Nerium oleander L.
FAMIGLIA: Apocynaceae
ETIMOLOGIA: l’epiteto del genere deriva dal greco neros = “acqua” (con allusione al fatto che la pianta cresce
più rigogliosa in riva ai fiumi); fu conferito da Linneo nel 1735. Plinio tra i nomi greci riporta anche questo e
dice, per inciso, di non aver avuto la fortuna di trovare un nome latino originale. Il termine del genere deriva
dal latino oleo = “mandare odore” con riferimento al profumo che emanano i suoi fiori.
NOMI VOLGARI: Oleandro, Mazza di san Giuseppe (italiano). Liguria: Laurié rosa; Adolarì (Camporosso);
Bell'omo, Où (Porto Maurizio); Belladonna (Genova); Sciù d'or (Albenga). Piemonte: Fior d’or, Oleandro,
Velen dij rat. Lombardia: Leander; Mordena (Val Trompia). Veneto: Aleandro (Verona); Leandro (Venezia).
Friuli: Leandri. Emilia-Romagna: Leander (Reggio). Toscana: Alessandrina, Alloro d'India, Alloro indiano,
Erba da rogna, Lauro indiano, Lauro roseo, Leandro, Mazza di S. Giuseppe, Nerio, Oleandro, Rosagine,
Rosalauro; Ammazza l'asino (Pisa). Umbria: Aleandro (Perugia); Leandra (Bevagna). Abruzzi: Erba puzza
(Chieti); Landro (L’Aquila). Basilicata: Landro. Calabria: Aghiandro, Landra. Sicilia: Alandaru, Erva
scarafaggi, Landru; Landra (Messina); Lannaru (Avola); Lannuru (Etna); Rannulu (Modica). Sardegna:
Launaxi, Leonaxi, Leunaxi, Lionarxu, Lionarzu, Liouaxi, Neulache, Sabadiglia; Lannaxi, Lionargì (Cagliari);
Leandru, Leonaghe, Neulaghe (Sassari); Siviriglia (Alghero).
FORMA BIOLOGICA E DI CRESCITA: fanerofita scaposa.
TIPO COROLOGICO: coste centromeridionali del Mediterraneo: dal Portogallo alla Palestina, con lacune
(Francia, Malta). Diffusa anche negli altri continenti (America, Australia, Sudafrica).
FENOLOGIA: fiore: V-VII (fino a settembre nelle cultivar), frutto: VII-IX, diaspora: IX-XI.
LIMITI ALTITUDINALI: dal mare a 1000 m di altitudine.
ABBONDANZA RELATIVA E DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA IN ITALIA: nel nostro Paese è molto comune con
presenza dalla Liguria alla Calabria, alla Puglia, alla Basilicata, in Sicilia e Sardegna. Splendide formazioni si
trovano nelle “codule” della Sardegna orientale, da Cala Gonone a Santa Maria Navarrese. Altrove coltivato.
HABITUS: alberello sempreverde, glabro, alto fino a 6 m, grosso cespuglio nel suo ambiente naturale. La
chioma è irregolarmente espansa o più o meno tondeggiante, sorretta da rami diritti, virgati; il fusto, quando
è unico, è diritto o leggermente sinuoso, qualche volta nodoso, con scorza grigiastra, dapprima liscia quindi
screpolata e un po’ rugosa.
FOGLIE: le foglie sono persistenti, opposte o riunite in verticilli di tre, piuttosto coriacee, molto brevemente
picciolate o quasi sessili, lunghe fino a 15 cm; la lamina è lungamente lanceolata, acuta in entrambe le
estremità, con il nervo mediano robusto e quelli secondari sottili, paralleli, regolarmente terminanti nel
margine, che è intero. La pagina superiore è verde scura, debolmente lucida, quella inferiore opaca e di una
tonalità verde più pallida.
FIORE: i fiori, ermafroditi, grandi, larghi fino a 5 cm, rosei, più raramente bianchi, leggermente profumati, si
trovano raccolti in cime corimbose all’apice dei rami. Calice persistente, libero, infero, pentapartito, a lobi
lanceolati molto più brevi del tubo corollino e muniti all’interno di appendici carnose; corolla ipogina, con tubo
inferiormente cilindrico, superiormente svasato, prolungato al disopra dell’inserzione degli stami, a
preflorazione contorta, e lembo di 5 lobi spatolati, leggermente ricurvi nel medesimo senso sul piano
orizzontale e fauce munita di 5 linguette multifide opposte ai lobi; stami 5, inclusi, a filamenti diritti, per la
massima parte saldati con la corolla, ed antere biloculari conniventi e disposte a cono al di sopra dello
stimma, sagittate alla base e sormontate da una lunga coda barbata, contorte fra di loro a spirale e coerenti
con lo stimma per mezzo di una ghiandola interposta; ovario di due carpelli saldati strettamente, biloculare,
multiovulato, con stilo diritto, cilindrico inferiormente, superiormente ingrossato a forma di cono cavo alla
base, coronato all’apice da un anello formato da 5 ghiandole stimmatiche che si applicano alla base delle
singole antere fra una loggia e l’altra, mentre in mezzo alle ghiandole sporge un’appendice conica biloba.
FRUTTO: il frutto è un follicario (due follicoli saldati in un unico corpo cilindraceo) eretto o patente, fusiforme,
striato, bruno, lungo fino a 15 cm, che a maturità libera i semi.
SEMI: semi numerosi, tomentosi, dotati di una corona apicale di lunghi peli, di colore bruno ruggine, adatto
alla dispersione ad opera del vento.
POLLINE: granuli pollinici monadi, radiosimmetrici, isopolari; perimetro in visione polare subcircolari, in
visione equatoriale subcircolari 13%, ovali 84%, ellittici 3%; forma: oblati 3%, suboblati 84%, oblato sferoidali
13%; tetrazonoporati (56%), pentazonoporati (44%); aperture: pori con annulus; esina: subtectata, finemente
reticolata, psilata; dimensioni: asse polare 37 (34) 30 mµ, asse equatoriale 44 (41) 37 mµ. L’impollinazione è
entomofila.
NUMERO CROMOSOMICO: 2n = 22.
SOTTOSPECIE E/O VARIETÀ: numerose le varietà in coltivazione, fra le quali: “Loddigesii”, a fiori variegati;
“Album” a fiori bianchi; “Atropurpureum” a fiori rosso porpora scuro; “Roseum” a fiori rosa. Oggi se ne
contano più di 400 cultivar con fiori di varie tonalità e forme doppie.
HABITAT ED ECOLOGIA: in Italia vegeta spontaneamente nella zona fitoclimatica del Lauretum presso i litorali,
inoltrandosi all'interno fino ai 1000 metri d'altitudine lungo i corsi d'acqua. In effetti si tratta di un elemento
comune e inconfondibile della vegetazione riparia degli ambienti mediterranei, quasi sempre associato ad
altre specie riparie quali l'Ontano, il Tamerice, l'Agnocasto. S'insedia sia sui suoli sabbiosi alla foce dei fiumi
o lungo la loro riva, sia sui greti sassosi, formando spesso una fitta vegetazione.
L'associazione vegetale riparia con una marcata presenza dell'Oleandro è una particolare cenosi vegetale
che prende il nome di Macchia ad oleandro e agnocasto, di estensione limitata. Si tratta di una naturale
prosecuzione dell'Oleo-ceratonion, dal momento che le due cenosi gradano l'una verso l'altra con
associazioni intermedie che vedono contemporaneamente la presenza dell'Oleandro e di elementi tipici della
macchia termoxerofila (Lentisco, Carrubo, Mirto, ecc.). Un caso singolare, forse unico in natura, si rinviene
nella Gola di Su Gorropu fra il Supramonte di Orgosolo e quello di Urzulei in Sardegna: in questo caso la
macchia ad Oleandro e Agnocasto si inoltra fino ai 1000 metri confinando con la Lecceta primaria.
Pianta abbastanza rustica adattandosi sia a terreni argillosi mediamente compatti, che in quelli sabbiosi e
poveri. Tollera assai bene la siccità e i venti salmastri oltre che gli inquinanti atmosferici. L’Oleandro non
tollera molto bene il freddo e le gelate a cui è molto sensibile, perciò negli ambienti più freddi dell’Italia
settentrionale si coltiva generalmente in grandi vasi che sono posti all’esterno durante la primavera e
l’estate, mentre si posiziona in luoghi riparati e luminosi durante l’inverno. Esige posizioni esposte e
soleggiate.
LIFE-STRATEGY (SENSU GRIME & Co.): stress-tollerante + commensale.
IUCN: non a rischio (LC).
FARMACOPEA: l’Oleandro è una pianta velenosa e le sue foglie, raccolte a completo sviluppo e disseccate,
inodori e di sapore acre ed amaro, contengono (come del resto anche la corteccia ed i semi) due alcaloidi,
uno attivo (oleandrina o folinerina) ed uno inerte (pseudocurarina), due glucosidi (neriina e neriantina),
sostanze tanniche, zucchero, grassi e resine (Inverni). Le neriina ha azione cardiotonica e diuretica che
ricorda quella della strofantina e della ouabaina, delle quali è tuttavia meno tossica; non dà fenomeni di
accumulo, ma determina un certo grado di ipotensione e può anche provocare il vomito per eccitazione
bulbare. L’oleandrina è meno attiva sul cuore e sulla diuresi ed esercita invece un’azione ipotensiva.
La droga si prescrive come cardiotonico e diuretico, con particolare vantaggio nei casi di insufficienza
cardiaca delle persone anziane; droga e principi attivi sono invece controindicati nei soggetti sofferenti di
angina pectoris, di miocardite infettiva recente e di infarto miocardico. Si usano l’infuso delle foglie
grossolanamente polverizzate o la polvere, la tintura, sorvegliando sempre il malato e ricordando che la
comparsa di nausea o di vomito indica che il limite della tolleranza individuale è raggiunto. L’avvelenamento
è caratterizzato da gastroenterite con vomito, coliche, diarrea, febbre, vertigini, midriasi, rallentamento ed
irregolarità del battito cardiaco, inceppamento della respirazione, diminuzione della sensibilità generale,
perdita della conoscenza, morte per paralisi cardiaca.
AVVERSITÀ: le avversità più frequenti dell’Oleandro sono rappresentati da parassiti animali: cocciniglie
infestanti i rami e le foglie (Aspidiotus hederae, Ceroplastes sp); pseudococcidi infestanti la vegetazione
(Pseudococcus adonidum); coccidi lecanidi infestanti la vegetazione (Saissetia oleae, Eulecanium sp,
Coccus hesperidum) e la Metcalfa pruinosa; grande cocciniglia cotonosa degli agrumi (Icerya purchasi); afidi
di diverse specie (Aphis nerii, Myzus persicae ecc.); tripidi di diverse specie che danneggiano i fiori. Tra gli
agenti di malattia (funghi, batteri ed entità infettiva) sono da annoverare: tumore batterico sui rami e sulle
foglie (o rogna) da Pseudomonas savastanoi f. sp nerii; marciumi fungini radicali da Armillaria mellea;
necrosi fogliari e dei germogli data dal fungo Ascochyta heteromorpha; tumore batterico delle radici
(Agrobacterium tumefaciens); macchie necrotiche fogliari da Septoria oleandrina; necrosi fungine fogliari da
Gloeosporium sp, Phyllosticta nerii e Glomerella cingulata; cancri fungini rameali da Botryosphaeria obtusa.
USI: pianta di impiego farmaceutico, è ampiamente diffusa in coltivazione come ornamentale tradizionale su
tutte le coste del Mediterraneo e mari ad esso collegati. Con la domesticazione sono state ottenute
un’infinità di variazioni cromatiche, oltre a tipi a portamento arboreo, utilizzati per le alberature nelle città
costiere a clima mite.
CENNI STORICI E CURIOSITÀ: l’Oleandro era noto ai Greci, ma pare fosse già entrato nella vita di altri popoli
assai prima: si ritiene che «la rosa che cresce presso la fonte» dell’Ecclesiaste e i rami dei «salici del fonte»
del Levitico (23, 40), altro non siano che l’Oleandro, molto frequente in Palestina sulle sponde del Giordano.
Non si ha invece notizia di quando sia apparso in Italia; in Inghilterra nel 1596 Gerard aveva già nel suo
giardino la varietà bianca e la rossa. Parkinson coltivò piante ottenute da semi inviatigli dalla Spagna da Ian
More; piante che nel 1629 avevano un diametro alla base del tronco «della misura del pollice di un uomo
robusto» e nel 1640 già quella del «polso di un uomo medio».
A Creta la pianta raggiungeva secondo il Belon tali proporzioni che il legno veniva usato per costruzioni. Di
norma, però, le dimensioni sono quelle di un grosso arbusto.
L’Oleandro, come pianta venefica e medicinale, è noto fin dall’antichità. Teofrasto parla di una pianta
chiamata Oenothera (ma sappiamo che non bisogna badare ai nomi quando si tratta degli antichi), ma in
tutto simile nella descrizione all’Oleandro, specificando che la sua radice macerata nel vino rende il carattere
più gentile e più gaio; Dioscoride afferma che le foglie si possono usare come un controveleno in caso di
morsicature di serpenti. Ma già Turner era cosciente della tossicità della pianta e consiglia di applicare
questo rimedio solo in casi di estrema urgenza commentando: «Io ho veduto questo albero in diverse parti
d’Italia ma non tengo molto che venga importato in Inghilterra perché assomiglia in tutto e per tutto a un
Fariseo bello di fuori ma dentro un lupo rapace e assassino».
Il principio venefico dell’Oleandro si trova in tutte le sue parti, ma specialmente nelle foglie e nella corteccia.
Prova della velenosità, scrive il Latour, sono le afte che si producono nella bocca di chi ne abbia masticato le
foglie e la morte degli animali che mangiano tale pianta e bevono acqua nella quale siano state immerse
parti di essa. Sono famosi due episodi, narrati da Loiseleur Deslongchamps: nel 1796 alcuni soldati francesi
in Corsica mangiarono della cacciagione, infilzata e arrostita su bacchette di Oleandro, e immediatamente
morirono; similmente alcuni soldati, che durante la guerra di Algeria avevano dormito sopra giacigli fatti con
foglie e ramoscelli di Oleandro, in gran parte morirono o rimasero gravemente avvelenati.
In Libia, dove l’Oleandro è comunissimo nelle stazioni umide lungo la costa, specialmente nella Cirenaica e
nella Marmarica, gli indigeni fanno uso di cataplasmi di foglie della pianta triturate per favorire la maturazione
degli ascessi, e di unguenti ottenuti mescolando le foglie macerate col miele, per guarire la scabbia.
LEGGENDE, CREDENZE, DETTI E USANZE POPOLARI: il nome popolare di “Mazza di san Giuseppe” (in Francia
“Fleur de saint Joseph”) è originato da una leggenda fiorita sulla scia dei Vangeli apocrifi nel Medioevo
riportata dal Gori; tale leggenda narra che «il Gran Sacerdote, giunto il momento di dare uno sposo alla
purissima Vergine di Galilea, fosse incerto su chi far cadere la scelta fra i tanti giovani della stirpe di David
che bramavano la mano di lei e, quasi supplicando Dio a illuminarlo, invitasse tutti i pretendenti a deporre
una verga sull’altare. Tra i giovani vi era anche Giuseppe, il quale, obbedendo all’invito del Sacerdote,
depose come gli altri la verga sull’ara: questa, immantinente, gettò fiori e germogli, e il Sacerdote, credendo
per tal fatto Giuseppe il prescelto da Dio, non indugiò a unirlo con vincoli matrimoniali a Maria».
L’Oleandro è considerato un albero funerario forse perché era noto fin dall’antichità per la sua tossicità. In
Toscana anticamente si coprivano i morti con i fiori di Oleandro; usanza tanto diffusa anche in Sicilia da
ispirare la parola “allannarari”, col significato di “coprire con i fiori di Oleandro”. Plinio (Naturalis historia,
XXIV, 28) scrive che «Uccide i serpenti […] Inoltre, accostato a un qualunque animale selvatico, gli provoca
intorpidimento». Lo stesso naturalista latino descrive un miele del Ponto reputato velenoso perché le api
bottinavano quei fiori. A sua volta Apuleio narra nelle Metamorfosi che Lucio, trasformato in asino, mentre
cercava affannosamente le rose che dovevano restituirgli fattezze umane, fu ingannato dalla somiglianza
dell’Oleandro con la Rosa e stava per addentarne un cespo; improvvisamente lo riconosce e da esperto
botanico si ricorda che i fiori sono per gli asini un veleno immediato e ritira istantaneamente la bocca.
D’altronde, nelle campagne toscane, non si sa se per esperienza diretta o per averlo appreso attraverso gli
umanisti, dai Greci, fu soprannominato nei secoli scorsi dai suoi abitanti “ammazza cavallo” o “ammazza
l’asino” (vedi sopra).
A Venezia ha ispirato una serie di proverbi superstiziosi: «El leandro porta disgrazie ne le case»; «La xe
pianta de la mala sorte»; «Co’ more el leandro, vien tante disgrazie in famiglia»; «El fior de leandro no se
mete in testa perché fa cascar i cavei e el fa fermar i corsi [le mestruazioni] a le done».
L’OLEANDRO IN LETTERATURA: l’Oleandro, pianta solare dell’estate mediterranea, ha ispirato a D’Annunzio
un’omonima poesia di Alcyone. Da questo poemetto prese il nome il “Sodalizio dell’Oleandro”, nato a Roma
nel 1931 per l’edizione dell’opera omnia del poeta che, recando come motto il verso «Brilla di rose il lauro
trionfale», dove si coglie un’allusione all’Oleandro, chiamato anche “lauro rosa”, ebbe inizio proprio con
l’Alcyone.
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www.dryades.eu; http://it.wikipedia.org