Registro delle lezioni di Topologia Differenziale (9 CFU)

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Registro delle lezioni di Topologia Differenziale (9 CFU)
Università di Firenze - Scuola di Scienze MM.FF.NN.
Corso di Laurea in Fisica e Astrofisica
A.A. 2014/2015 – Prof. Massimo Furi
Libri consigliati:
• J. W. Milnor, Topology from the differentiable viewpoint, The University Press of
Virginia, 1965.
• V. Guillemin, A. Pollak, Differential Topology, Prentice-Hall Inc., 1974.
• M. W. Hirsch, Differential Topology, Graduate Texts in Mathematics, Vol. 33, Springer Verlag, 1976.
1 - Mercoledı̀ 24/09/14
Definizione. Una funzione f : U → R, definita su un aperto U di Rk , si dice di classe C 0
se è continua. Per induzione, fissato un intero n ≥ 1, f si dice di classe C n se è derivabile
in U e le sue derivate parziali sono di classe C n−1 . Infine, f è di classe C ∞ (o liscia) se è
C n , ∀n ∈ N.
Il seguente risultato è una conseguenza del Teorema di Lagrange.
Teorema. Se f è C 1 , allora è anche C 0 .
Dimostrazione. Sia f : U → R di classe C 1 in un aperto U di Rk . Dato p ∈ U , esiste
un intorno chiuso Dδ (p) di centro p e raggio δ > 0 contenuto in U . È sufficiente provare
che esiste una costante M > 0 tale kf (p + h) − f (p)k ≤ M khk per ogni h tale che
p + h ∈ Dδ (p). A tele scopo fissiamo h ∈ Dδ (0) e definiamo ϕ : [0, 1] → R nel seguente
modo: ϕ(t) = f (p + th). Sappiamo che ϕ è derivabile e risulta ϕ0 (t) = h∇f (p + th), hi
per ogni t ∈ [0, 1], dove h· , ·i denota il prodotto scalare in Rk . Quindi, per il Teorema di
Lagnange, esiste c ∈ (0, 1) tale che
f (p + h) − f (p) = ϕ(1) − ϕ(0) = ϕ0 (c) = h∇f (p + ch), hi.
Ne segue
kf (p + h) − f (p)k = |h∇f (p + ch), hi| ≤ k∇f (p + ch)k khk ≤ M khk,
dove M è il massimo di k∇f (x)k per x nell’insieme compatto Dδ (p).
Esercizio. Provare per induzione che se f è C n allora è anche C n−1 .
Suggerimento. Indicare con pn la proposizione “C n =⇒ C n−1 ” e osservare che, per il
teorema precedente, p1 è vera.
Definizione. Un’applicazione f : U → Rs , definita su un aperto U di Rk , si dice di classe
C r , r ∈ N ∪ {∞}, se sono C r le sue funzioni componenti: f1 , f2 , . . . , fs .
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Notazione. Sia f : U → R un’applicazione C 1 su un aperto U di Rk . La matrice jacobiana
di f in punto x ∈ U si indica col simbolo f 0 (x).
Per il ben noto teorema del differenziale di una funzione composta, la matrice jacobiana in
un punto x della composizione g ◦f di due applicazioni di classe C 1 ha la stessa espressione
che nel caso delle funzioni di una sola variabile reale: (g ◦ f )0 (x) = g 0 (f (x))f 0 (x), dove il
prodotto delle due matrici g 0 (f (x)) e f 0 (x) va inteso righe per colonne.
Si osservi che un’applicazione f : U → Rs , definita su un aperto U di Rk , è di classe C n
(n ≥ 1) se e solo se è differenziabile e l’applicazione che ad ogni x ∈ U associa la matrice
f 0 (x) è C n−1 (cioè sono C n−1 tutti i suoi elementi ∂fi /∂xj di f 0 ).
Il seguente risultato segue facilmente dalla definizione induttiva di applicazione C n e dalle
note formule che esprimono le derivate parziali prime della somma, del prodotto, del
quoziente e della composizione di due funzioni. Per semplicità ci limitiamo a dimostrarlo
nel caso particolare delle funzioni reali di variabile reale. Gli studenti sono invitati a
riflettere su come sia possibile estendere la dimostrazione al caso generale.
Teorema (di regolarità delle funzioni combinate). La somma, il prodotto, il quoziente e
la composizione di applicazioni C r , quando (e dove) ha senso, è ancora un’applicazione di
classe C r .
Dimostrazione (per le funzioni reali di variabile reale).
(Somma) Sia pn la proposizione “ f, g ∈ C n =⇒ (f + g) ∈ C n ”. Dal teorema della
derivata della somma si ha (f + g)0 = f 0 + g 0 , e questo implica immediatamente che p1
è vera. Assumiamo vera pn−1 e dimostriamo che allora è vera anche pn . Supponiamo
quindi che f, g ∈ C n (ovvero che f 0 , g 0 ∈ C n−1 ) e mostriamo che (f + g) ∈ C n (ossia che
(f + g)0 ∈ C n−1 ). Poiché (f + g)0 = f 0 + g 0 , dall’ipotesi induttiva si ha (f + g)0 ∈ C n−1 ,
che per definizione significa (f + g) ∈ C n .
(Prodotto) Analogamente alla dimostrazione precedente denotiamo con pn la proposizione
“ f, g ∈ C n =⇒ f g ∈ C n ”. Dal teorema della derivata del prodotto si ha (f g)0 = f 0 g+g 0 f ,
e questo implica che p1 è vera. Assumiamo (per ipotesi induttiva) vera pn−1 e supponiamo
che f, g ∈ C n . Vogliamo provare che il prodotto f g è di classe C n , ovvero che la funzione
(f g)0 , che coincide con f 0 g + g 0 f , è di classe C n−1 . Questo segue facilmente dal lemma
precedente, dall’ipotesi induttiva, e da quanto già provato per la somma.
(Quoziente) La dimostrazione è simile alle due precedenti ed è lasciata per esercizio allo
studente.
(Composizione) La dimostrazione è basata sulla formula della derivata di una funzione
composta: (g ◦ f )0 (x) = g 0 (f (x))f 0 (x). Questa ci dice che (g ◦ f )0 è prodotto e composizione di funzioni di una classe inferiore di un’unità rispetto a quella di appartenenza di
f e g. Come per i casi precedenti, si può procedere per induzione denotando con pn la
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proposizione “ f, g ∈ C n =⇒ g ◦ f ∈ C n ”.
Esercizio. Sia f : (a, b) → R di classe C r e tale che f 0 (t) 6= 0, ∀t ∈ (a, b). Provare che
f −1 è di classe C r .
Suggerimento. Utilizzare la nota formula
(f −1 )0 (y) =
1
f 0 (f −1 (y))
e applicare il principio di induzione (insieme al teorema precedente).
2 - Mercoledı̀ 24/09/14
Definizione. Un’applicazione f : X → Y , da un sottoinsieme X ⊆ Rk in un sottoinsieme
Y di Rs , si dice di classe C r se per ogni p ∈ X esiste g : U → Rs , di classe C r su un intorno
aperto U di p in Rk , per la quale si ha g(x) = f (x) per x ∈ U ∩ X.
Facciamo notare che nella suddetta definizione è importante che l’estensione g sia a valori
nello spazio Rs , e non necessariamente nel codominio Y della f . Si osservi, infatti, che se
cosı̀ non fosse, l’identità i : [0, 1] → [0, 1] non risulterebbe C 1 .
Osservazione. Se f : X → Y è di classe C r ed A è un sottoinsieme di X, allora anche la
restrizione di f ad A è di classe C r .
Esercizio. Provare che la composizione di applicazioni C r (tra arbitrari sottoinsiemi degli
spazi euclidei) è ancora C r e che, dato X ⊆ Rk , l’identità i : X → X è C ∞ .
Gli studenti che in qualche corso di Algebra o di Logica hanno incontrato la nozione di
categoria sono invitati ad osservare che, in base al precedente esercizio, la famiglia i cui
oggetti sono i sottoinsiemi degli spazi euclidei e i cui morfismi sono le applicazioni di
classe C r tra tali sottoinsiemi costituisce una categoria. Gli isomorfismi di tale categoria
si chiamano diffeomorfismi (di classe C r ). Chi trova oscuri questi discorsi non si deve
preoccupare: tra poco introdurremo la nozione di diffeomorfismo senza far uso della teoria
delle categorie.
Mediante la nozione di partizione dell’unità (di classe C ∞ ) è possibile provare il seguente
risultato, che riportiamo senza dimostrazione.
Teorema. Un’applicazione f : X ⊆ Rk → Y ⊆ Rs è di classe C r se e solo se ammette
un’estensione g : U → Rs di classe C r su un aperto U contenente X.
Definizione. Un’applicazione di classe C r , f : X → Y , si dice un C r -diffeomorfismo se
esiste un’applicazione C r , g : Y → X, per la quale si ha g ◦ f = 1X e f ◦ g = 1Y , dove 1X
e 1Y denotano l’identità in X e in Y , rispettivamente (le due uguaglianze significano che
f è invertibile e g = f −1 ).
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Le due condizioni g◦f = 1X e f ◦g = 1Y possono essere rappresentate mediante il seguente
diagramma commutativo:
f
X
- Y
?
f
X
-
-
1Y
1X
g
- Y
3 - Giovedı̀ 25/09/14
Esercizio. Sia f : U → V un diffeomorfismo tra due aperti di Rk . Provare che la matrice
jacobiana f 0 (x) è invertibile qualunque sia x ∈ U .
Suggerimento. Applicare il teorema del differenziale di una funzione composta alle applicazioni f −1 ◦ f e f ◦ f −1 .
Esempio. L’applicazione x 7→ x3 è un omeomorfismo (di R su R), è di classe C ∞ , ma
non è un diffeomorfismo.
Osservazione. Se f : X → Y è un diffeomorfismo, allora la sua restrizione ad un
qualunque sottoinsieme A di X è un diffeomorfismo di A su f (A).
Teorema. Sia f : X → Rs un’applicazione di classe C r su un sottoinsieme di Rk . Allora
il suo grafico Gf = (x, y) ∈ Rk × Rs : x ∈ X, y = f (x) è C r -diffeomorfo al suo dominio.
Dimostrazione. Definiamo F : X → Gf mediante F (x) = (x, f (x)). Ovviamente F è
invertibile ed è di classe C r , essendo C r tutte le sue k + s componenti. L’inversa di F è
l’applicazione (x, y) 7→ x, che è addirittura di classe C ∞ essendo la restrizione a Gf di una
trasformazione lineare (quindi C ∞ ) definita su tutto Rk × Rs .
Esercizio. Sia f : U → Rs un diffeomorfismo (di classe C 1 ) tra un aperto U di Rk e la
sua immagine f (U ) in Rs . Provare che il differenziale dfp : Rk → Rs è iniettivo ∀ p ∈ U .
Svolgimento. Per ipotesi f è invertibile e la sua inversa f −1 : f (U ) → U è di classe C 1 .
Tale inversa ammette quindi un’estensione g : W → Rk di classe C 1 su un aperto W di
Rs contenente f (U ). Dunque, il seguente diagramma, dove le frecce “innominate” sono
inclusioni, commuta:
f f (U )
U
1U
f −1
-
?
U
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- W
g
?
- Rk
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Di conseguenza, fissato p ∈ U e posto q = f (p), commuta anche il diagramma
dfp
Rk
- Rs
k
1R
dgq
-
?
Rk
da cui si deduce che l’applicazione dfp è iniettiva.
Esercizio. Dedurre, dall’esercizio precedente, che se due aperti, U di Rk e V di Rs , sono
diffeomorfi, allora k = s.
Il seguente importantissimo risultato, che riportiamo senza dimostrazione, mostra, in un
senso da precisare, che se in un punto la linearizzata di un’applicazione non lineare è
invertibile, allora in un intorno del punto lo è anche la non lineare.
Teorema (della funzione inversa locale). Sia f : U → Rk un’applicazione di classe C r su
un aperto U di Rk e sia p ∈ U . Se il differenziale dfp : Rk → Rk di f in p è un isomorfismo,
allora la restrizione di f ad un conveniente intorno di p è un diffeomorfismo di classe C r
su un intorno di f (p). In particolare, f (p) è interno all’immagine di f .
Definizione. Un’applicazione f : X → Rs , di classe C r su un sottoinsieme X di Rk , si
dice un’immersione (di classe C r ) se è un diffeomorfismo tra X e la sua immagine f (X).
Si osservi che se f : X → Rs è un’immersione ed A è un sottoinsieme di X, allora anche
la restrizione di f ad A è un’immersione.
Definizione. Un’applicazione f : X → Rs , di classe C r su un sottoinsieme X di Rk , si
dice un’immersione locale (di classe C r ) se, per ogni p ∈ X, la restrizione di f ad un
conveniente intorno di p in X (cioè con la topologia indotta) è un’immersione.
4 - Giovedı̀ 25/09/14
Il risultato che segue, che riportiamo senza dimostrazione, è una conseguenza del teorema
della funzione inversa locale e caratterizza le immersioni locali nel caso particolare che il
dominio sia un aperto.
Teorema (dell’immersione locale). Un’applicazione f : U → Rs , di classe C r su un aperto
U di Rk , è un’immersione locale (di classe C r ) se e solo se dfp è 1 − 1, ∀p ∈ U .
Un’immersione è ovviamente anche un’immersione locale, ma non vale il contrario. Ad
esempio l’applicazione ϕ : R → R2 definita da ϕ(t) = (cos t, sen t) è un’immersione locale
ma, non essendo invertibile, non è un’immersione.
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Un’immersione locale, anche se invertibile, non è detto che sia un’immersione. Per convincersene si consideri la seguente figura a forma di “sei”, immagine di una curva regolare γ
(cioè col vettore γ 0 (t) sempre non nullo) definita su un intervallo aperto (a, b). Si osservi che
l’applicazione γ è iniettiva (quindi invertibile) ed è un’immersione locale poiché, ∀t ∈ (a, b),
il differenziale dgt : R → R2 è iniettivo (infatti, dato h ∈ R, dgt (h) è il vettore hγ 0 (t)). Detta figura, chiamiamola X, non può essere omeomorfa all’intervallo (a, b). Consideriamo
infatti un punto p ∈ X tale che X\{p} sia ancora uno spazio connesso. Se esistesse un
omeomorfismo φ : X → (a, b), la sua restrizione a X\{p} sarebbe un omeomorfismo tra lo
spazio connesso X\{p} e lo spazio sconnesso (a, b)\{φ(p)}, e ciò è impossibile.
Si osservi che le seguenti due proprietà sono necessarie affinché un’applicazione f : X → Rs
sia un’immersione (di classe C r ):
1) f è un’immersione locale (di classe C r );
2) f è un omeomorfismo su f (X).
Esercizio. Provare che le suddette due condizioni sono anche sufficienti affinché un’applicazione sia un’immersione.
Suggerimento. Si osservi che f −1 : f (X) → X è di classe C r se e solo se lo è localmente
(cioè, per ogni y ∈ f (X) esiste un intorno di y in f (X) in cui f −1 è C r ). La proprietà 2)
implica che f manda aperti di X in aperti di f (X). Quindi, fissato y ∈ f (X). . . bla bla.
Una condizione che assicura che un’applicazione continua e iniettiva tra spazi metrici sia
un omeomorfismo (sull’immagine) è che il dominio sia compatto: in questo caso, infatti,
l’applicazione manda chiusi in chiusi. Ne segue che se f : U → Rs è un’immersione locale
definita su un aperto U di Rk (cioè se dfx è 1 − 1 per ogni x ∈ U ) e K è un sottoinsieme
compatto di U in cui f risulta iniettiva, allora la restrizione di f a K è un’immersione.
Ad esempio, una curva parametrica semplice e regolare γ : [a, b] → Rk è un’immersione.
In particolare, il sostegno C = γ([a, b]) di γ è diffeomorfo ad [a, b], e se σ : [c, d] → Rk è
un’altra parametrizzazione dell’arco C (cioè σ è una curva parametrica semplice e regolare
con sostegno C), allora il cambiamento di parametro σ −1 ◦ γ : [a, b] → [c, d] è una biiezione
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
con derivata sempre positiva o sempre negativa.
5 - Venerdı̀ 26/09/14
Definizione (di varietà differenziabile m-dimensionale). Un sottoinsieme M di Rk si dice
una varietà differenziabile m-dimensionale (senza bordo) di classe C r se ogni suo punto
ammette un intorno (in M ) C r -diffeomorfo ad un aperto di Rm .
Un diffeomorfismo (di classe C r ) da un aperto di una varietà (di classe C r ) su un aperto
di uno spazio euclideo si chiama carta (o sistema di coordinate). L’inversa di una carta è
una parametrizzazione (cioè un diffeomorfismo da un aperto di uno spazio euclideo su un
aperto di una varietà). Un atlante (di classe C r ) di una varietà è una collezione di carte
(di classe C r ) i cui domini coprono la varietà. Un atlante si dice massimale se contiene
tutte le possibili carte.
Esempio (discusso a lezione). La circonferenza unitaria
S 1 = (x, y) ∈ R3 : x2 + y 2 = 1
è localmente esprimibile tramite il grafico di una funzione reale di classe C ∞ definita nell’intervallo (−1, 1). Si osservi infatti che l’equazione x2 + y 2 = 1 definisce quattro funzioni
implicite (massimali) di classe C ∞ , tutte definite nell’intervallo (−1, 1): due esprimono la
y in funzione della x e altre due legano la x in funzione della y. Quindi, tenendo conto
che il grafico di un’applicazione C r è C r diffeomorfo al dominio, possiamo affermare che
S 1 è una varietà differenziabile unidimensionale di classe C ∞ .
Esempio (discusso a lezione). La sfera unitaria S 2 ⊆ R3 è localmente il grafico di un’applicazione reale di classe C ∞ definita su un cerchio aperto di R2 ; quindi è una varietà
differenziabile bidimensionale di classe C ∞ (ricordiamo che il grafico di un’applicazione
C r è C r -diffeomorfo al dominio).
Esercizio. Provare che la sfera unitaria di Rm+1 è una varietà differenziabile m-dimensionale di classe C ∞ .
Osservazione. Sia M una varietà differenziabile m-dimensionale e siano
ϕ : U → ϕ(U )
e
ψ : V → ψ(V )
due carte di classe C r su M . Il cambiamento di carta
ψ ◦ ϕ−1 : ϕ(U ∩ V ) → ψ(U ∩ V ),
essendo composizione di due diffeomorfismi, è un diffeomorfismo (tra aperti di Rm ). Di
conseguenza, lo jacobiano di ψ ◦ ϕ−1 risulta diverso da zero in ogni punto di ϕ(U ∩ V ).
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Primi esempi di varietà differenziabili:
• gli aperti di Rm sono varietà m-dimensionali di classe C ∞ ;
• il grafico di un’applicazione f : U → Rs , di classe C r su un aperto U di Rm , essendo
C r -diffeomorfo al dominio, è una varietà m-dimensionale di classe C r ;
• gli aperti di una varietà differenziabile M sono varietà differenziabili della stessa
classe e della stessa dimensione di M ;
• le varietà affini in Rk sono varietà differenziabili di classe C ∞ e dimensione uguale a
quella dello spazio di cui risultano traslate.
6 - Venerdı̀ 26/09/14
Riportiamo, senza dimostrazione, il seguente importantissimo risultato.
Teorema (della funzione implicita). Sia f : W → Rs un’applicazione di classe C r su un
aperto W di Rk = Rm × Rs . Se in un punto p = (x0 , y0 ) di f −1 (0) lo jacobiano parziale
det
∂f
(p)
∂y
è diverso da zero, allora f −1 (0), in un conveniente intorno U × V di p, è il grafico di
un’applicazione C r da U in V . In particolare l’intorno f −1 (0) ∩ (U × V ) di p in f −1 (0) è
diffeomorfo all’intorno U di x0 .
Nel teorema della funzione implicita si è supposto che il minore (cioè la sottomatrice
quadrata) costituita dalle ultime s colonne della matrice jacobiana f 0 (p) sia non degenere.
Le ultime s coordinate di Rk non sono certo privilegiate rispetto alle altre. Quindi, se al
posto dell’ipotesi
∂f
det
(p) 6= 0
∂y
si assume che il rango di f 0 (p) sia uguale ad s, si può ancora affermare che in un intorno
di p l’insieme di livello f −1 (0) è diffeomorfo ad un aperto di Rm . Il risultato che segue è
un’immediata conseguenza di tale osservazione.
Corollario. Sia f : U → Rs un’applicazione di classe C r su un aperto U di Rk . Se in ogni
punto p ∈ f −1 (0) il rango della matrice jacobiana f 0 (p) è uguale ad s (o, equivalentemente,
il differenziale dfp : Rk → Rs è suriettivo), allora f −1 (0) è una varietà differenziabile
(eventualmente vuota) di classe C r e dimensione k − s.
7 - Mercoledı̀ 01/10/14
Definizione. Sia f : U → Rs un’applicazione di classe C 1 su un aperto U di Rk . Un
elemento x ∈ U si dice punto critico per f se il differenziale di f in x non è suriettivo
(ossia, se la matrice jacobiana f 0 (x) ha rango minore di s). Ogni x ∈ U non critico si dice
punto regolare.
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Sia f : U → Rs un’applicazione di classe C 1 su un aperto di Rk . Si osservi che se k < s,
allora ogni punto di U è critico; se f è a valori reali (ossia s = 1), allora i suoi punti
critici sono quelli in cui si annulla il gradiente; se k = s, allora x ∈ U è critico se e solo se
det(f 0 (x)) = 0.
Definizione. Sia f : U → Rs un’applicazione di classe C 1 su un aperto U di Rk . Un
elemento y ∈ Rs si dice un valore critico per f se è immagine di un punto critico. Gli
elementi di Rs che non sono critici si chiamano valori regolari.
In altre parole, y ∈ Rs è un valore regolare se e solo se f −1 (y) non contiene punti critici
(di conseguenza, se y ∈ Rs non sta nell’immagine di f , allora è un valore regolare).
Si osservi che, per comodità di linguaggio, si fa distinzione tra gli elementi del dominio e
quelli del codominio, chiamando punti i primi e valori i secondi.
Facciamo notare che, in base alle due precedenti definizioni, il corollario del teorema della
funzione implicita può essere riformulato nel modo seguente.
Teorema (di regolarità delle soluzioni negli aperti). Sia f : U → Rs un’applicazione di
classe C r su un aperto U di Rk e sia y ∈ Rs . Se tra le soluzioni dell’equazione f (x) = y
non ci sono punti critici per f (o, equivalentemente, se y ∈ Rs è un valore regolare per
f ), allora f −1 (y) è una varietà differenziabile (eventualmente vuota) di dimensione k − s
e classe C r .
Una varietà differenziabile definita come nel suddetto teorema si dice una varietà di livello
regolare (y è il livello, ed è un valore regolare). Non tutte le varietà differenziabili sono
varietà di livello regolare. Una condizione necessaria, come vedremo in seguito, è che la
varietà sia orientabile. Tuttavia, si potrebbe dimostrare che ogni varietà differenziabile in
Rk è localmente una varietà di livello regolare.
A titolo di esempio, deduciamo dal teorema di regolarità delle soluzioni che la sfera
S m−1 = {x ∈ Rm : hx , xi = 1}
è una varietà differenziabile di classe C ∞ e dimensione m − 1. Osserviamo infatti che
S m−1 = f −1 (1), dove f : Rm → R è l’applicazione C ∞ definita da f (x) = hx , xi. Inoltre,
se p ∈ Rm , si ha dfp (v) = 2hp , vi, e questo prova che il differenziale dfp è suriettivo se e
solo se p ∈ Rm \{0}. Quindi f ha un unico punto critico, 0 ∈ Rm , che non appartiene
all’insieme di livello f −1 (1).
Sempre a titolo di esempio, mostriamo come l’insieme delle “posizioni” (detto spazio delle configurazioni ) di un’asta rigida in R2 (di lunghezza assegnata l > 0) possa essere
pensato come una varietà di livello tridimensionale in R4 . Ogni configurazione dell’asta
in R2 è univocamente individuata dalla posizione dei suoi estremi. Quindi, ad ogni sua
configurazione corrisponde (ossia, si può associare) un punto p = (p1 , p2 ) ∈ R2 × R2 , e
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
tale corrispondenza è iniettiva. Possiamo dunque identificare lo spazio delle configurazioni
dell’asta con linsieme
n
o
M = (p1 , p2 ) ∈ R2 × R2 : kp2 − p1 k2 = l2 .
In altre parole M = g −1 (l2 ), dove g : R2 × R2 → R è l’applicazione definita da
g(p1 , p2 ) = kp2 − p1 k2 .
Si lascia allo studente il compito di verificare che l’insieme dei punti critici di g coincide
con la diagonale di R2 × R2 . Ossia con le coppie (p1 , p2 ) tali che p1 = p2 . Quindi l2 è un
valore critico se e solo se l’asta ha lunghezza nulla. Poiché l > 0, l’insieme di livello M è
una varietà differenziabile di classe C ∞ . La sua dimensione è 4 − 1 = 3, e per tale motivo
si dice che un’asta nel piano ha tre gradi di libertà.
Con lo stesso metodo non è difficile verificare che le configurazioni di un’asta rigida in R3
costituiscono una varietà di dimensione 5 in R6 . In modo analogo, ma con più calcoli,
si potrebbe provare che lo spazio delle configurazioni di un corpo rigido è una varietà di
dimensione 6 in R9 (per provarlo occorre tener conto che la configurazione di un corpo
rigido è individuata dai vertici di un triangolo solidale con il corpo).
Si invita lo studente a verificare che le configurazioni di un pendolo piano si identificano
con una circonferenza in R2 , di un pendolo sferico con una superficie sferica in R3 , di un
pendolo doppio con un toro in R4 .
Esercizio (svolto a lezione). Determinare i punti critici dell’applicazione f : R3 → R2
definita da f (x, y, z) = (f1 (x, y, z), f2 (x, y, z)) = (x2 + y 2 , x + y + z).
Esercizio (svolto a lezione). Provare che il seguente sistema di due equazioni in tre
incognite definisce una varietà differenziabile unidimensionale di classe C ∞ :
(
x2 + y 2 − 1 = 0,
x+y+z
= 0.
8 - Mercoledı̀ 01/10/14
Una disquisizione sul “vero” concetto di gradiente (come unico vettore che permette di
rappresentare il differenziale tramite il prodotto scalare).
Lemma di Sard (1942). Sia f : U → Rs un’applicazione C n su un aperto U di Rk .
Se n > max{0, k − s}, allora l’insieme dei valori critici per f ha misura nulla secondo
Lebesgue.
Il risultato che segue, ottenuto da A. B. Brown nel 1935, può essere facilmente dedotto dal
Lemma di Sard (si osservi, infatti, che gli insiemi di misura nulla hanno interno vuoto).
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Lemma di Brown. Se f : U → Rs soddisfa le ipotesi del Lemma di Sard, allora l’insieme
dei valori regolari per f è denso in Rs .
Una conseguenza del Lemma di Brown è la non esistenza di curve di Peano di classe C 1 .
Ricordiamo, infatti, che una curva di Peano è un’applicazione continua α : [a, b] → Rs , con
s > 1, la cui immagine è dotata di punti interni. Se α è C 1 , allora ogni suo punto è critico
e, di conseguenza, l’immagine di α, essendo di misura nulla, non può avere punti interni.
9 - Giovedı̀ 02/10/14
Definizione (di vettore applicato). Dato un sottoinsieme A di Rk , una coppia (p, v), dove
p ∈ A e v ∈ Rk , si dice un vettore applicato in A (o, più precisamente, un vettore applicato
in p ∈ A). Il punto p si chiama punto di applicazione e v è il vettore libero.
Sia f : U → R una funzione C 1 su un aperto U di R2 . Consideriamo due punti p = (x0 , y0 )
e p + v = (x0 + h, y0 + k) del dominio U di f . L’incremento che subisce f passando dal
punto p al punto p + v è il numero ∆f := f (p + v) − f (p). Tale incremento (che dovremmo
a rigore denotare con ∆f (p, v) o con ∆fp (v), perché dipende sia dal punto iniziale p sia
dal vettore spostamento v) ha il difetto di non essere facile da valutare. Tuttavia, se ∆f
ci interessa soltanto per valori piccoli di kvk (come, ad esempio, per il calcolo degli errori),
al posto dell’incremento vero è preferibile utilizzare un incremento “virtuale” (chiamato
differenziale) che, pur non essendo vero (a meno che f (x, y) non sia un polinomio di grado
minore o uguale ad uno), ha il duplice pregio di essere facile da calcolare (perché, fissato il
punto di applicazione p, risulta lineare rispetto a v) e di approssimare bene l’incremento
vero.
Definizione (di differenziale di una funzione). Sia f : U → R una funzione C 1 su un
aperto U di Rk e sia (p, v) un vettore applicato in U (cioè p ∈ U e v ∈ Rk ). Il differenziale
(primo) di f in p lungo v (detto anche differenziale di f calcolato in (p, v) o derivata di f
in p lungo il vettore v) è il numero
f (p + tv) − f (p)
.
t→0
t
dfp (v) = lim
Invece di dfp (v) si può usare anche il simbolo df (p, v). Di solito si preferisce la prima
notazione quando si pensa di aver fissato il punto di applicazione p e si considera variabile
il vettore libero v. Si preferisce la seconda quando si pensano variabili sia p sia v, cioè
quando si pensa variabile il vettore applicato (p, v).
Esercizio (per il calcolo del differenziale primo). Provare che df (p, v) = ϕ0 (0), dove ϕ(t) è
la funzione reale di variabile reale t 7→ f (p+tv) ottenuta componendo la curva parametrica
(rettilinea) t 7→ p + tv con la funzione f .
20 dicembre 2014
11
Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Il metodo per calcolare il differenziale primo espresso nel suddetto esercizio fornisce una
definizione alternativa (equivalente alla precedente) di differenziale primo di una funzione
C 1 , permette di dedurre una formula pratica per esprimere il differenziale mediante il
gradiente (si veda il teorema che segue), costituisce il punto di partenza per la definizione di
differenziale secondo e, volendo, permette di intuire il metodo per introdurre i differenziali
di qualunque ordine.
Teorema (di rappresentazione del differenziale primo). Sia f : U → R una funzione C 1
su un aperto U di Rk e sia (p, v) un vettore applicato in U . Allora risulta
df (p, v) = ∇f (p) · v .
Pertanto, fissato il punto di applicazione p, il differenziale di f in p, cioè l’applicazione
dfp : Rk → R definita da v 7→ df (p, v), è lineare rispetto al vettore libero v.
Dimostrazione. In base all’esercizio precedente risulta df (p, v) = ϕ0 (0), dove ϕ(t) è la
funzione reale di variabile reale t 7→ f (p+tv). Per il teorema della derivata di una funzione
composta risulta ϕ0 (t) = ∇f (p+tv)·v. Quindi, in particolare, si ottiene df (p, v) = ϕ0 (0) =
∇f (p) · v.
10 - Giovedı̀ 02/10/14
Definizione. Un’applicazione continua tra due spazi metrici, f : X → Y , si dice propria
se la retroimmagine di ogni compatto di Y è un compatto di X.
Osservazione. Se f : X → Y è un omeomorfismo (tra spazi metrici), allora è un’applicazione propria.
Osservazione. Se f : X → Y è un’applicazione continua (tra spazi metrici) e X è
compatto, allora f è propria.
Esercizio. Mostrare che se f : X → Y è propria, allora manda chiusi in chiusi.
Suggerimento. Fissato un chiuso C ⊆ X, si consideri una successione {yn } in f (C),
convergente ad un ȳ ∈ Y . Occorre provare che ȳ ∈ f (C). Si osservi ora che l’insieme
K = {yn : n ∈ N} ∪ {ȳ} è un compatto. Quindi... bla bla.
Si potrebbe provare che un’applicazione tra spazi metrici è propria se e solo se manda
chiusi in chiusi e la retroimmagine di ogni punto è un compatto.
Esercizio. Sia X un sottoinsieme chiuso e non limitato di Rk e sia f : X → Rs un’applicazione continua. Provare che f è propria se e solo se
lim
x∈X, kxk→∞
20 dicembre 2014
kf (x)k = +∞.
12
Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Suggerimento. Poiché f è continua ed X è chiuso, la retroimmagine di ogni chiuso di Rs
è un chiuso di Rk (e non soltanto di X). Rimane da provare che la condizione sul limite
equivale ad affermare che la retroimmagine di ogni limitato è un limitato.
11 - Venerdı̀ 03/10/14
Esercizio (svolto a lezione). Dedurre dall’esercizio precedente che se P : C → C è un
polinomio non costante, allora è un’applicazione propria.
Suggerimento. Se Pn è un polinomio di grado n > 0, per z 6= 0 si ha
R(z) n
|Pn (z)| = |z| an + n ,
z
con an 6= 0 e R(z)/z n → 0 per |z| → ∞.
Esercizio. Sia f : U → Rs un’applicazione di classe C 1 su un aperto di Rk . Provare che
l’insieme dei punti regolari per f è un aperto in U (e quindi anche in Rk ).
Suggerimento. Sia p ∈ U un punto regolare per f . Allora la matrice jacobiana f 0 (p)
ammette una sottomatrice s×s con determinante diverso da zero. Dato che il determinante
di una matrice quadrata dipende con continuità dagli elementi della matrice, esiste un
intorno di p. . . bla bla.
Esercizio. Sia f : U → Rs un’applicazione di classe C 1 su un aperto di Rk . Dedurre,
dall’esercizio precedente, che se f è propria, allora l’insieme dei valori regolari per f è un
aperto di Rs .
Suggerimento. L’insieme C dei punti critici per f è un chiuso (relativo) di U .
conseguenza, essendo f propria, l’insieme f (C) dei valori critici. . . bla bla.
Di
Teorema. Sia f : Rk → Rk un’applicazione di classe C 1 . Se y ∈ Rk è un valore regolare
per f , allora f −1 (y) è un insieme discreto. Di conseguenza, se f è propria, f −1 (y) è un
insieme finito.
Dimostrazione. Per il teorema della funzione inversa locale ogni punto di f −1 (y) è isolato
(cioè, dato x ∈ f −1 (y), esiste un intorno V di x in Rk tale che V ∩ f −1 (y) = {x}). La
topologia indotta da Rk su f −1 (y) è dunque discreta (i.e. ogni sottoinsieme di f −1 (y) è
un aperto). Avendo supposto f propria, f −1 (y) è uno spazio compatto; ma un compatto
con topologia discreta non può avere infiniti punti.
Notazione. Sia f : Rk → Rk un’applicazione propria di classe C 1 e sia C l’insieme dei
punti critici per f . Con #f −1 : Rk \ f (C) → Z si denota l’applicazione che ad ogni valore
regolare y di f associa la cardinalità dell’insieme (finito) f −1 (y).
12 - Venerdı̀ 03/10/14
Teorema (di continuità dell’applicazione #f −1 ). Sia f : Rk → Rk un’applicazione propria
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
di classe C 1 e sia C l’insieme dei punti critici di f . L’applicazione #f −1 : Rk \ f (C) → Z
che ad ogni valore regolare y di f associa la cardinalità di f −1 (y) è localmente costante.
Dimostrazione (svolta a lezione).
Esercizio. Provare che i punti critici di un polinomio a coefficienti complessi P : C → C
(visto come un’applicazione da R2 in sé) sono le radici del polinomio derivato P 0 . Dedurre
da ciò che l’insieme dei valori regolari di un polinomio è connesso e non vuoto.
Suggerimento. Mostrare che dato z ∈ C, risulta dPz (w) = P 0 (z)w, e dedurre da ciò che
l’applicazione lineare dPz : C → C e suriettiva se e solo se P 0 (z) 6= 0.
Teorema (fondamentale dell’algebra). L’applicazione P : C → C definita da un polinomio
non costante a coefficienti complessi è suriettiva.
Dimostrazione (svolta a lezione).
13 - Mercoledı̀ 08/10/14
Definizione. Sia X un sottoinsieme di Rk e sia p ∈ X. Un vettore u ∈ Rk si dice un
versore tangente ad X in p se esiste una successione {pn } in X \{p} tale che pn → p e
(pn − p)/kpn − pk → u.
Osserviamo che, per la compattezza della sfera unitaria di Rk , se {pn } è una successione
in X \{p} che converge a p, allora
(pn − p)
kpn − pk
ammette almeno una sottosuccessione convergente. Pertanto l’insieme dei versori tangenti
ad X in p è non vuoto se e solo se p è un punto di accumulazione per X.
Definizione. Nel caso in cui p sia un punto di accumulazione per X, il cono tangente (di
Bouligand) ad X in p è l’insieme Cp X dei vettori del tipo λu, dove λ ≥ 0 e u è un versore
tangente ad X in p. Se p è un punto isolato, si pone Cp X = {0}.
Definizione. Sia X un sottoinsieme di Rk e sia p ∈ X. Lo spazio tangente ad X in p è
lo spazio vettoriale Tp X generato da Cp X.
Ovviamente, se p è interno ad X ⊆ Rk , allora Cp X = Rk e, di conseguenza, Tp X = Rk .
Esercizio. Mostrare che il concetto di cono tangente è locale e invariante per traslazioni;
ossia:
• Cp X = Cp (X ∩ U ), per ogni intorno U di p;
• Cp X = Cp+v (X + v), per ogni v ∈ Rk .
14 - Mercoledı̀ 08/10/14
Lemma (di caratterizzazione del cono tangente). Siano X un insieme di Rk e p un punto
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
di X. Allora v ∈ Rk appartiene al cono tangente ad X in p se e solo se esistono due
successioni, {αn } in [0, +∞) e {pn } in X, tali che pn → p e αn (pn − p) → v.
Dimostrazione.
(SE) Siano {αn } in [0, +∞) e {pn } in X, tali che pn → p e αn (pn − p) → v. Se v = 0,
allora v ∈ Cp X per definizione. Supponiamo quindi v 6= 0. Per la continuità della norma,
si ha αn kpn − pk → kvk. Quindi, mediante il rapporto dei limiti, si ottiene
v
pn − p
→
.
kpn − pk
kvk
Ciò prova che u := v/kvk è un versore tangente ad X in p. Di conseguenza, v = λu con
λ = kvk.
(SOLO SE) Sia v ∈ Cp X. Se v = 0, allora basta definire αn = 1 e pn = p (∀ n ∈ N). Se
v 6= 0, allora v è il limite di una successione del tipo
kvk
(pn − p) ,
kpn − pk
dove {pn } sta in X\{p} e converge a p.
Esercizio. Dal lemma precedente dedurre che Cp X è contenuto nella chiusura Aδ di ogni
insieme Aδ = λ(x − p) : λ ≥ 0, x ∈ X, kx − pk < δ , δ > 0.
Esercizio. Siano X, p e Aδ (δ > 0) come nel precedente esercizio. Provare che
\
Cp X =
Aδ .
δ>0
Esercizio. Dall’esercizio precedente dedurre che Cp X è chiuso.
Esercizio. Provare che se X è convesso e p ∈ X, allora Cp X coincide con la chiusura
dell’insieme {λ(x − p) : λ ≥ 0, x ∈ X}.
Suggerimento. Osservare che, per la convessità di X, gli insiemi Aδ precedentemente
definiti sono tutti uguali.
Lemma (del rapporto incrementale). Sia f : U → Rs un’applicazione definita su un aperto
U di Rk e differenziabile in un punto p ∈ U . Se {pn } è una successione in U \{p} tale che
pn → p e (pn − p)/kpn − pk → v, allora (f (pn ) − f (p))/kpn − pk → dfp (v).
Dimostrazione. Sia {pn } in U \{p} tale che pn → p e (pn − p)/kpn − pk → v. Poiché f è
differenziabile in p, risulta
f (pn ) − f (p) = dfp (pn − p) + o(kpn − pk) .
Per la linearità di dfp si ha
f (pn ) − f (p)
= dfp
kpn − pk
20 dicembre 2014
pn − p
kpn − pk
+
o(kpn − pk)
,
kpn − pk
15
Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
e la tesi segue passando al limite per n → ∞.
Si osservi che il lemma del rapporto incrementale estende il noto teorema della derivata
direzionale, il quale afferma che se f è differenziabile in p, allora è derivabile in p lungo
ogni direzione v ∈ S k−1 e
f (p + tv) − f (p)
.
t→0
t
dfp (v) = lim
Lemma (di coerenza). Sia f : U → Rs un’applicazione definita su un aperto U di Rk .
Supponiamo che X ⊆ U e Y ⊆ Rs siano due insiemi tali che f (X) ⊆ Y . Se f è differenziabile in p ∈ X, allora dfp manda il cono tangente ad X in p nel cono tangente ad Y in
f (p). Di conseguenza dfp , essendo lineare, manda Tp X in Tf (p) Y .
Dimostrazione. Fissiamo v ∈ Cp X. Per la linearità di dfp si può supporre che v sia
un versore tangente. Esiste allora una successione {pn } in U \{p} tale che pn → p e
(pn − p)/kpn − pk → v. Dal lemma del rapporto incrementale (a pag. 15) si ottiene
f (pn ) − f (p)
.
n→∞
kpn − pk
dfp (v) = lim
Occorre provare che il suddetto limite appartiene a Cf (p) Y . E ciò segue dal lemma di
caratterizzazione del cono tangente (a pagina 14) perché la successione
f (pn ) − f (p)
kpn − pk
è della forma αn (qn − q), dove αn = 1/(kpn − pk), qn = f (pn ) ∈ Y e q = f (p) ∈ Y .
Ovviamente f (pn ) → f (p), poiché f è differenziabile in p, e quindi anche continua in tal
punto.
Lemma (di indipendenza). Siano f, g : U → Rs , dove U è un aperto di Rk . Supponiamo
che f e g coincidano in un sottoinsieme X di U . Se f e g sono differenziabili in un punto
p ∈ X, allora dfp e dgp coincidono in Cp X. Di conseguenza dfp e dgp coincidono anche
in Tp X.
Dimostrazione. L’applicazione h := f − g manda X in Y = {0}. Quindi, se v ∈ Cp X, per
il lemma di coerenza risulta dhp (v) ∈ C0 Y = {0}. Pertanto dfp (v) = dgp (v).
15 - Giovedı̀ 09/10/14
Definizione. Sia f : X → Y un’applicazione C 1 da un sottoinsieme X di Rk in un
sottoinsieme Y di Rs . Il differenziale di f in un punto p ∈ X,
dfp : Tp X → Tf (p) Y,
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
è la restrizione a Tp X, come dominio, e a Tf (p) Y , come codominio, del differenziale di una
qualunque estensione C 1 di f ad un intorno di p in Rk .
Per giustificare la definizione appena data si osservi che se g : U → Rs è un’estensione
(locale) di f ad un intorno U di p in Rk , per il lemma di coerenza, dgp manda Cp X in
Cf (p) Y e quindi, essendo un’applicazione lineare, manda lo spazio generato da Cp X nello
spazio generato da Cf (p) Y . In altre parole dgp induce un’applicazione lineare
dfp : Tp X → Tf (p) Y.
Il lemma di indipendenza, inoltre, afferma che la restrizione di dgp a Tp X dipende esclusivamente da f , e non dalla particolare estensione scelta.
Le seguenti proprietà del differenziale sono una facile conseguenza delle analoghe, e ben
note, proprietà delle applicazioni definite sugli aperti degli spazi euclidei.
Osservazione (proprietà funtoriali del differenziale). Siano f : X → Y e g : Y → Z due
applicazioni di classe C 1 tra sottoinsiemi di spazi euclidei. Allora, fissato un punto p ∈ X
e posto q = f (p), risulta:
1) d(g ◦ f )p = dgq ◦ dfp ,
2) d(1X )p = 1Tp X ,
dove 1X e 1Tp X denotano l’identità in X e in Tp X, rispettivamente.
Introduciamo ora alcune comode convenzioni tipografiche, particolarmente utili nel formalismo espressivo dei diagrammi commutativi. Dato un insieme X, per indicare che A è
un sottoinsieme di X si usa spesso il simbolo (X, A). Quando X è uno spazio topologico
e in A si considera la topologia indotta da X, allora (X, A) si dice una coppia topologica.
Una notazione del tipo f : (X, A) → (Y, B) significa che f è un’applicazione da X in Y
che manda il sottoinsieme A di X nel sottoinsieme B di Y (se le due coppie, dominio e
codominio di f , sono topologiche, allora si sottintende che f è continua). Se p è un punto
di X e q un punto di Y , si scriverà f : (X, p) → (Y, q) per specificare che f (p) = q (si
usa dire che f manda l’insieme puntato (X, p) nell’insieme puntato (Y, q)). Per motivi di
semplicità, l’identità in un insieme qualunque (che rappresenta l’elemento neutro rispetto
alla composizione di applicazioni) verrà denotata con un unico simbolo: 1. Il suo dominio
risulterà evidente dal contesto.
Si osservi che, in base alle suddette convenzioni, se f : (X, p) → (Y, q) è un’applicazione di classe C 1 (tra sottoinsiemi degli spazi euclidei), allora induce un’applicazione
lineare dfp : (Tp X, Cp X) → (Tq Y, Cq Y ). Intendendo che dfp è lineare da Tp X in Tq Y , con
l’informazione aggiuntiva che manda Cp X in Cq Y .
16 - Giovedı̀ 09/10/14
Teorema (fondamentale dei diffeomorfismi). Sia f : X → Y un diffeomorfismo di classe
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
C 1 tra un sottoinsieme X di Rk e un sottoinsieme Y di Rs . Allora, fissato un qualunque
p ∈ X e posto q = f (p), dfp : Tp X → Tq Y è un isomorfismo che fa corrispondere Cp X a
Cq Y (cioè tale che dfp (Cp X) = Cq Y ).
Dimostrazione. Per definizione di diffeomorfismo, esiste g : Y → X, di classe C 1 , che rende
commutativo il diagramma
f(Y, q)
(X, p)
1
g
1
-
-
?
(X, p)
f(Y, q)
al quale, in base alle proprietà funtoriali del differenziale, corrisponde un altro diagramma
commutativo:
(Tp X, Cp X)
dfp
- (Tq Y, Cq Y )
dgq
1
-
?
1
dfp
-
(Tp X, Cp X) - (Tq Y, Cq Y )
da cui si deduce la tesi.
Esempio. L’insieme
n
o
X = (x, y) ∈ R2 : y = |x| ,
costituito dal grafico della funzione valore assoluto, non può essere diffeomorfo ad R (sebbene sia omeomorfo). In (0, 0), infatti, lo spazio tangente ad X è bidimensionale, mentre
Tx (R) ha dimensione uno qualunque sia x ∈ R.
Il risultato che segue è una immediata conseguenza del teorema fondamentale dei diffeomorfismi.
Teorema (di regolarità delle varietà differenziabili). Se M ⊆ Rk è una varietà differenziabile m-dimensionale, allora, ∀p ∈ M , si ha Tp M = Cp M e dim Tp M = m. In particolare
dim M ≤ k.
Dimostrazione. La tesi segue facilmente dal teorema di invarianza del confine e dai seguenti
fatti:
(1) il cono tangente è un concetto locale;
(2) le varietà differenziabili sono localmente diffeomorfe agli aperti degli spazi euclidei;
(3) se U è un aperto di Rm e p ∈ U , allora Cp U = Rm .
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Definizione. Un punto p ∈ X si dice regolare per X se Cp X = Tp X, in caso contrario si
dice singolare o di confine. L’insieme dei punti singolari per X si chiama il confine di X
e si denota con δX.
Teorema (di invarianza del confine). Se f : X → Y è un diffeomorfismo, allora la restrizione di f a δX è un diffeomorfismo tra δX e δY . Di conseguenza, ∀n ∈ N, δ n X e δ n Y
sono diffeomorfi.
Dimostrazione. In base al teorema fondamentale dei diffeomorfismi (a pag. 17), se p ∈ δX
allora f (p) ∈ δY , e viceversa. Ne segue che δX e δY si corrispondono tramite f . La tesi
segue dal fatto che la restrizione di un diffeomorfismo è un diffeomorfismo tra l’insieme a
cui ci si è ristretti e la corrispondente immagine.
Esercizio. Dedurre, dal teorema di invarianza del confine, che il quadrato [0, 1] × [0, 1]
non è diffeomorfo al disco chiuso
n
o
D2 = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 ≤ 1 .
Esercizio. Dedurre, dal teorema di invarianza del confine, che un quadrilatero non può
essere diffeomorfo ad un triangolo.
Esercizio. Provare che due angoli, uno minore dell’angolo piatto e uno maggiore, non
possono essere diffeomorfi.
Suggerimento. Se esistesse un diffeomorfismo tra i due angoli, allora, per il teorema di
invarianza del confine, i due vertici si dovrebbero corrispondere. Ciò è impossibile perché
in un vertice il cono tangente è convesso, mentre nell’altro vertice. . . bla bla.
17 - Venerdı̀ 10/10/14
Osservazione. Sia ϕ : U → M una parametrizzazione (locale) di una varietà differenziabile M ⊆ Rk . Allora lo spazio tangente ad M in un punto ϕ(u) coincide con l’immagine
di dϕu .
Osservazione. Sia f : U → Rs un’applicazione di classe C 1 su un aperto U di Rk . Se f
è costante su un sottoinsieme X di U e p ∈ X, allora Tp X ⊆ Ker dfp . Pertanto, se Tp X e
Ker dfp hanno la stessa dimensione, risulta Tp X = Ker dfp .
La suddetta osservazione è utile nel caso si debba calcolare lo spazio tangente in un punto
ad una varietà di livello regolare. Precisamente, sia f : U → Rs un’applicazione C 1 su
un aperto U di Rk e supponiamo che y ∈ Rs sia un valore regolare per f (ciò significa,
ricordiamo, che per ogni p ∈ f −1 (y) il differenziale dfp : Rk → Rs è suriettivo). Allora,
come abbiamo già visto, dal teorema della funzione implicita si deduce che f −1 (y) è una
varietà differenziabile di dimensione k − s. Pertanto, dato p ∈ f −1 (y), anche Tp (f −1 (y))
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
ha dimensione k − s; cioè la stessa di Ker dfp , visto che dfp è suriettivo. Questo ci permette
di dedurre l’uguaglianza Tp (f −1 (y)) = Ker dfp .
Esempio. Consideriamo la sfera S m−1 = {x ∈ Rm : kxk2 = 1}. Risulta S m−1 = f −1 (0),
dove f (x) = hx , xi − 1. Fissato un punto p ∈ S m−1 , si ha dfp (v) = 2hp , vi. Pertanto dfp è
non nullo, e quindi anche suriettivo (dato che è a valori in R). Da ciò segue
n
o
Tp S m−1 = Ker dfp = v ∈ Rm : 2hp , vi = 0 ;
ossia Tp S m−1 è lo spazio ortogonale a p.
Il risultato che segue fornisce un metodo pratico per determinare il cono tangente in un
punto ad un insieme definito tramite disequazioni.
Teorema (della retroimmagine del cono tangente). Sia f : U → Rs un’applicazione C 1 su
un aperto di Rk e sia Y un sottoinsieme di Rs . Se p ∈ X := f −1 (Y ) è un punto regolare
per f , allora Cp X = dfp−1 (Cf (p) Y ). Ossia v ∈ Cp X se e solo se dfp (v) ∈ Cf (p) Y .
Dimostrazione. Sia L : Rk → Rk−s una qualunque applicazione lineare, iniettiva su Ker dfp .
Si osservi che l’esistenza di una tale applicazione è assicurata dal fatto che Ker dfp ha
dimensione k − s (di conseguenza, basta estendere linearmente a tutto Rk un qualunque
isomorfismo da Ker dfp a Rk−s ). Definiamo F : U → Rs × Rk−s tale che F (x) = (f (x), Lx).
Differenziando F in p si ottiene dFp = (dfp , L). Quindi dFp è un isomorfismo perché opera
tra spazi della stessa dimensione e (dp f (v), Lv) = (0, 0) implica v = 0 (verificarlo per
esercizio). Per il teorema della funzione inversa locale (a pag. 5) la restrizione di F ad un
conveniente intorno W di p è un diffeomorfismo su un intorno V di F (p). Si osservi che tale
diffeomorfismo fa corrispondere X ∩ W a (Y × Rk−s ) ∩ V . Di conseguenza, per il teorema
fondamentale dei diffeomorfismi (a pag. 17), dFp fa corrispondere Cp X a CF (p) (Y × Rk−s ).
La tesi segue facilmente dal fatto che CF (p) (Y × Rk−s ) = (Cf (p) Y ) × Rk−s (verificarlo per
esercizio).
Esempio. Consideriamo l’insieme
X = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 ≤ 2, y > 0, y ≥ x, z = 3 ,
retroimmagine di
Y = (a, b, c, d) ∈ R4 : a ≤ 2, b > 0, c ≥ 0, d = 3
mediante l’applicazione (di classe C ∞ ) f : R3 → R4 definita da
f (x, y, z) = (x2 + y 2 , y, y − x, z).
Poiché un’applicazione lineare da R3 in R4 non può essere suriettiva, in X (anzi, in R3 )
non ci sono punti regolari per f . E allora? Se si fissa un punto p ∈ X, come si fa a
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
determinare il cono tangente in p? Semplice: basta prendere in considerazione soltanto le
disequazioni e le equazioni che sono significative in un intorno (sufficientemente piccolo)
del punto considerato.
Ad esempio se in p le tre disequazioni che definiscono X sono tutte verificate in senso
stretto, come per p = (−1, 1/2, 3), allora lo saranno anche in un intorno di p. Quindi,
in tale intorno, X è definito soltanto dall’equazione z = 3. Osserviamo che il punto p
è regolare per l’applicazione “estratta da f ” che è significativa in tale intorno, ossia la
funzione reale (x, y, z) 7→ z. Di conseguenza, il cono tangente (ad X in p) si ottiene
“linearizzando” l’equazione z = 3. Cioè Cp X = (ẋ, ẏ, ż) ∈ R3 : ż = 0 . In questo caso il
cono tangente è un sottospazio di R3 e coincide, quindi, con lo spazio tangente.
Supponiamo ora che in p ∈ X si verifichi l’uguaglianza sia nella prima che nella terza
disequazione. C’è un sol punto che verifica tale proprietà: p = (1, 1, 3). In un intorno di
p, l’insieme X è definito “in modo regolare” dalle due disequazioni x2 + y 2 ≤ 2 e y ≥ x, e
dall’equazione z = 3. I vettori del cono tangente si ottengono differenziando le tre funzioni
coinvolte. Cioè mediante la linearizzazione delle due disequazioni e dell’unica equazione.
Pertanto, in questo caso, Cp X = (ẋ, ẏ, ż) ∈ R3 : ẋ + ẏ ≤ 0, ẏ ≥ ẋ, ż = 0 .
√
Determiniamo ora il cono tangente nel punto p = (0, 2, 3). In un intorno di p sono
coinvolte (in modo regolare) la disequazione x2 + y 2 ≤ 2 e l’equazione z = 3. Quindi
Cp X = (ẋ, ẏ, ż) ∈ R3 : ẏ ≤ 0, ż = 0 .
18 - Venerdı̀ 10/10/14
Dato X ⊆ Rk , sia γ una curva parametrica di classe C 1 in X, ossia un’applicazione C 1
a valori in X definita in un intervallo non banale J ⊆ R. Osserviamo che, fissato τ ∈ J,
la matrice jacobiana γ 0 (τ ) è un vettore colonna i cui elementi sono le derivate in τ delle
k funzioni reali γ1 , γ2 , . . . , γk che compongono γ. Perciò γ 0 (τ ) è un vettore di Rk , detto
vettore tangente a γ nel punto γ(τ ). Ovviamente si ha
γ 0 (τ ) = lim
t→τ
γ(t) − γ(τ )
.
t−τ
Pertanto, per il lemma di caratterizzazione del cono tangente (a pag. 14), il vettore γ 0 (τ )
appartiene allo spazio tangente Tγ(τ ) X.
In generale, se X ⊆ Rk è un insieme arbitrario e p ∈ X, non tutti gli elementi di Tp X
sono vettori tangenti a curve parametriche in X passanti per p. Ad esempio se X è il
sottoinsieme {0} ∪ {1/n : n ∈ N} di R e p = 0, con le curve in X passanti per p si ottiene
un solo vettore (quale?) sebbene Tp X coincida con R.
Si invitano gli studenti a provare che se M è una varietà differenziabile in Rk e p ∈ M ,
allora ogni vettore di Tp M è tangente ad una opportuna curva parametrica in M (si osservi
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
prima che tale proprietà è verificata per gli aperti di Rm ). In un certo senso, ogni vettore
di Tp M è la velocità ad un certo istante τ di un punto che si muove in M e passa per p al
tempo τ .
Per esempio, consideriamo un’asta rigida in R2 di lunghezza l > 0. Abbiamo visto che le
sue configurazioni si possono pensare come coppie di punti p1 e p2 di R2 che verificano la
condizione kp2 − p1 k2 = l2 . Denotiamo con M = g −1 (l2 ) la verietà tridimensionale delle
configurazioni dell’asta, dove g : R2 × R2 → R è definita da g(p1 , p2 ) = hp2 − p1 , p2 − p1 i.
Supponiamo che l’asta sia in movimento. Dato che ad ogni sua configurazione corrisponde
un punto di M , il suo moto si può interpretare come una curva parametrica t 7→ γ(t) =
(p1 (t), p2 (t)) ∈ M , che assumiamo sia di classe C 1 . In base a quanto precedentemente
osservato, fissato un istante τ ∈ J, γ 0 (τ ) = (p01 (τ ), p02 (τ )) è un vettore tangente ad M nel
punto γ(τ ). I vettori p01 (τ ) e p02 (τ ) sono le velocità all’istante τ degli estremi dell’asta.
Quindi, ogni vettore tangente ad M si può interpretare come una coppia di velocità, ma,
ovviamente, non è vero il contrario, altrimenti lo spazio tangente avrebbe dimensione
quattro. Cerchiamo dunque di capire come si interpretano i vettori tangenti ad M in un
generico punto p = (p1 , p2 ). Dato che g −1 (l2 ) è una varietà di livello regolare, il sottospazio
Tp M di R2 × R2 coincide col nucleo del differenziale dgp : R2 × R2 → R. Denotando quindi
con ṗ = (ṗ1 , ṗ2 ) un generico vettore di Tp M , risulta dgp (ṗ) = 0, cioè 2hp2 −p1 , ṗ2 − ṗ1 i = 0.
Pertanto, interpretando ṗ1 e ṗ2 come velocità (o anche come spostamenti virtuali ), le loro
proiezioni ortogonali lungo l’asta devono coincidere. Abbiamo scoperto una cosa evidente:
l’asta, essendo rigida, non deve né allungarsi né accorciarsi.
Vediamo ora un altro modo per interpretare (quasi tutti) i vettori tangenti ad M in una
generica configurazione (p1 , p2 ) dell’asta. Se ṗ1 6= ṗ2 , allora i vettori ṗ1 e ṗ2 non possono
essere paralleli, altrimenti avrebbero differenti proiezioni lungo l’asta. Quindi, le due rette
passanti per p1 e p2 e perpendicolari, rispettivamente, a ṗ1 e ṗ2 si intersecano in un punto
di R2 , detto centro istantaneo di rotazione, il cui significato fisico è evidente: il moto
nel piano di un’asta (o, più in generale, di una piastra) istante per istante (se non è
una traslazione) è la rotazione attorno ad un punto. Un vettore tangente, quindi, si può
interpretare come una coppia: un punto di R2 e una velocità angolare. Fanno eccezione
le traslazioni istantanee (cioè quando ṗ1 = ṗ2 ). In tal caso si può pensare che il centro
istantaneo di rotazione sia il punto all’infinito (nel piano proiettivo) individuato da una
qualunque retta perpendicolare al moto. La velocità angolare dell’asta, tuttavia, in questo
caso è nulla. Quindi la coppia costituita dal punto all’infinito e dalla velocità angolare
non può rappresentare tutte le possibili traslazioni istantanee. Si può tuttavia rimediare
all’inconveniente. Allo scopo si invitano gli studenti a sostituire la velocità angolare con
un altro concetto in modo che questo, facendo coppia col centro istantaneo di rotazione
(eventualmente all’infinito), permetta di individuare tutti i possibili moti istantanei (cioè
tutti i possibili vettori tangenti ad un generico punto di M ).
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Il caso di un corpo rigido in R3 è più complicato: il suo moto, istante per istante (tranne
il caso di una traslazione), è un’elica attorno ad un asse istantaneo di rotazione. Nel caso
di una traslazione si può pensare che l’asse sia all’infinito (nello spazio proiettivo): è la
retta che si ottiene intersecando un qualunque piano ortogonale al moto con l’insieme dei
punti all’infinito.
19 - Mercoledı̀ 15/10/14
Teorema (condizione necessaria del prim’ordine per i punti di minimo). Sia f : X → R
una funzione di classe C 1 su un sottoinsieme X di Rk . Supponiamo che p ∈ X sia un
punto di minimo locale per f in X. Allora dfp (v) ≥ 0, ∀v ∈ Cp X.
Dimostrazione. Poiché le nozioni di punto di minimo locale e di cono tangente sono locali,
senza perdere in generalità si può supporre f (X) ⊆ [f (p), +∞). Quindi, per il lemma di
coerenza, si ha
dfp (v) ∈ Cf (p) [f (p), +∞) = [0, +∞), ∀v ∈ Cp X,
e il risultato è provato.
Osservazione. Sia f : X → R (X ⊆ Rk ) di classe C 1 e sia p ∈ X un punto di massimo
locale per f in X. Allora p è di minimo locale per la funzione −f . Pertanto, in base alla
condizione necessaria per i punti di minimo, risulta dfp (v) ≤ 0, ∀v ∈ Cp X.
Corollario. Sia f : X → R una funzione di classe C 1 su un sottoinsieme X di Rk e sia
p ∈ X un punto estremante per f in X (cioè di minimo o di massimo locale per f in X).
Allora, per ogni v ∈ Cp X tale che −v ∈ Cp X, si ha dfp (v) = 0. Di conseguenza, se p è
interno ad X o, più in generale, è un punto regolare per X (i.e. Cp X = Tp X), allora il
differenziale dfp : Tp X → R è nullo.
Supponiamo ora di avere una funzione reale f di classe C 1 su un aperto U di Rk e di
voler determinare gli eventuali punti estremanti per la sua restrizione ad un assegnato
sottoinsieme X di U . Si tratta di un problema di massimi e minimi condizionati, detti
anche vincolati, e l’insieme X, spesso una varietà differenziabile, costituisce il vincolo del
problema. In questo caso la funzione f non è semplicemente definita su X, ma su un aperto
che lo contiene (come in pratica spesso accade). Dato che f è C 1 , il suo gradiente, ∇f (x),
è ben definito in ogni punto x ∈ U (ricordiamo che il gradiente di f in un punto x ∈ U
è l’unico vettore w che permette di rappresentare la forma lineare dfx : Rk → R mediante
il prodotto scalare; ossia w verifica la condizione dfx (v) = hw , vi, ∀v ∈ Rk ). Supponiamo
ora che p ∈ X sia un punto regolare per il vincolo X (come accade quando X è una
varietà differenziabile) e che sia estremante per la restrizione di f ad X. Allora, in base al
precedente corollario (e alla definizione di differenziale per le funzioni C 1 che operano tra
insiemi arbitrari), si può affermare che la restrizione di dfp : Rk → R al sottospazio Tp X
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di Rk è nulla. Da ciò segue dfp (v) = h∇f (p) , vi = 0, ∀v ∈ Tp X. Vale pertanto il seguente
risultato.
Teorema di Fermat (per gli estremi vincolati). Siano X un sottoinsieme di Rk ed f una
funzione reale di classe C 1 su un aperto U contenente X. Se p ∈ X è un punto regolare
per l’insieme X (cioè Cp X = Tp X) ed è estremante per f in X (ossia è un punto di
massimo o di minimo locale per la restrizione di f ad X), allora il gradiente ∇f (p) di f
in p è ortogonale a Tp X.
La seguente condizione sufficiente per i punti di minimo è una conseguenza della condizione
necessaria (per i punti di massimo).
Teorema (condizione sufficiente del prim’ordine per i punti di minimo). Sia f : X → R
una funzione di classe C 1 su un sottoinsieme X di Rk e sia p un punto di X. Se dfp (v) > 0,
∀v ∈ Cp X \{0}, allora p è un punto di minimo locale (stretto) per f .
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che p non sia di minimo locale (stretto) per f in
X. Allora p è un punto di accumulazione per l’insieme
n
o
A = x ∈ X : f (x) ≤ f (p) .
Esiste quindi un vettore non nullo v ∈ Cp A ⊆ Cp X. Chiaramente p è un punto di massimo
(assoluto) per f in A. Di conseguenza, per la condizione necessaria del prim’ordine, si ha
dfp (v) ≤ 0, che è in contrasto con l’ipotesi essendo v un vettore non nullo di Cp X.
20 - Mercoledı̀ 15/10/14
Ricordiamo che una funzione reale f : J → R, definita in un intervallo, si dice convessa se
la corda (cioè il segmento) che congiunge due punti qualunque del suo grafico sta sopra il
grafico. Ossia se, fissati due punti x0 , x1 ∈ J, risulta
(1 − t)f (x0 ) + tf (x1 ) ≥ f ((1 − t)x0 + tx1 ),
∀ t ∈ [0, 1].
Il seguente importante risultato caratterizza le funzioni convesse derivabili.
Teorema. Sia f : J → R derivabile in un intervallo J. Allora f è convessa se e solo se
la sua derivata è crescente. Pertanto, se f è derivabile due volte, allora f è convessa se e
solo se f 00 (x) ≥ 0, ∀ x ∈ J.
Esercizio. Sia f : J → R derivabile in un intervallo J. Dedurre dal teorema precedente
che se f è convessa, allora, per ogni x0 ∈ J, la retta tangente al grafico di f nel punto
(x0 , f (x0 )) sta sotto il grafico. Ossia, fissato x0 ∈ J, risulta
f (x) ≥ f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ),
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∀ x ∈ J.
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Suggerimento. Mostrare che la funzione
ϕ(x) = f (x) − f (x0 ) − f 0 (x0 )(x − x0 )
assume minimo in x0 , studiando il segno della sua derivata.
In generale una funzione reale f , definita su un sottoinsieme Q di Rk , si dice convessa se
il suo dominio è convesso e se è convessa la sua restrizione ad ogni segmento contenuto
in Q. Ovvero se, fissati p0 , p1 ∈ Q, risulta convessa la funzione ϕ : [0, 1] → R definita da
ϕ(t) = f ((1 − t)p0 + tp1 ).
Esercizio. Sia Q un convesso di Rk e sia f : Q → R una funzione convessa. Provare che
se p ∈ Q è un punto di minimo relativo per f , allora è anche di minimo assoluto.
Per le funzioni convesse, la condizione necessaria per i punti di minimo è anche sufficiente.
Vale infatti il seguente risultato.
Teorema (di caratterizzazione dei punti di minimo per la funzioni convesse). Sia Q un
convesso di Rk e sia f : Q → R una funzione convessa di classe C 1 . Allora p ∈ Q è di
minimo (assoluto) per f se e solo se dfp (v) ≥ 0, ∀ v ∈ Cp Q.
Dimostrazione (svolta a lezione).
Il risultato che segue, basato sul Teorema di Fermat, fornisce un metodo pratico per
determinare i possibili punti di massimo e minimo condizionati, quando il vincolo è una
varietà di livello regolare.
Teorema (metodo dei moltiplicatori di Lagrange per la ricerca dei massimi e minimi
vincolati). Sia g : U → Rs un’applicazione di classe C 1 su un aperto U di Rk . Supponiamo
che g non abbia punti critici in M = g −1 (0). Se f : U → R è una funzione reale di classe
C 1 su U e p ∈ M è un punto estremante per f in M , allora esiste µ ∈ Rs con la proprietà
che nel punto (p, µ) ∈ U ×Rs si annulla il gradiente della funzione F : U ×Rs → R definita
da F (x, λ) = f (x) − hλ , g(x)i.
Dimostrazione. Osserviamo che le prime k equazioni che si ottengono uguagliando a zero le derivate parziali della funzione F (x, λ) equivalgono ad affermare che il gradiente di
f in p è combinazione lineare dei gradienti in p delle funzioni g1 , g2 , . . . , gs componenti la g, mentre le ultime s ci dicono che p sta nel vincolo g −1 (0). Poiché la condizione
p ∈ g −1 (0) è vera per ipotesi, è sufficiente provare che ∇f (p) è combinazione lineare dei
vettori ∇g1 (p), ∇g2 (p), . . . , ∇gs (p). Dato che p è un punto estremante, in base al Teorema
di Fermat (per gli estremi vincolati), ∇f (p) appartiene allo spazio Tp (M )⊥ ortogonale a
Tp (M ), che ha ovviamente dimensione s, visto che dim Tp (M ) = dim M = k − s. Essendo
le funzioni gi costanti su M , anche gli s vettori ∇gi (p) appartengono a Tp (M )⊥ . Il risultato segue quindi se si mostra che tali vettori sono linearmente indipendenti: in questo
caso, essendo esattamente s, generano tutto lo spazio Tp (M )⊥ . Per provare ciò basta osservare che ∇g1 (p), ∇g2 (p), . . . , ∇gs (p) sono le s righe della matrice jacobiana, valutata in
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p, dell’applicazione g, e tale matrice, avendo per ipotesi rango s, ha le righe linearmente
indipendenti.
Per illustrare il metodo di Lagrange, supponiamo, ad esempio, k = 3 ed s = 2. Ossia
supponiamo che si debbano trovare i punti estremanti di una funzione f (x, y, z) con le
condizioni g1 (x, y, z) = 0 e g2 (x, y, z) = 0, che definiscono il vincolo. Assumiamo che le
funzioni f , g1 e g2 siano di classe C 1 (su un aperto di R3 ) e che la matrice jacobiana di
g = (g1 , g2 ) abbia rango 2 in ogni punto (x, y, z) che verifica le suddette condizioni. La
funzione di Lagrange in questo caso ha 3 + 2 variabili ed è cosı̀ definita:
F (x, y, z, λ1 , λ2 ) = f (x, y, z) − λ1 g1 (x, y, z) − λ2 g2 (x, y, z).
Le due variabili λ1 e λ2 si chiamano moltiplicatori di Lagrange. Per trovare gli eventuali
punti estremanti per la restrizione di f al vincolo, basta uguagliare a zero le cinque derivate
parziali della F e risolvere il sistema (di cinque equazioni in cinque incognite) cosı̀ ottenuto.
Se (p, µ) = (x0 , y0 , z0 , µ1 , µ2 ) è una soluzione del sistema, le prime tre equazioni ci dicono
che ∇f (p) = µ1 ∇g1 (p) + µ2 ∇g2 (p), e ciò equivale ad affermare che ∇f (p) ∈ Tp (M )⊥ ,
mentre le rimanenti due implicano p ∈ g −1 (0).
Osserviamo che, col metodo di Lagrange, per risolvere un problema di massimi e minimi
condizionati si opera come se si dovessero cercare dei massimi e minimi liberi. Pagando
tuttavia un prezzo: da una funzione di k variabili si passa ad una di k + s variabili.
È bene ricordarsi che, come per il Teorema di Fermat, il metodo di Lagrange dà soltanto
una condizione necessaria affinché un punto sia estremante. In altre parole, quello che
possiamo affermare è che se in un punto p del vincolo M il gradiente di f non è combinazione lineare dei gradienti delle funzioni gi che definiscono il vincolo, allora p non può
essere estremante. Fisicamente questo significa che se si interpreta f come il potenziale di
una forza (conservativa), allora il vettore ∇f (p) rappresenta la forza che agisce sul punto
(materiale) p vincolato alla varietà g −1 (0), e se la sua componente parallela al vincolo non
è nulla (ossia se ∇f (p) non è ortogonale a Tp (M )), allora p non può stare in equilibrio.
21 - Giovedı̀ 16/10/14
Definizione (di vettore applicato). Dato un sottoinsieme A di Rk , una coppia (p, v), dove
p ∈ A e v ∈ Rk , si dice un vettore applicato in A (o, più precisamente, un vettore applicato
in p ∈ A). Il punto p si chiama punto di applicazione e v è il vettore libero.
Sia f : U → R una funzione C 1 su un aperto U di R2 . Consideriamo due punti p = (x0 , y0 )
e p + v = (x0 + h, y0 + k) del dominio U di f . L’incremento che subisce f passando dal
punto p al punto p + v è il numero ∆f := f (p + v) − f (p). Tale incremento (che dovremmo
a rigore denotare con ∆f (p, v) o con ∆fp (v), perché dipende sia dal punto iniziale p sia
dal vettore spostamento v) ha il difetto di non essere facile da valutare. Tuttavia, se ∆f
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ci interessa soltanto per valori piccoli di kvk (come, ad esempio, per il calcolo degli errori),
al posto dell’incremento vero è preferibile utilizzare un incremento “virtuale” (chiamato
differenziale) che, pur non essendo vero (a meno che f (x, y) non sia un polinomio di grado
minore o uguale ad uno), ha il duplice pregio di essere facile da calcolare (perché, fissato il
punto di applicazione p, risulta lineare rispetto a v) e di approssimare bene l’incremento
vero.
Definizione (di differenziale di una funzione). Sia f : U → R una funzione C 1 su un
aperto U di Rk e sia (p, v) un vettore applicato in U (cioè p ∈ U e v ∈ Rk ). Il differenziale
(primo) di f in p lungo v (detto anche differenziale di f calcolato in (p, v) o derivata di f
in p lungo il vettore v) è il numero
dfp (v) = lim
t→0
f (p + tv) − f (p)
.
t
Invece di dfp (v) si può usare anche il simbolo df (p, v). Di solito si preferisce la prima
notazione quando si pensa di aver fissato il punto di applicazione p e si considera variabile
il vettore libero v. Si preferisce la seconda quando si pensano variabili sia p sia v, cioè
quando si pensa variabile il vettore applicato (p, v).
Esercizio (per il calcolo del differenziale primo). Provare che df (p, v) = ϕ0 (0), dove ϕ(t) è
la funzione reale di variabile reale t 7→ f (p+tv) ottenuta componendo la curva parametrica
(rettilinea) t 7→ p + tv con la funzione f .
Il metodo per calcolare il differenziale primo espresso nel suddetto esercizio fornisce una
definizione alternativa (equivalente alla precedente) di differenziale primo di una funzione
C 1 , permette di dedurre una formula pratica per esprimere il differenziale mediante il
gradiente (si veda il teorema che segue) e costituisce il punto di partenza per la definizione
dei differenziali di ordine superiore.
Teorema (di rappresentazione del differenziale primo). Sia f : U → R una funzione C 1
su un aperto U di Rk e sia (p, v) un vettore applicato in U . Allora risulta
df (p, v) = ∇f (p) · v .
Pertanto, fissato il punto di applicazione p, il differenziale di f in p, cioè l’applicazione
dfp : Rk → R definita da v 7→ df (p, v), è lineare rispetto al vettore libero v.
Dimostrazione. In base all’esercizio precedente risulta df (p, v) = ϕ0 (0), dove ϕ(t) è la
funzione reale di variabile reale t 7→ f (p+tv). Per il teorema della derivata di una funzione
composta risulta ϕ0 (t) = ∇f (p+tv)·v. Quindi, in particolare, si ottiene df (p, v) = ϕ0 (0) =
∇f (p) · v.
Sia f : U → R di classe C 1 su un aperto U di Rk . Usando il fatto che f è C 1 , si potrebbe
dimostrare (ma non lo facciamo) che, fissato p ∈ U , per piccoli valori di kvk, l’incremento
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virtuale dfp (v) approssima bene l’incremento vero ∆fp (v) := f (p + v) − f (p), nel senso che
il rapporto
∆fp (v) − dfp (v)
kvk
tende a zero per kvk che tende a zero (si scrive ∆fp (v) − dfp (v) = o(kvk) per kvk → 0).
Pertanto, per valori piccoli di kvk, lo scarto tra l’incremento vero e quello virtuale è piccolo
rispetto alla norma dell’incremento v della variabile (vettoriale). In un certo senso, fissato
il punto p, il differenziale di f in p è, tra tutte le applicazioni lineari da Rk in R, quella che
meglio approssima la funzione incremento v 7→ ∆fp (v). Quindi, se la funzione f è lineare
(o, più in generale, affine), l’incremento vero e quello virtuale coincidono.
22 - Giovedı̀ 16/10/14
Definizione (di espressione differenziale). Un’espressione differenziale (reale di grado
uno) in Rk è una funzione reale che ha per dominio un insieme di vettori applicati in Rk .
In altre parole, un’espressione differenziale ω in Rk è una “legge” che ad ogni vettore
applicato (p, v) di un insieme X ⊆ Rk × Rk (il dominio di ω) associa un numero reale
ω(p, v).
Chiaramente, le espressioni differenziali, come tutte le funzioni reali, si possono sommare,
moltiplicare, dividere tra loro e, nell’ordine giusto, anche comporre con funzioni reali di
variabile reale. Le convenzioni che si fanno sul dominio della somma, del prodotto, del
quoziente e della composizione sono analoghe a quelle già viste per funzioni reali di variabile
reale. Quindi, il dominio della somma o del prodotto di due espressioni differenziali è dato
dall’intersezione dei domini delle due espressioni; il dominio di un quoziente è l’intersezione
dei due domini meno i vettori (applicati) in cui si annulla il denominatore; il dominio di
una composizione f ◦ ω di un’espressione differenziale ω : X → R con una funzione reale
di variabile reale f : A → R è il sottoinsieme ω −1 (A) = (p, v) ∈ X : ω(p, v) ∈ A di X.
Il differenziale df di una funzione f di classe C 1 in un aperto U di Rk è un esempio di
espressione differenziale. È infatti una legge che ad ogni vettore applicato (p, v) di U
associa il numero df (p, v). Abbiamo visto che tale legge, fissato il punto di applicazione p, gode di una specifica proprietà: è lineare rispetto al vettore libero v. Proprietà
che contraddistingue una classe particolare di espressioni differenziali: le cosiddette forme differenziali. L’importanza di queste particolari espressioni differenziali è legata alla
definizione di integrale curvilineo orientato (attinente al concetto fisico di lavoro). Anche
l’incremento ∆f di una funzione (reale) è un’espressione differenziale, ma, in generale,
non è una forma differenziale (lo è se f è un polinomio di primo grado in Rk ). Si osservi
che una funzione reale f definita in un sottoinsieme A di Rk può essere pensata come
un’espressione differenziale in Rk . È un caso limite: dipende soltanto dal punto di applicazione (basta definire f (p, v) := f (p), per ogni (p, v) ∈ X = A × Rk ). Un altro caso limite
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(ma opposto al precedente) è costituito dall’elemento di lunghezza ds, cioè l’espressione
differenziale che ad ogni vettore applicato (p, v) associa la lunghezza del vettore libero v
(ossia ds(p, v) = kvk ). L’espressione ds è di fondamentale importanza per la definizione
di integrale curvilineo non orientato (legato a vari concetti sia geometrici sia fisici, come
lunghezza, massa, momento d’inerzia, carica elettrica, ecc.).
Un altro importante esempio di espressione differenziale è il differenziale secondo di una
funzione f di classe C 2 in un aperto U di Rk (vedremo che tale concetto riveste un ruolo
importante nella ricerca dei punti di massimo e di minimo per le funzioni reali).
Definizione (di differenziale secondo di una funzione). Sia f : U → R una funzione C 2
su un aperto U di Rk e sia (p, v) un vettore applicato in U (cioè p ∈ U e v ∈ Rk ). Il
differenziale secondo di f in p lungo v, chiamato anche differenziale secondo di f calcolato
in (p, v), è il numero d2fp (v) = ϕ00 (0), dove ϕ(t) è la funzione composta ϕ(t) = f (p + tv).
Al posto di d2fp (v) si può scrivere d2f (p, v). Di solito si preferisce la prima notazione
quando si pensa di aver fissato il punto di applicazione p e si considera variabile il vettore
libero v. Si preferisce la seconda quando si pensa variabile il vettore applicato (p, v).
Teorema (di rappresentazione del differenziale secondo in R2 ). Sia f : U → R una funzione C 2 su un aperto U di R2 e sia p ∈ U . Allora per ogni vettore libero v = (h, k) ∈ R2
si ha
∂ 2f
∂ 2f
∂ 2f
2
d2fp (v) = d2fp (h, k) =
(p)
h
+
2
(p)
hk
+
(p) k 2 .
∂x2
∂x∂y
∂y 2
Pertanto, fissato il punto di applicazione p, il differenziale secondo di f in p, cioè l’applicazione d2fp : R2 → R definita da v 7→ d2fp (v), è un polinomio omogeneo di secondo grado
nelle componenti h e k di v.
Dimostrazione. Denotiamo con x0 e y0 le coordinate (risp. prima e seconda) del punto p,
e sia v = (h, k) un arbitrario vettore di R2 . Occorre calcolare ϕ00 (0), dove
ϕ(t) = f (p(t)) = f (x(t), y(t))
e p(t) = (x(t), y(t)) = (x0 + th, y0 + tk) .
Per la regola della derivata di una funzione composta, risulta
ϕ0 (t) =
∂f
∂f
∂f
∂f
(x(t), y(t)) x0 (t) +
(x(t), y(t)) y 0 (t) =
(p(t)) h +
(p(t)) k .
∂x
∂y
∂x
∂y
Derivando ancora ϕ0 (t) si ha
2
2
∂f
∂ 2f
∂f
∂ 2f
00
(p(t)) h +
(p(t)) k h +
(p(t)) h + 2 (p(t)) k k .
ϕ (t) =
∂x2
∂y∂x
∂x∂y
∂y
Quindi, tenendo conto del Teorema di Schwarz e ponendo t = 0, si ottiene l’uguaglianza
d2fp (v) = ϕ00 (0) =
20 dicembre 2014
∂ 2f
∂ 2f
∂ 2f
2
(p)
h
+
2
(p)
hk
+
(p) k 2 ,
∂x2
∂x∂y
∂y 2
29
Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
che è la tesi.
Ovviamente, quando f è una funzione di k variabili, con lo stesso metodo si prova che d2fp
è ancora un polinomio omogeneo di secondo grado (cioè una forma quadratica), ma di k
variabili (costituite dalle componenti v1 , v2 , . . . , vk del vettore libero v).
Si osservi che il differenziale secondo di una funzione di k-variabili, a differenza del differenziale primo, non è lineare rispetto al vettore libero. Quindi, pur essendo un’espressione
differenziale, non è una forma differenziale.
23 - Venerdı̀ 17/10/14
Si potrebbe dimostrare (ma non lo facciamo) che se f : U → R è di classe C 2 in un aperto
U di Rk e p ∈ U , allora
∆fp (v) = dfp (v) +
1 2
d fp (v) + kvk2 ε(v),
2
per ogni v ammissibile (cioè tale che p + v ∈ U ); dove ε(v) è una funzione di k variabili,
continua e nulla nell’origine 0 ∈ Rk . La suddetta formula è un’uguaglianza (non un’approssimazione dell’incremento ∆fp (v)) e si dice formula di Taylor di f in p del second’ordine
(col resto di Peano). Se il punto di applicazione p è 0 (cioè l’origine di Rk ) la formula di
Taylor si chiama anche di MacLaurin.
Data f : U → R di classe C n su un aperto U di Rk , il differenziale n-esimo di f è l’applicazione dnf : U × Rk → R che ad ogni vettore applicato (p, h) ∈ U × Rk (con punto di
applicazione p e vettore libero h) associa la derivata n-esima (denotata dnfp (h) o dnf (p, h))
nel punto t = 0 della funzione ϕ(t) = f (p + th).
Fissato il punto di applicazione p ∈ U , per ogni h nell’insieme −p + U (cioè per h ∈ Rk
tale che p + h ∈ U ) risulta
∆fp (h) =
dfp (h) d2fp (h)
dnfp (h)
+
+ ··· +
+ khkn ε(h),
1!
2!
n!
dove h 7→ ε(h) è una funzione reale, continua e nulla per h = 0.
Teorema (condizione necessaria del second’ordine per i punti di minimo). Siano X un
sottoinsieme di Rk , U un aperto contenente X ed f : U → R una funzione di classe C 2 .
Supponiamo che p ∈ X sia un punto di minimo locale per f in X e che dfp (v) = 0,
∀v ∈ Rk . Allora d2fp (v) ≥ 0, ∀v ∈ Cp X. Ossia, denotata con H la matrice hessiana di f
in p, risulta hHv , vi ≥ 0, ∀v ∈ Cp X.
Dimostrazione. Fissiamo un vettore v ∈ Cp X e proviamo che d2fp (v) ≥ 0. Poiché d2fp è
una funzione omogenea di grado 2, non è restrittivo supporre kvk = 1. Esiste allora una
successione {pn } in X \{p} tale che pn → p e (pn − p)/kpn − pk → v. Essendo p è un punto
20 dicembre 2014
30
Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
di minimo locale per f in X, si può assumere f (pn ) ≥ f (p). Dalla formula di Taylor del
second’ordine di f in p si ottiene
1
0 ≤ f (pn ) − f (p) = dfp (pn − p) + d2fp (pn − p) + o(kpn − pk2 ).
2
Pertanto, tenendo conto che dfp = 0, risulta
1
0 ≤ d2fp (pn − p) + o(kpn − pk2 ),
2
Dato che d2fp una funzione omogenea di secondo grado, dividendo entrambi i membri per
kpn − pk2 , si ottiene
o(kpn − pk2 )
1 2
pn − p
0 ≤ d fp
+
,
2
kpn − pk
kpn − pk2
e passando al limite per n → ∞ si ha infine d2fp (v) ≥ 0.
Il seguente risultato è un’immediata conseguenza della condizione necessaria del second’ordine per i punti di massimo. La dimostrazione viene lasciata, per esercizio, agli studenti:
è simile a quella riguardante la condizione sufficiente del prim’ordine (a pag. 24).
Teorema (condizione sufficiente del second’ordine per i punti di minimo). Siano X un
sottoinsieme di Rk , U un aperto contenente X ed f : U → R una funzione di classe C 2 .
Supponiamo che per p ∈ X si abbia dfp (v) = 0, ∀v ∈ Rk e d2fp (v) > 0, ∀v ∈ Cp X \{0}.
Allora p è un punto di minimo locale (stretto) per f in X.
24 - Venerdı̀ 17/10/14
Il risultato che segue è una facile conseguenza delle due condizioni del second’ordine per i
punti di minimo (quella sufficiente e quella necessaria).
Teorema (condizione sufficiente per il metodo dei moltiplicatori di Lagrange). Sia M
una varietà differenziabile m-dimensionale definita da un’equazione del tipo g(x) = 0,
dove g : U → Rs è di classe C 2 su un aperto U di Rk e 0 è un valore regolare per g. Data
f : U → R di classe C 2 , supponiamo che la coppia (p, µ) ∈ U ×Rs annulli il gradiente della
funzione F : U × Rs → R definita da F (x, λ) = f (x) − hλ , g(x)i. Consideriamo la funzione
ϕ : U → R data da ϕ(x) = f (x) − hµ , g(x)i. Allora, se la forma quadratica definita dalla
restrizione di d2ϕp allo spazio tangente Tp M è definita positiva, p è un punto di minimo
locale per f in M , se è definita negativa è un punto di massimo, se è indefinita non è né
di massimo né di minimo.
Dimostrazione. Ovviamente il punto p appartiene ad M , perché uguagliando a zero le
ultime s derivate di F si ottengono le equazioni
g1 (x) = 0, g2 (x) = 0, . . . , gs (x) = 0,
20 dicembre 2014
31
Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
che definiscono M . Osserviamo ora che le due funzioni ϕ ed f coincidono in M , e pertanto
i punti estremanti per la loro restrizione ad M sono gli stessi. Il vantaggio nel sostituire f
con ϕ è dovuto al fatto che il gradiente di quest’ultima è nullo in p (si prova uguagliando a
zero le prime k derivate parziali di F ), e quindi entrambe le condizioni del second’ordine,
la necessaria e la sufficiente, sono applicabili in tal punto. Chiarito ciò, il resto è facile
conseguenza delle suddette condizioni. La sufficiente si applica se la forma quadratica è
definita (positiva o negativa) e la necessaria se la forma quadratica è indefinita.
Esercizio. Si consideri il (semplicissimo) problema della ricerca dei punti di massimo e
di minimo della funzione f (x, y) = y sul vincolo
S 1 = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 = 1 .
Si osservi che solo due punti, N = (0, 1) ed S = (0, −1), verificano la condizione necessaria
del metodo dei moltiplicatori di Lagrange. Mostrare che in tali punti è soddisfatta anche la
condizione sufficiente per il suddetto metodo (cioè quella esposta nel teorema che precede
questo esercizio).
25 - Mercoledı̀ 22/10/14
Il seguente risultato è un’estensione della condizione sufficiente del second’ordine per i
punti di minimo.
Teorema (condizione sufficiente di tipo misto per i punti di minimo). Siano X un sottoinsieme di Rk , U un aperto contenente X ed f : U → R una funzione reale di classe
C 2 . Supponiamo che p ∈ X sia un punto di minimo locale per la restrizione ad X del
differenziale dfp : Rk → R (ossia, dfp (x − p) ≥ 0 per ogni x in un conveniente intorno di p
in X). Se d2fp (v) > 0, ∀ v ∈ (Ker dfp ∩ Cp X) \{0}, allora p è un punto di minimo locale
(stretto) per f in X.
Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che p non sia un punto di minimo locale stretto.
Allora esiste una successione {xn } in X\{p} tale che xn → p e f (xn ) ≤ f (p), ∀ n ∈ N.
Per la compattezza della sfera unitaria, si può supporre
xn − p
→ u ∈ Cp X \{0}.
kxn − pk
Per la formula di Taylor del second’ordine, si ha
1
0 ≥ f (xn ) − f (p) = dfp (xn − p) + d2fp (xn − p) + o(kxn − pk2 ).
2
Poiché dfp (x − p) ≥ 0 per x ∈ X in un intorno di p, per n ∈ N sufficientemente grande
risulta
1
0 ≥ d2fp (xn − p) + o(kxn − pk2 ).
2
20 dicembre 2014
32
Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Dividendo entrambi i membri per kxn − pk2 , tenendo conto che il differenziale secondo è
una funzione omogenea di grado 2, e passando al limite per n → ∞, si ottiene d2fp (u) ≤ 0.
Ricordando che f (xn ) − f (p) ≤ 0, il lemma del rapporto incrementale (a pag. 15) implica
f (xn ) − f (p)
→ dfp (u) ≤ 0.
kxn − pk
D’altra parte, dall’ipotesi “dfp (x − p) ≥ 0 per x ∈ X in un intorno di p” si ottiene
dfp (xn − p)
xn − p
→ dfp (u) ≥ 0.
= dfp
kxn − pk
kxn − pk
Dunque u ∈ Ker dfp .
In conclusione, se p non fosse un punto di minimo locale stretto, esisterebbe un vettore
u ∈ (Ker dfp ∩ Cp X) \{0} tale che d2fp (u) ≤ 0, contro l’ipotesi “d2fp (v) > 0, per ogni
v ∈ (Ker dfp ∩ Cp X) \{0}”.
Si fa notare che quando il differenziale dfp : Rk → R è nullo, la suddetta condizione sufficiente di tipo misto si riduce a quella del second’ordine (a pag. 31). Infatti, in tal caso, p
è banalmente un punto di minimo per dfp in X e (Ker dfp ∩ Cp X) \{0} = Cp X \{0}.
Esempio. Consideriamo la funzione f : Q → R definita nel quadrato Q = [0, 1] × [0, 1] di
R2 da f (x, y) = sen y − cos x + cos y. La formula di MacLaurin del second’ordine di f è
f (x, y) = y +
x2 y 2
−
+ o(ρ2 ),
2
2
p
dove ρ = x2 + y 2 . Quindi, posto p = (0, 0), si ha dfp (x, y) = y e d2fp (x, y) = x2 − y 2 .
Pertanto la condizione sufficiente di tipo misto ci assicura che p è un punto di minimo locale
per f in Q. Infatti p è un punto di minimo in Q per il differenziale primo (rappresentato
dalla forma lineare y) e il differenziale secondo (rappresentato dalla forma quadratica
x2 − y 2 ) è positivo lungo i vettori della semiretta Ker dfp ∩ Cp X generata da v = (1, 0).
26 - Mercoledı̀ 22/10/14
Sia {pn } una successione in uno spazio metrico X. Ricordiamo che un punto p ∈ X si dice
un punto limite di {pn } se esiste una sottosuccessione di {pn } che converge a p. Una successione priva di punti limite si dice divergente. Ovviamente se una successione converge,
allora il suo limite è anche un punto limite, ed è l’unico. Quindi, se una successione ha
più di un punto limite (come, per esempio, {(−1)n } ), allora non può convergere. D’altra
parte, se una successione ha un unico punto limite, non è detto che converga (si consideri,
ad esempio, la successione {n(1 − (−1)n )} ). Vale, tuttavia, il seguente risultato.
Lemma (del punto limite). Sia {pn } una successione in uno spazio metrico X. Allora
{pn } converge a p ∈ X se e solo se p è un punto limite di ogni sua sottosuccessione.
20 dicembre 2014
33
Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Dimostrazione.
(SE) Supponiamo che {pn } non converga a p. Allora esiste un intorno di p e una sottosuccessione di {pn } nel complementare di tale intorno. E allora com’è possibile che tale
sottosuccessione abbia p come punto limite?
(SOLO SE) È noto che se una successione converge ad un punto p, allora anche ogni sua
sottosuccessione converge a p (provarlo per esercizio).
Osservazione. Sia g : X → Rs un’applicazione definita in un sottoinsieme di Rk e sia
p ∈ Rk un punto di accumulazione per X (non è necessario che p appartenga ad X).
Ricordiamo che il teorema di collegamento dei limiti afferma che g(x) → q ∈ Rs per x → p
se e solo se per ogni successione {pn } in X\{p} tale che pn → p si ha g(pn ) → q. Pertanto,
in base al lemma del punto limite, per provare che g(x) → q per x → p, è sufficiente
verificare che se {pn } è un’arbitraria successione in X\{p} tale che pn → p, allora q è un
punto limite di {g(pn )}.
Esercizio. Sia U un aperto di Rk e sia f : U → Rs . Provare che se f è differenziabile
in p ∈ U , allora esiste un’applicazione ε : U − p → Rs (definita nel traslato U − p di U )
continua nel punto h = 0 ∈ U e nulla in tal punto, per cui vale l’uguaglianza
f (x) − f (p) = dfp (x − p) + kx − pkε(x − p),
∀ x ∈ U.
Suggerimento. Definire ε(h) = (f (p + h) − f (p) − dfp (h))/khk quando ha senso, e ε(0) = 0.
Il risultato che segue mostra che, nel lemma del rapporto incrementale (a pag. 15), la
condizione necessaria per la differenziabilità è anche sufficiente.
Teorema di caratterizzazione della differenziabilità (mediante il rapporto incrementale). Sia f : U → Rs definita su un aperto di Rk e sia p ∈ U . Allora f è differenziabile
in p se e solo se esiste un’applicazione lineare L : Rk → Rs con la seguente proprietà:
se {pn } è una successione in U \{p} tale che pn → p e (pn − p)/kpn − pk → v, allora
(f (pn ) − f (p))/kpn − pk → Lv.
Dimostrazione.
(SE) Definiamo g : U \{p} → Rs nel seguente modo:
g(x) =
f (x) − f (p) − L(x − p)
.
kx − pk
Dobbiamo provare che g(x) → 0 ∈ Rs per x → p. Sia {pn } una successione in U \{p} tale
che pn → p. Per l’osservazione a pag. 34 (conseguenza del lemma del punto limite e del
teorema di collegamento dei limiti), è sufficiente provare che 0 ∈ Rs è un punto limite della
successione {g(pn )}. Denotiamo, per semplicità, ancora con {pn } una sottosuccessione
della successione data con la proprietà che (pn − p)/kpn − pk → v (ciò è possibile per la
20 dicembre 2014
34
Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
compattezza della sfera unitaria). Ovviamente la nuova successione ha ancora la proprietà
di convergere a p. Quindi, dall’ipotesi si deduce che
g(pn ) =
f (pn ) − f (p) − L(pn − p)
→ Lv − Lv = 0.
kpn − pk
(SOLO SE) È il lemma del rapporto incrementale con L = dfp (a pag. 15).
Siano X e Y due insiemi. Un sottoinsieme G del prodotto cartesiano X × Y si dice un
grafico se per ogni x ∈ X esiste al più un y ∈ Y tale che (x, y) ∈ G. Dato A ⊆ X e data
f : A → Y , l’insieme Gf = {(x, f (x)) ∈ X × Y : x ∈ A} si dice il grafico di f . È immediato
verificare che se G ⊆ X × Y è un grafico, allora è il grafico di una (ed una sola) funzione
(definita in π1 (G), dove π1 : X × Y → X è la proiezione sul primo fattore).
Esercizio. Sia G ⊆ Rk × Rs un grafico. Provare che G è il grafico di un’applicazione
lineare se e solo se G è un sottospazio di Rk × Rs .
Esercizio. Sia G un sottospazio di Rk × Rs . Provare che G è un grafico se e solo se non
contiene vettori verticali (ossia vettori del tipo (0, w), con 0 ∈ Rk e w ∈ Rs non nullo).
Il risultato che segue rende precisa la seguente definizione intuitiva di funzione derivabile:
f : R → R è derivabile in x0 se la retta tangente al grafico di f nel punto (x0 , f (x0 )) esiste
e non è verticale.
Teorema di caratterizzazione della differenziabilità (mediante lo spazio tangente
al grafico). Sia U un aperto di Rk e sia f : U → Rs continua in p ∈ U . Allora f è
differenziabile in p se e solo se lo spazio tangente al grafico di f nel punto (p, f (p)) è un
grafico.
Dimostrazione.
(SE) Denotiamo, per semplicità, con T lo spazio tangente in (p, f (p)) al grafico Gf di f , e
sia L l’applicazione lineare il cui grafico coincide con T . Occorre provare che L è definita
su tutto Rk e, in base al teorema di caratterizzazione della differenziabilità mediante il
rapporto incrementale (a pag. 34), che se {pn } è una successione in U \{p} tale che pn → p
e (pn − p)/kpn − pk → v, allora (f (pn ) − f (p))/kpn − pk → Lv.
Fissiamo un arbitrario v ∈ S k−1 e un’arbitraria successione {pn } in U \{p} tale che pn → p
e (pn − p)/kpn − pk → v. Mostriamo, intanto, che la successione (f (pn ) − f (p))/kpn − pk
ammette un punto limite in Rs . Infatti, se cosı̀ non fosse, risulterebbe
kf (pn ) − f (p)k
→ +∞
kpn − pk
e, di conseguenza, la successione
pn − p
f (pn ) − f (p)
,
kf (pn ) − f (p)k kf (pn ) − f (p)k
20 dicembre 2014
35
Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
avrebbe un punto limite verticale (i.e. del tipo (0, w) con w 6= 0) che, in base al lemma
di caratterizzazione del cono tangente (a pag. 14), apparterrebbe a T (si fa notare che
f (pn ) → f (p), per la continuità di f in p). Ciò è impossibile, perché un sottospazio di
Rk × Rs , se è un grafico, non può avere vettori verticali (cfr. esercizio a pag. 35).
Dunque, la successione
pn − p f (pn ) − f (p)
,
kpn − pk
kpn − pk
ammette una sottosuccessione convergente ad un vettore (v, w), necessariamente appartenente a T (sempre in base al lemma di caratterizzazione del cono tangente). Quindi, per
come abbiamo definito l’applicazione lineare L, risulta w = Lv.
Dall’arbitrarietà di v ∈ S k−1 segue che il dominio dell’applicazione lineare L (che coincide
con la proiezione di T sullo spazio Rk ) è tutto Rk .
Abbiamo provato che se {pn } in U \{p} è tale che pn → p e (pn − p)/kpn − pk → v,
allora Lv è un punto limite della successione (f (pn ) − f (p))/kpn − pk . Dato che ogni
sottosuccessione di {pn } ha la stessa proprietà, in base al lemma del punto limite (a pag.
33), possiamo concludere che (f (pn ) − f (p))/kpn − pk → Lv.
(SOLO SE) Denotiamo con C il cono tangente al grafico di f in (p, f (p)). È sufficiente
provare che C coincide col grafico di dfp . In tal caso il cono tangente è uno spazio vettoriale,
e coincide quindi con lo spazio tangente. Per provare questo occorre mostrare che se v ∈ Rk ,
allora dfp (v) è l’unico vettore che verifica la condizione (v, dfp (v)) ∈ C. Per il lemma di
caratterizzazione del cono tangente, ogni vettore di C è il limite di una successione del tipo
αn (pn − p), αn (f (pn ) − f (p)) , con αn ≥ 0 e pn → p (e, di conseguenza, f (pn ) → f (p) ).
Proviamo quindi che se αn (pn − p) → v, allora necessariamente αn (f (pn ) − f (p)) → dfp (v).
Per questo basta tenere conto di un esercizio a pagina 34, il quale implica che
αn (f (pn ) − f (p)) = dfp (αn (pn − p)) + αn kpn − pkε(pn − p) → dfp (v) + kvkε(0) = dfp (v),
e il risultato è provato.
27 - Giovedı̀ 23/10/14
Definizione. Dato uno spazio vettoriale (reale) E e dato un funzionale lineare non nullo
y ∗ ∈ E ∗ , l’insieme {x ∈ E : y ∗ (x) ≥ 0} si dice un semispazio (chiuso) di E.
Definizione. Il semispazio standard di Rm è l’insieme H m = {x ∈ Rm : xm ≥ 0}
costituito dai punti di Rm la cui ultima coordinata è non negativa (ossia, dai punti in cui
il funzionale πm , che ad ogni x di Rm associa l’ultima coordinata xm , è non negativo).
Definizione. Un sottoinsieme X di Rk si dice una varietà (differenziabile) con bordo, o
una ∂-varietà, di classe C r e dimensione m, se è localmente C r -modellato su H m ; ossia se
è localmente C r -diffeomorfo agli aperti di H m .
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Definizione. Il confine δX di una varietà con bordo X si chiama bordo di X e si denota
col simbolo ∂X.
Il termine “bordo” e il simbolo “∂” sono riservati esclusivamente alle varietà con bordo,
mentre il confine è un concetto generale che ha senso per ogni sottoinsieme di Rk .
Esempi banali di varietà con bordo:
1) H m è una varietà con bordo (di classe C ∞ e dimensione m);
2) ogni aperto U di una varietà con bordo X è una varietà con ∂U = U ∩ ∂X;
3) ogni varietà X senza bordo è una varietà con bordo e ∂X = ∅.
4) l’intervallo [0, 1] è una varietà unidimensionale con ∂[0, 1] = {0, 1}.
Esercizio (svolto a lezione). Provare che il disco unitario bidimensionale
n
o
D2 = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 ≤ 1
è una varietà con bordo.
Un diffeomorfismo (di classe C r ) da un aperto di una varietà con bordo (di classe C r ) su
un aperto di un semispazio standard di uno spazio euclideo si chiama carta (o sistema
di coordinate). L’applicazione inversa di una carta si chiama parametrizzazione (di un
aperto della varietà: il dominio della carta). Un atlante (di classe C r ) di una varietà è
una collezione di carte (di classe C r ) i cui domini coprono la varietà. Un atlante si dice
massimale se contiene tutte le possibili carte.
Osservazione (sulla regolarità delle varietà differenziabili con bordo). Se X ⊆ Rk è una
varietà con bordo di dimensione m, allora, ∀p ∈ X, si ha dim Tp X = m. Inoltre, se p è un
punto del bordo di X, allora Cp X è un semispazio di Tp X.
Definizione. Sia X una varietà m-dimensionale con bordo e sia p ∈ ∂X. Un vettore
v ∈ Tp X si dice diretto (o che punta) verso l’interno se appartiene a Cp X. Si dice
diretto verso l’esterno se −v ∈ Cp X. Si dice che punta strettamente verso l’interno (risp.
verso l’esterno) se è diretto verso l’interno (risp. l’esterno) ma non è tangente al bordo.
Osserviamo che i vettori tangenti al bordo sono quelli diretti sia verso l’interno che verso
l’esterno.
Osservazione. Per il teorema di invarianza del confine, se ϕ : U → H m è una carta di una
varietà con bordo X, si ha ϕ(U ∩ ∂X) = ϕ(U ) ∩ ∂H m . Pertanto, essendo ∂H m ∼
= Rm−1 ,
∂X è una varietà senza bordo di dimensione m − 1, ovviamente della stessa classe di X.
Esercizio. Provare che il quadrato [0, 1]2 ⊆ R2 non è una varietà con bordo (questo
implica che la categoria delle varietà con bordo di classe C r non è chiusa rispetto al
prodotto). Mostrare che se si rimuovono i quattro vertici del quadrato, quello che resta è
una varietà con bordo di classe C ∞ (ovviamente non compatta).
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Esercizio. Data una varietà X con bordo, provare che il suo interno, X \ ∂X, è un aperto
di X ed è una varietà senza bordo.
28 - Giovedı̀ 23/10/14
Definizione. Un sottoinsieme X di Rk si dice una varietà con spigoli di classe C r e
dimensione m, se è localmente C r -modellato sul cono standard
K m = {x ∈ Rm : x1 ≥ 0, x2 ≥ 0, . . . , xm ≥ 0}
di Rm , ossia se ogni punto di X ammette un intorno C r -diffeomorfo ad un aperto di K m .
Osservazione. La categoria delle varietà con spigoli è chiusa rispetto al prodotto.
Osservazione. Ogni varietà con bordo è una varietà con spigoli.
Esercizio. Estendere le nozioni di punto critico, punto regolare, valore critico e valore
regolare al caso di applicazioni tra varietà differenziabili.
Il risultato che segue, valido per applicazioni tra varietà differenziabili, è un’immediata
conseguenza del Lemma di Sard (a pag. 10). Ricordiamo infatti che le varietà differenziabili
sono localmente diffeomorfe agli aperti degli spazi euclidei.
Lemma di Sard–Brown (per applicazioni tra varietà). Sia f : M → N un’applicazione
C r tra varietà di classe C r . Se r > max{0, dim M − dim N }, allora l’insieme dei valori
regolari per f è denso in N .
Si fa notare che se f : M → N è un’applicazione C 1 tra varietà differenziabili, analogamente a quanto si è visto per il caso in cui M è un aperto di Rk ed N = Rs , l’insieme C
dei punti critici di f è un chiuso (relativo ad M ). Di conseguenza, se f è propria, l’insieme
N \ f (C) dei valori regolari è un aperto di N , e quindi è anche una varietà differenziabile.
Esercizio. Enunciare il teorema della funzione inversa locale per applicazioni tra varietà
differenzianili.
Esercizio. Sia ϕ : M → N un diffeomorfismo (di classe C 1 ) tra varietà differenziabili.
Data una varietà differenziabile Z, supponiamo che f : M → Z e g : N → Z si corrispondano tramite ϕ (cioè f = g ◦ ϕ). Provare che i punti critici (e i punti regolari) di f e di g
si corrispondono tramite ϕ. Dedurre da ciò che le due applicazioni hanno gli stessi valori
critici (e valori regolari).
Esercizio. Sia M una varietà m-dimensionale senza bordo. Provare che ogni punto di M
ammette un intorno (in M ) diffeomorfo all’intero spazio Rm .
Suggerimento. Mostrare prima che ogni punto di M ammette un intorno diffeomorfo ad
una palla aperta.
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Esercizio. Sia X una varietà m-dimensionale con bordo. Provare che ogni punto di ∂X
ammette un intorno diffeomorfo ad H m .
Suggerimento. Mostrare prima che ogni punto di ∂X ammette un intorno diffeomorfo
all’insieme B m ∩ H m , dove B m denota la palla unitaria aperta di Rm .
Il risultato che segue è un’immediata conseguenza del teorema di regolarità delle soluzioni
negli aperti.
Teorema (di regolarità delle soluzioni per varietà senza bordo). Sia f : M → N un’applicazione C r tra due varietà di classe C r e sia q ∈ N un valore regolare per f . Allora f −1 (q)
è una varietà senza bordo di classe C r e dimensione m−n, dove m ed n sono le dimensioni
di M ed N , rispettivamente. Inoltre, dato p ∈ f −1 (q), si ha Tp f −1 (q) = Ker dfp .
29 - Venerdı̀ 24/10/14
Lemma (del taglio). Sia M una varietà m-dimensionale senza bordo di classe C r e
sia f : M → R un’applicazione C r . Se 0 è un valore regolare per f , allora l’insieme
X = {x ∈ M : f (x) ≥ 0} è una varietà m-dimensionale di classe C r con ∂X = f −1 (0).
Inoltre, se p ∈ ∂X, si ha Cp X = {v ∈ Tp M : dfp (v) ≥ 0}.
Dimostrazione. Sia p ∈ M . Se f (p) > 0, allora esiste un intorno U di p in M diffeomorfo
ad un aperto V di Rm . Non è restrittivo assumere che U sia contenuto in X e che V
sia contenuto nell’interno di H m . Supponiamo ora f (p) = 0 e consideriamo una carta
ϕ definita su un intorno W di p in M . Poiché il differenziale dϕp : Tp M → Rm è un
isomorfismo, il sottospazio E = dϕp (Ker dfp ) di Rm ha dimensione m − 1 (ricordiamo che
p è un punto regolare per f e, di conseguenza, dim Ker dfp = m − 1). Esiste quindi un
operatore lineare L : Rm → Rm−1 la cui restrizione ad E è un isomorfismo. Consideriamo
l’applicazione ψ : W → Rm−1 × R definita da ψ(x) = (L(ϕ(x)), f (x)). Mostriamo che la
restrizione di ψ ad un conveniente intorno di p è una carta di M . In base al teorema
della funzione inversa locale è sufficiente provare che dψp : Tp M → Rm è un isomorfismo o,
equivalentemente, che dψp è 1−1 (ricordiamo dψp opera tra spazi della stessa dimensione).
Si ha dψp (v) = (L(dϕp (v)), dfp (v)). Quindi
(L(dϕp (v)), dfp (v)) = (0, 0) ∈ Rm−1 × R
=⇒
v ∈ Ker dfp
=⇒
dϕp (v) ∈ E.
Poiché la restrizione di L ad E è 1−1, la condizione L(dϕp (v)) = 0 implica dϕp (v) = 0 che,
a sua volta, implica v = 0 (ricordiamo che dϕp un isomorfismo). Dunque, la restrizione
di ψ ad un conveniente intorno Ω di p è un diffeomorfismo su un intorno ψ(Ω) di ψ(p).
Si osservi che la restrizione di ψ a Ω ∩ X ha per immagine ψ(Ω) ∩ H m . Quindi l’intorno
Ω ∩ X di p in X è diffeomorfo all’aperto ψ(Ω) ∩ H m di H m .
Rimane da provare che Cp X = {v ∈ Tp M : dfp (v) ≥ 0}. E questo segue immediatamente
dal fatto che, essendo ψ : Ω ∩ X → ψ(Ω) ∩ H m un diffeomorfismo, dψp = (L ◦ dϕp , dfp ) è
un isomorfismo che fa corrispondere i coni tangenti (in p ad X e in ψ(p) ad H m ).
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Si osservi che il lemma del taglio si applica immediatamente al seguente esempio:
n
o
D2 = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 ≤ 1 .
Lemma (di algebra lineare, utile per determinare i punti critici di un’applicazione definita
su una varietà di livello regolare). Siano L : E → F e B : E → G due applicazioni lineari
tra spazi vettoriali. Supponiamo che l’applicazione B sia suriettiva. Allora la restrizione
L|Ker B : Ker B → F di L a Ker B è suriettiva se e solo se è suriettiva l’applicazione
M : E → F × G definita da M x = (Lx, Bx).
Dimostrazione (svolta a lezione).
Esercizio. Verificare, in funzione di c ∈ R, quando è possibile applicare il lemma del
taglio al seguente sottoinsieme di S 2 :
n
o
Xc = (x, y, z) ∈ S 2 : z ≥ c .
L’esempio che segue mostra che nel lemma del taglio l’ipotesi che 0 sia un valore regolare
per f non può essere rimossa.
Esempio. Con le notazioni del lemma del taglio, se M = R ed f : R → R è la funzione
f (x) = x2 , si ha
X = {x ∈ M : f (x) ≥ 0} = R.
Quindi X è una varietà con bordo, ma ∂X, che è vuoto, non coincide f −1 (0) = {0}. Si
osservi che 0 non è un valore regolare per f .
Il seguente esempio mostra che le ipotesi del lemma del taglio non sono necessarie affinché
valga per la tesi.
Esempio. Con le notazioni del lemma del taglio, se M = R ed f : R → R è la funzione
f (x) = x3 , si ha
X = {x ∈ M : f (x) ≥ 0} = [0, +∞).
Pertanto, sebbene 0 non sia un valore regolare per f , l’insieme X è una varietà con bordo
e ∂X = f −1 (0).
30 - Venerdı̀ 24/10/14
Lemma (del nucleo emergente). Sia L : E → F un’applicazione lineare tra spazi vettoriali.
Supponiamo che la restrizione di L ad un sottospazio proprio E0 di E sia suriettiva. Allora
il nucleo di L non è (interamente) contenuto in E0 .
Dimostrazione. Sia x1 un punto di E\E0 . Poiché la restrizione di L ad E0 è suriettiva,
esiste un x0 ∈ E0 tale che Lx0 = Lx1 . Pertanto il punto x = x1 − x0 sta nel nucleo di L
ma non sta in E0 (altrimenti ci starebbe anche x1 = x + x0 ).
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Osservazione (utile per comprendere meglio le ipotesi e la dimostrazione del teorema che
segue). Siano M ed N due varietà differenziabili senza bordo di classe C r e dimensione m
ed n, rispettivamente, e sia M0 una sottovarietà di M di dimensione k < m. Supponiamo
che q ∈ N sia un valore regolare per la restrizione ad M0 di una f : M → N di classe C r .
Allora (per il teorema di regolarità delle soluzioni per le varietà senza bordo) f −1 (q) ∩ M0
è una varietà senza bordo di dimensione k − n. Inoltre, fissato p ∈ f −1 (q) ∩ M0 , esiste
un intorno di p in M fatto di punti regolari per f (si osservi che p, essendo regolare per
la restrizione di f a M0 , è regolare anche per f ). Pertanto, f −1 (q), in tale intorno, è
una varietà m − n dimensionale il cui spazio tangente Tp f −1 (q) = Ker dfp (in base al
precedente lemma) non è contenuto in Tp M0 . Nelle suddette ipotesi, cioè quando q è un
valore regolare per la restrizione di f ad M0 , si usa dire che f −1 (q) incontra (o interseca)
trasversalmente M0 .
Teorema (di regolarità delle soluzioni per varietà con bordo). Sia f : X → N un’applicazione C r tra una varietà m-dimensionale con bordo di classe C r ed una varietà
n-dimensionale senza bordo di classe C r . Supponiamo che q ∈ N sia un valore regolare sia per f sia per la restrizione di f a ∂X. Allora f −1 (q) è una varietà con bordo di
classe C r e dimensione m − n. Inoltre ∂f −1 (q) = ∂X ∩ f −1 (q).
Dimostrazione. Fissiamo p ∈ f −1 (q). Si hanno due possibilità: p ∈
/ ∂X o p ∈ ∂X.
Nel primo coso p ammette un intorno diffeomorfo ad un aperto limitato di Rm−n , che,
a sua volta, risulta diffeomorfo ad aperto di H m−n . Infatti, per il teorema di regolarità
delle soluzioni per varietà senza bordo, l’insieme f −1 (q) \ ∂X è una varietà senza bordo
di classe C r e dimensione m − n (ricordiamo che X \ ∂X è una varietà senza bordo).
Supponiamo quindi p ∈ ∂X. Poiché la proprietà che dobbiamo dimostrare è invariante
per diffeomorfismi, ed è locale, si può assumere X = H m (infatti p ammette un intorno
in X diffeomorfo ad H m ) ed N = Rn (dato che esiste un intorno di q in N diffeomorfo ad
Rn ). Inoltre, l’applicazione f , essendo C r su H m , ammette un’estensione locale g di classe
C r su un intorno aperto di p in Rm . Non è restrittivo supporre che tale aperto coincida con
tutto Rm . Per ipotesi p è un punto regolare per la restrizione di f a ∂H m = Rm−1 ×{0}.
Quindi p risulta regolare anche per la restrizione di g, dato che g = f in ∂H m . Ne segue
che p è un punto regolare anche per g : Rm → N . Poiché l’insieme dei punti regolari è un
aperto, p ammette un intorno (in Rm ) composto soltanto da punti regolari per g. Si può
anche assumere che in tale intorno ogni punto di ∂H m sia regolare per la restrizione di g
a ∂H m . Ovviamente si può supporre che detto intorno coincida con Rm (ricordiamo di
nuovo che ogni palla aperta di Rm è diffeomorfa ad Rm ).
Ricapitolando: g è un’applicazione da Rm in Rn di classe C r priva di punti critici, ogni
punto di ∂H m è regolare per la restrizione di g a ∂H m , f −1 (q) = g −1 (q) ∩ H m .
Per il teorema di regolarità delle soluzioni per varietà senza bordo, l’insieme di livello
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
g −1 (q) è una varietà senza bordo di dimensione m − n (e classe C r ). Osserviamo che
f −1 (q) = x ∈ g −1 (q) : πm (x) ≥ 0 ,
dove πm : Rm → R è l’applicazione “ultima coordinata”. La tesi segue dal lemma del
taglio, purché il punto p sia regolare per la restrizione di πm a g −1 (q). In tal caso, infatti,
0 ∈ R risulta essere un valore regolare per la restrizione di πm ad un conveniente intorno
di p in g −1 (q). Occorre quindi provare che il differenziale di πm in p (che, osserviamo,
coincide con πm ) ristretto allo spazio Tp g −1 (q) = Ker dgp è suriettivo, ovvero non nullo
(dato che il suo codominio è R). Ossia occorre provare che Ker dgp non è contenuto in
Ker πm = Rm−1×{0}. Ciò è vero, in base al lemma del nucleo emergente (pag. 40), perché
per ipotesi la restrizione di dgp a Tp ∂H m = Rm−1 ×{0} è suriettiva.
31 - Mercoledı̀ 29/10/14
Si fa notare che nel teorema di regolarità delle soluzioni per varietà con bordo, l’ipotesi
che q sia un valore regolare per f implica che q è regolare anche per la restrizione di f alla
varietà senza bordo X \ ∂X. Di conseguenza f −1 (q) \ ∂X è una varietà senza bordo. Da
ciò segue che gli eventuali punti di confine di f −1 (q) stanno necessariamente nel bordo di
X. L’ipotesi che il valore q sia regolare anche per la restrizione di f a ∂X assicura che
ogni punto di ∂X ∩ f −1 (q) è effettivamente di confine per f −1 (q).
Esercizio. Siano X = D2 = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 ≤ 1 , N = R, q = 0 ed f : D2 → R
definita da f (x, y) = y−x2 . Mostrare che sono verificate le ipotesi del teorema di regolarità
delle soluzioni per varietà con bordo.
Esercizio. Siano X = D3 = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 ≤ 1 , N = R ed f : D3 → R tale
che f (x, y, z) = z. Stabilire per quali valori q ∈ R sono verificate le ipotesi del teorema di
regolarità delle soluzioni per varietà con bordo.
Esercizio. Siano X = D3 = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 ≤ 1 , N = R2 ed f : D3 → R2
definita da f (x, y, z) = (x, y). Stabilire per quali valori q = (x0 , y0 ) ∈ R2 sono verificate le
ipotesi del teorema di regolarità delle soluzioni per varietà con bordo.
L’esempio che segue mostra che nel teorema di regolarità delle soluzioni per varietà con
bordo l’ipotesi che q sia un valore regolare per la restrizione di f al bordo di X non può
essere rimossa.
Esempio. Con le notazioni del teorema di regolarità delle soluzioni per varietà con bordo,
siano X = H 2 , N = R, q = 0 ed f : H 2 → R la funzione f (x, y) = y − x2 . In questo
caso f −1 (0) è la parabola di equazione y = x2 , che è una varietà unidimensionale senza
bordo. Poiché tale parabola interseca il bordo di H 2 , non vale l’uguaglianza ∂f −1 (0) =
∂H 2 ∩ f −1 (0). Quindi 0 ∈ R, pur essendo un valore regolare per f , in base al suddetto
teorema non può esserlo per la restrizione di f al bordo di H 2 (verificarlo per esercizio).
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
32 - Mercoledı̀ 29/10/14
Definizione. Un sottoinsieme A di uno spazio topologico X si dice un retratto di X se
esiste un’applicazione continua r : X → A, detta retrazione, tale che r(x) = x per ogni
x ∈ A.
In simboli, r è una retrazione se commuta il diagramma
i X
A
1
r
-
?
A
dove i è l’inclusione di A in X e 1 è l’identità in A.
Osserviamo che se A è un retratto di X, allora coincide con l’insieme dei punti fissi
dell’applicazione p : X → X (detta proiezione) ottenuta componendo la retrazione con
l’inclusione di A in X. Pertanto, se X è uno spazio di Hausdorff, allora A è necessariamente
chiuso in X.
Osservazione. I punti di uno spazio X sono retratti di X.
Osservazione. Se X è uno spazio compatto, o connesso, allora lo è anche ogni suo
retratto.
Osservazione. Se A ⊆ X è un retratto di X, allora è anche retratto di ogni sottoinsieme
B di X contenente A.
Definizione. Si dice che uno spazio topologico X ha la proprietà del punto fisso se ogni
applicazione continua di X in sé ammette almeno un punto fisso.
Si osservi che la proprietà del punto fisso è topologica. Vale a dire che se due spazi sono
omeomorfi e uno ha la proprietà del punto fisso, anche l’altro ce l’ha.
Esercizio. Dedurre dal teorema di esistenza degli zeri che l’intervallo [0, 1] ha la proprietà
del punto fisso.
Esercizio. Provare che la sfera unitaria S m di Rm+1 non ha la proprietà del punto fisso.
Esercizio. Provare che i retratti ereditano la proprietà del punto fisso. Mostrare cioè che
se uno spazio topologico X ha la proprietà del punto fisso, allora ogni suo retratto ha la
stessa proprietà.
33 - Giovedı̀ 30/10/14
La dimostrazione del seguente importante risultato si trova in appendice nel Milnor (Topology from the differentiable viewpoint).
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Teorema (di classificazione delle varietà unidimensionali). Ogni varietà connessa, unidimensionale, di classe C r , è C r -diffeomorfa ad uno dei seguenti quattro modelli: S 1 se è
compatta senza bordo; [0, 1] se è compatta con bordo; (0, 1) se è non compatta senza bordo;
[0, 1) se è non compatta con bordo.
Lemma di non esistenza della retrazione (dimostrazione di Hirsch). Sia X una
varietà compatta, con bordo, di classe C ∞ . Allora ∂X non è un retratto C ∞ di X.
Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che esista una retrazione r : X → ∂X di classe
C ∞ . Per il Lemma di Sard–Brown, r ammette un valore regolare q ∈ ∂X. Osserviamo che
q è regolare anche per la restrizione di r a ∂X. Quindi, per il teorema di regolarità delle
soluzioni per le varietà con bordo, l’insieme compatto r−1 (q) è una ∂-varietà di dimensione
1 il cui bordo coincide con r−1 (q) ∩ ∂X = {q}. Sia Γ la componente connessa di r−1 (q)
contenente il punto q. Poiché le componenti connesse degli spazi topologici sono insiemi
chiusi, Γ è una varietà unidimensionale, compatta, connessa. Dunque, per il teorema
di classificazione delle varietà unidimensionali, Γ è diffeomorfa all’intervallo [0, 1] e, di
conseguenza, il suo bordo è costituito da due punti, necessariamente appartenenti a ∂X.
Un punto è q. E l’altro?
Lemma (di esistenza del punto fisso). Ogni applicazione di classe C ∞ dal disco unitario
Dk = x ∈ Rk : kxk ≤ 1
in sé ammette almeno un punto fisso.
Dimostrazione. La traccia della dimostrazione è semplice (i dettagli un po’ meno): si
basa sul fatto che non può esistere una retrazione C ∞ da Dk su ∂Dk = S k−1 . Infatti,
se esistesse una f : Dk → Dk priva di punti fissi, dato un arbitrario x ∈ Dk sarebbe ben
definita la retta passante per x e f (x). Tale retta incontrerebbe S k−1 in due punti distinti,
uno (ed uno solo) dei quali, r(x), più vicino a x che a f (x). Risulterebbe quindi ben
definita un’applicazione r : Dk → ∂Dk con la proprietà r(x) = x, ∀x ∈ ∂Dk . Ricordiamo
che il lemma di non esistenza della retrazione (a pag. 44) esclude che l’applicazione r possa
essere di classe C ∞ .
Inoltriamoci ora nei dettagli: occorre provare che se esistesse una f : Dk → Dk priva di
punti fissi e di classe C ∞ , allora anche l’applicazione r associata risulterebbe di classe C ∞ .
Supponiamo quindi che una tale f esista. Per ogni x ∈ Dk definiamo il versore
u(x) =
x − f (x)
.
kx − f (x)k
Notiamo che l’applicazione x 7→ u(x) è di classe C ∞ , perché di tale classe risultano sia f
sia la restrizione della norma a Rk \{0}. Consideriamo la retta parametrica t 7→ x + tu(x),
passante per x e per f (x). Tale retta incontra S k−1 in due punti distinti, corrispondenti ai
valori del parametro t che risolvono l’equazione kx + tu(x)k2 = 1. Sviluppando il quadrato
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
si ottiene la seguente equazione di secondo grado in t:
t2 + 2thx, u(x)i + kxk2 − 1 = 0.
La soluzione che ci interessa è quella maggiore o uguale a zero. Cioè
p
t(x) = −hx, u(x)i + hx, u(x)i2 + 1 − kxk2 .
Dei due punti di intersezione della retta parametrica t 7→ x + tu(x) con la sfera unitaria,
quello che sta dalla parte di x è r(x) = x + t(x)u(x). Gli studenti sono invitati a verificare
che t(x) = 0 (cioè r(x) = x) quando x ∈ S k−1 e che la l’applicazione r : Dk → S k−1 è
di classe C ∞ (perché la funzione dentro la radice della precedente formula non può mai
annullarsi). Fatti i dovuti controlli, si contraddice lemma di non esistenza della retrazione.
Pertanto, non può esistere un’applicazione f : Dk → Dk di classe C ∞ priva di punti fissi.
34 - Giovedı̀ 30/10/14
Riportiamo, senza dimostrazione, il seguente importante risultato.
Teorema di approssimazione di Weierstrass. Sia f : K → R una funzione continua
su un compatto di Rk . Allora, fissato ε > 0, esiste un polinomio reale di k variabili reali,
P : Rk → R, per il quale si ha |P (x) − f (x)| < ε per ogni x ∈ K.
Il seguente risultato si deduce facilmente dal Teorema di approssimazione di Weierstrass,
tenendo conto che un’applicazione a valori in Rs è costituita da s funzioni reali.
Corollario (del Teorema di approssimazione di Weierstrass). Sia f : K → Rs continua su
un compatto K ⊆ Rk . Allora, fissato ε > 0, esiste un’applicazione g : Rk → Rs di classe
C ∞ tale che kg(x) − f (x)k < ε per ogni x ∈ K.
Teorema di Brouwer (versione classica). Il disco unitario di uno spazio euclideo ha la
proprietà del punto fisso.
Dimostrazione. Sia f un’applicazione continua da Dk = {x ∈ Rk : kxk ≤ 1} in sé. Supponiamo, per assurdo, che f non abbia punto fisso. Allora, dalla compattezza di Dk
segue inf x∈Dk kx − f (x)k = 2δ > 0. Per il corollario del Teorema di approssimazione
Weierstrass, esiste g : Dk → Rk tale che kg(x) − f (x)k < δ per ogni x ∈ Dk . L’applicazione g potrebbe non mandare Dk in sé. Tuttavia, fissato un qualunque x ∈ Dk , si ha
kg(x)k = kf (x) + (g(x) − f (x))k ≤ 1 + δ. Pertanto, l’applicazione ḡ : Dk → Rk , definita da
ḡ(x) = g(x)/(1 + δ), manda Dk in sé. Dunque, per il lemma di esistenza del punto fisso
(a pag. 44), esiste x̄ ∈ Dk tale che ḡ(x̄) = x̄. Di conseguenza, risulta
kx̄ − f (x̄)k = kḡ(x̄) − f (x̄)k =
1
2δ
kg(x̄) − f (x̄) − δf (x̄)k ≤
< 2δ,
1+δ
1+δ
che contraddice la definizione di δ.
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Applicazioni del Teorema di Brouwer alla risolubilità di alcuni sistemi non lineari di k
equazioni in k incognite:
• Risolubilità dei sistemi della forma Lx = h(x), dove L : Rk → Rk è un isomorfismo
e h : Rk → Rk è continua, con immagine limitata;
• Risolubilità dei sistemi della forma Lx = h(x), dove L : Rk → Rk è un isomorfismo
e h : Rk → Rk è continua e tale
kh(x)k
= 0.
kxk→∞ kxk
lim
Esercizio. Sia f : Rk → Rk continua e tale che
lim sup
kxk→∞
kf (x)k
< 1.
kxk
Provare che esiste un disco di Rk che viene mandato in sé da f (pertanto f ammette
almeno un punto fisso).
Esercizio. Sia L : Rk → Rk lineare e tale che kLxk ≥ mkxk per ogni x ∈ Rk , dove m è
una costante positiva. Dedurre dall’esercizio precedente che se h : Rk → Rk è continua e
verifica la condizione
kh(x)k
lim sup
< m,
kxk
kxk→∞
allora il sistema Lx = h(x) ammette almeno una soluzione.
36 - Venerdı̀ 31/10/14
Principio di continuazione in dimensione finita. Siano L : Rk → Rk un’applicazione
lineare, U un aperto limitato di Rk ed h : U × [0, 1] → Rk un’applicazione continua. Supponiamo che:
1. h(x, 0) = 0, ∀x ∈ U ;
2. 0 ∈ U ;
3. Lx 6= h(x, λ), ∀(x, λ) ∈ ∂U × [0, 1].
Allora l’equazione Lx = h(x, 1) ammette almeno una soluzione.
Dimostrazione. Consideriamo l’insieme Σ = (x, λ) ∈ U × [0, 1] : Lx = h(x, λ) . Tale
insieme è chiuso in U × [0, 1], dato che le applicazioni L ed h sono continue. Quindi
è anche compatto, essendo U × [0, 1] chiuso e limitato in Rk × R. Di conseguenza, il
sottoinsieme
S = x ∈ U : Lx = h(x, λ) per almeno un λ ∈ [0, 1]
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
di U (costituito da tutte le possibili soluzioni x dell’equazione Lx = h(x, λ) che si ottengono
al variare di λ ∈ [0, 1]) è compatto, perchè coincide con l’immagine di Σ mediante la
proiezione π1 : U × [0, 1] → U .
L’ipotesi 3 implica che S non interseca la frontiera ∂U di U , ed è non vuoto perché, per le
ipotesi 1 e 2, 0 ∈ S. Poiché S e ∂U sono due chiusi disgiunti, esiste una funzione continua
σ : U → [0, 1] tale che σ(x) = 1 per x ∈ S e σ(x) = 0 per x ∈ ∂U . Ad esempio
σ(x) =
dist(x, ∂U)
.
dist(x, ∂U) + dist(x, S)
La tesi segue se si prova che l’equazione Lx = h(x, σ(x)) ammette almeno una soluzione.
Infatti, se x̄ ∈ ∂U verifica la condizione Lx̄ = h(x̄, σ(x̄)), allora x̄ ∈ S e, di conseguenza,
σ(x̄) = 1.
Denotiamo con U c il complementare di U in Rk ed estendiamo la funzione x 7→ h(x, σ(x))
a tutto Rk mediante
(
h(x, σ(x)) se x ∈ U ,
g(x) =
0
se x ∈ U c .
Si osservi che g è ben definita perché σ(x) = 0 per x ∈ ∂U = U ∩ U c e, di conseguenza,
grazie all’ipotesi 1, le definizioni parziali di g coincidono in U ∩ U c . Inoltre g è continua
perché la retroimmagine di ogni chiuso è unione di due chiusi, uno in U e uno in U c . Di
conseguenza, per la compattezza di U , g manda tutto Rk in un limitato.
L’applicazione lineare L è iniettiva, quindi invertibile. Infatti, se non lo fosse, il suo nucleo
(che, per l’ipotesi 1, è contenuto in S) conterrebbe una retta, la quale (per l’ipotesi 2)
intersecherebbe la frontiera ∂U dell’aperto limitato U , in contrasto con l’ipotesi 3.
Per il Teorema di Brouwer, l’equazione x = L−1 (g(x)) ammette almeno una soluzione
x̄ ∈ Rk . La tesi segue se si prova che x̄ ∈ U . Infatti, in tal caso, come precedentemente
osservato, risulta Lx̄ = h(x̄, σ(x̄)) = h(x̄, 1). Supponiamo, per assurdo, x̄ ∈
/ U . Allora
−1
−1
x̄ = L (g(x̄)) = L (0) = 0. Da cui si deduce 0 ∈
/ U , in contrasto con l’ipotesi 2.
Pertanto x̄ ∈ U e Lx̄ = h(x̄, 1).
Il risultato che segue è un’immediata conseguenza del suddetto principio di continuazione.
Corollario. Siano L : Rk → Rk un’applicazione lineare ed f : Rk → Rk un’applicazione
continua. Se l’insieme
S = x ∈ Rk : Lx = λf (x) per almeno un λ ∈ [0, 1]
è limitato, allora l’equazione Lx = f (x) ammette almeno una soluzione.
Esercizio. Provare che il seguente sistema di due equazioni in due incognite ammette
almeno una soluzione:
(
x + y + x3 + cos xy = 0,
x − 2y + sen xy + 1 = 0.
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Suggerimento. Scrivere il sistema nella forma Lx = f (x), dove L : R2 → R2 è lineare ed
f : R2 → R2 non lineare. Considerare il sistema dipendente da un parametro Lx = λf (x)
e applicare il corollario del principio di continuazione.
37 - Mercoledı̀ 05/11/14
Esercizio. Sia C un sottoinsieme chiuso di Rk . Provare che, fissato x ∈ Rk , l’insieme dei
punti di C più vicini ad x, ossia r(x) = y ∈ C : kx − yk = dist(x, C) , è non vuoto.
Esercizio. Provare che l’applicazione multivoca r : Rk ( C definita nell’esercizio precedente ha il grafico chiuso. Cioè, l’insieme
Gr = (x, y) ∈ Rk × C : y ∈ r(x)
è un sottoinsieme chiuso di Rk × C (quindi anche di Rk × Rk ).
Suggerimento. Usare la continuità della funzione x 7→ dist(x, C).
Esercizio. Sia Q un convesso chiuso di Rk . Provare che, fissato x ∈ Rk , l’insieme dei
punti di Q più vicini ad x (con la norma euclidea) è un singoletto. Pertanto, l’applicazione
multivoca r precedentemente definita può essere pensata come un’ordinaria applicazione
(univoca) r : Rk → Q. Si osservi che la restrizione di r a Q coincide con l’identità.
Suggerimento. Usare la seguente proprietà della norma euclidea (stretta convessità):
kxk = kyk = 1 =⇒ kx + yk = 2 (se e) solo se x = y (cioè se due punti distinti
appartengono alla sfera unitaria, il punto di mezzo è interno al disco unitario).
Esercizio. Sia f : X → Y un’applicazione tra spazi metrici. Provare che f è continua
se (e solo se) ha il grafico chiuso e manda compatti in relativamente compatti. Dedurre
da ciò che l’applicazione r : Rk → Q definita nel precedente esercizio è continua (quindi, è
una retrazione).
Il risultato che segue è una conseguenza del precedente esercizio.
Teorema. I convessi chiusi di Rk sono retratti di tutto lo spazio. Pertanto, se sono anche
limitati, sono retratti di qualche disco.
Da suddetto risultato si deduce la versione generale del Teorema di Brouwer (ricordarsi
che i retratti ereditano la proprietà del punto fisso, e che in uno spazio di dimensione finita
tutte le norme sono equivalenti).
Teorema di punto fisso Brouwer (versione generale). I convessi chiusi e limitati degli
spazi normati di dimensione finita hanno la proprietà del punto fisso.
38 - Mercoledı̀ 05/11/14
L’esempio che segue mostra che negli spazi di Banach di dimensione infinita possono
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
esistere convessi chiusi e limitati che non godono della proprietà de punto fisso.
Esempio di Kakutani. Sia D il disco unitario di `2 e sia f : D → D cosı̀ definita:
p
f (x) = ( 1 − kxk2 , ξ1 , ξ2 , . . . , ξn , . . . ),
dove x = (ξ1 , ξ2 , . . . , ξn , . . . ). Mostriamo che f non ammette punti fissi. Supponiamo
infatti, per assurdo, che esista un x̄ ∈ D tale che f (x̄) = x̄. Poiché, come è immediato
verificare, kf (x)k = 1 per ogni x ∈ D, risulta kx̄k = 1. Di conseguenza,
f (x̄) = (0, ξ¯1 , ξ¯2 , . . . , ξ¯n , . . . ),
e quindi
(ξ¯1 , ξ¯2 , . . . , ξ¯n , . . . ) = (0, ξ¯1 , ξ¯2 , . . . , ξ¯n , . . . ).
Se ne deduce ξ¯1 = 0, ξ¯2 = 0, . . . , ξ¯n = 0, . . . E ciò è assurdo, visto che kx̄k = 1.
Un altro esempio di convesso, chiuso e limitato che non gode della proprietà del punto
fisso è costituito dal sottoinsieme
Q = x ∈ C[0, 1] : x(0) = 0; x(1) = 1; 0 ≤ x(t) ≤ 1, ∀t ∈ [0, 1]
dello spazio di Banach C[0, 1]. Si osservi infatti che l’applicazione lipschitziana f : Q → Q
definita da f (x)(t) = tx(t) è priva di punti fissi (f è addirittura la restrizione a Q di
un’applicazione lineare). Per inciso, si osservi che Q è interamente costituito da vettori di
norma uno, e questo mostra che C[0, 1] non è uno spazio strettamente convesso.
Lemma (di approssimazione). Sia K un sottoinsieme compatto di uno spazio normato
E. Fissato ε > 0, esiste un’applicazione continua iε : K → E con le seguenti proprietà:
1) l’immagine iε (K) di iε è contenuta in un convesso generato da un numero finito di
punti di K;
2) kiε (x) − xk < ε, ∀ x ∈ K.
Dimostrazione (svolta a lezione).
Teorema di Schauder (versione classica). I convessi compatti degli spazi normati hanno
la proprietà del punto fisso.
Il Teorema di Schauder nella versione classica è una conseguenza del risultato che segue.
Teorema di Schauder (versione generale). Sia Q ⊆ E un convesso di uno spazio normato e sia f : Q → E un’applicazione continua. Se l’immagine di f è contenuta in un
sottoinsieme compatto di Q, allora f ammette almeno un punto fisso.
Dimostrazione (svolta a lezione).
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
39 - Giovedı̀ 06/11/14
Definizione. Un’applicazione tra due spazi metrici si dice completamente continua se è
continua e manda insiemi limitati in insiemi relativamente compatti, si dice compatta se
la sua immagine è relativamente compatta.
Si osservi che, in base alla suddetta definizione, le applicazioni compatte sono anche completamente continue. Il contrario non è vero; infatti ogni applicazione continua f : X → Rs
definita su un sottoinsieme chiuso di Rk è completamente continua, ma non è detto sia
compatta, a meno che non abbia immagine limitata.
Si fa presente che per quanto riguarda gli operatori lineari tra spazi normati, la terminologia, per motivi di tradizione, non rientra nel suddetto schema: un operatore lineare
completamente continuo è in uso chiamarlo compatto. Tuttavia non c’è pericolo di far
confusione, perché l’unica applicazione lineare tra due spazi normati che (in base alla
suddetta definizione) può dirsi realmente compatta è l’applicazione nulla, dato che la sua
immagine deve essere un sottospazio compatto (e quindi limitato) del codominio. Volendo,
la discordanza tra la terminologia in uso e la suddetta definizione si può giustificare osservando che gli operatori lineari sono completamente determinati dalla loro restrizione alla
palla unitaria, e un’applicazione lineare è completamente continua se e solo se è compatta
la sua restrizione a tale palla. Analogamente, si ricorda che un operatore lineare tra spazi
normati si dice limitato se è limitata l’immagine della palla unitaria, e non se lo è tutta
l’immagine (solo l’operatore nullo può vantare quest’ultima proprietà).
Teorema (di Ascoli-Arzelà riformulato). Un sottoinsieme A di C([a, b], Rn ) è relativamente compatto se e solo se è limitato e costituito da funzioni equicontinue.
Osservazione. Sia A un sottoinsieme di C([a, b], Rn ) costituito da funzioni derivabili. Se
esiste una costante che maggiora in valore assoluto le derivate di tutte le funzioni di A,
allora A è costituito da funzioni equilipschitziane, e quindi anche equicontinue.
Il risultato che segue è un’immediata conseguenza della versione generale del Teorema di
Schauder.
40 - Giovedı̀ 06/11/14
Teorema di Schauder (versione più comune). Se un’applicazione completamente continua manda un convesso, chiuso e limitato di uno spazio di Banach in sé, allora ammette
almeno un punto fisso.
Teorema. Data una funzione continua f : [a, b] × Rn → Rn e dato (t0 , x0 ) ∈ [a, b] × Rn ,
l’operatore integrale (di Volterra) F : C([a, b], Rn ) → C([a, b], Rn ) definito da
Z t
F (x)(t) = x0 +
f (s, x(s)) ds
t0
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
è un’applicazione completamente continua.
Dimostrazione (svolta a lezione).
Con riferimento al suddetto teorema, si osservi che se la funzione f è limitata, allora, per
il Teorema di Schauder, l’operatore F (associato ad f ) ammette almeno un punto fisso.
Infatti F manda tutto lo spazio in un insieme limitato, e quindi esiste una palla chiusa
che viene trasformata in sé.
Osservazione. I punti fissi del suddetto operatore integrale, ovvero le funzioni x(t) che
verificano l’equazione integrale (di Volterra)
Z
t
f (s, x(s)) ds ,
x(t) = x0 +
t0
sono le soluzioni globali (cioè definite in tutto [a, b]) del seguente problema di Cauchy:
(
x0 (t) = f (t, x(t))
x(t0 ) = x0
Il risultato che segue è basato su quanto appena osservato.
Lemma (di esistenza globale). Se f : [a, b] × Rn → Rn è continua e limitata, e x0 ∈ Rn ,
allora esiste una soluzione globale dell’equazione differenziale x0 (t) = f (t, x(t)) che verifica
la condizione iniziale x(t0 ) = x0 .
Dimostrazione (svolta a lezione).
41 - Venerdı̀ 07/11/14
Il risultato che segue è una facile conseguenza del lemma di esistenza globale (a pag. 51).
Teorema (di esistenza locale di Peano). Sia f : U → Rn un’applicazione continua in un
aperto U di R × Rn . Allora, fissato un punto (t0 , x0 ) ∈ U , esiste una funzione x : J → Rn ,
di classe C 1 in un intervallo aperto J contenente t0 , che verifica le seguenti condizioni:
1) x0 (t) = f (t, x(t)), ∀ t ∈ J;
2) x(t0 ) = x0 .
Dimostrazione (svolta a lezione).
42 - Venerdı̀ 07/11/14
Esercizio. Sia F uno spazio vettoriale e sia F0 un suo sottospazio. Provare che ogni
addendo diretto F1 di F0 (cioè F1 è tale che F0 ⊕ F1 = F ) è (canonicamente) isomorfo al
quoziente F/F0 .
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Ricordiamo che, dato un operatore lineare tra spazi vettoriali L : E → F , il suo conucleo
è lo spazio quoziente coKer L = F/ Im L. La dimensione di detto spazio è la codimensione
di Im L in F .
Definizione. Un operatore lineare tra spazi vettoriali, L : E → F , si dice di Fredholm se
il suo nucleo e il suo conucleo hanno dimensione finita. In tal caso l’indice di L è l’intero
ind L := dim Ker L − dim coKer L = dim Ker L − codim Im L. Nel caso che E ed F siano
spazi di Banach, si assume (tacitamente) che L sia continuo.
Ovviamente, ogni operatore lineare tra spazi di dimensione finita è di Fredholm, e ogni
isomorfismo tra spazi vettoriali (anche di dimensione infinita) è un operatore di Fredholm
di indice zero.
Esercizio. Provare che l’indice di un operatore lineare L : Rk → Rs è k − s.
43 - Mercoledı̀ 12/11/14
Riportiamo, senza dimostrazione, due importanti risultati riguardanti gli operatori di
Fredholm tra spazi (puramente) vettoriali.
Teorema (della composizione di operatori di Fredholm). Siano L : E → F e M : F → G
due operatori di Fredholm. Allora anche l’operatore composto M L : E → G è di Fredholm
e ind M L = ind L + ind M .
Teorema (della somma per gli operatori di Fredholm). Sia L : E → F un operatore
di Fredholm tra spazi vettoriali e sia K : E → F un operatore lineare con immagine di
dimensione finita. Allora L + K è di Fredholm dello stesso indice di L.
Esercizio. Sia B : E → Rn un operatore lineare suriettivo. Provare che Ker B ha codimensione n in E. Di conseguenza, l’inclusione di Ker B in E è un operatore di Fredholm
di indice −n.
Esercizio. Sia L : E → F un operatore lineare suriettivo con nucleo m-dimensionale e
sia B : E → Rn un operatore lineare suriettivo. Provare che la restrizione di L a Ker B,
L|Ker B : Ker B → F , è un operatore di Fredholm di indice m − n.
Suggerimento. Applicare il teorema della composizione di operatori di Fredholm.
44 - Mercoledı̀ 12/11/14
Esercizio. Sia L : E → F un operatore lineare suriettivo con nucleo m-dimensionale e sia
B : E → Rn un operatore lineare. Provare che l’operatore M : E → F × Rn , definito da
M x = (Lx, M x), è di Fredholm di indice m − n.
Suggerimento. Applicare il teorema della somma per gli operatori di Fredholm.
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Vediamo ora, sempre senza dimostrazione, due risultati fondamentali riguardanti gli operatori di Fredholm tra spazi di Banach. Dati due spazi di Banach E ed F , L(E, F ) denota
lo spazio di Banach degli operatori lineari e continui da E in F .
Teorema (di continuità dell’indice per gli operatori di Fredholm). L’insieme Φ(E, F ) dagli
operatori di Fredholm tra due spazi di Banach E ed F è un aperto di L(E, F ). Inoltre,
l’applicazione ind : Φ(E, F ) → Z è localmente costante. Di conseguenza, dato n ∈ Z,
risulta aperto anche l’insieme Φn (E, F ) degli operatori di Fredholm di indice n.
Teorema (della perturbazione compatta per gli operatori di Fredholm). Sia L : E → F
un operatore di Fredholm tra spazi di Banach e sia K ∈ L(E, F ) un operatore compatto.
Allora L + K è di Fredholm dello stesso indice di L.
45 - Giovedı̀ 13/11/14
Lemma. Sia E uno spazio vettoriale (reale) e sia E0 un sottospazio di E di codimensione
n ∈ N. Allora esiste un operatore lineare suriettivo B : E → Rn (ossia, n funzionali
linearmente indipendenti) tale che Ker B = E0 . Viceversa, se B : E → Rn è un operatore
lineare suriettivo, allora Ker B ha codimensione n in E. In particolare, ogni iperpiano in
E è il nucleo di un funzionale (non nullo).
Dimostrazione (svolta a lezione).
Esempio. Consideriamo il problema al contorno

00 (t)

= y(t)
 x
R1
0 x(t)dt = 0

 x(0)
= 0
Si tratta di un problema del tipo Lx = y, con L : E → F , dove
• E è il sottospazio (chiuso) di C 2 ([0, 1]) costituito dalle funzioni che verificano le
due condizioni al contorno assegnate (cioé E = Ker B, dove B : C 2 ([0, 1]) → R2 è
R1
l’operatore che ad ogni x ∈ C 2 ([0, 1]) assegna la coppia di numeri ( 0 x(t)dt, x(0));
• F = C([0, 1]);
• L è la restrizione ad E dell’operatore derivata seconda D2 : C 2 ([0, 1]) → C([0, 1]);
• y ∈ F è una funzione assegnata;
• x ∈ E è la funzione incognita.
Si osservi che l’operatore D2 è suriettivo e ha nucleo bidimensionale; pertanto è di Fredholm di indice 2. Inoltre L = DJ, dove J : E ,→ C 2 ([0, 1]) è l’inclusione di E in C 2 ([0, 1]).
Poiché E ha codimensione 2 in C 2 ([0, 1]), J è di Fredholm di indice −2. Pertanto, dal teorema della composizione di operatori di Fredholm (a pag. 52), segue che L ha indice zero.
Dato che il problema omogeneo associato ammette solo la soluzione nulla, l’immagine ImL
di L coincide con F = C([0, 1]). Possiamo quindi affermare che il problema ammette una
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
ed una sola soluzione per ogni funzione assegnata y ∈ C([0, 1]), come è possibile verificare
con calcoli elementari.
46 - Giovedı̀ 13/11/14
Esempio. Consideriamo il problema al contorno

0 (t)

= y(t)
 x
R1
0 x(t)dt = 0

 x(0)
= 0
Si tratta di un problema del tipo Lx = y, con L : E → F , dove
• E è il sottospazio (chiuso) di C 1 ([0, 1]) costituito dalle funzioni che verificano le due
condizioni al contorno assegnate;
• F = C([0, 1]);
• L è la restrizione ad E dell’operatore derivata D : C 1 ([0, 1]) → C([0, 1]);
• y ∈ F è una funzione assegnata;
• x ∈ E è la funzione incognita.
Si osservi che l’operatore D è suriettivo e ha nucleo unidimensionale; pertanto è di Fredholm di indice 1. Inoltre L = DJ, dove J : E ,→ C 1 ([0, 1]) è l’operatore inclusione. Poiché
E ha codimensione 2 in C 1 ([0, 1]), J è di Fredholm di indice −2. Pertanto, dal teorema
della composizione di operatori di Fredholm (a pag. 52), segue che L ha indice −1. Dato
che il problema omogeneo associato ammette solo la soluzione nulla, l’immagine ImL di
L è un sottospazio di codimensione uno in F = C([0, 1]). Esiste quindi un funzionale
ω : F → R (definito a meno di una costante moltiplicativa non nulla) tale che il problema
assegnato ammette soluzione se e solo se ω(y) = 0. Vediamo se è possibile esprimere ω(y)
nella forma
Z
1
ϕ(t)y(t)dt.
0
Supponiamo che il problema assegnato ammetta soluzione (i.e. y ∈ ImL). Allora
Z
1
Z
ϕ(t)y(t)dt =
0
0
1
1
ϕ(t)x0 (t)dt = ϕ(t)x(t) 0 −
Z
1
ϕ0 (t)x(t)dt.
0
Tenendo conto che x(0) = 0, se si cerca ϕ tale che ϕ(1) = 0 e ϕ0 (t) = 1, cioè se ϕ(t) = t−1,
allora risulta
Z
1
ϕ(t)y(t)dt = 0.
0
Dunque, l’immagine di L è contenuta nel nucleo del funzionale ω definito da
Z 1
ω(y) = (t − 1)y(t)dt.
0
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Tenendo conto che ImL ha codimensione 1, la stessa di Ker ω, risulta ImL = Ker ω.
Possiamo quindi concludere che il problema al contorno assegnato ammette soluzione se e
solo se la funzione y verifica la condizione
Z 1
(t − 1)y(t)dt = 0.
0
Esercizio. Provare che il problema


x0 (t)


 R1
0 x(t)dt

x(0)



x(1)
=
=
=
=
y(t)
0
0
0
ammette soluzione se e solo se sono verificate le seguenti due condizioni:
Z 1
Z 1
ty(t)dt = 0.
y(t)dt = 0,
0
0
Esercizio. Provare che il problema

00

 x (t) + x(t) = y(t)
x(0) = x(2π)

 x0 (0) = x0 (2π)
ammette soluzione se e solo se sono verificate le seguenti due condizioni:
Z 1
Z 1
y(t) cos t dt = 0,
y(t) sin t dt = 0.
0
0
47 - Venerdı̀ 14/11/14
Cenni sui problemi al contorno del tipo
(
x0 (t) − A(t)x(t) = y(t)
Bx = z
dove A è una matrice n×n di funzioni reali e continue in un intervallo [a, b], y : [a, b] → Rn è
una funzione continua assegnata, B : C 1 ([a, b], Rn ) → Rn è un operatore lineare e continuo,
z è un vettore di Rn e x (la funzione incognita) appartiene a C 1 ([a, b], Rn ).
Lemma. Condizione necessaria e sufficiente affinché il problema
(
x0 (t) − A(t)x(t) = y(t)
Bx = z
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
abbia soluzione per ogni (y, z) ∈ C([a, b], Rn ) × Rn è che il problema omogeneo associato
abbia soltanto la soluzione nulla.
Dimostrazione (svolta a lezione).
48 - Venerdı̀ 14/11/14
Principio di continuazione di Leray-Schauder. Siano L : E → F un operatore di
Fredholm di indice zero tra spazi di Banach, U un aperto limitato di E ed h : U ×[0, 1] → F
un’applicazione completamente continua. Supponiamo che:
1) h(x, 0) = 0, ∀x ∈ U ;
2) 0 ∈ U ;
3) Lx 6= h(x, λ), ∀(x, λ) ∈ ∂U × [0, 1].
Allora l’equazione Lx = h(x, 1) ammette almeno una soluzione.
Dimostrazione (svolta a lezione).
Il risultato che segue è una conseguenza del principio di continuazione di Leray-Schauder.
Teorema. Consideriamo il seguente problema dipendente da un parametro λ ∈ [0, 1]:
(
x0 (t) − A(t)x(t) = λf (t, x(t))
Bx = λz
dove A è una matrice n × n di funzioni continue da [a, b] in R, f : [a, b] × Rn → Rn è
continua, z è un punto di Rn e B : C 1 ([a, b], Rn ) → Rn è un operatore lineare e continuo.
Se l’insieme delle soluzioni x(·) del suddetto problema che corrispondono a un qualunque
valore λ ∈ [0, 1] del parametro è limitato in C([a, b], Rn ), allora il problema ammette
almeno una soluzione per λ = 1.
Dimostrazione (svolta a lezione).
Applicazione del principio di continuazione di Leray-Schauder all’esistenza di soluzioni del
seguente problema al contorno:

00
3

 u (t) = 1 + u(t)
u(0) = 0

 u(1) = 0
Esercizio. Provare, mediante il principio di continuazione di Leray-Schauder, che il
seguente problema al contorno ammette almeno una soluzione:

00

 u (t) = f (t, u(t))
u(a) = 0

 u(b) = 0
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
dove f : [a, b]×R → R è una funzione continua tale che sf (t, s) > 0 per |s| sufficientemente
grande.
49 - Giovedı̀ 20/11/14
Ricordiamo che se f : M → N è un’applicazione propria, di classe C ∞ , tra varietà differenziabili (senza bordo) della stessa dimensione e y ∈ N è un valore regolare per f ,
allora f −1 (y) è un insieme compatto e discreto, pertanto finito. Ricordiamo inoltre che,
denotato con C l’insieme dei punti critici di f , l’applicazione #f −1 : N \ f (C) → Z che ad
ogni valore regolare y di N associa la cardinalità di f −1 (y) è localmente costante.
Notazione. Sia f : M → N un’applicazione propria, di classe C ∞ , tra varietà differenziabili (senza bordo) della stessa dimensione. Se y ∈ N è un valore regolare per f , col simbolo
deg2 (f, y) si denota il numero #f −1 (y) modulo 2. Risulta quindi deg2 (f, y) uguale a zero
o ad uno, a seconda che #f −1 (y) sia pari o dispari.
Siano X e Y due spazi topologici. Ricordiamo che un’omotopia da X in Y è un’applicazione continua H : X × [0, 1] → Y .
Data un’omotopia H da X in Y e fissato λ ∈ [0, 1], Hλ : X → Y denota l’applicazione
parziale x 7→ H(x, λ). In un certo senso, un’omotopia da X in Y può essere pensata
come una famiglia {Hλ } di applicazioni da X in Y che dipendono “con continuità” da un
parametro λ ∈ [0, 1].
Due applicazioni f, g : X → Y si dicono omotope se esiste un’omotopia H che le congiunge,
cioè tale che H0 = f e H1 = g. Non è difficile provare che, nell’insieme delle applicazioni continue da X in Y , la relazione di essere omotope è di equivalenza (verificarlo per
esercizio). Uno spazio topologico X si dice contrattile se l’identità (in X) è omotopa ad
un’applicazione costante.
Esercizio. Provare che se f, g : X → E sono due applicazioni continue da uno spazio
topologico in uno spazio normato, allora sono omotope.
Esercizio. Provare che gli spazi normati (o, più in generale, i convessi degli spazi normati)
sono contrattili.
50 - Giovedı̀ 20/11/14
Esercizio. Provare che gli spazi contrattili sono connessi per archi.
Ricordiamo che abbiamo definito il concetto di applicazione di classe C r tra arbitrari
insiemi contenuti negli spazi euclidei. Di conseguenza, tra tali insiemi, è ben definito
anche il concetto di omotopia di classe C r . Infatti se X ⊆ Rk , allora X × [0, 1] ⊆ Rk+1 .
20 dicembre 2014
57
Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Lemma di omotopia (per il grado modulo 2). Siano f, g : M → N due applicazioni
C ∞ -omotope (ossia omotope, con omotopia di classe C ∞ ) tra varietà senza bordo della
stessa dimensione, e sia M compatta. Se y ∈ N è un valore regolare per entrambe le
applicazioni, allora deg2 (f, y) = deg2 (g, y).
Dimostrazione (svolta a lezione).
Osservazione. Nel lemma di omotopia, l’ipotesi che M sia una varietà compatta può
essere sostituita con la seguente condizione (strettamente più debole): “esiste un’omotopia
propria e di classe C ∞ tra f e g” (in tal caso f e g sono necessariamente due applicazioni
proprie).
Esercizio. Sia f : X → Y un’applicazione continua tra spazi metrici. Provare che f è
propria se e solo se ogni successione {xn } in X tale che {f (xn )} è convergente ammette
una sottosuccessione convergente.
Ricordiamo che una successione in uno spazio metrico si dice divergente se non ammette
sottosuccessioni convergenti.
Esercizio. Sia f : X → Y un’applicazione continua tra spazi metrici. Provare che f è
propria se e solo se f trasforma successioni divergenti in successioni divergenti.
Suggerimento. Utilizzare l’esercizio precedente.
51 - Venerdı̀ 21/11/14
Ricordiamo che un’applicazione continua tra spazi metrici si dice compatta se la sua immagine è contenuta in un insieme compatto. Ovviamente, ogni applicazione compatta è
completamente continua (cioè compatta sugli insiemi limitati).
Esercizio (svolto a lezione). Siano f e g due applicazioni da uno spazio metrico X in uno
spazio normato E. Provare che se una delle due applicazioni è propria e l’altra è compatta,
allora la loro somma è propria.
Suggerimento. Provare che se una successione {xn } in X è divergente, allora è divergente
anche {f (xn ) + g(xn )}.
Ricordiamo che se M è una varietà m-dimensionale senza bordo, allora ogni suo punto
ammette un intorno diffeomorfo ad Rm .
Lemma di locale costanza (per il grado modulo 2). Sia f : M → N un’applicazione
propria, di classe C ∞ , tra due varietà m-dimensionali, senza bordo. Allora, dato un aperto
V di N diffeomorfo ad Rm e dati due arbitrari valori regolari y1 , y2 ∈ V , si ha
deg2 (f, y1 ) = deg2 (f, y2 ).
Dimostrazione. Dato un diffeomorfismo ϕ : V → Rm , poniamo M1 = f −1 (V ) e consideria-
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
mo l’applicazione f1 : M1 → Rm definita da f1 (x) = ϕ(f (x)). Chiaramente z ∈ Rm è un
valore regolare per f1 se e solo se ϕ−1 (z) è un valore regolare per f . Inoltre, f1 è propria
e si ha f1−1 (z) = f −1 (ϕ−1 (z)), ∀z ∈ Rm . È sufficiente quindi provare che se z1 e z2 sono
due valori regolari per f1 , risulta #f1−1 (z1 ) = #f1−1 (z2 ) modulo 2. Ciò segue dal lemma
di omotopia, tenendo conto che l’applicazione H : M1 × [0, 1] → Rm , definita da
H(x, λ) = f1 (x) − (λz1 + (1 − λ)z2 ),
è propria (essendo somma di due applicazioni, una propria e l’altra compatta).
Osservazione. Il precedente lemma permette di estendere la definizione di grado modulo
due anche ai valori y non regolari per f . Basta infatti definire
deg2 (f, y) = deg2 (f, z),
dove z è un qualunque valore regolare per f in un intorno di y diffeomorfo ad Rm . È
chiaro che, con questa definizione, il grado modulo due è una funzione localmente costante
del punto y ∈ N , ed è quindi costante sulle componenti connesse di N . Di conseguenza,
se N è connessa, potremo semplicemente scrivere deg2 (f ) al posto di deg2 (f, y), dove y è
un qualunque valore di N .
Proprietà fondamentali del grado modulo due (per applicazioni proprie):
• (Normalizzazione) deg2 (1M , y) = 1, ∀y ∈ M (dove 1M è l’identità in M );
• (Esistenza) se deg2 (f, y) 6= 0, allora l’equazione f (x) = y ammette
almeno una soluzione;
• (Omotopia) se f è omotopa a g con omotopia C ∞ e propria, allora
deg2 (f, y) = deg2 (g, y).
Esercizio. Provare che i retratti degli spazi contrattili sono contrattili.
Teorema. In una varietà compatta senza bordo (di dimensione maggiore di zero), l’identità non è C ∞ -omotopa ad una costante.
Dimostrazione (svolta a lezione).
Dal precedente teorema segue che non esiste una retrazione r : Dm+1 → S m di classe
C ∞ . Infatti, se esistesse una tale r, l’applicazione H : S m × [0, 1] → S m , definita da
H(x, λ) = r(λx), sarebbe un’omotopia C ∞ tra un’applicazione costante e l’identità.
52 - Venerdı̀ 21/11/14
Abbiamo definito il grado modulo 2 per applicazioni proprie, di classe C ∞ , tra varietà
C ∞ , senza bordo, della stessa dimensione. Non è difficile provare che tale grado può
essere esteso alla classe delle applicazioni continue (e proprie), ferme restando le suddette
proprietà fondamentali. L’idea è semplice ed basata sul fatto che le applicazioni continue
tra varietà C ∞ possono essere arbitrariamente approssimate con applicazioni C ∞ .
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Data f : M → N continua e propria, e dato y ∈ N , si definisce deg2 (f, y) = deg2 (g, y),
dove g : M → N è un’applicazione C ∞ “sufficientemente vicina” ad f . Si può provare che
tale g è propria (essendo vicina ad una propria). Inoltre, se g1 e g2 sono “sufficientemente
vicine” ad f , allora sono “sufficientemente vicine” tra loro, e da ciò si potrebbe dedurre che
sono C ∞ -omotope. Di conseguenza, deg2 (g1 , y) = deg2 (g2 , y). Ciò implica che la suddetta
definizione di deg2 (f, y) è ben posta.
Abbiamo visto che in una varietà compatta senza bordo, l’identità non è C ∞ -omotopa
ad una costante. La dimostrazione è basata sulle proprietà del grado modulo due per le
applicazioni C ∞ . Analogamente, usando il grado per le applicazioni continue, si prova che
in una tale varietà l’identità non è omotopa ad una costante (cioè, tra l’identità ed una
costante non può esistere nemmeno un’omotopia continua). Ossia, le varietà compatte e
senza bordo non sono contrattili. Quindi S m non è contrattile e, di conseguenza, ricordando
che i retratti dei contrattili sono contrattili, non può esistere una retrazione (continua) da
Dm+1 su S m . Si osservi che dal teorema precedente si deduce soltanto la non esistenza di
una retrazione di classe C ∞ .
Ricordiamo che dalla non esistenza di una retrazione da Dm+1 su S m si deduce facilmente
il Teorema di Brouwer.
53 - Mercoledı̀ 26/11/14
Definizione. Un’orientazione di uno spazio vettoriale reale di dimensione finita è una
delle due classi di equivalenza di basi ordinate, dove due basi si dicono equivalenti se la
matrice che fa passare dall’una all’altra ha determinante positivo. Uno spazio vettoriale
(reale di dimensione finita) si dice orientato se è stata scelta una sua orientazione. Una
base (ordinata) di uno spazio orientato si dice positivamente orientata se appartiene alla
classe di equivalenza che definisce l’orientazione; in caso contrario si dice negativamente
orientata.
Esercizio. Provare che uno spazio vettoriale di dimensione finita ha esattamente due
orientazioni.
Suggerimento. Sia α una base ordinata di uno spazio vettoriale reale E, e siano β e γ due
basi ordinate di E, entrambe non equivalenti ad α. Occorre provare che β e γ sono tra
loro equivalenti.
Definizione. L’orientazione indotta dalla base canonica di Rk si chiama orientazione
canonica (o standard ) di Rk .
Osservazione. Gli isomorfismi tra spazi orientati si dividono in due classi: quelli che
preservano l’orientazione (se mandano basi positivamente orientate in basi positivamente orientate) e quelli che la invertono (se mandano basi positivamente orientate in basi
negativamente orientate).
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Definizione. Il segno di un isomorfismo L tra spazi orientati, denotato con sign(L), è 1
se L preserva l’orientazione ed è −1 se l’inverte.
Osservazione. Il segno di una composizione di isomorfismi tra spazi orientati è il prodotto
dei segni.
Osservazione. Se L : E → F è un isomorfismo tra spazi orientati, scegliendo in E ed in
F due basi positivamente orientate, il segno di L coincide col segno del suo determinate
(rispetto alle basi scelte).
Osservazione. Sia E uno spazio vettoriale di dimensione finita e siano E1 ed E2 due
sottospazi di E tali che E1 ⊕ E2 = E. L’orientazione di due dei tre spazi E1 , E2 ed E
induce univocamente un’orientazione nel terzo (è importante l’ordine tra E1 ed E2 ).
Osservazione. Il segno di un automorfismo di uno spazio di dimensione finita è ben definito indipendentemente dell’orientazione dello spazio (cosı̀ com’è ben definito il determinante
di un endomorfismo).
Definizione. Sia X una varietà differenziabile m-dimensionale (con eventuale bordo).
Un’orientazione di X è un’applicazione “continua” che ad ogni x ∈ X assegna un’orientazione ω(x) di Tx X. Dove “continua” significa che per ogni x ∈ X esiste una
carta ϕ : V → H m intorno ad x con la proprietà che per ogni y ∈ V il differenziale
dϕy : Ty X → Rm fa corrispondere l’orientazione ω(y) all’orientazione canonica di Rm (ossia, manda basi positivamente orientate di Ty X in basi equivalenti alla base canonica di
Rm ). Una varietà si dice orientata se è stata scelta una sua orientazione. Si dice orientabile
se ammette un’orientazione.
Cenni sulla possibilità di orientare una varietà di codimensione uno (in Rk ) mediante un
campo continuo di versori (cioè di vettori di norma uno) normali alla varietà.
Osservazione. Sia g : U → Rs un’applicazione di classe C 1 su un aperto di Rk e sia
0 ∈ Rs un valore regolare per g. Allora, fissato p ∈ M = g −1 (0), la restrizione allo spazio
Tp (M )⊥ dell’applicazione lineare e suriettiva dgp : Rk → Rs è un isomorfismo tra Tp (M )⊥
e Rs (ricordiamo che Tp (M ) = Ker dgp ). Tenendo conto che Rs è uno spazio orientato,
tale isomorfismo induce un’orientazione su Tp (M )⊥ , ed essendo Tp (M )⊥ ⊕ Tp (M ) = Rk ,
induce un’orientazione anche su Tp (M ). Dunque, per l’arbitrarietà di p, l’applicazione g
induce un’orientazione sulla varietà di livello regolare g −1 (0). In particolare, una varietà
non orientabile non può essere una sottovarietà di livello regolare di Rk .
Definizione. L’orientazione di S m = x ∈ Rm+1 : kxk = 1 indotta dalla normale
esterna si dice canonica.
Cenni sulla non orientabilità del nastro di Möbius.
Ricordiamo che un aperto di una varietà differenziabile è ancora una varietà differenziabile,
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
ed è evidente che un’orientazione di una varietà induce un’orientazione in ogni suo aperto.
Di conseguenza, se una varietà contiene un aperto non orientabile, allora la varietà stessa
non può essere orientabile. È il caso dello spazio proiettivo bidimensionale e della bottiglia
di Klein: contengono un aperto diffeomorfo al nastro di Möbius.
54 - Mercoledı̀ 26/11/14
Osservazione. Una varietà orientabile ammette almeno due orientazioni. Infatti se ω
è un’orientazione di una varietà M , l’orientazione opposta di ω, cioè quell’applicazione
ω− che ad ogni x ∈ M assegna l’orientazione ω− (x) di Tx M opposta a ω(x), è ancora
un’orientazione di M .
Esercizio. Sia M una varietà orientabile e siano α e β due orientazioni di M . Mostrare che
l’insieme dei punti di M in cui le due orientazioni coincidono, cioè {x ∈ M : α(x) = β(x)},
è un aperto.
Esercizio. Provare che una varietà orientabile, se è connessa, ammette esattamente due
orientazioni.
Suggerimento. Sia ω un’orientazione di una varietà M e sia ω− la sua opposta. Data
un’orientazione α di M , si considerino gli insiemi
A = {x ∈ M : α(x) = ω(x)}
e
A− = {x ∈ M : α(x) = ω− (x)}.
Esiste un altro modo, equivalente a quello appena introdotto, per definire il concetto di
orientazione di una varietà M . Sia A un atlante di M (non necessariamente massimale).
Diremo che A è orientato se i cambiamenti di carta di A hanno jacobiano positivo. Introduciamo la seguente relazione di equivalenza nell’insieme degli atlanti orientati di M : due
atlanti orientati sono equivalenti se la loro unione è un atlante orientato. Definiamo orientazione di M una classe di equivalenza di atlanti orientati e diremo che M è orientabile
se ammette atlanti orientati. È immediato verificare che, dato un atlante orientato A di
M e fissato un qualunque punto x ∈ M , si può assegnare a Tx M l’orientazione indotta da
una qualunque carta ϕ ∈ A definita in un intorno di x: quella che rende positivo il segno
dell’isomorfismo dϕx : Tx M → Rm . Poiché in A i cambiamenti di carta hanno jacobiano positivo, la suddetta orientazione è indipendente dalla carta scelta. In conclusione, ad
ogni orientazione di M basata sugli atlanti, corrisponde in modo biunivoco un’orientazione
basata sugli spazi tangenti.
Cenni sull’orientazione indotta sul bordo di una varietà orientata (con bordo).
55 - Giovedı̀ 27/11/14
Definizione (di grado di Brouwer per i valori regolari). Sia f : M → N un’applicazione
propria, di classe C ∞ , tra varietà orientate, senza bordo, della stessa dimensione. Se y ∈ N
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
è un valore regolare per f , il grado di Brouwer di f in y è il seguente intero:
X
sign dfx ,
deg(f, y) =
x∈f −1 (y)
dove sign dfx = ±1 a seconda che l’isomorfismo dfx : Tx M → Ty N preservi o inverta
l’orientazione.
Lemma di omotopia (per il grado di Brouwer). Siano f, g : M → N due applicazioni
tra varietà orientate, senza bordo, della stessa dimensione. Se esiste un’omotopia propria,
di classe C ∞ , tra f e g, e y ∈ N è un valore regolare per entrambe le applicazioni, allora
deg(f, y) = deg(g, y).
Dimostrazione (traccia esposta a lezione).
La dimostrazione del seguente lemma è simile a quella dell’analogo risultato per il grado
modulo 2. I dettagli sono lasciati agli studenti (per esercizio).
Lemma di locale costanza (per il grado di Brouwer). Sia f : M → N un’applicazione
propria, di classe C ∞ , tra varietà orientate, senza bordo, della stessa dimensione. Allora,
dato un aperto V di N diffeomorfo ad Rm , risulta
deg(f, y1 ) = deg(f, y2 ),
qualunque siano i valori regolari y1 , y2 ∈ V .
Osservazione. Il suddetto lemma permette di estendere la definizione di grado di Brouwer, deg(f, y), anche ai valori y non regolari per f . In questo caso basta infatti definire
deg(f, y) = deg(f, z),
dove z è un valore regolare per f appartenente ad un intorno di y diffeomorfo ad Rm . È
chiaro che, con questa definizione, il grado di Brouwer è una funzione localmente costante
del punto y ∈ N , ed è quindi costante sulle componenti connesse di N . Di conseguenza,
se N è connessa, potremo semplicemente scrivere deg(f ) al posto di deg(f, y), dove y è un
qualunque valore di N .
56 - Giovedı̀ 27/11/14
Osservazione. Se M è una varietà compatta, connessa, senza bordo ed orientabile
(come, ad esempio, S m ), allora il grado di un’applicazione f : M → M è ben definito
indipendentemente dall’orientazione di M .
Proprietà fondamentali del grado di Brouwer (per applicazioni proprie tra varietà
orientate della stessa dimensione):
• (Normalizzazione) deg(1M , y) = 1, ∀y ∈ M (dove 1M è l’identità in M );
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
• (Esistenza) se deg(f, y) 6= 0, allora l’equazione f (x) = y ammette almeno una
soluzione;
• (Omotopia) se f è C ∞ -omotopa a g con omotopia propria, allora
deg(f, y) = deg(g, y);
• (Composizione) data f : M → N e data g : N → Z, con N e Z varietà connesse,
risulta deg(g ◦ f ) = deg(g) deg(f ).
Cenni sulla possibilità di estendere la nozione di grado alle applicazioni continue (approssimandole con applicazioni C ∞ ).
Esercizio. Mediante la teoria del grado di Brouwer provare che il sistema
(
x − 2 sin(x + x2 − y 2 ) = 0
2x + y + 1 − cos(xy) = 0
ha almeno una soluzione non banale (cioè diversa da (0, 0)).
Suggerimento. Mostrare che l’applicazione H : R2 × [0, 1] → R2 , definita da
H(x, y; λ) = x − λ2 sin(x + x2 − y 2 ), 2x + y + λ(1 − cos(xy)) ,
è un’omotopia propria. Dedurre da ciò che il grado dell’applicazione (x, y) 7→ H(x, y; 1) è
1, mentre dovrebbe essere −1 se non avesse soluzioni diverse dalla banale.
57 - Venerdı̀ 28/11/14
Esercizio. Mediante la teoria del grado di Brouwer provare che il sistema
(
x2 − y 2 + 2 cos(x + x2 + y 3 )
= 0
2xy + 1/(1 + x2 ) + sin(y + x2 ) = 0
ammette almeno una soluzione.
Suggerimento. Mostrare prima che l’applicazione f : R2 → R2 , definita da
f (x, y) = (x2 − y 2 , 2xy),
è propria ed ha grado 2, poi. . . bla bla.
Sia M una varietà differenziabile compatta, connessa, senza bordo ed orientabile. Dalla
proprietà di omotopia del grado di Brouwer segue immediatamente che se f, g : M → M
sono due applicazioni omotope, allora deg(f ) = deg(g). Il risultato che segue, che riportiamo senza dimostrazione, mostra che nel caso in cui M sia una sfera è vera l’implicazione
inversa.
Teorema di Hopf. Due applicazioni da S m in sé hanno lo stesso grado se e solo se sono
omotope.
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Esercizio (svolto a lezione). Provare che, dato n ∈ Z, l’applicazione fn da
S 1 = {z ∈ C : |z| = 1}
in sé, definita da z 7→ z n , ha grado n (per n = 0 si adotta la convenzione z n = 1).
58 - Venerdı̀ 28/11/14
Teorema. Il grado topologico di un polinomio non costante P : C → C coincide col suo
grado algebrico.
Dimostrazione (svolta a lezione).
Nuova dimostrazione del teorema fondamentale dell’algebra (come corollario del precedente teorema).
Esercizio (svolto a lezione). Provare che dato n ∈ Z, esiste un’applicazione da R2 in sé,
propria, di classe C ∞ e di grado n.
Esercizio (svolto a lezione). Estendere l’esercizio precedente sostituendo R2 con Rk ,
k > 2.
Esercizio (svolto a lezione). Sia f : R → R un’applicazione propria e di classe C ∞ .
Mostrare che per il grado di f si hanno solo tre possibilità: −1, 0, 1.
59 - Giovedı̀ 04/12/14
Definizione. Sia i ∈ {1, 2, . . . , m + 1}. L’applicazione ri : S m → S m definita da
(x1 , x2 , . . . , xi , . . . , xm+1 ) 7→ (x1 , x2 , . . . , −xi , . . . , xm+1 ).
si chiama riflessione i-esima di S m .
Esercizio. Osservare che ri : S m → S m è un diffeomorfismo di S m in sé e provare che
deg(ri ) = −1.
Suggerimento. Fissare un arbitrario j =
6 i e osservare che il vettore y = ej della base
canonica di Rm+1 è un punto fisso per ri , e quindi il differenziale di ri in tal punto è un
endomorfismo di Ty (S m ).
Osservazione. L’applicazione antipodale di a : S m → S m è la composizione di m + 1
riflessioni. Quindi, in base alla proprietà di composizione del grado di Brouwer (a pag.
64), risulta deg(a) = (−1)m+1 . In particolare, se m è pari, l’identità non è omotopa
all’applicazione antipodale (altrimenti contraddirebbe le proprietà di normalizzazione e di
omotopia del grado di Brouwer).
Definizione. Dato un sottoinsieme X di Rk , un campo vettoriale tangente su X è un’applicazione continua v : X → Rk tale che v(p) ∈ Tp X, ∀p ∈ X. Se X è una varietà
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
con bordo, si dice che v punta verso l’esterno (risp. verso l’interno) sul bordo di X se
−v(p) ∈ Cp X, ∀p ∈ ∂X (risp. v(p) ∈ Cp X, ∀p ∈ ∂X).
Teorema (sulla pettinabilità delle sfere). La sfera S m ammette un campo vettoriale
tangente (continuo), privo di zeri, se e solo se m è dispari.
Dimostrazione (svolta a lezione).
60 - Giovedı̀ 04/12/14
Cenni sul concetto algebrico di categoria.
Esempi di categorie: insiemi con le applicazioni; spazi topologici con le applicazioni continue; spazi metrici con le applicazioni uniformemente continue; spazi topologici con le
classi di omotopia di applicazioni; punti di uno spazio topologico con le classi di omotopia
di curve a estremi fissi; spazi vettoriali con le applicazioni lineari; gruppi con gli omomorfismi; spazi di Banach con le applicazioni lineari e continue; sottoinsiemi degli spazi euclidei
con le applicazioni C ∞ .
Cenni sui seguenti concetti: endomorfismo, isomorfismo, automorfismo, monomorfismo,
epimorfismo.
Cenni sul concetto di funtore. Funtori covarianti e controvarianti.
Osservazione. I funtori trasformano isomorfismi in isomorfismi (si veda la dimostrazione
basata sul diagramma commutativo a pagina 18).
61 - Venerdı̀ 05/12/14
Definizione. Sia X uno spazio topologico. Lo spazio C(X) = X ×[−1, 1], con la topologia
prodotto, si chiama cilindro di X.
Definizione. La sospensione S(X) di uno spazio topologico X è il quoziente (topologico)
del cilindro C(X) con la relazione di equivalenza le cui uniche classi non banali sono la
classe nord, costituita dalle coppie del tipo (x, 1), e la classe sud, le cui coppie hanno la
seconda componente uguale a −1.
Dato uno spazio topologico X, l’applicazione x 7→ (x, 0) identifica X col cosiddetto
equatore di S(X), cioè col sottoinsieme di S(X) costituito dalle coppie del tipo (x, 0).
Data un’applicazione (continua) f : X → Y tra due spazi topologici, questa induce un’applicazione C(f ) : C(X) → C(Y ) definita da (x, t) 7→ (f (x), t). Poiché C(f ) manda le classi
nord e sud di C(X) nelle omologhe classi di C(Y ), questa a sua volta induce un’applicazione S(f ) : S(X) → S(Y ), che risulta continua in base alle note proprietà della topologia
quoziente.
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Osservazione. La sospensione è un funtore covariante dalla categoria degli spazi topologici (con le applicazioni continue) in sé. Pertanto, se f : X → Y è un omeomorfismo, lo è
anche S(f ) : S(X) → S(Y ).
Esercizio. Sia X uno spazio topologico. Ispirandosi ad alcune note nozioni di geografia,
definire i seguenti punti e sottoinsiemi (chiusi) di S(X): polo nord, polo sud, paralleli,
meridiani, equatore.
Esercizio. Provare che la sospensione di S m−1 ⊆ Rm è omeomorfa a S m ⊆ Rm+1 .
Suggerimento. Considerare la funzione g : S m−1 × [−1, 1] → S m definita da
p
g(x, t) = ( 1 − t2 x, t)
ed osservare che l’applicazione ĝ : S(S m−1 ) → S m indotta da g sul quoziente S(S m−1 ) di
S m−1 × [−1, 1] è un omeomorfismo (si tenga conto che S(S m−1 ) è uno spazio compatto).
Il risultato che segue mostra che, per ogni n ∈ Z, esiste un’applicazione da S m in sé di
grado n (abbiamo già provato che ciò è vero per m = 1).
Teorema. Data f : S m−1 → S m−1 , risulta deg(f ) = deg(S(f )).
Dimostrazione (svolta a lezione).
62 - Venerdı̀ 05/12/14
Definizione. Sia X un sottoinsieme di Rk . Il fibrato tangente ad X è il seguente
sottoinsieme di Rk × Rk :
n
o
T X = (x, v) ∈ Rk × Rk : x ∈ X, v ∈ Tx X .
La restrizione π : T X → X della proiezione di Rk × Rk sul primo fattore si dice proiezione
canonica del fibrato tangente ad X. Si osservi che π è di classe C ∞ , essendo la restrizione
di un’applicazione lineare.
Fissato x ∈ X, l’insieme π −1 (x) = {x} × Tx X ∼
= Tx X si dice la fibra su x.
Esempio. Se U è un aperto di Rk , il suo fibrato tangente è il prodotto cartesiano T U =
U × Rk . In questo caso il fibrato si dice banale.
In generale, il fibrato tangente ad insieme X si dice banale quando è diffeomorfo al prodotto
cartesiano di X per uno spazio vettoriale. Vedremo che il fibrato tangente ad una varietà
differenziabile è localmente banale (nel senso che ammette un ricoprimento aperto di fibrati
banali).
Definizione. Sia f : X → Y un’applicazione C r (r ≥ 1) tra sottoinsiemi di spazi euclidei.
L’applicazione tangente, T f : T X → T Y , indotta da f è cosı̀ definita:
T f (x, v) = (f (x), dfx (v)).
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Per motivi di tradizione, l’applicazione tangente T f sopra definita si denota anche col
simbolo df e si chiama anche differenziale di f .
Osservazione. Se f : X → Y è di classe C r (r ≥ 1), T f è di classe C r−1 .
Osservazione. L’applicazione tangente gode delle seguenti proprietà funtoriali:
T (f ◦ g) = T f ◦ T g,
T (1X ) = 1T X .
Pertanto, denotando con Dr (r ∈ N ∪ {∞}) la categoria i cui oggetti sono i sottoinsiemi
degli spazi euclidei e i morfismi le applicazioni C r tra tali oggetti, dato r ≥ 2, T è un
funtore covariante da Dr in Dr−1 .
Il seguente risultato è un’immediata conseguenza delle suddette proprietà funtoriali (si
veda la dimostrazione basata sul diagramma commutativo a pagina 18).
Teorema. Se f : X → Y è un diffeomorfismo di classe C r (r ≥ 1), allora T f : T X → T Y
è un diffeomorfismo di classe C r−1 (con la convenzione che un diffeomorfismo di classe
C 0 è un omeomorfismo).
63 - Mercoledı̀ 10/12/14
Esercizio. Mostrare che se U è un aperto di X ⊆ Rk , allora T U coincide con π −1 (U ),
essendo π : T X → X la proiezione canonica (in particolare, T U è un aperto di T X).
Il seguente risultato è una facile conseguenza del suddetto esercizio e del precedente
teorema sul diffeomorfismo indotto.
Teorema. Se M ⊆ Rk è una varietà differenziabile di classe C r (r ≥ 1) e dimensione m,
allora T M è una varietà di classe C r−1 e dimensione 2m.
Dimostrazione (traccia). Se ϕ : U → V è una carta da un aperto U di M su un aperto V
di Rm , T ϕ : T U → T V = V × Rm è una carta da un aperto T U di T M su un aperto T V
di Rm × Rm .
Ad esempio, calcoliamo il fibrato tangente alla sfera
S 2 = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 = 1 .
Ricordando che un vettore q̇ appartiene allo spazio tangente in un punto q ad una varietà
di livello regolare f −1 (0) se e solo se dfq (q̇) = 0, otteniamo
T S 2 = {(x, y, z, ẋ, ẏ, ż) ∈ R3 × R3 : x2 + y 2 + z 2 = 1, xẋ + y ẏ + z ż = 0}.
In maniera analoga si può calcolare il fibrato tangente ad
S k−1 = q ∈ Rk : hq , qi = 1 .
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
In questo caso si ha
T S k−1 = (q, q̇) ∈ Rk × Rk : hq , qi = 1, hq , q̇i = 0 .
Facili calcoli mostrano che (1, 0) ∈ R2 è un valore regolare per l’applicazione g : Rk × Rk →
R2 , definita da g(x, y) = (hx , xi, hx , yi), e questo a conferma del fatto che T S k−1 è una
varietà differenziabile 2k − 2 dimensionale di classe C ∞ .
Esercizio. Sia X ⊆ Rk una varietà differenziabile con bordo di classe C r (r ≥ 1) e
dimensione m. Provare che T X è una varietà con bordo di classe C r−1 e dimensione 2m.
Mostrare inoltre che ∂(T X) = π −1 (∂X).
Carta di T M associata ad una carta di M (è una carta di fibrato, ossia è lineare lungo le
fibre). Atlante di T M associato ad un atlante di M (è un atlante di fibrato).
È abbastanza usuale chiamare fibrato tangente su X la terna (X, T X, π) o, più semplicemente (e senza ridondanza), l’applicazione π : T X → X. È chiaro, tuttavia, che i tre
punti di vista sono equivalenti.
Ricordiamo che, data una varietà differenziabile X ⊆ Rk , un campo vettoriale tangente
su X è un’applicazione continua v : X → Rk tale che v(p) ∈ Tp X, ∀p ∈ X. Questa
definizione non avrebbe senso se la varietà X non fosse immersa in uno spazio euclideo.
Un altro modo (inevitabile per le varietà non immerse) per definire il concetto di campo
vettoriale tangente è attraverso la nozione di sezione del fibrato tangente. Da questo punto
di vista un campo vettoriale tangente su una varietà differenziabile X è un’applicazione
continua s : X → T X con la proprietà π ◦s = 1X (dove 1X è l’identità su X). Si dice che il
campo vettoriale s è una sezione del fibrato π : T X → X. Se la varietà X è immersa in Rk ,
l’applicazione s deve essere necessariamente della forma s(p) = (p, v(p)), con v(p) ∈ Tp X.
Pertanto, in questo caso, il campo vettoriale s è completamente individuato dalla sua
seconda componente v : X → Rk . Per le varietà immerse in Rk le due nozioni di campo
vettoriale tangente sono quindi equivalenti.
64 - Mercoledı̀ 10/12/14
Cenni sul prodotto di due varietà orientate.
Orientazione di S 1 × S 1 ⊆ R2 × R2 (indotta dall’orientazione canonica di S 1 ⊆ R2 ).
Definizione. Siano γ1 , γ2 : S 1 → R3 due applicazioni continue. Si dice che γ1 e γ2 sono
separate da un piano α ⊆ R3 se uno dei due semispazi aperti delimitati da α contiene
l’immagine di γ1 e l’altro contiene l’immagine di γ2 .
Definizione. Siano γ1 , γ2 : S 1 → R3 due applicazioni continue con immagini disgiunte.
Si dice che γ1 e γ2 sono allacciate se non si possono allontanare, ossia se non esistono due
20 dicembre 2014
69
Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
omotopie, H1 : S 1 × [0, 1] → R3 e H2 : S 1 × [0, 1] → R3 , con le seguenti proprietà:
1) H1 (t1 , λ) 6= H2 (t2 , λ) per ogni (t1 , t2 , λ) ∈ S 1 × S 1 × [0, 1];
2) H1 (·, 0) = γ1 e H2 (·, 0) = γ2 ;
3) esiste un piano che separa H1 (·, 1) da H2 (·, 1).
Definizione. Siano γ1 , γ2 : S 1 → R3 due applicazioni continue con immagini disgiunte. Il
grado dell’applicazione da S 1 × S 1 in S 2 , definita da
(t1 , t2 ) 7→
γ2 (t2 ) − γ1 (t1 )
,
kγ2 (t2 ) − γ1 (t1 )k
si dice indice di allacciamento di (γ1 , γ2 ) e si denota ind(γ1 , γ2 ).
Teorema. Siano γ1 , γ2 : S 1 → R3 due applicazioni continue con immagini disgiunte.
Se l’indice di allacciamento di (γ1 , γ2 ) è diverso da zero, allora γ1 e γ2 non si possono
allontanare.
Cenni sulla possibilità di definire l’indice di allacciamento nel caso di f : M → Rk e
g : N → Rk , dove M ed N sono varietà senza bordo, orientate, connesse, compatte e tali
che dim(M ) + dim(N ) = k − 1, Im(f ) ∩ Im(g) = ∅. Un caso interessante si ha quando
k = 2, M = S 1 ed N è un punto di R2 : si ottiene l’indice di avvolgimento della curva
f : M → R2 rispetto al punto N ∈ R2 .
65 - Giovedı̀ 11/12/14
Siano E ed F due spazi di Banach e sia f : R × E → F un’applicazione continua tale
che f (λ, 0) = 0 per ogni λ ∈ R (più in generale si può supporre che f sia definita in
un sottoinsieme aperto di R × E e che sia nulla in ogni punto (λ, 0) di tale aperto). Le
soluzioni dell’equazione
f (λ, x) = 0
della forma (λ, 0) vengono dette banali, mentre le altre (quelle del tipo (λ, x) con x 6= 0) si
dicono non banali. Un punto λ0 ∈ R si dice di biforcazione (per l’equazione f (λ, x) = 0) se
ogni intorno di (λ0 , 0) contiene almeno una soluzione non banale (ossia, se (λ0 , 0) è punto
di accumulazione per l’insieme delle soluzioni non banali).
Osserviamo che se f è del tipo
f (λ, x) = Lx − λx,
dove L : E → E è un operatore lineare, allora gli autovalori di L sono punti di biforcazione
per l’equazione f (λ, x) = 0.
La seguente facile conseguenza del teorema della funzione implicita è una condizione
necessaria affinché un punto λ0 sia di biforcazione.
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Teorema (condizione necessaria per la biforcazione). Sia f : R × Rk → Rk un’applicazione
di classe C 1 tale che f (λ, 0) = 0 per ogni λ ∈ R. Consideriamo la funzione ϕ : R → R
definita da
∂f
ϕ(λ) = det
(λ, 0).
∂x
Se λ0 ∈ R è un punto di biforcazione per f (λ, x) = 0, allora ϕ(λ0 ) = 0.
La funzione f : R × Rk → Rk , definita da f (λ, x) = (λ2 + kxk2 )x, mostra che la suddetta
condizione necessaria per la biforcazione non è sufficiente. Si osservi infatti che in questo
caso ϕ(λ) = λ2 e tutte le soluzioni dell’equazione f (λ, x) = 0 sono banali.
In una delle prossime lezioni proveremo, mediante la teoria del grado di Brouwer, la
seguente condizione sufficiente per la biforcazione.
Teorema (condizione sufficiente per la biforcazione). Siano f e ϕ come nel precedente teorema. Se ϕ cambia segno in un punto λ0 , allora tale punto è di biforcazione per
l’equazione f (λ, x) = 0.
Il seguente risultato è un’immediata conseguenza dei due precedenti teoremi.
Corollario. Supponiamo che f : R × Rk → Rk sia della forma f (λ, x) = g(x) − λx, dove
g è C 1 e tale che g(0) = 0. Allora ogni punto di biforcazione (per l’equazione f (λ, x) = 0)
è un autovalore della matrice jacobiana g 0 (0) e ogni autovalore di molteplicità (algebrica)
dispari per g 0 (0) è un punto di biforcazione.
Esempio. Il sistema
(
x − λ sin(x + x2 − y 2 ) = 0
2x + y + 1 − cos xy
= 0
ha un punto di biforcazione in λ = 1. Per provarlo consideriamo il seguente problema
linearizzato (nell’origine di R2 ):
(
x − λx = 0
2x + y = 0
e osserviamo che la funzione
ϕ(λ) = det
1−λ 0
2
1
!
ha un salto di segno per λ = 1.
66 - Giovedı̀ 11/12/14
Siano U un aperto di Rk , f : U → Rk un’applicazione continua ed y ∈ Rk . La terna
(f, U, y) si dice ammissibile (per il grado di Brouwer negli spazi euclidei) se U è limitato
(o, più in generale, se f è propria su U ) e y ∈
/ f (∂U ).
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Definizione. Il grado di Brouwer (negli spazi euclidei) di una terna ammissibile (f, U, y)
è il grado in y della restrizione fV : f −1 (V ) → V di f , dove V è un qualunque intorno
aperto di y che non interseca l’immagine f (∂U ) della frontiera di U . In simboli:
deg(f, U, y) := deg(fV , y) .
Con riferimento alla suddetta definizione, si fa notare che f −1 (V ) è un sottoinsieme aperto
di U (dato che f −1 (V ) ∩ ∂U = ∅) e che la restrizione fV di f (vista come applicazione tra
f −1 (V ) e V ) è propria. Il grado in y di fV (cioè il numero deg(fV , y)) è quindi ben definito
(ricordarsi che gli aperti degli spazi euclidei sono varietà differenziabili). Non è difficile
provare che tale numero non dipende dall’intorno V di y (purché questo non intersechi
f (∂U ).
Non è difficile provare che il grado di Brouwer (negli spazi euclidei) gode della proprietà
di invarianza per omotopia. Vale infatti il seguente risultato:
Teorema. Siano U un aperto di Rk , H : U × [0, 1] → Rk un’applicazione propria ed y un
punto di Rk . Se H(x, λ) 6= y per ogni (x, λ) ∈ ∂U × [0, 1], allora deg(H(·, λ), U, y) non
dipende da λ ∈ [0, 1].
Dimostrazione della condizione sufficiente per la biforcazione.
67 - Venerdı̀ 12/12/14
Definizione. Sia U un aperto (eventualmente vuoto) di Rk e sia f : D(f ) → Rk un’applicazione continua definita in un sottoinsieme D(f ) di Rk . Dato y ∈ Rk , la terna (f, U, y)
si dice ammissibile per il grado di Brouwer (negli spazi euclidei) se verifica le seguenti
proprietà:
• il dominio di f contiene la chiusura U di U;
• U è limitato o, più in generale, la restrizione di f a U è propria;
•y∈
/ f (∂U ).
Siano U un aperto di Rk e H un’applicazione continua a valori in Rk definita in un
sottoinsieme di Rk × [0, 1] contenente U × [0, 1]. Data una curva continua α : [0, 1] → Rk ,
la terna (H, U, α) si dice un’omotopia ammissibile (di terne) se H è propria su U × [0, 1]
e H(x, λ) 6= α(λ) per ogni (x, λ) ∈ ∂U × [0, 1]. Si osservi che, in questo caso, ogni terna
(H(·, λ), U, α(λ)), λ ∈ [0, 1], è ammissibile per il grado di Brouwer.
Definizione. Il grado di Brouwer (negli spazi euclidei) è una funzione a valori interi,
definita nell’insieme delle terne ammissibili, che soddisfa le seguenti tre proprietà fondamentali :
1. (Normalizzazione) deg(I, Rk , 0) = 1, dove I denota l’identità in Rk ;
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
2. (Additività) data (f, U, y) ammissibile, se V e W sono due sottoinsiemi aperti e
disgiunti di U tali che f −1 (y) ∩ U ⊆ V ∪ W , allora
deg(f, U, y) = deg(f, V, y) + deg(f, W, y);
3. (Invarianza per omotopia) se (H, U, α) è un’omotopia ammissibile (di terne), allora
deg(H(·, 0), U, α(0)) = deg(H(·, 1), U, α(1)).
Un noto risultato dovuto ad Amann e Weiss (del 1973) asserisce che le suddette tre proprietà implicano l’unicità del grado. Ossia, esiste al più una funzione a valori in Z, definita
nell’insieme delle terne ammissibili, che verifica le suddette tre proprietà fondamentali (per
questo motivo dette anche assiomi del grado).
Provare l’esistenza della funzione grado è più difficile che provarne l’unicità. Per definire il grado di Brouwer, cioè per provarne l’esistenza, ci sono vari metodi: uno, di cui
abbiamo dato un’idea durante il corso, si basa su un sapiente uso del Lemma di Sard e
sulla possibilità di approssimare funzioni continue con funzioni C ∞ ; un altro si basa sulla
teoria dell’omologia; un altro ancora utilizza la teoria delle forme differenziali (di grado
arbitrario). Ogni metodo, tuttavia, grazie al lavoro di Amann e Weiss, porta allo stesso
risultato, purché valgano le tre proprietà fondamentali.
Dalle tre proprietà fondamentali se ne deducono numerose altre. Vediamone alcune.
La seguente proprietà afferma che il grado di una terna ammissibile (f, U, y) non dipende
da come è definita f fuori da U . È una proprietà ovvia qualunque sia la teoria costruttiva
del grado, ed è pertanto omessa nei testi classici. Mostrimo che può essere facilmente
dedotta dai tre assiomi.
Proprietà di localizzazione. Siano (f, U, y) e (g, U, y) due terne ammissibili. Se f e g
coincidono su U , allora deg(f, U, y) = deg(g, U, y).
Dimostrazione. Consideriamo l’omotopia di terne ammissibili (H, U, y) definita da
H(x, λ) = (1 − λ)f (x) + λg(x).
Osserviamo che il dominio di H, ossia l’insieme delle coppie (x, λ) per cui H(x, λ) ha senso,
contiene U × [0, 1]. Inoltre H è propria in U × [0, 1]. La tesi quindi segue dalla proprietà
di invarinza per omotopia, con α(λ) ≡ y.
Si osservi che ogni terna del tipo (f, ∅, y), con f : D(f ) → Rk continua in D(f ) ⊆ Rk
e y ∈ Rk , è ammissibile. La proprietà di additività implica deg(f, ∅, y) = 0. Infatti,
definendo U = V = W = ∅, si ottiene
deg(f, ∅, y) = deg(f, ∅, y) + deg(f, ∅, y),
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
da cui l’asserto.
La proprietà che segue implica che se (f, U, y) e (f, V, y) sono due terne ammissibili che
contengono lo stesso insieme di soluzioni dell’equazione f (x) = y, allora
deg(f, U, y) = deg(f, V, y).
Proprietà di escissione (o di asportazione). Sia (f, U, y) una terna ammissibile. Se
K è un sottoinsieme chiuso di U tale che f (x) 6= y per ogni x ∈ K, allora
deg(f, U, y) = deg(f, U \K, y).
Dimostrazione. Dalla proprietà di additività, ponendo V = U \K e W = ∅, si ottiene
deg(f, U, y) = deg(f, V, y) + deg(f, ∅, y) = deg(f, V, y),
da cui l’asserto.
68 - Venerdı̀ 12/12/14
La proprietà che segue è ovvia qualunque sia la teoria costruttiva del grado. Mostrimo
che può essere facilmente dedotta dagli assiomi.
Proprietà di esistenza (della soluzione). Sia (f, U, y) una terna ammissibile. Se
deg(f, U, y) 6= 0, allora l’equazione f (x) = y ammette almeno una soluzione in U .
Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che l’equazione f (x) = y non ammetta soluzioni
in U . Allora, essendo (f, U, y) ammissibile, non ne ammette neppure in K = U . Quindi,
dalla proprietà di escissione si ottiene
deg(f, U, y) = deg(f, U \K, y) = deg(f, ∅, y) = 0,
in contrasto con l’ipotesi.
Si fa notare che se (f, U, y) è una terna ammissibile, allora lo è anche (f − y, U, 0). Inoltre
le due equazioni f (x) = y e f (x) − y = 0 hanno le stesse soluzioni. In termine di grado
ciò può essere espresso con una proprietà.
Proprietà di invarianza per traslazione. Sia (f, U, y) una terna ammissibile. Allora
è ammissibile anche (f − y, U, 0), e risulta
deg(f, U, y) = deg(f − y, U, 0).
Dimostrazione. Si osservi che ogni equazione della famiglia
f (x) − λy = (1 − λ)y,
20 dicembre 2014
λ ∈ [0, 1]
74
Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
è equivalente a f (x) = y. Pertanto, la tesi segue facilmente dalla proprietà di invarianza
per omotopia definendo H(x, λ) = f (x) − λy and α(λ) = (1 − λ)y.
Ricordiamo che le applicazioni proprie mandano chiusi in chiusi. Quindi, se f : D(f ) → Rk
è propria sulla chiusura di un aperto U ⊆ Rk , l’insieme Rk \f (∂U ) è un aperto di Rk .
Proprietà di dipendenza continua (dal bersaglio). Sia f : D(f ) → Rk propria sulla
chiusura di un aperto U ⊆ Rk . Allora l’applicazione che ad ogni y ∈ Rk \f (∂U ) assegna
l’intero deg(f, U, y) è continua. Di conseguenza, è costante sulle componenti connesse
dell’insieme aperto Rk \f (∂U ).
Dimostrazione. Poiché f (∂U ) è un insieme chiuso, dato y ∈
/ f (∂U ), esiste un intorno
sferico B di y che non lo interseca. Fissiamo un arbitrario z ∈ B e consideriamo la curva
α : [0, 1] → Rk definita da λ 7→ (1 − λ)y + λz. Osserviamo che (f, U, α) è un’omotopia di
terne ammissibili. Quindi, per l’arbitrarietà di z ∈ B, deg(f, U, ·) è costante in B.
Grazie alla proprietà di dipendenza continua, dato un aperto U ⊆ Rk , data f propria su
U , e dato un connesso V di Rk \f (∂U ), ha senso la notazione deg(f, U, V ) per indicare il
grado di f su U in un qualunque y ∈ V . In particolare, se U = Rk , l’intero deg(f, Rk , Rk )
verrà denotato semplicemente col simbolo deg(f ).
Proprietà di persistenza (della soluzione). Sia (f, U, y) una terna ammissibile. Se
deg(f, U, y) 6= 0, allora y è interno a f (U ).
Dimostrazione. La tesi segue immediatamente dalla proprietà di dipendenza continua e
dalla proprietà di esistenza.
La proprietà che segue si può considerare come una generalizzazione del noto teorema di
esistenza degli zeri. Mostra infatti che se U ⊆ Rk (oltre ad essere aperto) è limitato ed
f : U → Rk è continua, allora il grado di f in un qualunque y ∈ Rk \f (∂U ) dipende soltanto
dalla restrizione di f alla frontiera di U . Dunque, in molti casi, l’esistenza di soluzioni in
U dell’equazione f (x) = y può essere dedotta semplicemente dal comportamento di f su
∂U ; come nel caso elementare in cui U = (a, b) ⊆ R, y = 0 ed f : [a, b] → R è continua e
tale che f (a)f (b) < 0.
Proprietà di dipendenza dalla frontiera. Sia U ⊆ Rk aperto e siano f, g : U → Rk
tali che f (x) = g(x) per ogni x ∈ ∂U . Se U è limitato e y ∈ Rk \f (∂U ), allora
deg(f, U, y) = deg(g, U, y).
Dimostrazione. La tesi segue facilmente dalla proprietà di invarianza per omotopia. Si
osservi infatti che la terna (H, U, α) definita da
H(x, λ) = λf (x) + (1 − λ)g(x),
α(λ) = y
è un’omotopia ammissibile (dato che H(x, λ) = f (x) = g(x) 6= y, ∀ (x, λ) ∈ ∂U × [0, 1], e
l’insieme U × [0, 1] è compatto).
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Chiaramente la frontiera di un intervallo compatto [a, b] ⊆ R, essendo un insieme non
connesso, non è un retratto di [a, b]. La seguente facile conseguenza della proprietà di
dipendenza dalla frontiera generalizza questo fatto.
Corollario (di non esistenza della retrazione). Sia U un aperto limitato di Rk .
Allora ∂U non è un retratto di U .
Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che esista un’applicazione continua r : U → ∂U
tale che r(x) = x, ∀x ∈ ∂U . Fissiamo y ∈ U . Poiché U è limitato, per la proprietà di
dipendenza dalla frontiera (e per le proprietà di normalizzazione e di escissione) risulta
deg(r, U, y) = deg(I, U, y) = 1,
dove I denota l’identità in Rk . Quindi l’equazione r(x) = y ha almeno una soluzione U ,
in contrasto col fatto che l’immagine di r coincide con ∂U .
69 - Mercoledı̀ 17/12/14
Proprietà di normalizzazione forte. Sia L : Rk → Rk lineare ed invertibile. Allora L
è propria e deg(L) = sign(L).
Dimostrazione (facoltativa). Denote by L(Rk ) the normed space of linear endomorphisms
of Rk and let GL(Rk ) be the open subset of L(Rk ) of the automorphisms; that is,
n
o
GL(Rk ) = L ∈ L(Rk ) : det(L) 6= 0 .
Let L ∈ GL(Rk ) be given. Since L is a homeomorphism, it is a proper map. Thus, deg(L)
is well defined.
Recall that the open subset GL(Rk ) of L(Rk ) has exactly two connected components.
Namely,
n
o
GL+ (Rk ) = L ∈ L(Rk ) : det(L) > 0
and
n
o
k
GL− (R ) = L ∈ L(R ) : det(L) < 0 .
k
As a consequence of the Homotopy Invariance Property, the function which assigns deg(L)
to any L ∈ GL(Rk ) is locally constant. Indeed, if L0 and L1 are close one to the other,
the homotopy
H(x, λ) = L0 x + λ(L1 x − L0 x)
is proper. Consequently, deg(L) depends only on the component of GL(Rk ) containing L.
Since the identity I of Rk belongs to GL+ (Rk ), the Normalization Property implies
deg(L) = 1, ∀L ∈ GL+ (Rk ).
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Let us show that deg(L) = −1, ∀L ∈ GL− (Rk ). For this purpose consider the map
f : Rk → Rk given by
f (ξ1 , . . . , ξk−1 , ξk ) = (ξ1 , . . . , ξk−1 , |ξk |).
This map is proper, since |f (x)| = |x|, ∀x ∈ Rk . Thus deg(f ) makes sense and is zero
since otherwise, because of the Existence Property, f would be surjective.
Let V− and V+ denote, respectively, the open half-spaces of the points in Rk with negative
and positive last coordinate. Consider the two solutions
x− = (0, . . . , 0, −1)
and x+ = (0, . . . , 0, 1)
of the equation f (x) = y, with y = (0, . . . , 0, 1), and observe that x− ∈ V− , x+ ∈ V+ .
By the Additivity Property we get
0 = deg(f ) = deg(f, V− , y) + deg(f, V+ , y).
Now, observe that in V+ the map f coincides with the identity I of Rk . Therefore, because
of the Excision Property, one has
deg(f, V+ , y) = deg(I) = 1,
which implies deg(f, V− , y) = −1.
Since f in V− coincides with the linear map L− ∈ GL− (Rk ) given by
(ξ1 , . . . , ξk−1 , ξk ) 7→ (ξ1 , . . . , ξk−1 , −ξk ),
again by excision, we obtain deg(L− ) = −1. Thus, GL− (Rk ) being connected, we finally
get deg(L) = −1 for all L ∈ GL− (Rk ), as claimed.
Lemma (dell’applicazione linearizzata). Sia (f, V, y) una terna ammissibile. Supponiamo che l’equazione f (x) = y abbia un’unica soluzione p ∈ V . Se f è differenziabile in
p con dfp invertibile, allora deg(f, V, y) = sign(dfp ).
Dimostrazione (facoltativa). Since f is differentiable at p, we have
f (x) = y + dfp (x − p) + |x − p|ε(x − p),
∀x ∈ V ,
where ε(h) is defined for h ∈ −p + V , is continuous, and such that ε(0) = 0.
Observe that the linearized map of f at p, g(x) := y + dfp (x − p), is affine with linear
part dfp ∈ GL(Rk ). Thus, g is proper and, because of the Translation Invariance and
Strong Normalization properties, one gets deg(g) = sign(dfp ). Therefore, by the Excision
Property, it is enough to show that
deg(f, W, y) = deg(g, W, y),
20 dicembre 2014
(1)
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
where W is a sufficiently small open neighborhood of p contained in V . For this purpose
define the homotopy H : V × [0, 1] → Rk joining g with f by
H(x, λ) = y + dfp (x − p) + λ|x − p|ε(x − p).
We have
|H(x, λ) − y| ≥ (m − |ε(x − p)|) |x − p|,
where m = inf{|dfp v| : |v| = 1} is positive, dfp being invertible. This shows that, in a
convenient neighborhood W of p, the homotopy of triples (H, W, y) is admissible, and the
equality (1) is established.
Il seguente risultato, conseguenza delle tre proprietà fondamentali (a pag. 63), fornisce
una formula pratica per il calcolo del grado di una terna ammissibile (f, U, y) nel caso
speciale in cui y sia un valore regolare. Da tale formula, facendo uso del Lemma di Sard
e del Teorema di approssimazione di Weierstrass, si potrebbe dedurre il noto risultato di
Amann–Weiss: esiste al più una funzione definita sull’insieme delle terne ammissibili, a
valori interi, che verifica le tre proprietà fondamentali (assiomi del grado).
Formula algebrica (per il calcolo del grado). Sia (f, U, y) una terna ammissibile con
f : U → Rk di classe C 1 . Se y ∈ Rk \ f (∂U ) è un valore regolare per f in U , allora f −1 (y)
è un insieme finito e
X
deg(f, U, y) =
sign(dfx ).
x∈f −1 (y)∩U
Dimostrazione. Poiché f è propria in U , l’insieme f −1 (y) è compatto. Inoltre la condizione
y ∈
/ f (∂U ) assicura che esso è contenuto in U . D’altra parte, l’ipotesi che per ogni
x ∈ f −1 (y) il differenziale dfx sia invertibile implica che tale insieme è costituito soltanto
da punti isolati. Di conseguenza, è un insieme finito. Siano V1 , V2 , . . . , Vn dei sottoinsiemi
aperti di U , a due a due disgiunti, ciascuno dei quali contenenti esattamente un punto di
f −1 (y). La proprietà di additività implica
deg(f, U, y) =
n
X
deg(f, Vi , y),
i=1
e la tesi segue dal lemma dell’applicazione linearizzata.
70 - Mercoledı̀ 17/12/14
Abbiamo già visto alcune importanti applicazioni della teoria del grado in Rk . Tra queste
ricordiamo una dimostrazione del teorema fondamentale dell’algebra, una dimostrazione
del Teorema di Brouwer e la condizione sufficiente per la biforcazione. Vediamo ora altre
applicazioni.
20 dicembre 2014
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Registro di Topologia Differenziale – a.a. 2014/2015 – M. Furi
Teorema del Riccio. Sia U un aperto limitato di Rk contenente l’origine e sia f da U
in Rk un’applicazione continua. Se k è dispari, allora esistono x̄ ∈ ∂U and λ ∈ R tali che
f (x̄) = λx̄. Quindi, se 0 ∈
/ f (∂U ), allora λ 6= 0.
Dimostrazione (È facile, ma mi sono dimenticato di svolgerla a lezione).
Il seguente risultato (che abbiamo già visto a pagina 66) è una facile conseguenza del
teorema del riccio. Implica, in particolare, che sulla superficie del nostro pianeta, in ogni
istante, c’è almeno un punto di bonaccia (cioè, di totale assenza di vento). Spiega anche
perché se si pettina una palla pelosa, da qualche parte appare una ritrosa.
Teorema della sfera pelosa. Sia v : S 2n → R2n+1 un’applicazione continua tale che
hv(x), xi = 0 per ogni x ∈ S 2n . Allora v si annulla in almeno un punto.
Dimostrazione (per esercizio).
Ricordiamo che se k ∈ N è dispari, allora ogni applicazione lineare da Rk in sé ammette
almeno un autovalore reale (infatti i polinomi a coefficienti reali di grado dispari hanno
almeno una radice reale). Il teorema che segue estende il suddetto risultato al caso non
lineare ed è un’altra facile conseguenza del teorema del riccio.
Teorema di Birkhoff–Kellogg. Sia f : S 2n → R2n+1 un’applicazione continua. Allora
esistono x̄ ∈ S 2n e λ ∈ R tali che f (x̄) = λx̄.
Dimostrazione (per esercizio).
Esercizio. Sia Br la palla di Rk di raggio r e centro nell’origine, e sia f : B r → Rk
continua e tale che hf (x), xi > 0 per ogni x ∈ ∂B. Provare che deg(f, Br , 0) = 1.
Esercizio. Sia f : Rk → Rk continua e tale che
lim
kxk→∞
hf (x), xi
= +∞.
kxk
Provare che f è suriettiva.
Riportiamo ora, senza dimostrazione, un importante risultato della teoria del grado.
Teorema di Borsuk (sulle applicazioni dispari). Sia B la palla unitaria di Rk e sia
f : B → Rk continua, dispari e tale che f (x) 6= 0 per ogni x ∈ ∂B. Allora deg(f, B, 0) è
dispari. Pertanto, in particolare, è diverso da zero.
Il seguente risultato, dovuto a Brouwer, può essere dedotto dal Teorema di Borsuk.
Teorema di invarianza del dominio. Sia f : U → Rk un’applicazione continua e
iniettiva su un aperto di Rk . Allora f (U ) è un aperto di Rk .
Dimostrazione (facoltativa). Let x0 ∈ U be given. Replacing, if necessary, U with −x0 +U
and f (x) with f (x0 + x) − f (x0 ) we can assume that x0 = 0 and f (0) = 0. We need to
prove that 0 is in the interior of f (U ). Let Bε be an ε-ball about the origin and consider
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the homotopy H : B ε × [0, 1] → Rk defined by
H(x, λ) = f (x) − f (−λx),
which joins f with the odd function g(x) := f (x) − f (−x). Let us prove that H is
admissible. Assume by contradiction that H(x, λ) = 0 for some (x, λ) ∈ ∂Bε × [0, 1].
The injectivity of f implies x = −λx, and thus x = 0, a contradiction. The Homotopy
Invariance Property and Borsuk Theorem yield
deg f, Bε , 0 = deg g, Bε , 0 6= 0 ,
and this implies that 0 is in the interior of f (Bε ) ⊆ f (U ).
Il seguente risultato è un’immediata conseguenza del teorema di invarianza del dominio.
Teorema di invarianza della dimensione. Se due insiemi aperti, uno Rk e uno di Rs ,
sono omeomorfi, allora k = s.
Dimostrazione (per esercizio).
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Il risultato che segue è una delle conseguenze più note del Teorema di Borsuk. Interpretato
alla buona, implica che se si schiaccia una palla di gomma in un piano, allora almeno due
punti diametralmente opposti vanno a finire in uno stesso punto.
Teorema di Borsuk–Ulam (degli antipodi). Se f : S k−1 → Rk−1 è continua, allora
esiste x ∈ S k−1 tale che f (x) = f (−x).
Dimostrazione. Let f¯: Dk → Rk−1 be a continuous extension of f . For instance, put
f¯(x) =
(
|x|f (x/|x|)
0
for x 6= 0,
for x = 0.
Define g : Dk → Rk−1 by g(x) = f¯(x)−f¯(−x) and consider the odd map G : Dk → Rk−1 ×R
given by G(x) = g(x), 0 . Assume, by contradiction, that g(x) 6= 0 ∈ Rk−1 for any
x ∈ S k . Therefore 0 ∈ Rk does not belong to G(∂B k ) and, consequently, deg(G, B k , 0)
is well defined. Because of the Borsuk Theorem, this degree is odd and, in particular,
nonzero. On the other hand, since the image of G has empty interior, by the Stability
Property, deg(G, B k+1 , 0) must be zero, and this is a contradiction.
Il risultato che segue è particolarmente importante nei metodi variazionali in analisi non
lineare e può essere facilmente dedotto dal Teorema di Borsuk–Ulam.
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Teorema di Ljusternik–Schnirelmann. Supponiamo che C1 , . . . , Ck siano sottoinsiemi
chiusi di S k la cui unione copre S k . Allora almeno un Ci contiene una coppia di punti
antipodali.
Dimostrazione. For any i ∈ {1, . . . , k} and x ∈ S k , let fi (x) denote the distance between
x and Ci . Consider the continuous map f : S k → Rk given by
f (x) = f1 (x), . . . , fk (x) .
Because of Borsuk–Ulam Theorem, there exists x̄ ∈ S k such that f (x̄) = f (−x̄). Let Ci
be such that x̄ ∈ Ci . Then fi (x̄) = 0 and, consequently, fi (−x̄) = 0. Therefore, Ci being
closed, we get −x̄ ∈ Ci .
Il risultato che segue, di cui omettiamo la dimostrazione, è un’altra conseguenza del Teorema di Borsuk–Ulam. In R3 ha la seguente simpatica interpretazione: dato un panino
imbottito con prosciutto e formaggio (e due amici di buon appetito), esiste un taglio
“onesto”, cioè che divide in parti uguali (nel senso del peso) il pane, il formaggio e il
prosciutto.
Teorema del sandwich. Siano X1 , . . . , Xk ⊂ Rk misurabili (secondo Lebesgue) di misura
finita. Allora esiste un iperpiano che biseca (nel senso della misura) ogni Xi .
Ricordiamo che una curva di Jordan (in un piano) è il sostegno di una curva semplice
chiusa. In altre parole, è un sottoinsieme di un piano omeomorfo ad una circonferenza.
È intuitivo il fatto che una curva di Jordan divide il piano in due regioni: una “interna”
(alla curva) e una “esterna”. Questo risultato, sebbene evidente, non può essere provato
con metodi elementari. Innanzi tutto necessita di una formulazione precisa, altrimenti
non è chiaro ciò che occorre provare. Tra le varie dimostrazioni, una è basata sulla teoria
del grado di Brouwer. Per mancanza di tempo, ci limitiamo a riportare il risultato senza
provarlo.
Teorema della curva di Jordan. Il complementare di una curva di Jordan è costituito
da due aperti connessi e disgiunti, uno limitato (i cui punti si dicono interni alla curva) e
uno non limitato (costituito dai punti esterni alla curva). Inoltre, la curva è la frontiera
comune dei due aperti.
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Ricordiamo la seguente immediata conseguenza della condizione necessaria del prim’ordine
per i punti di minimo:
Sia f : M → R di classe C 1 su una varietà differenziabile e sia p un punto estremante per
f . Allora p è un punto critico.
Con riferimento a tale proposizione si osservi che, in base alla definizione di punto estremante, esiste un intorno U di p in M con la proprietà che f (p) non è interno ad f (U ). Il
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risultato che segue afferma che anche se f non è a valori reali (purché sia C 1 ), quando ciò
accade, p è necessariamente un punto critico. Pertanto, tale risultato, la cui dimostrazione è basata sul teorema della funzione inversa locale, generalizza la suddetta proposizione
(quella riguardante il legame tra i punti estremanti e i punti critici).
Teorema. Se f : M → N è un’applicazione C 1 tra varietà differenziabili e p è un punto
regolare per f , allora f (p) è interno ad f (U ), qualunque sia l’intorno U di p in M .
Dimostrazione (svolta a lezione).
Esempio. In base al teorema precedente, un’applicazione f : S 2 → R2 di classe C 1 ha
necessariamente infiniti punti critici. Infatti, o è costante, e allora tutti i punti sono critici,
oppure la sua immagine ha infiniti punti di frontiera (tutti appartenenti all’immagine)
ciascuno dei quali proviene (soltanto) da punti critici.
Cenni sui seguenti concetti: simplesso, facce di un simplesso, poliedro, numero di Eulero.
Cenni sul concetto di poliedro topologico (spazio triangolabile).
Teorema. Le varietà differenziabili compatte sono poliedri topologici.
Caratteristica di Eulero-Poincaré (per i poliedri compatti coincide col numero di Eulero).
Teorema di Poincaré-Hopf (versione semplificata). Sia v : M → Rk un campo vettoriale
tangente ad una varietà compatta, con (eventuale) bordo. Se v punta verso l’esterno lungo
il bordo di M (quando ∂M 6= ∅) e se la caratteristica di Eulero-Poincaré χ(M ) di M è
diversa da zero, allora v si annulla in qualche punto.
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