I livelli serici degli acidi grassi, biomarkers del loro apporto

FLORILEGIUM
Attualità in tema di Prevenzione
Nutrizionale
delle Malattie Cardiovascolari
a cura di:
Cuore
olio di semi di mais
con la Consulenza Scientifica di:
N.F.I. - Nutrition Foundation of Italy
Direttore Responsabile
Dott. Andrea Poli
Segreteria di Redazione
Olio Cuore - Divisione di Bonomelli S.r.l.
Servizio Relazioni Medico-Scientifiche
Via Montecuccoli, 1 - 23843 Dolzago (LC)
Telefono 0341/453.366
E-mail [email protected]
Pubblicazione Riservata ai Sigg. Medici
Presentazione
Gentile Collega,
Florilegium è ormai giunto alla sua nona edizione: ed anche
quest’anno ha selezionato per lei alcuni dei temi più moderni, e
secondo noi più interessanti, presenti nella letteratura scentifica
internazionale sulla relazione tra alimentazione e salute. Abbiamo
cercato di dare a questo numero una sorta di taglio “monografico”:
concentrato sugli omega 6 e sui loro effetti salutistici, valutati anche
mediante tecniche innovative che si sono grandemente diffuse negli
ultimi anni.
Questo numero è quindi arricchito dai contributi di Francesco Visioli,
dell’Università Pierre e Marie Curie di Parigi, che ha esaminato in
dettaglio i multiformi effetti dei PUFA omega 6 (e soprattutto dell’acido
linoleico) sulla salute umana, e di Antonio Gaddi ed Arrigo Cicero,
dell’Università di Bologna, che discutono le evidenze relative al
controllo nutrizionale della colesterolemia.
Un tema sul quale Florilegium torna sovente, per la grande importanza
che la riduzione dei livelli di questo fattore di rischio gioca nella
prevenzione cardiovascolare.
Nella letteratura commentata, nuovi dati, in parte raccolti nel nostro
Paese, sulla relazione tra il consumo dei vari acidi grassi e la
fisiopatologia di condizioni di grande importanza per il benessere
presente e futuro nostro e dei nostri pazienti.
Olio Cuore contribuisce a sostenere la
Ci auguriamo che Florilegium sia diventato per voi un appuntamento
piacevole e stimolante al tempo stesso, e rinnoviamo l’invito, a chi
avesse suggerimenti, proposte o critiche, a mettersi in contatto con
noi.
Giornata Mondiale per il Cuore
promossa e realizzata da
Fondazione italiana per il cuore
Andrea Poli
Nutrition Foundation of Italy
Prefazione
La continua evoluzione della ricerca nutrizionale moderna sta “ridisegnando”
le informazioni sulla relazione tra il consumo dei vari acidi grassi e le malattie
degenerative tipiche dell’età avanzata (prima tra tutte l’arteriosclerosi).
Si sta infatti passando dalle stime del consumo alimentare dei grassi stessi
(valutato mediante interviste, questionari strutturati, parametri indiretti)
alla misurazione diretta delle loro concentrazioni in campioni di natura
biologica (quali ad esempio il sangue). E’ un salto di qualità di notevole
importanza: perché permette di eliminare l’effetto di errori metodologici di
fatto ineliminabili (soprattutto l’imprecisione del racconto o dei ricordi del
paziente) e della variabilità individuale nell’assorbimento e nel metabolismo
dei vari acidi grassi, definendo così con chiarezza molto maggiore la loro
relazione con i fattori di rischio e le malattie tipiche della società moderna.
E’ ragionevole immaginare che queste nuove informazioni aumenteranno la
nostra efficacia nel mantenere, mediante un’alimentazione appropriata, lo
stato di salute: e mi fa particolare piacere che “Florilegium”, che Olio Cuore
da anni diffonde nel nostro Paese, sottoponga criticamente questi argomenti
all’attenzione del medico che svolge attività clinica.
Sono lieto di inviarle i miei migliori auguri di buon lavoro
Indice
Il controllo non farmacologico della colesterolemia
A. Gaddi ed A. Cicero (Università di Bologna)
Sono sempre più numerose le evidenze che sottolineano l’importanza del controllo
della colesterolemia in prevenzione cardiovascolare. La conoscenza degli interventi
dietetici in grado di ridurre la colesterolemia totale, e soprattutto la frazione aterogena
(LDL-c), continua quindi a rivestire un grande interesse sia clinico che generale.
Gli acidi grassi omega 6 ed il rischio cardiovascolare
F. Visioli (Università Pierre e Marie Curie, Parigi)
In un periodo nel quale gli acidi grassi omega 3 sembrano polarizzare l’attenzione
dei nutrizionisti e degli esperti di prevenzione cardiovascolare, una revisione delle
multiformi attività degli omega 6, anche al di là della loro ben nota azione sul profilo
lipidico, presenta interessanti sorprese.
Letteratura commentata
Bassa aderenza di una popolazione di soggetti italiani clinicamente sani alle
raccomandazioni nutrizionali per la prevenzione delle malattie croniche.
Sofi F et al., Nutr Metabol Cardiovasc Dis 2006 ; 16: 436-44.
Prof. Rodolfo Paoletti
Presidente, Nutrition Foundation of Italy
I dati raccolti in un campione di popolazione da questo gruppo di ricercatori fiorentini
indicano che le linee guida per la prevenzione cardiovascolare sono seguite solo parzialmente dalla popolazione sana in prevenzione primaria. L’apporto di PUFA omega 6,
in particolare, è molto al di sotto dei suggerimenti pubblicati.
Fattori di rischio metabolici per l’ictus e gli attacchi ischemici transitori (TIA)
in uomini di mezza età. Uno studio nazionale di comunità con un follow-up a
lungo termine.
Wiberg B et al, Stroke 2006; 37: 2898-903.
I risultati di questo studio indicano che i livelli ematici di acido linoleico sono correlati
in maniera protettiva al rischio di ictus e di attacchi ischemici transitori (TIA), anche
dopo aver tenuto conto dell’azione di questo acido grasso sul profilo lipidico. Gli acidi
grassi saturi, come l’acido palmitico, aumentano invece in misura sensibile il rischio
di tali eventi.
Relazione tra i livelli plasmatici degli acidi grassi polinsaturi e di alcuni
markers circolanti di infiammazione.
Il controllo non farmacologico della colesterolemia
Ferrucci L. e coll, J Clin Endocrinol Metab 2006; 91: 439-46.
Antonio Gaddi, Arrigo Cicero – Università di Bologna
Gli effetti dei PUFA sull’infiammazione suscitano grande interesse nella comunità scientifica. Questo interessante e ben condotto lavoro italiano ha esaminato la
correlazione tra i livelli ematici dei PUFA omega 3 ed omega 6 ed un’ampia gamma di
indicatori di infiammazione, mostrando che ambedue le classi di PUFA, sebbene con
L’associazione tra i livelli della colesterolemia totale, e soprattutto della colesterolemia
differente intensità, svolgono un’azione antinfiammatoria.
LDL, e l’aumento del rischio di sviluppare malattie coronariche ed eventi
cardiovascolari, documentata da numerosissime osservazioni epidemiologiche, è
I livelli serici degli acidi grassi, biomarkers del loro apporto alimentare,
influenzano il livello del colesterolo ematico in una popolazione di adolescenti
ed adulti della Nuova Zelanda.
stata confermata da studi di intervento dai quali è emerso che la riduzione dei livelli
Crowe FL et al, Am J Clin Nutr 2006; 83: 887-94.
Poichè è ormai accertato che il profilo lipidico, ed in particolare la colesterolemia,
plasmatici del colesterolo comporta la riduzione dell’incidenza degli stessi eventi,
indipendentemente dal tipo di trattamento adottato.
Determinando la correlazione tra i livelli plasmatici di vari acidi grassi e la coleste-
è notevolmente influenzata (sia positivamente che negativamente) dallo stile di vita,
rolemia, gli autori hanno confermato, con maggiore precisione ed accuratezza degli
dalle abitudini alimentari e dai diversi componenti della dieta, macro e micronutrienti,
studi condotto valutando il loro apporto alimentare, gli effetti positivi dei PUFA omega
appare opportuno rivedere, seppure sinteticamente, le più recenti indicazioni relative
6 (acido linoleico) e negativi dei grassi saturi (e specificamente dell’acido miristico)
al trattamento dietetico di questa frequente condizione di rischio.
sulla colesterolemia totale ed LDL.
Grassi della dieta
Rapporto tra gli acidi grassi omega 6 ed omega 3 a livello tissutale e rischio
di malattia coronarica.
Alla prima osservazione, verso la metà del secolo scorso, della correlazione diretta
Harris W et al, Am J Cardiol 2006; 98(suppl): 19i-26i.
seguita una serie di ricerche che hanno valutato gli effetti dei diversi acidi grassi
Ha senso calcolare il “rapporto omega 3 / omega 6” per stimare il rischio cardiovascolare? Gli autori di questa metanalisi suggeriscono di no: la valutazione individuale
delle concentrazioni di ambedue queste classi di PUFA è più utile nel valutare il livello
di rischio, anche perché entrambe svolgono un effetto protettivo sul rischio cardiovascolare.
tra la quantità dei grassi assunti con gli alimenti ed i valori della colesterolemia, è
dietetici sul metabolismo lipoproteico e sul trasporto del colesterolo.
I dati disponibili in letteratura indicano che la sostituzione isocalorica di componenti
della dieta privi di effetto sul colesterolo, come i carboidrati, con grassi saturi e trans,
comporta l’aumento del colesterolo totale e LDL, le cui concentrazioni sono invece
ridotte dalla sostituzione con grassi polinsaturi a conformazione cis.
La lunghezza della catena degli acidi grassi saturi sembra essere il principale
determinante dell’effetto ipercolesterolemizzante, che è massimo per i composti a
12-16 atomi di carbonio (laurico, miristico e palmitico).
L’acido stearico, a 18 atomi di carbonio, non modifica invece significativamente il
colesterolo LDL.
In ogni caso le linee guida internazionali suggeriscono di contenere l’apporto di saturi
con la dieta al di sotto del 10% delle calorie totali.
I grassi con un solo doppio legame, come l’acido oleico, il principale costituente
dell’olio d’oliva, producono invece un incremento del colesterolo HDL parallelamente
ad una modesta o nulla riduzione della frazione aterogena legata alle LDL.
Un effetto decisamente ipocolesterolemizzante è invece posseduto dai grassi
polinsaturi della serie n-6 o omega 6, come l’acido linoleico, presente soprattutto
nell’olio di mais. In generale, un aumento dell’1% dei livelli di assunzione di grassi di
effetto ipocolesterolemizzante, che riguarda sia la colesterolemia totale che la frazione
questa serie metabolica, comporta la riduzione di circa 1 mg/dL del colesterolo totale.
LDL. Tuttavia l’incremento dei livelli di assunzione di carboidrati provoca l’aumento
Questo dato è confermato da importanti studi epidemiologici, che hanno rilevato una
dei livelli dei trigliceridi e la riduzione del colesterolo HDL, con un conseguente
riduzione del rischio cardiovascolare direttamente proporzionale all’aumento di n-6 di
aumento delle cosiddette “LDL piccole e dense”, più aterogene. In particolare gli
origine alimentare.
zuccheri semplici, come il glucosio e il fruttosio, sarebbero responsabili dell’effetto
Gli acidi grassi polinsaturi della serie n-3, o omega 3, influenzano invece soprattutto
ipertrigliceridemizzante, mentre il saccarosio provocherebbe anche la riduzione del
il metabolismo delle VLDL, riducendo a dosi elevate i trigliceridi, ma non modificano
colesterolo HDL.
significativamente il colesterolo LDL.
La suddivisione funzionale più attuale dei carboidrati è tuttavia basata sull’indice
glicemico, e cioè sull’effetto del consumo di un carboidrato o di un alimento
Clinici e nutrizionisti sono comunque concordi nel promuovere l’aumento dei livelli di
contenente carboidrati sulla glicemia e sull’insulinemia. La valutazione di questo
assunzione di grassi polinsaturi, sia n-6 che n-3, che secondo le indicazioni dell’ATP
parametro ha permesso di osservare che i carboidrati a basso indice glicemico
III possono rappresentare fino al 10% dell’apporto calorico complessivo.
hanno uno scarso effetto sia sulla trigliceridemia che sul colesterolo HDL, mentre
Vi sono invece indicazioni precise a contenere entro l’1% delle calorie totali il
quelli ad alto indice glicemico influenzano sfavorevolmente questi parametri lipidici.
consumo di acidi grassi insaturi trans (dalla conformazione del doppio legame),
Alcuni studi hanno infatti dimostrato che la colesterolemia HDL è inversamente
che sono contenuti prevalentemente nei grassi parzialmente idrogenati di origine
associata al carico glicemico, ovvero all’indice glicemico complessivo della dieta.
industriale (soprattutto le vecchie margarine “dure”).
Anche la fibra assunta con gli alimenti svolge un ruolo nella modulazione del
Questi grassi influenzano negativamente il profilo lipidico, aumentando il colesterolo
profilo lipidico: 5-10 g al giorno di fibre solubili, come le pectine, i beta glucani e
LDL e riducendo la frazione HDL, sembrano stimolare nell’organismo un’attività
l’emicellulosa, riducono anche del 5% i livelli di colesterolo LDL; in particolare,
proinfiammatoria.
secondo una recente metanalisi, ogni grammo di fibra abbassa di circa 2 mg/dL il
Secondo studi epidemiologici, il consumo elevato di grassi trans aumenta in modo
colesterolo totale, e di 2,5 mg/dL il colesterolo LDL, senza effetti significativi sulla
netto il rischio cardiovascolare, in termini di incidenza di eventi fatali e non fatali.
colesterolemia legata alle HDL.
Colesterolo alimentare
Etanolo e proteine vegetali
Il dibattito scientifico sugli effetti del colesterolo di origine alimentare, apportato dai
Altri nutrienti in grado di modulare il metabolismo o la composizione lipoproteica
cibi di origine animale, sui livelli plasmatici del colesterolo stesso, è ancora aperto.
sono l’etanolo (o alcool), che a dosi moderate (1-2 drink al giorno, pari a 13-
Infatti, è noto che il colesterolo assunto con la dieta aumenta le concentrazioni del
25 g/die) aumenta la colesterolemia HDL e riduce il rischio coronarico, e le
colesterolo LDL, ma l’ampiezza dell’aumento è limitata, e molto più contenuta rispetto
proteine di origine vegetale, che sono modestamente ipocolesterolemizzanti e
all’effetto dei grassi saturi e trans.
ipotrigliceridemizzanti, soprattutto se sostituite ad una quantità isocalorica di
La difficoltà nel determinare la rilevanza dell’impatto che il colesterolo della dieta
carboidrati.
esercita su quello plasmatico è attribuibile innanzitutto alla grande variabilità
individuale del metabolismo di questa molecola, associata sia a patologie sia a fattori
Interventi dietetici ipocolesterolemizzanti
genetici. In alcuni individui (cosiddetti “assorbitori”) il colesterolo alimentare viene
Alcuni fitocomposti possono essere utilmente integrati nella dieta in virtù del loro
infatti efficacemente assorbito dall’intestino e trasferito al fegato, che lo impiega per la
effetto ipocolesterolemizzante, supportato da una convincente letteratura scientifica;
sintesi di nuove lipoproteine, mentre in altri individui (“sintetizzatori”) la colesterolemia
le proteine della soia e gli steroli di origine vegetale sono esempi di queste sostanze.
LDL è condizionata soprattutto dalla sintesi epatica.
I fitosteroli, che si dividono in steroli e stanoli, sono molecole strutturalmente simili
I pazienti ipercolesterolemici, diabetici o cardiopatici, in ogni caso, non dovrebbero
al colesterolo, naturalmente presenti negli oli vegetali (in particolare nell’olio di mais)
assumere più di 200 mg/die di colesterolo con gli alimenti, mentre per la popolazione
e in concentrazioni minori nella frutta, nella verdura, nei semi e nei cereali, il cui
generale la raccomandazione è di non superare i 300 mg giornalieri.
apporto con la dieta occidentale non supera in media i 400-500 mg giornalieri. Essi
sono in grado di modulare, in modo dose-dipendente, l’assorbimento del colesterolo
Carboidrati e fibra
La sostituzione isocalorica di grassi saturi e trans con carboidrati ha in genere un
a livello intestinale, riducendo i livelli circolanti di colesterolo totale e soprattutto di
colesterolo LDL di circa il 10%, per dosi di consumo di 2 g/die circa. Questi composti
devono essere assunti ai pasti, nell’ambito di una dieta equilibrata e ricca di frutta e
Modesto è invece in genere il contenuto della dieta mediterranea in polinsaturi della
verdura; usati in modo appropriato essi non inducono effetti indesiderati rilevanti.
serie n-6, apportati prevalentemente dagli oli di mais, girasole e soia, che possono
La sostituzione di parte delle proteine della dieta di origine animale con proteine
contribuire efficacemente al controllo della colesterolemia totale ed LDL.
derivate dalla soia ha un effetto trascurabile nei soggetti con colesterolemia inferiore
La dieta Mediterranea può rappresentare quindi in Italia la base più appropriata per
a 230 mg/dL, ma può ridurre di circa il 20% il colesterolo totale ed LDL in pazienti
una strategia nutrizionale in prevenzione primaria. Per ottimizzarne le capacità di
ipercolesterolemici, senza modificare il profilo di trigliceridi ed HDL. La frazione
controllo della colesterolemia, tuttavia, è possibile “arricchirla” in quei componenti
proteica della soia sembra agire modulando l’espressione dei recettori per le apo-B.
funzionali (polinsaturi n-6, proteine di soia, fitosteroli) che posseggono una specifica
Ricerche più recenti hanno focalizzato l’attenzione sulle proteine del Lupinus albus,
attività in tal senso.
dotato di un’efficacia ipocolesterolemizzante paragonabile a quella delle proteine della
soia.
Calo ponderale
L’obesità addominale è sicuramente un fattore di rischio cardiovascolare, che spesso
si associa ad un profilo dislipidemico caratteristico, con bassa colesterolemia HDL e
trigliceridemia elevata, ad iperinsulinemia e ad ipertensione.
Il calo ponderale, soprattutto se ottenuto mediante una dieta a basso contenuto
di carboidrati, comporta in generale un miglioramento del quadro lipidico, e in
particolare la riduzione dei trigliceridi, più marcata nei soggetti sovrappeso o
francamente obesi. Dati discordanti riguardano invece l’effetto della riduzione del peso
corporeo sulla colesterolemia LDL, in pazienti a dieta ipolipidica. Tale effetto, in ogni
caso, è contenuto: l’associazione tra sovrappeso ed obesità ed ipercolesterolemia,
d’altra parte, non è particolarmente marcata.
Attività fisica
La maggior parte degli studi osservazionali indica una stretta correlazione tra il livello
dell’attività fisica praticata ed il metabolismo lipoproteico: uno stile di vita sedentario
si associa ad un profilo lipidico sfavorevole, mentre la pratica costante di almeno
un’attività di tipo aerobico (passeggiare, nuotare, andare in bicicletta) aumenta la
colesterolemia HDL e riduce i livelli di trigliceridi. Tali effetti sono tanto maggiori
quanto più intenso è l’esercizio fisico.
Il modello Mediterraneo
La dieta Mediterranea classica, a base di grassi monoinsaturi (olio di oliva),
carboidrati a basso indice glicemico (pasta), fibra (frutta e verdura), pesce latticini
e carne in quantità moderate, comprendeva la maggior parte dei nutrienti ad azione
ipocolesterolemizzante prima menzionati.
Numerosi studi di intervento nutrizionale hanno poi dimostrato effetti positivi della
dieta Mediterranea anche sull’aumento della capacità antiossidante plasmatica, sul
miglioramento della funzione endoteliale e del metabolismo dell’insulina: in generale,
in effetti, la riduzione del rischio cardiovascolare osservata con una dieta di questo
tipo è solo in parte attribuibile all’effetto sul profilo lipidico (spesso contenuto).
Acidi grassi della serie omega 6 e rischio cardiovascolare
rischio cardiovascolare se si stimolano contemporaneamente processi metabolici
Francesco Visioli
frazioni lipidiche plasmatiche, la pressione arteriosa, la trombogenicità, la resistenza
Université Pierre et Marie Curie – Paris 6, France
insulinica, i livelli di stress ossidativo, la funzione endoteliale ed il rischio di aritmie
di tipo protettivo. Ad esempio, la dieta ed i suoi componenti influenzano anche le
ventricolari.
L’effetto globale di un singolo fattore dietetico sul rischio cardiovascolare è quindi
I principali acidi grassi essenziali della dieta, sul piano quantitativo, sono l’acido
dato dal risultato del bilancio tra influenze positive e negative su tutti questi
alfa-linolenico (ALA, acido grasso a 18 atomi di carbonio della serie n-3 o omega 3)
meccanismi (e su altri ancora in fase di identificazione).
e l’acido linoleico (LA, pure a 18 atomi di carbonio, ma appartenente alla serie n-6 o
omega 6). Ambedue questi acidi grassi vanno incontro, nell’organismo, a processi di
Effetto sui marker di infiammazione
elongazione e desaturazione, mediati dagli stessi sistemi enzimatici, che portano alla
Diversi dati sperimentali suggeriscono che gli acidi grassi della serie omega 6
formazione, rispettivamente, di acidi grassi omega 3 a lunga catena (EPA, a 20 atomi
esercitano effetti antinfiammatori mediati da vie di segnale che non coinvolgono
di carbonio con 5 doppi legami e DHA, a 22 atomi di carbonio con 6 doppi legami) e
l’enzima ciclossigenasi. Sia gli omega 3 che gli omega 6 inibiscono la produzione
di acido arachidonico (a 20 atomi di carbonio, con 4 doppi legami).
di fattori infiammatori da parte delle cellule endoteliali, modulando negativamente
l’attività dell’importante fattore nucleare NFkB.
Per effetto dell’enzima ciclossigenasi (COX), l’acido arachidonico si converte in
Vi sono in realtà pochi studi che abbiano esaminato gli effetti del consumo di omega
prostaglandine (per lo più ad attività pro-trombotica e pro-infiammatoria), mentre gli
6 sui fattori di infiammazione. In uno studio trasversale condotto su 859 uomini
acidi grassi della serie omega 3 formano eicosanoidi ad azione anti-trombotica ed
e donne, Pischon et al. hanno classificato gli individui in base al loro consumo di
anti-infiammatoria.
acidi grassi delle serie omega 6 ed omega 3, esaminando poi le correlazioni con le
Dato che tra le due vie metaboliche vi è quindi competizione, l’acido linoleico
concentrazioni plasmatiche dei recettori solubili del tumor necrosis factor (TNF), un
potrebbe, sul piano teorico, inibire la conversione di ALA ad acidi grassi omega 3 a
indicatore stabile dell’attività di quest’ultimo.
lunga catena, e quindi lasciare via libera alla produzione di acido arachidonico ed alla
I livelli circolanti più bassi del recettore solubile di TNF-2 si sono riscontrati tra gli
formazione di molecole pro-infiammatorie.
individui con i più alti livelli di consumo di omega 3 ed omega 6 (Figura 1).
Sulla base di questi presupposti, e nata l’ipotesi che il consumo di LA tramite la dieta
possa favorire i processi infiammatori nell’organismo, ed aumentare quindi il rischio
figura 1
di sviluppare patologie cardiovascolari. Vi sono altresì teorie che vedono nel rapporto
omega 3/omega 6 un importante fattore modulatorio del rischio cardiovascolare.
1060
tissutali di acido arachidonico.
Tuttavia, i livelli di acido arachidonico sono a loro volta finemente regolati, ed il
consumo di acido linoleico in quantità plausibili con una dieta adeguata non modifica
in modo sensibile le concentrazioni circolanti dell’acido arachidonico stesso. Inoltre,
le ricerche di questi ultimi anni stanno dimostrando che il rischio cardiovascolare può
860
1
(0,02)
2
(0,05)
Quartile EPA+DHA
(% energia)
3
(0,10)
4
(00,19)
4 (6,19)
ai quali il consumo di acido linoleico si correla strettamente con i livelli circolanti e
3 (4,95)
cardiovascolari è in larga parte basato su meccanismi teorici di competizione, in base
950
2 (4,21)
L’ipotesi che il consumo di acido linoleico abbia affetti negativi sul rischio di patologie
1 (3,37)
epidemiologiche e studi sperimentali.
sTNF-R1 (pg/ml)
Vediamo, in quest’articolo, di verificare queste teorie sulla base di osservazioni
Quartile cis-LA
(% energia)
essere infuenzato dai fattori dietetici tramite varie vie metaboliche.
Dal momento che l’acido linoleico esercita diverse funzioni fisiologiche, aumentati
Risultati simili si sono ottenuti dosando i livelli del recettore solubile TNF-1.
consumi di questo acido grasso non si traducono necessariamente in aumentato
Nonostante questi esperimenti siano da riconfermare, alti livelli di consumo di
acidi grassi omega 6 non sembrano aumentare le concentrazioni di markers di
riportato un rischio di sviluppare diabete di tipo II del 20% inferiore a quelle che si
infiammazione, anzi sembrerebbero ridurli (vedi oltre).
posizionavano ai più bassi livelli di consumo (Figura 2).
A partire dagli anni ’60 si sono riconosciuti gli effetti ipocolesterolemizzanti degli acidi
grassi polinsaturi, in particolare dell’acido linoleico. Questi effetti sono stati descritti
da dozzine di trial clinici condotti in condizioni controllate.
I risultati sono stati riassunti nelle note (almeno agli addetti ai lavori) equazioni di
Keys ed Hegsted. Nonostante vi siano differenze tra queste equazioni, i loro risultati
in termini di ruolo degli acidi grassi saturi (che si correlano positivamente con la
colesterolemia) e degli acidi grassi polinsaturi (che si correlano negativamente con la
colesterolemia) sono pienamente condivisi.
1,4
RR Multivariato di sviluppare diabete
Effetti sui lipidi circolanti
figura 2
1,0
0,6
Q1
Q2
Q4
Q3
Gli studi di supplementazione condotti in condizioni controllate sono invece oggetto di
Q5
Quintili di consumo
un’equazione formulata da Mensink e Katan, che hanno analizzato gli effetti degli acidi
Saturi
Mono
Poli
Trans
grassi dietetici espandendo le loro considerazioni anche alla colesterolemia LDL, a
quella HDL ed alla trigliceridemia.
Dal momento che la resistenza insulinica aumenta la produzione di fattori
Questi studi, in sostanza, rivelano che, a confronto con i carboidrati, gli acidi grassi
infiammatori, gli effetti positivi dell’acido linoleico sulla resistenza insulinica
polinsaturi riducono la colesterolemia LDL, aumentano blandamente la colesterolemia
potrebbero ridurre gli ipotetici effetti pro-infiammatori che si sviluppassero per altre
HDL e riducono la trigliceridemia.
vie.
Sulla base delle equazioni di Keys ed Hegsted citate sopra, i consigli dietetici e le
Rischio di patologie cardiovascolari
linee guida alimentari di USA e paesi occidentali negli anni ’60, ’70 ed ’80 hanno
Nonostante si rendano necessari ulteriori studi sugli effetti metabolici degli acidi
indirizzato verso la sostituzione degli acidi grassi saturi con quelli polinsaturi, in modo
grassi omega 6, il tema più importante resta quello della correlazione tra il loro
da ottenere benefici doppi in termini di riduzione della colesterolemia.
consumo ed il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari. Come prima ricordato,
Come risultato di queste linee guida, i consumo di acidi grassi polinsaturi
il consumo di acido linoleico è fortemente aumentato nel mondo occidentale a partire
(principalmente acido linoleico) negli USA è cresciuto da circa il 3% dell’apporto
dagli anni ’60.
calorico degli anni ’50 a circa il 6-7% dei giorni nostri.
Nello stesso periodo (dal ’60 a metà degli anni ’80), la mortalità per patologie
Queste modificazioni si riflettono in un aumento delle concentrazioni di acido linoleico
cardiovascolari è diminuita di circa il 50%, sia negli uomini sia nelle donne. Pur con
misurabili nel tessuto adiposo.
tutte le difficoltà connesse allo stabilire relazioni di causa-effetto, alcuni ricercatori
Effetti sulla resistenza insulinica e sul rischio di sviluppare diabete di tipo II
(ad esempio, Dwyer ed Hentzel) hanno concluso che l’aumentato consumo di acido
linoleico è probabilmente il principale fattore singolo responsabile di questo calo
Studi di supplementazione condotti in condizioni controllate hanno dimostrato che un
di mortalità cardiovascolare. Nello stesso periodo citato sopra, sono stati anche
aumento di consumo di acidi grassi polinsaturi, soprattutto acido linoleico, ha effetti
condotti diversi trial di intervento utilizzando alti livelli di consumo di acido linoleico
benefici sulla resistenza insulinica.
in prevenzione cardiovascolare. Questi trials hanno utilizzato prevalentemente olio di
Studi prospettici di ampie dimensioni hanno anche dimostrato che il consumo di
semi di mais, che contiene alte percentuali di acido linoleico e basse quantità di ALA,
acido linoleico correla inversamente al rischio di sviluppare diabete di tipo II.
ed olio di semi di soia, anch’esso ricco in acido linoleico.
Lo studio più dettagliato in questo senso è stato condotto da Salmeron et al., che,
Nonostante l’olio di semi di soia contenga fino all’ 8% di ALA, il rapporto omega
all’interno del noto progetto Nurses’ Health Study, hanno valutato proprio gli effetti del
6/omega 3 è di circa 7. In tutti e quattro i principali studi effettuati in quest’area (il
consumo di acido linoleico sul diabete di tipo II.
British MRC Soy Oil Study, il Dayton Study of Veterans in the US, lo studio di Leren
In questa analisi, le donne con il maggior consumo di acido linoleico hanno
in Norvegia el il Turpeinen Study in Scandinavia), la colesterolemia plasmatica è
calata di circa il 12-15%. Il risultato più importante, però, è stato il calo di mortalità
Questa associazione è più forte di quanto si potrebbe calcolare semplicemente in
cardiovascolare, attestatosi tra il 10 ed il 45% (Figura 3).
base agli efeftti di LDL ed HDL, sostenendo così in modo chiaro l’ipotesi di effetti
Diete a basso consumo di g grasso
importanti su altre vie metaboliche.
Diete ricche in poliinsaturi
In un’ulteriore analisi del Nurses’ Health Study, Hu et al. hanno esaminato l’ALA ed il
10
rapporto tra ALA ed acido linoleico in relazione al rischio cardiovascolare.
MRC low fat
Differenza in CHD (%)
0
Anche il consumo di ALA si è inversamente correlato al rischio cardiovascolare,
Dart
-10
dimostrando così che il rapporto tra i due acidi grassi non è molto importante, in
MRC soy oil
-20
quanto sia il numeratore che il denominatore hanno effetti benefici sul rischio.
Dayton
Considerazioni di sicurezza d’uso
Leren
-30
Qualche ricercatore ha formutato l’ipotesi che alti livelli di consumo di acido linoleico
-40
possano aumentare il rischio di neoplasie, in particolare del cancro della mammella.
Turpienen
-50
-3
-4
-5
-6
Figura 3
-7
-8
-9
-10
-11
-12
-13
-14
-15
Modificazioni della colesterolemia (%)
Queste ipotesi derivano da studi su animali, in cui sono state utilizzate diete
“estreme”.
A livelli di consumo di acido linoleico molto bassi, non adattabili alla situazione
Da segnalare che nel Dayton Study, che ha prodotto effetti notevoli in termini di
umana, si nota un rallentamento dello sviluppo dei roditori, ed una riduzione
cardioprevenzione, l’olio di semi di mais è stato utilizzato per aumentare l’introito
dell’incidenza dei tumori mammari. Parallelamente, a livelli di consumo estremamente
di acido linoleico fino al 20% delle calorie totali. La correlazione tra consumo
elevati (40% delle calorie da olio di mais), si nota un aumento dello sviluppo di questi
di polinsaturi totale o di acido linoleico e rischio cardiovascolare è stata anche
tumori nello stesso modello animale.
esaminata in diversi studi prospettici con ampia casistica. Sono state notate
associazioni inverse statisticamente significative in 5 di 13 studi e, osservazione
Tuttavia, gli studi umani a lungo termine non mostrano alcun aumento dell’incidenza
molto importante, non è mai stata notata una correlazione diretta tra consumo
di tumori all’interno del range di consumo di polinsaturi tipico di USA ed Unione
di acido linoleico e rischio cardiovascolare. L’analisi più dettagliata che sia stata
Europea. Ad esempio, in un’analisi complessiva di 7 studi prospettici di coorte che
condotta ad oggi è qualla all’interno della coorte del Nurses’ Health Study. In questo
hanno coinvolto circa 300.000 donne e registrato circa 5.000 episodi di tumore al
studio sono state seguite circa 90.000 donne per 14 anni, durante i quali si sono
seno, non si è notata alcuna correlazione tra livelli di consumo di acido linoleico e
registrate circa 1.000 morti per patologie cardiovascolari o ricoveri per infarto
rischio di cancro (Hunter et al., 1996).
miocardico acuto. I consumi dietetici sono stati valutati tramite l’uso di formulari
In quello che è, probabilmente, il più ampio studio caso-controllo effettuato in
validati che focalizzavano sui vari tipi di grasso alimentare. Per ogni incremento
quest’area, si è registrata addirittura una correlazione inversa tra consumo di acido
di consumo di polinsaturi del 5% (in sostituzione equicalorica ai carboidrati), si è
linoleico ed incidenza di tumore mammario. Anche una recensione della letteratura
osservata una diminuzione del rischio cardiovascolare di circa il 40% (Figura 4).
effettuata dal World Cancer Research Fund su dieta ed incidenza di tumori non ha
Saturi
Mono
Poli
Trans
Figura 4
trovato alcuna evidenza di un legame tra consumo di acido linoleico e rischio di
malattie neoplastiche nella specie umana.
Differenza in CHD (%)
Conclusioni
Sia gli acidi grassi della serie omega 3 sia quelli della serie omega 6 sono essenziali
ed i loro consumo riduce il rischio cardiovascolare. Per questo motivo il calcolo del
rapporto tra i due non è molto utile.
Per rinforzare il concetto, pensiamo che per ogni rapporto calcolabile le quantità
assolute potrebbero essere inadeguate (per assurdo, nell’ordine di milligrammi).
È quindi molto più utile valutare i livelli di consumo totali di acidi grassi, più che i loro
1%E
2%E
3%E
4%E
5%E
rapporti relativi.
Dal momento che l’aumento dei livelli di consumo degli omega 6, in particolare
12. Salmeron J, Hu FB, Manson JE, et al. Dietary fat intake and risk of type 2 diabetes
l’acido linoleico, si è associato ad un ridotto rischio cardiovascolare, non si capisce
in women. Am J Clin Nutr 2001;73:1019-26.
l’utilità di ridurre, come proposto da qualcuno, il loro consumo solo per migliorare dal
13. Turpeinen O, Karvonen MJ, Pekkarinen M, Miettinen M, Elosuo R, Paavilainen E.
punto di vista matematico il loro rapporto con gli omega 3.
Dietary prevention of coronary heart disease: the Finnish Mental Hospital Study. Int J
Al contrario, è possibile che una simile strategia possa aumentare il rischio
Epidemiol 1979;8:99-118.
cardiovascolare e quello di sviluppare diabete di tipo II, invertendo quindi la tendenza
14. World Cancer Research Fund, American Institute for Cancer Research. Food,
che si è instaurata negli ultimi 40 anni.
Nutrition and the Prevention of Cancer: a Global Perspective. Washington, DC:
Dal punto di vista osservazionale e sperimentale non si è ancora in grado di stabilire i
American Institute for Cancer Research, 1997.
livelli di consumo massimi di acido linoleico, ma si può calcolare nel 10% dell’energia
totale il livello che associa sicurezza d’uso con benefici cardiovascolari.
Bibliografia
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trial of a diet high in unsaturated fat in preventing complications of atherosclerosis.
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in Australia, USA and England and Wales with reference to three major risk factorshypertension, cigarette smoking and diet. Int J Epidemiol 1980;9:65-71.
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heart disease in women. N Engl J Med 1997;337:1491-9.
5. Hu FB, Stampfer MJ, Manson JE, et al. Dietary saturated fats and their food
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carbohydrates on the ratio of serum total to HDL cholesterol and on serum lipids and
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11. Pischon T, Hankinson SE, Hotamisligil GS, Rifai N, Willett WC, Rimm EB. Habitual
dietary intake of n-3 and n- 6 fatty acids in relation to inflammatory markers among
US men and women. Circulation 2003;108:155-160.
Bassa aderenza di una popolazione di soggetti italiani
clinicamente sani alle raccomandazioni nutrizionali per la
prevenzione delle malattie croniche.
Sofi F et al., Nutr Metabol Cardiovasc Dis 2006 ; 16: 436-44.
Riassunto
soggetti sono stati inoltre valutati anche dal punto di vista antropometrico, dell’attività
fisica e dei dati di biochimica clinica.
I dati raccolti sono numerosi ed interessanti (tabella). Il consumo calorico medio,
attorno alle 2000 calorie, si colloca in un’area prossima alle indicazioni delle linee
guida nutrizionali, confermando che l’apporto calorico medio della popolazione
italiana è appropriato. Elevata è invece la quota delle calorie di origine proteica, pari in
media al 17% del totale. Le calorie totali da grassi, viceversa, sono sostanzialmente
in linea con le più recenti indicazioni nutrizionali. È invece la composizione relativa
Background: numerosi studi mostrano che le abitudini alimentari influenzano in modo
dei diversi acidi grassi ad essere molto diversa da quanto suggerito dalle linee
significativo lo stato di salute di una popolazione. Negli ultimi anni, tutte le principali
guida; in particolare il consumo di acidi grassi polinsaturi è in media pari al 3,2%, ed
associazioni scientifiche hanno prodotto e diffuso raccomandazioni nutrizionali
inferiore al 3% tra i maschi, contro un valore suggerito compreso tra il 6 ed il 10%.
per la prevenzione delle malattie cronico- degenerative, ma i dati disponibili relativi
L’apporto di colesterolo alimentare è invece inferiore a 200 mg/die (e quindi ottimale);
all’aderenza dei soggetti sani a queste raccomandazioni sono relativamente scarsi.
il consumo medio di alcol, dell’ordine dei 10 g al giorno, suggerisce un consumo
Scopo di questo studio era quindi di valutare le abitudini alimentari e l’aderenza
complessivamente (e mediamente) moderato di questa sostanza.
della popolazione generale alle raccomandazioni per una corretta nutrizione diffuse
I ricercatori hanno esaminato anche l’apporto con gli alimenti di diverse vitamine
dall’OMS e dall’Istituto Nazionale Italiano per la Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione.
e minerali, identificando valori di intake particolarmente bassi per la niacina, molto
lontana dalle indicazioni degli obiettivi nutrizionali. L’apporto di vitamina C, al
Metodi e risultati: sono state valutate le abitudini alimentari e parametri biochimici ed
contrario, è decisamente elevato, e pari in media a oltre 130 mg al giorno. Molto
antropometrici di 932 soggetti clinicamente sani, residenti a Firenze, arruolati in uno
basso (e questo è forse il dato più preoccupante) anche l’apporto di frutta e vegetali,
studio epidemiologico condotto tra il 2002 ed il 2004. Di questi, 367 soggetti erano
pari a circa un terzo dei livelli di consumo raccomandati (attorno a 150 g/die contro
di sesso maschile, e 565 di sesso femminile. Confrontando il pattern nutrizionale
450-500 g circa sia per la frutta che per la verdura).
dei soggetti studiati con le indicazioni nutrizionali delle linee guida, si è osservato
Questi dati complessivamente mostrano come il pattern alimentare di una popolazione
che la popolazione in studio aveva abitudini di consumo che rendevano la loro dieta
di soggetti italiani sani sia quantitativamente appropriato, ma decisamente migliorabile
iperproteica ed iperlipidica, con un apporto al contrario considerevolmente basso
da un punto di vista qualitativo.
di acidi grassi polinsaturi (PUFA). In tutti e due i sessi si osservava inoltre un basso
Non si può non rilevare, in particolare, il basso contenuto della dieta dei soggetti
apporto di fibra alimentare. Inoltre, lo studio dei pattern di consumo alimentare ha
studiati in acidi grassi polinsaturi (specie della serie omega 6), il cui consumo
mostrato un aumentato apporto di alcuni alimenti come la carne, sia fresca che
si associa ad una riduzione dei livelli della colesterolemia ed ad un basso profilo
conservata o trattata, ed un basso apporto di alcuni cibi salubri come la frutta e le
di rischio cardiovascolare, e che anche in un paese mediterraneo come il nostro
verdure.
potrebbe essere utilmente aumentato.
Conclusioni: le abitudini dietetiche di una popolazione italiana clinicamente sana
CARATTERISTICHE DELL’ALIMENTAZIONE NEL CAMPIONE COMPLESSIVO E NEI SOGGETTI DEI DUE SESSI
sono caratterizzate da numerosi errori nutrizionali. In particolare, le evidenze raccolte
Complessivo
Maschi
Femmine
Goals
(n=932)
(n=367)
(n=565)
nutrizionali
mostrano un alto apporto di proteine animali, di grassi totali, ed un apporto molto
basso di acidi grassi polinsaturi.
Commento
In questa popolazione di soggetti fiorentini, di età media attorno ai cinquant’anni (49
anni per i maschi e 46 per le femmine, con un range da 31 a 98 anni) i ricercatori
hanno esaminato le abitudini alimentari utilizzando un questionario strutturato e
validato che comprendeva 109 cibi diversi. Per ogni alimento sono state valutate
non solo la frequenza di consumo, ma anche le dimensioni della porzione standard; i
Calorie totali (kcal)
2053.8 ± 580.4 2359.4 ± 632.7 1862.1 ± 449.7
Carboidrati (%kcal)
51.2 ± 7.2
51.0 ± 7.4
51.3 ± 7.0
55 - 75
Proteine (%kcal)
Grassi totali (%kcal)
17.1 ± 3.1
33.6 ± 6.7
16.7 ± 3.0
32.5 ± 6.3
17.3 ± 3.1
34.3 ± 6.9
10 - 15
15 - 30
SFA (%kcal)
9.6 ± 2.4
9.2 ± 2.3
9.8 ± 2.5
< 10
MUFA (%kcal)
12.8 ± 3.9
12.3 ± 3.9
13.1 ± 3.8
15 - 20
PUFA (%kcal)
PUFA/SFA (ratio)
3.2 ± 2.8
0.36 ± 0.28
2.9 ± 0.8
0.33 ± 0.11
3.4 ± 2.1
0.38 ± 0.12
6 - 10
0.6 - 1.1
Colesterolo (mg/giorno) 192.2 ± 82.7
211.6 ± 83.9
180.1 ± 79.7
< 300
15.5 ± 10.4
23.3 ± 7.2
6.1 ± 5.9
20.7 ± 6.3
<30M; <40F
25
Alcool (g/giorno)
Fibre (g/giorno)
9.7 ± 5.6
21.7 ± 6.8
Fattori di rischio metabolici per l’ictus e gli attacchi
ischemici transitori (TIA) in uomini di mezza età. Uno studio
nazionale di comunità con un follow-up a lungo termine.
Wiberg B et al, Stroke 2006; 37: 2898-903.
Riassunto
campione di uomini di mezza età seguiti per un periodo molto prolungato.
Commento
In questo studio di popolazione statunitense, la cui caratteristica principale è il periodo
molto prolungato di osservazione dei soggetti arruolati, i ricercatori hanno correlato
il rischio di ictus o di TIA con il livello di numerosi fattori di rischio cardiovascolare, e
con parametri biochimici indicativi dell’apporto di diverse sostanze e soprattutto dei
grassi alimentari.
Background ed obiettivi dello studio: l’impatto delle alterazioni glico- e lipo-
Mentre il rischio di eventi cerebrovascolari si associa in maniera attesa all’aumento
metaboliche sull’incidenza dell’ictus non è stato a tutt’oggi definito con chiarezza.
della pressione arteriosa, alla presenza di malattia diabetica o della sindrome
Abbiamo quindi indagato la correlazione tra un ampio numero di variabili di questa
metabolica, alcune indicazioni che derivano dalla correlazione tra i livelli di specifici
natura ed il rischio nel tempo di eventi cerebrovascolari, come l’ictus, fatale e non
acidi grassi nel plasma ed il rischio di questi eventi sono di un certo interesse.
fatale, i TIA, e sui diversi sottotipi di ictus, in uno studio di coorte.
È interessante innanzitutto sottolineare che i ricercatori hanno misurato direttamente
Metodi: i dati sono stati ottenuti da uno studio prospettico nazionale condotto su
la concentrazione degli acidi grassi negli esteri del colesterolo a livello plasmatico,
2.313 uomini di mezza età, invitati a una valutazione del proprio stato di salute all’età
utilizzando raffinate tecniche di natura gascromatografica, invece di valutarne
di cinquant’anni.
l’apporto alimentare.
I risultati suggeriscono che i livelli plasmatici di alcuni grassi saturi, come l’acido
Risultati: durante un follow-up medio di durata molto prolungata, fino a 32 anni, 421
palmitico, caratterizzati da una catena relativamente lunga e notoriamente dotati di
soggetti sono stati colpiti da un ictus oppure da un’attacco ischemico transitorio
effetti sfavorevoli sul rischio cardiovascolare, si associano anche all’aumento del
(TIA). In un modello statistico di Cox, dopo aver tenuto conto del trattamento con
rischio di ictus cerebrale. Sempre tra i saturi, i risultati tendono invece ad assolvere
farmaci cardiovascolari all’inizio dello studio, ogni deviazione standard di aumento
l’acido stearico, a 18 atomi di carbonio, caratterizzato da un profilo di effetti
dell’indice di massa corporea, della pressione sistolica e diastolica, dei livelli serici
sostanzialmente neutro sui lipidi ematici, ed in particolare sul tasso di colesterolo. Più
della proinsulina e della lipoproteina (a) si associava ad un aumento dall’11 al 35%
interessanti sono probabilmente i risultati relativi agli effetti acidi grassi insaturi sul
del rischio di eventi successivi di natura cerebrovascolare, come l’ictus o i TIA. Anche
rischio di ictus, con alcune indicazioni per certi versi sorprendenti.
l’ipertrofia ventricolare sinistra all’elettrocardiogramma ed il fumo di sigaretta erano
associati all’aumento del rischio di ictus e TIA. Le stesse variabili correlavano anche
I livelli plasmatici di acido oleico, per esempio, si associano ad un consistente
al rischio di infarto cerebrale o di TIA.
aumento del rischio, che raggiunge un’importante significatività statistica e che
Un’elevata proporzione di acido palmitico, palmitoleico ed oleico negli esteri del
è dell’ordine del 15 20% per ogni aumento di una deviazione standard dei livelli
colesterolo si associava ad un aumento del rischio cerebrovascolare, mentre una
plasmatici. Anche per gli acidi grassi della serie omega 3 (o n-3) non sembrano
più elevata proporzione di acido linoleico svolgeva un’azione opposta (e quindi
osservarsi effetti favorevoli, con un rischio relativo sostanzialmente prossimo all’unità
protettiva) nei riguardi del rischio di ictus e di TIA. Ulteriori aggiustamenti statistici
per le variazioni di apporto alimentare considerate.
del modello, per tenere conto in modo appropriato dell’effetto dell’ipertensione, della
E’ forse opportuno sottolineare come l’unico acido grasso caratterizzato da un
malattia diabetica, della sindrome metabolica, del tasso di colesterolo, della eventuale
evidente pattern di tipo protettivo nei riguardi dell’ictus, in questo studio, sia l’acido
prsenza di fibrillazione striale, di eventuali malattie cardiovascolari pregresse, del
linoleico, un polinsaturo della serie omega 6 a 18 atomi di carbonio (figura);
fumo di sigaretta e dei livelli dell’attività fisica, non modificavano in modo significativo
l’ampiezza dell’effetto è significativa, essendo pari al 25%, dopo 30 anni di follow-
i risultati ottenuti.
up, per i soggetti con tenore di acido linoleico al di sopra della mediana rispetto ai
soggetti al di sotto della mediana stessa.
Conclusioni: gli indici di un alto apporto alimentare di grassi non salubri, ed un alto
livello plasmatico della lipoproteina (a), sono importanti predittori del rischio di ictus
E’ noto che l’apporto alimentare di questo acido grasso, in molti studi osservazionali,
fatale e non fatale e di TIA, indipendentemente dei fattori di rischio classici, in un
si associa una riduzione della colesterolemia; la permanenza dell’effetto protettivo, in
questo studio, anche dopo l’aggiustamento statistico per i valori della colesterolemia
stessa, tuttavia, induce ad ipotizzare altri effetti protettivi dell’acido linoleico sul
rischio cardiovascolare, che si aggiungerebbero al controllo del profilo lipidico.
Lo studio di Wiberg, in conclusione, suggerisce che elevati consumi di oli ricchi in
questo composto (come l’olio di mais e gli altri oli di semi) possano indurre una
riduzione significativa del rischio cerebrovascolare; i potenziali effetti sfavorevoli
dell’acido oleico, rilevati in un contesto alimentare dove la fonte principale di questo
Relazione tra i livelli plasmatici degli acidi grassi
polinsaturi e di alcuni markers circolanti di
infiammazione.
Ferrucci L. e coll, J Clin Endocrinol Metab 2006; 91: 439-46.
Riassunto
acido grasso non è l’olio di oliva, come è invece in Italia, devono essere valutati con
Obiettivi dello studio: le persone con un elevato apporto alimentare di acidi grassi
grande cautela, e replicati in studi “locali”, prima di essere considerati applicabili alla
polinsaturi tendono ad avere una ridotta mortalità e morbilità cardiovascolare. Gli
nostra popolazione.
effetti protettivi degli acidi grassi polinsaturi sono mediati da meccanismi multipli, che
includono la loro attività antinfiammatoria.
L’associazione tra livelli fisiologici degli acidi grassi polinsaturi nel sangue ed i livelli
RR di ictus/TIA
Rischio di ictus o TIA e tenore di acido linoleico negli esteri del colesterolo plasmatico
plasmatici di markers di azione infiammatoria o antinfiammatoria, tuttavia, non è stata
0,40
esaminata e definita in modo dettagliato.
0,30
Metodi e risultati: è stata esaminata la correlazione tra la concentrazione relativa dei
vari acidi grassi nel plasma a digiuno ed il livello di alcuni indicatori di infiammazione
0,20
in 1.123 persone di nazionalità italiana, di età compresa tra 20 e 98 anni.
Dopo aver effettuato gli appropriati aggiustamenti statistici per l’età, il sesso,
Acido Linoleico inferiore alla media
0,10
e per alcuni dei più comuni fattori confondenti, bassi valori plasmatici di acido
Acido Linoleico pari o superiore alla media
arachidonico e docosaesaenoico si associavano a livelli significativamente aumentati
0,00
0
10
20
30
40
tempo di osservazione (anni)
di IL-6 e di IL-1ra, e a livelli significativamente ridotti di TGF-beta.
Livelli più bassi di acido alfa-linolenico si associavano ad alti livelli di proteina C
reattiva e di IL-1ra, mentre livelli più bassi di acido eicosapentenoico si associavano
ad alti livelli di IL-6 e a bassi livelli di TGF beta.
Bassi livelli di acido docosaenoico si associavano fortemente con bassi livelli di IL10. Il livello complessivo degli acidi grassi omega 3 si associava a valori più bassi di
IL-6 (p<0,005), IL-1ra (p=0,004) e di TNF-alfa (p=0,04), e a livelli più elevati della
IL-6r solubile (p<0,001) e di TGF-beta (p=0,0012).
Bassi livelli degli acidi grassi polinsaturi della serie omega 6 si associavano in modo
significativo a livelli più elevati di IL-1ra (p=0,026) e a bassi livelli di TGF-beta
(p=0,0014). Il rapporto tra omega 6 ed omega 3 correlava fortemente, in modo
negativo, con il livello di IL-10.
Questi risultati erano sostanzialmente analoghi tra i partecipanti privi di malattia
cardiovascolare e dopo l’esclusione dei valori lipidici dalle covariate.
Conclusioni: in questo campione di comunità, gli acidi grassi polinsaturi, e
specialmente quelli della serie omega 3, sono associati in modo indipendente con
bassi livelli di molti indicatori di infiammazione (IL-6, IL-1ra, TNF-alfa, PCR) e con
alti livelli di indicatori a significato antinfiammatorio (IL-6r solubile, IL-10, TGF-beta),
indipendentemente dall’effetto di fattori confondenti. I nostri risultati sono di supporto
opposta (figura). I trends, come si può osservare, sono analoghi per i due gruppi,
all’informazione che gli acidi grassi della serie omega 3 possono avere un effetto
anche se l’effetto degli omega 3 è maggiore.
benefico nei pazienti portatori di malattie caratterizzate da un’attivazione dei fenomeni
In conclusione, i risultati di questo studio epidemiologico italiano suggeriscono
infiammatori.
che tutti gli acidi grassi polinsaturi, sia della serie omega 3 che della serie omega
Commento
L’ipotesi che i fenomeni di natura infiammatoria possano svolgere un ruolo
6, svolgerebbero un’azione di natura antinfiammatoria; un loro adeguato apporto
alimentare, di conseguenza, può svolgere un’azione aterosclerotica anche attraverso
la modulazione di questi fenomeni.
significativo nella genesi della malattia aterosclerotica e delle sue complicanze
(influenzando per esempio il processo conclusivo della storia biologica della
placca ateroscerotica, e cioè la sua rottura) ha indotto alcuni autori ad ipotizzare
Distribuzione dei livelli serici di citochine infiammatorie (sopra) e anti-infiammatorie (sotto)
in soggetti con valori crescenti di acidi grassi n-3 o n-6 nel plasma.
che gli acidi grassi polinsaturi possano svolgere effetti favorevoli o sfavorevoli sul
rischio vascolare anche a seguito della loro capacità di influenzare questi fenomeni
nell’organismo.
IL 6(pg/mL)
Trend
P = .0005
1,7
1,5
Gli acidi grassi della serie n-3, o omega 3, sono in genere considerati
1,3
“antinfiammatori”, poiché il loro metabolismo porta alla formazione di intermedi della
1,1
serie degli eicosanoidi ad azione più o meno marcata in questa direzione.
0,9
Gli acidi grassi della serie n-6, o omega 6, al contrario, sembrerebbero dotati di
0,7
un’azione pro-infiammatoria, sempre essenzialmente dovuta alle azioni biologiche
0,5
la correlazione tra i livelli plasmatici di alcuni acidi grassi ed un’ampia e raffinata
serie di indicatori di infiammazione di significato sia pro- che anti-infiammatorio.
I risultati osservati sono per certa parte attesi e per altri viceversa sorprendenti. I
livelli plasmatici degli acidi grassi della serie omega 3, come atteso, si associano
delle molecole infiammatorie ed antinfiammatorie: un dato in buon accordo con i
risultati degli studi epidemiologici che concordemente suggeriscono che aumentati
livelli di assunzione di questi acidi grassi si associano ad una riduzione del rischio
cardiovascolare.
Nei quartili di soggetti con concentrazioni plasmatiche crescenti di acidi grassi
omega 3 e omega 6, infatti, si osservano livelli significativamente decrescenti di
IL-6 e di TNF-alfa (due citochine infiammatorie); i livelli di alcune citochine ad attività
o significato antinfiammatorio (IL-10 ed TGF-beta) si muovono invece in direzione
5,2
Ref
Ref
4,8
Ref
4,4
1 2 3 4
Quartili di Acidi
Grassi n-6 (%)
4,0
1
2 3
4
Quartili di Acidi
Grassi n - 3 (%)
Trend
P = .0007
1 2 3 4
Quartili di Acidi
Grassi n - 6 (%)
TGF beta (pg/mL)
Trend
P < .52
Trend
P = .0001
14
P< .040
Trend
P < .014
Ref
Ref
13
Ref
1,5
12
P = .012
1,6
11
P < .001
Ref
infiammatorie tendono infatti a ridursi al crescere delle loro concentrazioni
in molti oli vegetali, tendono ad associarsi a spostamenti nella stessa direzione
Trend
P< .038
P = .040
P = .032
1,7
0,9
Tuttavia anche gli acidi grassi della serie omega 6, come l’acido linoleico, presente
Trend
P = .0008
5,6
P = .001
Ref
1,9
1,1
in direzione opposta.
P = .004
IL 10 (pg/mL)
ad una riduzione dei fenomeni infiammatori: i livelli plasmatici di molte citochine
plasmatiche, mentre i livelli di mediatori ad azione antinfiammatoria tendono a variare
P = .002
P < .02
In questo interessante studio di popolazione, condotto nell’area toscana da alcuni
anni e denominato“InChianti” (Invecchiare nel Chianti), i ricercatori hanno esaminato
6,0
P = .0001
P = .001
2 3 4
1
Quartili di Acidi
Grassi n-3 (%)
degli eisosanoidi che derivano dal loro metabolismo.
TNF alfa (pg/mL)
Trend
P< .0001
10
P = .001
P < .001
P = .006
1
2
3
4
Quartili diAcidi
Grassi n-3 (%)
1 2 3
4
Quartili di Acidi
Grassi n-6 (%)
9
1
2 3 4
Quartili di Acidi
Grassi n-3 (%)
1 2
3
4
Quartili di Acidi
Grassi n-6 (%))
I livelli serici degli acidi grassi, biomarkers del
loro apporto alimentare, influenzano il livello
del colesterolo ematico in una popolazione di
adolescenti ed adulti della Nuova Zelanda.
Crowe FL et al, Am J Clin Nutr 2006; 83: 887-94.
Riassunto
Premesse: i risultati di studi randomizzati e controllati indicano che la quantità
ed il tipo dei grassi assunti con l’alimentazione influenzano in modo significativo
la colesterolemia. I risultati degli studi osservazionali, d’altra parte, mostrano
associazioni soltanto deboli tra l’apporto alimentare dei vari acidi grassi ed i valori
della colesterolemia stessa. I livelli plasmatici dei vari acidi grassi sono validi ed
obiettivi indicatori dell’apporto alimentare, e possono rendere più accurata la stima
degli effetti dell’apporto alimentare di questi composti sul profilo lipidico.
Obiettivi: obiettivo di questo studio era di accertare se i livelli plasmatici degli acidi
grassi siano associati con la colesterolemia in un campione di adulti e di adolescenti
residenti in Nuova Zelanda.
Disegno sperimentale: questo studio trasversale, di natura osservazionale, è stato
condotto su 2.793 soggetti neozelandesi di età superiore ai 15 anni, che avevano
preso parte nel 1997 ad un’indagine nutrizionale nazionale. La composizione in
acidi grassi degli esteri del colesterolo, dei fosfolipidi e dei trigliceridi è stata valutata
mediante tecniche appropriate.
Risultati: l’aumento di una deviazione standard (DS) dell’acido miristico (14:0)
negli esteri del colesterolo, nei fosfolipidi e nei trigliceridi corrispondeva ad un
aumento della colesterolemia di 0,19, 0,13, e 0,10 mmoli/litro, rispettivamente, dopo
l’aggiustamento statistico per il sesso, l’età, l’indice di massa corporea, l’etnicità
ed il fumo di sigaretta. La differenza media nella concentrazione del colesterolo
serico tra gli individui nel quintile a più elevato o più basso livello di acido miristico
come estere del colesterolo serico era di 0,48 mmoli (p per il trend <0,001). Una
deviazione standard di aumento nella proporzione dell’acido linoleico negli esteri del
colesterolo, nei fosfolipidi nei trigliceridi, corrispondeva invece ad una diminuzione
Commento
Poiché è noto che la stima degli apporti alimentari dei vari acidi grassi è imprecisa,
basandosi su informazioni riportate dal paziente che spesso sono inaccurate,
o su tabelle di composizione spesso non aggiornate, gli autori di questo lavoro
si sono posti l’obiettivo di correlare i livelli plasmatici dei vari acidi grassi con la
concentrazione del colesterolo serico, per definire in maniera più accurata l’effetto dei
vari acidi grassi sulla colesterolemia stessa.
Lo studio è stato condotto su circa 3.000 soggetti, di età uguale o superiore a
15 anni, di cui erano noti sia i livelli della colesterolemia sia la concentrazione nel
siero dei diversi acidi grassi. I risultati dell’indagine confermano due informazioni
largamente note, in quanto già evidenti correlando l’apporto alimentare dei vari
acidi grassi con la colesterolemia, e cioè che gli acidi grassi saturi si associano un
aumento del valore della colesterolemia stessa, mentre gli acidi grassi polinsaturi, e
specificamente l’acido linoleico, sono associati ad una riduzione dello stesso valore.
Inatteso è invece il rilievo di un’associazione positiva (e quindi sfavorevole) tra i livelli
plasmatici di un acido grasso monoinsaturo, l’acido palmitoleico, e la colesterolemia.
Entrando con maggiore dettaglio nelle caratteristiche dei soggetti con livelli crescenti
di acido linoleico negli esteri del colesterolo, si può osservare come al crescere di
questo parametro (dal 39 al 58% circa) la colesterolemia si riduca, in un modello non
aggiustato, di circa l’8% (da 229 a 212 mg/dL); il colesterolo HDL, al contrario, non
si modifica in maniera apprezzabile (da 51 a 50 mg/dL). Il rapporto tra queste due
frazioni (da taluni utilizzato come “indice di aterogenicità” del profilo lipidico) scende,
conseguentemente, da 4,79 a 4,49 (p <0,05) (figura).
Il lavoro conferma quindi, utilizzando un indicatore nettamente più accurato rispetto
alla stima degli apporti alimentari, che l’unico acido grasso i cui livelli plasmatici si
associano con una riduzione significativa della colesterolemia è l’acido linoleico.
Tra gli acidi grassi saturi, quelli a catena di media lunghezza, come l’acido
miristico, sarebbero al contrario caratterizzati dal massimo effetto di aumento della
colesterolemia stessa. Questi studi confermano l’opportunità di spostare il consumo
dei vari acidi grassi verso un adeguato apporto di polinsaturi della serie omega 6 se
l’obiettivo è di ridurre la colesterolemia in modo significativo.
Col tot, mg/dL
della colesterolemia di 0,07, 0,07 e 0,05 mmoli/litro rispettivamente. La differenza
Col tot / HDL-c
230
5
220
4,5
210
4
200
3,5
nella colesterolemia media tra i soggetti nel quintile a più elevato o a più basso livello
di acido linoleico come estere del colesterolo era pari a 0,18 mmoli/litro (p per il trend
= 0,019).
Conclusioni: l’apporto di acidi grassi saturi e polinsaturi, misurato utilizzando
Col tot, mg/dL
Col tot / HDL-c
indicatori oggettivi del loro consumo come i loro livelli nel plasma, è un importante
predittore della colesterolemia in Nuova Zelanda.
I
II
III
Quintili di LA
IV
V
Rapporto tra gli acidi grassi omega 6 ed omega 3 a
livello tissutale e rischio di malattia coronarica.
Commento
Gli studi epidemiologici più recenti hanno dedicato una crescente attenzione ai livelli tissutali dei
vari acidi grassi, che rappresentano un indicatore molto più accurato del loro reale consumo
Harris W et al, Am J Cardiol 2006; 98(suppl): 19i-26i.
Riassunto
Alcuni autori hanno proposto di utilizzare il rapporto tra la proporzione tissutale
degli acidi grassi omega 6 (acido linoleico, o LA ed acido arachidonico, o AA) ed
acidi grassi omega 3 (acido alfa-linolenico o ALA, acido eicosapentenoico o EPA,
acido docosaenoico o DHA) come indicatore del rischio di malattia coronarica.
L’uso di questo rapporto al posto della determinazione dei livelli di ciascun membro
o di ciascuna classe di questi acidi grassi è basata su presupposti di natura
essenzialmente teorica, e non è stato adeguatamente validato.
In questo studio abbiamo pertanto deciso di valutare la relazione tra il rischio
di malattia coronarica ed i livelli tissutali degli acidi grassi omega 3 ed omega
6 combinando i dati di studi caso-controllo o di studi prospettici di corte che
esaminavano il rischio di malattia coronarica in funzione dei livelli tissutali degli acidi
grassi considerati.
Nell’analisi sono stati inclusi i risultati di 13 studi: 11 studi caso-controllo e 2 studi
prospettici di coorte; sono state confrontate le medie dei livelli assoluti e dei rapporti
tra diversi acidi grassi, nonchè le rispettive differenze, tra i casi (soggetti con malattia
coronarica pregressa) ed i controlli (soggetti senza malattia coronarica).
La differenza più ampia e costante tra i casi ed i controlli era la somma tra i livelli
plasmatici di EPA e DHA (-11% tra i casi rispetto ai controlli, p=0,002).
La proporzione di EPA, DHA ed AA era inferiore dell’8% circa, sempre tra i casi
rispetto ai controlli, ma nessuna di queste differenze individuali era statisticamente
significativa.
Gli acidi grassi omega 3 totali e gli acidi grassi omega 6 totali erano inferiori del 7% e
del 4%, rispettivamente, tra i casi rispetto ai controlli, ma solo la differenza tra gli acidi
grassi omega 3 totali dei casi e dei controlli era significativa.
Il rapporto tra AA ed EPA era ridotto, in modo non significativo sul piano statistico, del
10% circa. I rapporti tra i differenti acidi grassi non erano generalmente in grado di
distinguere in maniera accurata tra i casi ed i controlli, ed ogni potere discriminatorio
dei rapporti stessi dipendeva in realtà dalla loro correlazione con i livelli degli acidi
grassi omega 3. La somma dei livelli di EPA e DHA sembra rappresentare il migliore
indicatore del rischio coronarico basato sui livelli tissutali degli acidi grassi.
rispetto alle stime basate su interviste o questionari alimentari.
È noto da tempo che sia i livelli tissutali degli acidi grassi omega 3 che degli omega 6 correlano
con il rischio coronarico: nella maggior parte degli studi l’aumento dei livelli di ambedue questi
gruppi di acidi grassi si associa ad una riduzione del rischio di eventi coronarici e, più in
generale, cardiovascolari.
Sulla base di considerazioni essenzialmente di natura biochimica (tra cui soprattutto la
competizione esistente tra queste due classi di acidi grassi essenziali per i sistemi enzimatici
che ne catalizzano l’allungamento e la desaturazione, le elongasi e le desaturasi) alcuni autori
hanno ipotizzato che il rapporto tra i loro livelli di consumo, o tra i loro livelli tissutali, possa
rappresentare un migliore indicatore del rischio coronarico rispetto ai parametri relativi a
ciascuna delle due classi di acidi grassi presi individualmente.
L’uso di “rapporti” tra variabili o fattori di rischio, nella stima della probabilità di incorrere in eventi
di natura coronarica, non migliora tuttavia, in genere, la stima del rischio stesso.
Combinare due valori diversi in un rapporto significa infatti perdere una significativa quantità di
informazione, ed in particolare ottenere lo stesso valore per livelli ambedue bassi o ambedue
elevati dei parametri di cui si stima il rapporto (tabella): un’operazione non sempre supportata
dai dati disponibili.
Un altro indicatore di rischio frequentemente impiegato, il rapporto tra il colesterolo totale
ed HDL, è per esempio valutato criticamente da molti esperti, perché non è per nulla certo,
per esempio, che il rischio di un soggetto con 300 mg/dL di colesterolo totale e 75 mg/dL di
colesterolo HDL sia identico a quello di un soggetto con 180 mg/dL di colesterolo totale e 45
mg/dL di HDL, anche se il rapporto tra i due parametri, in ambedue i casi, è evidentemente
sempre pari a quattro.
Questo lavoro di Harris, uno dei principali esperti del settore, ha valutato in una metanalisi degli
studi controllati disponibili se l’impiego del rapporto tra le concentrazioni tissutali degli acidi
grassi omega 3 ed omega 6 sia più accurato, nel distinguere tra i soggetti con o senza storia
clinica di infarto miocardico, rispetto alla stima individuale dei livelli delle due classi di questi
acidi grassi.
La risposta al quesito è negativa: il rischio coronarico cresce infatti al ridursi dei livelli tissutali di
ambedue le classi di polinsaturi, anche se la differenza è più marcata per la diminuzione dei livelli
totali degli acidi grassi omega 3.
E’ un risultato sostanzialmente in accordo con quello degli studi epidemiologici che hanno
stimato l’effetto dell’apporto alimentare di questi acidi grassi sul rischio, che come è noto pure si
riduce al crescere di entrambi.
Gli autori concludono quindi che il rapporto tra i livelli plasmatici degli acidi grassi
della serie omega 3 ed omega 6 non è un buon indicatore del rischio coronarico:
sembrerebbe meglio stimare separatamente le concentrazioni di queste due classi di
polinsaturi, e valutare, sulla base dei valori rilevati, l’opportunità di integrare l’apporto
di una o dell’altra delle classi di acidi grassi considerate.
Possibilità teoriche che conducono ad un rapporto “ad alto rischio” tra acidi grassi omega-6 ed omega-3
Variazioni possibili di consumo
Acidi Grassi
1
2
3
Omega-6
Omega-3
= aumento;
= decremento;
= nessun cambiamento;
* Questo scenario era quello responsabile delle differenze osservate tra casi e controlli nel nostro studio
4
5*