche aree mentali relativi a contenuti specifici dell'esperienza. Alessitimia e regolazione psicobiologica Sifneos coniò negli anni settanta il termine alessitimia (dal greco A= mancanza, lexis=parola, Thymos=emozione) per nominare un insieme di caratteristiche cognitive e affettive. Aspetto fondamentale era il discostarsi del concetto di alessitimia da un modello di inibizione: la persona non reprime o inibisce o nega le emozioni, bensì non ha parole; in altri termini: non riesce a esprimere. La condizione alessitimica, quindi, riflette un deficit dei sistemi di risposta emotiva sia a livello cognitivo-esperienziale, sia al livello dell’integrazione degli stati mentali connessi all’emozione: questi livelli dipendono entrambi dalla connessione tra le emozioni (intese come espressioni di un arousal fisiologico), le immagini mentali e il linguaggio simbolico. Ci troviamo senz'altro più nell'area del deficit che non in quella del conflitto. Secondo la sua definizione attuale il costrutto dell'Alessitimia si compone delle seguenti caratteristiche: 1-difficoltà nell'identificare i sentimenti e nel distinguerli dalle sensazioni corporee che si accompagnano all'attivazione emotiva 2-difficoltà nel descrivere agli altri i propri sentimenti 3-processi immaginativi limitati, evidenziati dalla povertà delle fantasie e infine 4-stile cognitivo collegato allo stimolo reale, concreto e orientato all'esterno. A prima vista alcuni soggetti classificati come alessitimici sembrano contraddire questa definizione del costrutto, in quanto presentano una disforia cronica o manifestano accessi di pianto collera o rabbia. Un'indagine approfondita mostra tuttavia che essi sanno molto poco sui propri sentimenti e in molti casi sono incapaci di collegarli con ricordi, fantasie, affetti, di livello superiore o situazioni specifiche. Sulla base di alcune altre osservazioni cliniche diverse caratteristiche addizionali sono state associate con il costrutto dell'Alessitimia tra cui una tendenza al conformismo sociale, una tendenza a ricorrere all'azione per esprimere le emozioni o per evitare i conflitti, una scarsa capacità di ricordare i propri sogni, una postura piuttosto rigida ed una certa povertà nell'espressione facciale delle emozioni. Se queste caratteristiche sono spesso associate all’alessitimia, esse non fanno tuttavia parte del nucleo teorico del costrutto. Il conformismo sociale, la tendenza all'azione, e l'incapacità di ricordare i sogni non si sono rivelate caratteristiche fondamentali dell'alessitimia nel corso del processo di validazione del costrutto. L'esperienza clinica suggerisce che per caratterizzare l’ alessitimia è più importante la qualità dei sogni che la capacità di ricordarli. Anche se il costrutto dell’alessitimia è definito in termini di caratteristiche cognitive identificabili, queste caratteristiche riflettono dei deficit sia nel dominio cognitivo- esperienziale dei sistemi di risposta emotiva sia a livello della regolazione interpersonale dell'emozione. Essendo incapace di identificare accuratamente i propri sentimenti soggettivi, il soggetto alessitimico ha una scarsa capacità di comunicare verbalmente agli altri il proprio disagio emotivo, e non riesce quindi ad utilizzare le altre persone come fonti di aiuto o di conforto. La scarsità dell'immaginazione limita inoltre la misura in cui i soggetti alessitimici sono in grado di modulare l'ansia e le altre emozioni mediante la fantasia, i sogni, l'interesse e il gioco. Privi della conoscenza delle loro stesse esperienze emotive, essi non riescono ad immedesimarsi in un'altra persona e sono dunque non empatici ed incapaci di modulare gli stati emotivi degli altri. Se alla base dell’alessitimia ci sono delle menomazioni della capacità di elaborare e regolare le emozioni non è sorprendente che essa sia stata concettualizzata come un possibile fattore di rischio per molti disturbi somatici e psichiatrici che hanno a che fare con problemi di regolazione affettiva. Un'incapacità di modulare le emozioni per mezzo dell'elaborazione cognitiva potrebbe anche spiegare la tendenza dei soggetti alessitimici a scaricare la tensione causata da stati emotivi sgradevoli mediante atti impulsivi o comportamenti compulsivi quali abbuffarsi di cibo, l'abuso di sostanze, il comportamento sessuale perverso o l’inedia volontaria caratteristica dell'anoressia nervosa. Oltre ad una disposizione agli stati affettivi negativi indifferenziati, i soggetti alessitimici mostrano una scarsa capacità di provare anche emozioni positive come gioia, felicità e amore. Lo sviluppo degli affetti e delle capacità di regolazione di questi è facilitato nella primissima infanzia dall'esperienza di condivisione degli affetti e del rispecchiamento delle espressioni affettive con il caregiver primario (di solito la madre) e in seguito dalle interazioni giocose nelle quali si verifica l'apprendimento della denominazione e dell'espressione dei sentimenti. Numerosi studi hanno dimostrato che quando il caregiver primario non è emotivamente disponibile, o quando il bambino è ripetutamente soggetto a risposte incoerenti a causa della mancanza di sintonizzazione del genitore allora il bambino ha forti probabilità di manifestare delle anomalie nello sviluppo e nella regolazione degli affetti e di sviluppare uno stile di attaccamento insicuro. I clinici affermano che i soggetti alessitimici tendono a stabilire delle relazioni di marcata dipendenza, ma che queste relazioni hanno un'alta interscambiabilità; in alternativa essi preferiscono restare da soli e evitare del tutto gli altri. Le persone alessitimiche utilizzano spesso il linguaggio come un atto piuttosto che come un mezzo di comunicazione simbolica di idee o affetti. Il loro stile di comunicazione non è simbolico, il linguaggio è utilizzato per creare barriere impenetrabili, che bloccano ermeticamente l'accesso alla vita mentale e impediscono la formazione di legami emotivi significativi con gli altri. Quindi le caratteristiche dell'alessitimia riflettono una forma di deficit sia nella componente cognitiva ed esperienziale di risposta alle emozioni e sia nella regolazione interpersonale delle emozioni. Quindi nelle persone con un alto grado di alessitimia c'è una difficoltà sia ad esperire sia a riflettere e sia a comunicare agli altri le proprie componenti affettive. Questo non significa che non ci sono le emozioni ma si ha una difficoltà nella loro decodifica sia nel provarle che nel comunicarle. Questo genera il più delle volte una mancanza di potere gestionale e di elaborazione degli affetti e si produce o una affettività dirompente (disturbi psichiatrici) o una mancanza marcata di esperire a livello psichico la propria vita affettiva, anche in questo caso dirompente e caotica ma tutta sedimentata nel corpo. Possiamo senza ricorrere a separazioni tra mente e corpo pensare ad un diverso livello di esperire l'affettività. Per semplificare possiamo dire: un organismo, un corpomente può reagire ad un problema di relazione con il mondo o con un aspetto “corpo”(non simbolico, no- elaborazione psichica) quando l'aspetto “mente” non è in grado di farlo. Per questo motivo nei disturbi della regolazione affettiva la mente non entra ancora in gioco e l'affetto è concentrato nel corpo. Per questo sarebbe più opportuno chiamarli disturbi somatospichici. Con questa nuova visione si viene opportunamente a perdere l'idea che una persona si possa “far venire” anche se inconsciamente una malattia. Come abbiamo evidenziato risulta abbastanza chiaro che vi è una notevole comunanza tra il costrutto di “alexithymia”, il concetto di "disregolazione affettiva" e la malattia somatica intesa come una dissociazione fra i modelli sensoriali e motori di espressione delle emozioni e le parole, intese come rappresentazioni simboliche degli oggetti di cui facciamo esperienza. In questa prospettiva, lo sviluppo emotivo normale dipende dal successo nell'elaborazione ed integrazione dei processi somatici, sensoriali e motori negli schemi emotivi, per cui è il fallimento di questa integrazione a causare i disturbi emotivi; la capacità di un individuo di tollerare gli affetti intensi dipende dall'organizzazione degli schemi emotivi. In questo processo di integrazione, come già detto, è centrale la funzione di “contenimento” svolta dalle figura di riferimento o in generale dall’ambiente di accudimento. Possiamo dire che il concetto di regolazione affettiva non indica semplicemente il controllo delle emozioni, ma la capacità di tollerare affetti negativi (noia,vuoto, perdita, angoscia, depressione, irritabilità, rabbia) intensi e/o prolungati, bilanciandoli con affetti di tono positivo in modo autonomo, ossia senza ricorrere ad oggetti esterni o acting (agiti) comportamentali (desideri suicidi, automutilazioni, uso di sostanze, somatizzazione, disturbi dell'alimentazione, disorganizzazione comportamentale, ecc). Implica quindi l'attivazione di vari sistemi reciprocamente interconnessi di elaborazione della risposta affettiva, nelle sue componenti biologiche (neuro-fisiologiche e motorie) e psicologiche (vissuti ed elaborazioni cognitive). È strettamente connesso alla dimensione intersoggettiva, attaccamento, sia perché le relazioni con gli altri forniscono una regolazione interpersonale degli affetti in senso positivo (ad es. induzione di calma e rilassamento) o negativo (perdita, aggressività, tensione), sia perché sono decisive per l’interiorizzazione della capacità di autoregolazione soggettiva. I disturbi della regolazione affettiva quindi si riferiscono a tutte quelle condizioni cliniche in cui l'individuo non è in grado di utilizzare gli affetti come sistemi motivazionali e di informazione in relazione ai propri stati emotivi ed al rapporto con gli altri. La transizione, allora, dalla salute ad una sindrome somatica funzionale (ad es., la sindrome dell’intestino irritabile) o ad una patologia organica può avvenire se il sistema di disregolazione delle emozioni disregola anche altri sistemi biologici del corpo. Sulla base di queste argomentazioni, si può comprendere perché l’alessitimia è oggi più ampiamente concettualizzabile nei termini di disturbo della regolazione affettiva. Infatti, da un punto di vista biologico le emozioni sono semplicemente la manifestazione innata di un’attivazione fisiologica automatica che si produce in risposta a stimoli interni o esterni; tuttavia, affinché queste possano essere utilizzate per la comprensione della propria esperienza psichica e come guida per il comportamento futuro, è necessario innanzitutto che le emozioni possano essere tradotta in fenomeni psicologici, cioè stati affettivi e sentimenti. La distinzione tra emozioni e sentimenti è fondamentale per comprendere e curare i disturbi della regolazione affettiva. Le emozioni, infatti, sono eventi fisici, i sentimenti sono esperienze mentali. Le emozioni vanno in scena nel teatro del corpo, comportando azioni e movimenti,molti dei quali visibili agli altri: si assiste a mutamenti di tipo interno (causati dall’attivazione del sistema nervoso autonomo e neuroendocrino), alla modifica delle espressioni facciali, al cambiamento della postura e del tono di voce; i sentimenti, invece, sono rappresentazioni interne agli stati mentali dell’individuo connessi all’emozione, e vanno perciò in scena nel teatro della psiche. Le emozioni precedono sempre i sentimenti: i mutamenti che hanno luogo nel corpo quando stimoli interni o esterni producono l’attivazione fisiologica vengono rappresentati nel cervello, generando una rappresentazione (sentimento) che riflette lo stato del corpo e lo stato mentale che lo accompagna. Quando i sentimenti possono essere collegati ai ricordi passati, all’immaginazione e al ragionamento, essi possono essere utilizzati come guide per il pensiero e per il comportamento, e dunque per regolare a ritroso gli stati di attivazione emotiva. È chiaro, tuttavia, che l’integrazione delle percezioni relative agli stati corporei all’interno di più complesse rappresentazioni mentali dipende direttamente dalla capacità dell’individuo di formare tali rappresentazioni: nel corso dello sviluppo primario, gli stati presimbolici e sensoriali legati alla percezione dell’emozione vengono connessi a rappresentazioni simboliche, inizialmente attraverso immagini (come l’associazione tra l’emozione e una persona o un evento), e successivamente, quando si sviluppa il linguaggio, attraverso parole che consentono alla persona di definire, identificare e descrivere sentimenti specifici. È attraverso i sentimenti che possiamo conoscere cosa sta accadendo alle nostre emozioni; nell’alessitimia, invece, le emozioni sono collegate solo debolmente ad immagini simboliche e a parole, e sono sperimentate, invece, primariamente come sensazioni fisiche e tendenze all’azione. Occorre considerare quindi che mentre la regolazione emotiva è un fenomeno psicobiologico innato, largamente inconsapevole, che si realizza sin dalla nascita del bambino principalmente sulla base delle sue caratteristiche temperamentali e della relazione con la sua figura di attaccamento, la regolazione affettiva è una capacità che viene acquisita e potenziata nelle diverse fasi dello sviluppo, in rapporto ai contesti relazionali e alle esperienze vissute. La relazione madre bambino può essere considerata come un sistema interattivo che organizza e regola il comportamento e la fisiologia del bambino fin dalla nascita. Tale sistema di regolazione, a partire da un livello di organizzazione bio-neuro-fisiologico, con il graduale sviluppo della capacità di simbolizzazione, di pensiero e di uso del linguaggio, acquisterà via via sempre più valenza psicologica. Il concetto di regolazione affettiva viene chiaramente esplicitato nell'Infant Research soprattutto nella forma di una regolazione reciproca: non solo la madre regola gli stati affettivi del bambino, ma i segnali affettivi provenienti dal bambino regolano a loro volta l'affettività e il comportamento della madre. E' evidente qui il parallelo con il concetto di “sintonizzazione affettiva” di cui parla Stern quando descrive l'interazione tra madre e bambino come una danza, in cui i due, come due virtuosi, creano cicli periodici di attività sincronica. Come accennato in precedenza, la regolazione affettiva dipende certamente (almeno in parte) dai processi autoregolatori interni che riguardano l’emozione (autoregolazione), ma è al contempo sensibile agli effetti che le relazioni interpersonali hanno su tali processi (regolazione interattiva). Si potrebbe dunque affermare che la regolazione affettiva riguarda la capacità (ridotta nei soggetti alessitimici) di elaborare, modulare, e rivalutare le emozioni, ovvero di effettuare una traslazione e una trasformazione dell’emozione sul piano psichico. Osservando la questione da una simile prospettiva, l’alessitimia non rappresenterebbe perciò esclusivamente un disturbo emotivo, ma costituirebbe anche il riflesso di una difficoltà nell’effettuare una trasformazione secondaria delle emozioni, nel dare forma e parola a quei segnali provenienti dal corpo che definiamo emozioni. È proprio qui che alessitimia e disregolazione affettiva tendono a coincidere: in un circolo vizioso, la carenza di consapevolezza rispetto alle emozioni impedisce la trasformazione delle emozioni in sentimenti complessi, rendendo difficoltoso per l’individuo entrare in contatto con i propri bisogni e comprendere quelli degli altri; ciò ostacola di conseguenza la costituzione di modelli più complessi e articolati di se stessi e dei propri stati mentali, che possano essere utilizzati come guida per un comportamento appropriato rispetto ai propri bisogni e alle diverse circostanze sociali e ambientali. L’autoregolazione e la regolazione interattiva degli affetti sono dunque interdipendenti. Questo dato è particolarmente rilevante sul piano clinico: già gli studi in ambito evolutivo e neurobiologico mostrano che sin dall’infanzia i pattern stabili di regolazione interattiva delle emozioni tendono ad essere interiorizzati in forma di strategie di autoregolazione, ed è sempre più accreditata l’ipotesi secondo cui lo stesso processo si verifica all’interno del trattamento psicoterapeutico. Dunque, quando nel trattamento sono presenti schemi relazionali coerenti e stabili che contemplano la convalida interpersonale dei sentimenti del paziente e la contemporanea elaborazione condivisa degli stati affettivi sottostanti, è possibile l’interiorizzazione da parte del paziente di più appropriati sistemi di regolazione degli affetti, che si riverberano sulle sue possibilità di fare un migliore uso delle sue emozioni: se tale processo è in grado di produrre nel paziente un incremento della conoscenza implicita ed esplicita sulle proprie emozioni e sui propri sentimenti, esso promuove lo sviluppo di rappresentazioni di sé più integrate e garantisce una maggiore disponibilità di strategie efficaci di regolazione emotiva e comportamentale. Mentre la difficoltà ad una regolazione affettiva autonoma può portare ad instaurare rapporti compensatori di dipendenza più o meno simbiotica con persone reali esterne per la regolazione affettivo/fisiologica. Questo spiega l'incidenza alta di malattie dopo separazioni e lutti. Si perde il proprio regolatore esterno. Va sottolineato che la presenza di un disturbo della regolazione affettiva non implica necessariamente il riscontro di bassi livelli di emozione espressa. Possono riscontrarsi alti livelli di alessitimia anche in situazioni caratterizzate da alti livelli eccessivi di emozione espressa, o comunque non graduati a seconda della situazione. Quindi possiamo dire che esiste una disregolazione verso l'alto ed una verso il basso. La base dei viversi fenomeni resta però la presenza di un'emozione non sufficientemente elaborata, pensata, “digerita”. Comunque per stabilire con accuratezza l'indice alessitimico in sede diagnostica è doveroso utilizzare strumenti sensibili che riescano a cogliere in modo approfondito le peculiari aree di disregolazione affettiva del paziente. La Toronto Structured Interview for Alexithymia (TSIA) , è un test creato da dal gruppo di ricercatori di Toronto che consente questo tipo di valutazione. Bisogna sottolineare, inoltre, che non basta un semplice intervento psicologico, ma si ha bisogno di un intervento psicologico specialistico, per evitare effetti iatrogeni sui pazienti. Per esempio, le interpretazioni smisurate alla ricerca di cause eziologiche del disturbo, o orientare la terapia solo sull'aspetto del conflitto, possono portare ad esacerbazioni anche gravi delle manifestazioni morbose di tipo psicosomatico in risposta all’aumento dell’angoscia che il paziente non è in grado di tollerare. Interpretare il deficit come conflitto, significa comunicare al paziente che esso si sta difendendo attraverso i suoi disturbi (per esempio disturbi somatici) per non affrontare aree inconsce da cui si difende. L'aspetto fondamentale è il discostarsi del concetto di alessitimia da un modello di inibizione: la persona non reprime o inibisce o nega le emozioni, bensì non ha parole, non riesce ad esprimere. La disregolazione affettiva è una incapacità dell’individuo di sperimentare e comunicare il proprio mondo affettivo, non un conflitto fra varie istanze della psiche. Nella terapia si dovrà affrontare una vera e propria educazione emotiva, facendo sperimentare le emozioni, farle esperire e riconoscere, imparare a comunicarle ecc. una vera “Alfabetizzazione emotiva/affettiva” sempre accompagnata da un continuo sostegno al sé della persona e da un lavoro di miglioramento e arricchimento delle modalità relazionali. Possiamo affermare che la disregolazione affettiva fa parte del sistema affettivo/emotivo, che se alterato può influire sicuramente su altri sottosistemi biologici, come il sistema nervoso autonomo, il sistema endocrino e quello immunitario, contribuendo allo sviluppo di un disturbo o di una malattia somatica. Per questo l’alessitimia è sempre stata considerata associata allo sviluppo delle cosiddette “Malattie psicosomatiche classiche” (Ulcera peptica, asma bronchiale, ipertensione essenziale, tireotossicosi, colite ulcerosa, artrite reumatoide e neurodermiti). Ma risultati di studi recenti hanno inoltre evidenziato una relazione fra l’alessitimia e una varietà di condizioni diverse, come le coronaropatie, il diabete mellito, il morbo di Crohn e il cancro. Frequentemente l’alessitimia influenza il comportamento dei pazienti, specie attraverso la confusione riguardo ai sentimenti e alle sensazioni corporee, con una conseguente cattiva gestione della malattia, caratterizzata da scarse capacità di controllo e ridotta compliance. L’alessitimia non è solo associata ai disturbi psicosomatici o alle somatizzazioni funzionali, ma è stato scoperto, altresì, che essa è una componente importante, anche in altri tipi di disturbi, quali: i disturbi della condotta alimentare, i disturbi della personalità, i disturbi ansiosi, depressivi e di attacchi di panico, e le dipendenze patologiche. Necessario chiarire ulteriormente che il costrutto di alessitimia si differenzia dai modelli basati su un significato simbolico “di conversione”(i disturbi isterici) del sintomo somatico: non c'è qualcosa nella mente (un disagio mentale) che si esprime nel corpo, ma anzi il sintomo somatico si presenta nella misura in cui manca il collegamento con una rappresentazione mentale dell'affetto. Di conseguenza il termine “psicosomatico” appare sempre meno adeguato, in quanto suggerisce inevitabilmente un percorso della psiche verso il soma. Al limite sarebbe più consono alla luce di quanto detto, sostituirlo con disturbo “somatospichico”. Ugualmente fuorviante (e controproducente) appare dire ad un paziente che si presenta da un medico con un disturbo somatico: “lei ha un problema psicologico”, per i seguenti motivi: 1- Come abbiamo visto non è vero. Il sintomo somatico si presenta proprio perchè la relazione ad una situazione di vita non è riuscita a trovare la via della psiche (dei sistemi simbolici). 2- Il paziente può sentirsi etichettato negativamente. 3-Il paziente potrà facilmente intenderlo nei termini di:” allora sono io che me lo sono fatto venire”; “è colpa mia”. Inoltre, anche in rapporto all'atteggiamento del medico, potrà recepire qualcosa del tipo: “è affar tuo”; “non mi riguarda più” “devi risolvertelo da solo”. Sarà quindi necessario trovare altri tipi di formulazione. Per prima cosa si puo` cercare di dare informazione sui costrutti di alessitimia e regolazione affettiva. Nel momento in cui c'è una richiesta di approfondimento da parte del paziente o al limite se si pensa di avere davanti un paziente con una chiara situazione di disturbo regolativo dell'affettività si potrebbe, a mio avviso, dire questo: “C'è un problema di rapporto con il mondo affettivo e relazionale che trova espressione nel corpo, possibilmente perchè non è stato possibile pensarci abbastanza, prenderlo abbastanza in considerazione mentalmente, anche preoccuparsene abbastanza”. Inoltre di solito dai medici i pazienti che di solito vengono classificati come meritevoli di cure specialistiche psicoterapiche, sono coloro che manifestano chiari segnali di disagio psichico. Al contrario, da tutto quello che abbiamo visto, il soggetto alessitimico non manifesta spesso alcun disagio mentale esplicito, non crea problemi al medico, anzi può risultare remissivo e condiscendente. Se i disturbi che lamenta sono di natura funzionale, e la situazione tende a ripresentarsi, potrà suscitare nel medico accorto il sospetto di una “somatizzazione” o di una dimensione ipocondriaca, e di conseguenza essere ritenuto meritevole di invio; se però il soggetto presenta invece malattie chiaramente organiche questo non mette in alcun modo in discussione i fondamenti istituzionali della relazione medico/paziente, anzi li rinforza; il medico si trova a suo agio nel ruolo di chi cura una malattia “vera”. Il risultato è che tra i pazienti del medico non vengono inviate proprio le persone in cui il rischio per la salute è più alto, avendo trovato soltanto il corpo come espressione del proprio disagio, mentre vengono inviate ad uno specialista della salute mentale essenzialmente le persone che comunque hanno già trovato un'espressione mentale/comportamentale (in genere meno pericolosa per la salute e la sopravvivenza) per i loro problemi. Alessitimia e teoria del codice multiplo La teoria del codice multiplo di Wilma Bucci costituisce un importante riferimento teorico per l'alessitimia. La Bucci ritiene che le fasi primitive dell'elaborazione delle emozioni non vengano abbandonate e superate dai livelli più evoluti di elaborazione formale e cognitiva degli affetti. La bucci ipotizza l'esistenza di tre modalità di elaborazione delle informazioni: il modo subsimbolico non verbale, il modo simbolico non verbale e il modo simbolico verbale. L'elaborazione subsimbolica riguarda tutti quegli stimoli non verbali (emozioni,, input motori, stimoli sensoriali) che vengono processati in parallelo: ad esempio riconoscere le emozioni nelle espressioni facciali, o una voce familiare in una festa, e per restare nella professione intuire il timing dell'interpretazione da dare al paziente. L'elaborazione simbolica non verbale riguarda invece quelle immagini mentali (un volto, una musica, una espressione che pur presenti nella coscienza non possono essere tradotte in parole. La modalità simbolica verbale, invece, riguarda quel potente strumento mentale mediante il quale l'individuo comunica il proprio mondo interno agli altri e conoscenza e cultura vengono trasmessi da un individuo ad un altro. I tre sistemi sono connessi fra di loro. Per esempio l'emozione provocata da una donna è collegata all'immagine del suo modo di camminare e questa emozione intensa viene poi trasformata in parole in una poesia o in un testo di una canzone. La Bucci definisce processo o attività referenziale tale complessa connessione bidirezionale dalle emozioni alle parole e viceversa. Gli schemi emotivi costituiscono uno dei maggiori organizzatori delle rappresentazioni interne e determinano il modo di costruire esperienze, relazioni interpersonali, ed esprimere i propri stati emotivi. Ne deriva che ogni stimolo interno ed esterno che elaboriamo attiva schemi mentali di relazioni (in prima istanza quelli originati dai primo scambi con le figure di riferimento primarie) e schemi non verbali simbolici e subsimbolici di sensazioni, pensieri, attese, comportamenti immagazzinati in memoria. In tal senso l'attività referenziale non è una semplice trasformazione lineare dell'emozione da una modalità all'altra ma la connessione di componenti separate di uno schema emotivo che consentono di trasformarne il significato. L'alessitimia corrisponde alla mancanza di connessione referenziale fra l'attivazione subsimbolica e l'elaborazione verbale, per arresto di sviluppo (Deficit) o per disconnessione (Trauma). Le emozioni restano quindi collegate in modo debole alla modalità simbolica, sia non verbale(immagini) sia verbale (Parole), e vissute come sensazioni somatiche, percezioni, acting indifferenziati e disgregolati. Per concludere possiamo dire che er un buon funzionamento psicofisico dell'organismo è necessario un buon livello di connessione tra i tre sistemi. Quando, però, i tre sistemi sono disconnessi tra di loro, l'attivazione subsimbolica disconnessa può portare a diversi tipi di patologie, disturbando il funzionamento dei sistemi fisiologici (patologia somatica), spingendo ad agiti (tossicodipendenza, disturbi alimentari, perversioni) o alla ricerca di significati spuri per esprimere l'attivazione sub-simbolica percepita (deliri, Fobie). Il concetto di sistema sub-simbolico utilizza per poi trascenderli i diversi concetti di origine psicoanalitica e non, quale il processo primario, la rappresentazione di cosa, gli elementi beta, la memoria implicita e il conosciuto non pensato, il linguaggio e la memoria del corpo, l'emozione. Rispetto a tutti questi concetti il sistema sub- simbolico si presenta però con la piena “dignità” di sistema di pensiero organizzato con proprie modalità di funzionamento. Aspetto non secondario il concetto di sistema sub- simbolico non presenta alcun alone mistico ed esoterico e quindi pienamente comprensibile ed utilizzabile da discipline diverse dalla psicoanalisi, facilitando il dialogo. Il concetto invece di connessione e disconnessione tra sistemi fornisce nel contesto della psicologia evolutiva una cornice generale a quelli che la psicoanalisi ha concettualizzato come meccanismi di difesa, ma nel contempo anche al concetto di compito e di deficit evolutivo, nel momento che la connessione tra i tre sistemi non appare affatto data, bensì un compito evolutivo dell'individuo, peraltro mai completo. Quello che è reale del paziente non è altro che la sua struttura mentale, la sua “verità”, la sua memoria a lungo termine, la sua entità biologica da cui originano i significati e in cui sono immagazzinati i ricordi nei codici cognitivi non verbali descritti dalla Bucci. Quindi per la teoria della Bucci che è decisamente anti-ermeneutica è fondamentale la struttura sottostante, biologica da cui dipende il linguaggio, al contrario della concezione ermeneutica, secondo cui la psicoanalisi è solo linguaggio senza alcuna struttura sottostante o storia passata conoscibile o ricostruibile. Un altro aspetto della Teoria del Codice Multiplo è la sottolineatura di quanto il subsimbolico, il non verbale, possa entrare nel linguaggio; e non soltanto nei termini ben noti di tono, prosodia, volume della voce; ma anche, e questo mi sembra l'aspetto più specifico, nella scelta tra parole apparentemente di significato analogo, o nelle caratteristiche grammaticali/sintattiche del discorso. Tali sono ad esempio la scelta di un termine specifico o generico per indicare un oggetto (delle arance o della frutta); l'uso dell'Io o del Noi; l'uso o meno dell'impersonale (ci si trova a, uno si trova a); la descrizione di un episodio specifico o invece di un comportamento in generale; il livello di concretezza dei termini usati ("mi sono arrabbiato" o invece "ho sentito la rabbia che mi cresceva dentro e il cuore che mi batteva come un martello"); in che misura una situazione viene descritta in termini di attività del soggetto sull'oggetto o viceversa ("mi sono entusiasmato di questo lavoro" oppure "questo lavoro mi ha riempito di entusiasmo"). Infine un ultimo aspetto da sottolineare è che la teoria del codice multiplo offre la possibilità di vedere e teorizzare il sintomo somatico come una prima espressione, subsimbolica, di un contenuto che non ha trovato fino a quel momento nessuna possibilità di espressione, e non come effetto di una difesa contro l'emergenza di quel contenuto. Delinea quindi un nuovo rapporto tra somatizzazione e verbalizzazione, incluse condizioni in cui ci si può attendere un rapporto complementare, non alternativo, tra somatizzazione e verbalizzazione, e porta quindi ad implicazioni diverse anche per il trattamento. In questa visione, i sintomi somatici (e agìti) possono essere visti in alcune circostanze come adattivi e progressivi, piuttosto che sempre regressivi, come è stato spesso assunto. La preoccupazione del paziente per un particolare sintomo somatico può funzionare da tentativo di connessione, una connessione transizionale tra la computazione implicita, subsimbolica, del sistema di elaborazione viscerosensoriale e i contenuti interpersonali dello schema emozionale, piuttosto che un modo di resistere al formarsi della connessione, o un effetto della mancanza di connessione. Infant Research e regolazione affettiva L'intersoggettività ha una particolare attinenza con il preverbale. Sia perché lo scambio, che fonda la relazionalità, è all'origine del preverbale; sia perché nella vita quotidiana adulta accanto ai simboli verbali, esiste la fitta trama di messaggi “pre” e “para” verbale, che spesso hanno una potenza comunicativa maggiore delle parole stesse. La matrice relazionale ospita fra i suoi autori alcuni ricercatori illustri dell'Infant Research che hanno trovato ovvio e coerente riconoscersi nell'area dell'Intersoggettività. Quando parliamo di preverbale dobbiamo passare la questione allInfant Research e guardare a quei contributi delle origini che si sono subito prestati ad essere riconosciuti e impiegati nelle dinamiche adulte. L'Infant Research ha inizi sfumati ma con una certa approssimazione possiamo farlo iniziare da quella scuola di Boston che a partire dagli anni '60 vide diversi ricercatori alternarsi. All'inizio, la Mahler puntò la propria ricerca sul legame simbiotico fra madre e bambino. Successivamente il salto di qualità fra le ipotesi della Mahler e le scoperte progressive sull'Infant Research fu attuato grazie all'introduzione di micro registrazioni e alla lettura di micro filmati. Il cambio fondamentale del paradigma fu quello della competenza intersoggettiva primario del bambino, come soggetto attivo nella diade originaria, e dello statuto di intersoggettività preposto alla diade stessa in cui la madre è soggetto attivo a sua volta. Il bambino della Mahler è un bambino passivo: i suoi movimenti di risveglio alla vita sembrano trascinati dal grande flusso fisiologico che avanza, di separazione, individuazione, riavvicinamento, che lo attrae come una calamita verso il sentirsi uno e differenziato. Un po' come se fosse agito dalla separazione individuazione, come da una forza esterna. La madre della Mahler è ancora un oggetto: qualcuno che pian piano si differenzia dalla fusione col bambino ma rimanendo sempre erogatore di risposta ai bisogni non è un soggetto con un suo mondo interno, i suoi gusti e bisogni, la sua agency, che si relaziona col bambino. Con l'Infant research di Sander, Trehvarten, Tronick, Stern e Beebe ecc. la questione cambia radicalmente. Questi autori ci fanno scoprire un bambino che da subito è sempre di più è in grado di interagire, e di una madre che interagisce sua volta.. Viene microfilmata una sintassi preverbale dell'interazione madre-bambino che troviamo anche nell'analisi dei pazienti adulti. Le regole di questa sintassi si chiamano sintonia, dissintonia, transmodalità, autoregolazione, regolazione interattiva, principio di regolazione attesa, anticipazione, principio di rotturariparazione, principio di momenti affettivi intensi. A monte di tutti i discorsi che definiscono degli scambi della diade c'è la sintonia. La sintonia, così come definita da Stern, costruirà il mondo delle comunicazioni e della comprensione reciproca. Essa non si basa sulla similitudine dei comportamenti propria dell'imitazione e neppure sul sentire insieme le emozioni proprie dell'empatia; quanto nel comprendere di affetti profondi dell'altro e successivamente riproporli con comportamenti diversi attraverso un vocabolario diverso. Ossia due sono i punti in questione: la comprensione dell'affetto e quindi la segnalazione della comprensione avvenuta con un comportamento diverso. La bambina di Stern afferra un giocattolo e fa “aaahh” per 3 secondi. La madre non la imita, ma si sporge verso di lei muovendo il viso per 3 secondi, per la durata dell”aaahh”. Nella sintonia è racchiusa una molteplicità di significati: ti ho compreso te parliamo lo stesso linguaggio affettivo - cioè il significato della complicità e della similitudine affettiva e dell'unisono delle soggettività. - Tuttavia ti rispondo con un comportamento diverso dal tuo: ti sto mostrando come nell'espressione dei sentimenti si possa essere diversi, originali ed unici – cioè il significato della separatezza, della soggettività e dell'agency. Alla base di tutto questo c'è il fatto che ti riconosco come individualità separata che si connette a me, con la quale io stessa mi connetto significato del riconoscimento della soggettività altrui che sta alla base della sintonizzazione: prima vi è il riconoscimento. La sintonizzazione si alterna con la desintonizzazione o movimenti di rottura che vanno da una banda minima utile ad una massima, traumatica. Il bambino quando è sazio, stacca lo sguardo e stacca il faccia a faccia. Si desintonizza. Entra in uno stato di riflessività dell'io cioè è solo in presenza dell'altro ( Winnicott). Così può essere il paziente quando è saturo di relazione analitica. Così l'analista che metacomunica sul rapporto, sul transfert, sul paziente, interpretando. L'interpretazione stacca. Queste dissintonie, queste rotture avvengono in dosi minime, quindi positive e riparabili. Altrove, invece, le dissintonie rappresentano vere violazioni della soggettività, non sempre riparabili, dagli esiti imprevisti. Per concludere possiamo dire che tutte queste concezioni indicano che perfino all'età di tre mesi i bambini non rispondono al cibo semplicemente perché viene proposto, ma che al contrario gli eventi producono effetti duraturi poiché vengono trasformati in rappresentazioni interne. Sostenere la possibilità che il bambino abbia rappresentazioni interne nei primi mesi, o presimboliche, era una novità, (l'idea prevalente di allora riservava il termine di rappresentazione al livello simbolico). La regolazione psicobiologica tra i principali modelli di ispirazione psicoanalitica. Al di là dell'Infant Research, il concetto di regolazione e il problema della sua interiorizzazione può essere ritrovato in tutti i modelli psicoanalitici ad impronta relazionale. Seguendo la proposta di Taylor si possono esaminare i seguenti modelli: La psicologia del Sè. La regolazione viene effettuata dal sistema Sè/Oggetto Sè. Rispetto ad altri modelli c'è una maggiore enfasi sul soddisfacimento dei bisogni del Sè da parte degli Oggetti-Sè, quindi una maggiore responsabilità assegnata all'accudente rispetto al contributo del bambino e ad un'idea di maggiore concordanza. Anche se autori successivi come Bacal hanno sottolineato la necessità che anche il bambino si presti a svolgere funzioni di Oggetto-Sè nei confronti del genitore. Rispetto al problema dell'interiorizzazione a seguito di “fallimenti ottimali”, il bambino gradualmente abbandona la fusione con l'oggetto primario, ed interiorizza il sistema sé/Oggetto-Sè, anche se continuerà ad avere rapporti con oggetti-sè più maturi. Winnicott: è stato forse il primo a sottolineare in modo deciso quanto la mente (e ovviamente anche il corpo) del bambino non potevano essere visti come un sistema isolato, ma come, specie nelle prime epoche di vita, madre e bambino formassero un sistema integrato, quello che oggi si chiama regolazione reciproca. Il concetto di oggetto transizionale fornisce un ponte tra la regolazione effettuata dalla madre e la possibilità di autoregolazione, situandosi nell'area intermedia (spazio potenziale) tra l'illusione di essere tutt'uno con la madre e la consapevolezza di essere da lei separato, tra la concretezza del contatto e il rappresentare simbolicamente l'oggetto assente. Se tutto procede bene anche l-oggetto transizionale viene interiorizzato e diviene parte della struttura psichica del bambino con funzioni di autoregolazione e di conforto. Bion: Diverse teorie psicoanalitiche del passato hanno esplicitato le funzioni regolatrici dei cosiddetti oggetti interni (Klein, Fairbairn, Kernberg, Balint, ecc). Un autore in particolare Bion con la sua teoria sulla funzione alfa e della reverie materna quello che più si approssima ad un modello di regolazione e di interiorizzazione della regolazione. Anche se in un certo modo accadeva ad altri autori psicoanalitici che hanno dato importanza più alla relazione che alle pulsioni, manca quella caratteristica di reciprocità che caratterizza invece i modelli psicoanalitici più recenti, in particolare quelli legati alle teorie dell' Infant Research. Anche Bion sembra convergere con Winnicott quando affida la possibilità evolutive allo sviluppo di una funzione psichica (la funzione alfa) deputata a convertire i dati sensoriali (protomentali-elementi Beta) in elementi Alfa . Lo sviluppo della funzione alfa è interamente affidata alle vicende delle primitive relazioni madrebambino, dove un ruolo fondamentale viene affidato alla funzione di Reverie materna, descritta da Bion come quella capacità da parte della madre di trattare i dati sensoriali inelaborabili dalla coscienza rudimentale del bambino. La reverie è per Bion l'organo recettore della madre della massa di dati sensoriali sul proprio Sé raccolti dalla coscienza del neonato che, proprio perché non in grado di elaborarli da solo evacua (attraverso l'uso della identificazione proiettiva) dentro la madre affinché li digerisca e li restituisca al bambino carichi di senso, e quindi pensabili: il che conferisce ad essi qualità emotive positive. Se la proiezione delle angosce intollerabili non viene accolta dalla madre, il neonato sente che la sua sensazione di stare per morire (piuttosto che venire metabolizzata in sua vece) viene spogliata del suo peculiare significato: reintroietta non una paura di morire resa tollerabile ma un “terrore senza nome. Il fenomeno psicosomatico sarebbe allora una particolare forma di acting, di proiezione “intrasomatica”, in quanto le impressioni sensoriali e/o le esperienze emozionali primitive, non potendo essere mentalizzate vengono proiettate sul corpo. Dato che il bambino nella sua mente non si è ancore differenziato dal corpo, mente e corpo possono funzionare come un tutt'uno e il pensiero rimane concreto e autosensuale. Alessitimia e meccanismi difensivi Si possono delineare due principali prospettive teoriche: la prima concettualizza l'alessitimia come una difesa primaria e la seconda la identifica invece come un tratto stabile della personalità che si associa ad uno stile difensivo immaturo. Il primo contributo rilevante rispetto all'ipotesi che l'alessitimia potesse rappresentare una difesa nei confronti del dolore mentale è stato quello di Joyce Mcdougall. Secondo questa psicoanalista francese la desaffectation (una specie di parola senza affetto) svolgerebbe una funzione difensiva rispetto a traumi precoci, attraverso un meccanismo difensivo definito forclusione, che consentirebbe di espellere dalla psiche tutte quelle percezioni, quei pensieri o fantasie insopportabili. Tale meccanismo manterrebbe una scissione tra psiche e soma e l'affetto non potrebbe essere rappresentato a livello simbolico. L'affetto si presenta secondo la McDougall come congelato nella sua capacità di farsi rappresentare. Secondo un altro autore importante in questo campo H. Krystal l'alessitimia è la conseguenza di un trauma psichico subito dal bambino prima che gli affetti siano stati pienamente desomatizzati, differenziati e rappresentati verbalmente. Tra le conseguenze di questo trauma infantile Krystal include l'arresto dello sviluppo affettivo e di quello dell'immaginazione, un'anedonia che resta stabile per tutta la vita e un timore nei confronti degli affetti stessi; quest'ultimi diventano opprimenti e traumatici a causa della loro natura rudimentale e dell'immaturità della mente del bambino. Numerose ricerche hanno rilevato delle correlazioni positive fra alessitimia e difese primitive. Ma Taylor suggerisce che anche se dalle sue ricerche si evidenzia tale correlazione, questo non significa che l'alessitimia debba essere concettualizzata come una difesa primaria, piuttosto può significare che l'alessitimia può essere considerata un tratto stabile della personalità che interagisce con una organizzazione difensiva primaria. In questi termini il problema risulta essere collegato alla complessità e alla multidimensionalità del costrutto di alessitimia che coinvolge gli aspeti sia cognitivi sia emotivoaffettivi del funzionamento mentale. Cenni sulla tecnica psicoterapeutica Sebbene gli studi sul ruolo della regolazione affettiva autonoma e interattiva nel processo psicoterapeutico è ancora agli inizi la ricerca osservazionale esistente sul rapporto madre bambino può offrire un modello utile per ipotizzare quali siano alcuni dei processi di cambiamento terapeutico, che avvengono a livello non verbale e che sono all'opera in terapia, e può aiutarci ad affinare la nostra comprensione teorica dei meccanismi coinvolti nel processo di contenimento terapeutico. Modulare la relazione può essere espresso attraverso un'ampia gamma di interventi, sia impliciti che espliciti da parte del terapeuta. Questo si può attuare in modulazioni del ritmo e della profondità del respiro; piccoli movimenti e adattamenti posturali, spostamenti della sedia, spostamenti dello sguardo, del volto e dell'attenzione.; vocalizi, borbottii, silenzi, parole frasi, interpretazioni. Da ciò che abbiamo fin qui scritto e perlustrando, i vari consigli sulla tecnica fatta dai diversi autori che si sono occupati di queste tematiche, possiamo evidenziare i seguenti punti: L'uso scarso, o anche del tutto assente, delle interpretazioni in senso classico va inteso nel quadro sia della teoria (carenza del livello simbolico, scarsa espressione emotiva, basso livello di introspezione, modello del deficit opposto a quello del conflitto) sia del rapporto terapeutico. La questione essenziale non è la possibilità di questi pazienti di giungere ad un insight ma la possibilità di fare nuove esperienze emotive e quindi di tollerare gradualmente una parte importante di sé, la parte affettiva, che invece tende ad essere negata, non riconosciuta, evitata, scaricata in modo grezzo ed indifferenziato, agita all'interno o più spesso all'esterno della relazione terapeutica (compreso il proprio corpo). Una funzione importante della terapia riguarda l'aspetto psicoeducativo. Il paziente ha bisogno di essere addestrato a 1) riconoscere che sta provando delle emozioni; 2) differenziare che tipo di emozione sta provando, a cominciare dal fatto apparentemente banale che l'emozione sia piacevole o spiacevole; 3) nominare le emozioni al fine di poterle esprimere verbalmentee non solo manifestarle nel comportamento. Si tratta di un lavoro generale di unificazione degli affetti che comincia dal livello spesso più accessibile per il paziente: l'informazione sui meccanismi neurofisiologici e psichici che consentono ad un essere umano di provare delle emozioni e di riconoscerle. Il terapeuta potrebbe trovarsi di fronte alla possibilità di spiegare che il pz sta vivendo delle emozioni ma che le avverte come stati fisici e non le sente a livello psichico e rappresentativo e che gli stati emotivi tendono ad autoalimentarsi in intensità e durata e quindi possono essere regolati dall'individuo. E' un processo lento e noioso perchè le osservazioni vanno ripetute molte volte senza mai darle per acquisite definitivamente e che, può minare l'autostima professionale e la tolleranza affettiva del terapeuta, innescando anche dinamiche controstransferali negative di cui il terapeuta può non accorgersene. Nel corso della terapia, è importante dirigere continuamente l'attenzione del pz. Sulle espressioni comportamentali delle emozioni, unico livello in cui spesso è in grado di esprimere gli stati affettivi. Importante è l'attenzione prestata dal terapeuta alla relazione su “Qui ed ora”, per esempio far notare al pz. che sta muovendo nervosamente le mani o le gambe e chiedere cosa sta provando in quel momento, allo scopo di facilitare la comunicazione fra due livelli molto lontani fra di loro: da un lato l'espressione fisica dell'emozione ansiosa e dall'altro l'assenza di rappresentazioni mentali del contenuto ansioso. E' evidente che la comunicazione non verbale tra paz. e terapeuta è estremamente importante: da qui l'inutilità in queste terapie dell'uso del lettino. Il terapeuta deve fornire un continuo rinforzo ad usare le manifestazioni affettive come segnali. Il passo successivo rispetto al punto precedente è costituito dall'invitare il pz. A stabilire dei legami fra ciò che sta provando e ciò a cui sta pensando o alle preoccupazioni che stanno dietro i pensieri su cui si sta concentrando, e quindi a ciò che accade nella sua vita normale che il più delle volte gli appare distante da quanto avviene nella terapia. Molti autori sottolineano l'importanza della vita onirica, per esempio chiedendo esplicitamente al pz. di parlare dei propri sogni. L'aspetto essenziale qui non è l'interpretazione del contenuto latente dei sogni ma comunicare al pz che ciò che accade nei suoi sogni può essere importante per capire una dimensione affettiva che è carente nella sua vita cosciente, legando contenuti manifesti, eventi quotidiani, reazioni emotive attuali ed episodi del passato. Rinforzare l'uso di “potenziali sublimatori” ossia tutte quelle esperienze che consentono di non agire direttamente le emozioni ma di inserirle in una cornice di attività maggiormente controllata e di tonalità emotiva positiva. Spesso si tratta di rinforzare semplicemente le attività del tempo libero, la creatività, il gioco, ossia tutti quegli aspetti di soggettività che possono diventare sempre più schemi mentali di elaborazione individuale delle emozioni. Incoraggiare attivamente le attività che procurano piacere significa spesso spingere il pz. a provare la dimensione positiva del corpo. Non solo quindi le sensazioni negative (dolore sintomi) o rilassamento (annullare la tensione fisica) ma di sentire le emozioni positive collegate al fatto di “usare” il corpo a scopo di piacere. Il terapeuta quindi agisce su due versanti. Sul versante affettivo, la sua è la tipica funzione di contenitore emotivo: il pz. di solito spaventato del semplice fatto di provare le emozioni, per cui il terapeuta che lo invita a parlare di emozioni deve anche comunicargli nello stesso tempo di essere in grado di metabolizzarle al proprio interno e di poterle gestire insieme senza esserne spaventati. Invece sul versante diciamo cognitivo, il terapeuta funge da Io ausiliario esterno, ossia presta le proprie funzioni dell'Io al pz. non solo sul piano di un migliore adattamento ma sul controllo e la gestione degli stati affettivi. Qui il paziente può regolarmente frustrare i tentativi del terapeuta dovuti all'incapacità del paziente di simbolizzare. Questo può essere confuso come una resistenza inconscia piuttosto che un vero deficit e può generare i problemi controtransferali che abbiamo detto sopra. Le modificazioni della tecnica riguardano più la forma che il contenuto della comunicazione fra paziente e terapeuta e sono finalizzate ad ampliare la consapevolezza del paziente dei deficit nel modo di vivere ed elaborare le emozioni. Fare esperienze emotive e poter pensare agli affetti significa, in senso psicoanalitico, ridurre la scissione interna fra parti di sé razionali e adattive in cui il paziente si identifica e parti di sé considerate come non-me che vengono disadattativamente negate. Bibliografia essenziale: Bucci W. Psicoanalisi e scienza cognitiva, Fiorini ed Roma 1997 Caretti V. Alessitimia. Astrolabio, 2006 Roma Caretti V. Trauma e psicopatologia, 2009 Astrolabio Roma Krystal H. Affetto, trauma e alessitimia. Ed. magi 2007 Mcdougall J. I teatri del corpo Raffello Cortina Milano Solano L. Tra mente e corpo. Cortina 2013 Taylor G. I disturbi della regolazione affettiva. Fiorini ed. Roma 1999 Taylor G. Medicina psicosomatica e psicoanalisi contemporanea, Astrolabio Roma 1990 Taylor G. La valutazione dell'alessitimia con il Tsia. Cortina Milano, 2014 Todarello, Porcelli. Medicina psicosomatica e psicologia clinica, Raffaello Cortina Milano Dott. Ivano Frattini, Psicologo clinico, psicoterapeuta psicoanalitico, gruppoanalista, psicosomaticista. Ass. Centro studi e ricerche in terapia psicosomatica di Bologna-.-Ass. Psicologi per il territorio di Forlì Ass. “Essere Con” di Forlì- Ass. “Itaca” Di Rimini Tel 3295416694 email: [email protected]