Marzo '09 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini Numero Marzo '09 Numero Marzo '09 EDITORIALE E così anche per quest’anno il Festival di Sanremo è stato finalmente archiviato, con tutte le sue discussioni, le polemiche sulla scelta del conduttore e delle vallette, i dati d’ascolto, gli ospiti di prestigio (spesso relativo) e i siparietti politicamente scorretti solo per modo di dire. Tutte cose che sembrano studiate ad arte per distogliere l’attenzione da quella che dovrebbe essere la sola e unica protagonista della kermesse rivierasca, ovvero la musica. Altro che “Festival della canzone”, insomma... Anche perché, ancora una volta, la qualità delle proposte è stata davvero imbarazzante. Non soltanto in virtù di un trio finalista da mettersi le mani nei capelli, ma in senso (quasi) assoluto. Apprezzabile, comunque, la scelta degli Afterhours, che non soltanto si sono presentati con una canzone difficile, ma la hanno usata come traino per un’apposita compilation con molto del meglio della scena tricolore. Inevitabile che venissero eliminati (insieme a Tricarico), giubilati in favore di un sempre più ineffabile Al Bano. Anche per quanto riguarda le nuove proposte, poi, poco da dire, se non notare come la vincitrice Arisa, con la sua filastrocca simpatica ma non dotata di particolare spessore, abbia suscitato l’interesse e la simpatia della comunità indie-blogger tricolore, pensiamo però più in virtù del proprio look che della canzone in sé. Ancora una volta, insomma, per trovare stimoli degni di tal nome bisogna guardare altrove. Perché il sottobosco musicale italiano è vivo e vivace, ma già da tempo passa attraverso altri canali. Quelli che lo staff di “Fuori dal Mucchio” setaccia ogni mese per fornirvi una panoramica quanto mai esaustiva e ad ampio raggio di quanto di buono offra l’underground nostrano. Non ci resta quindi che lasciarvi alla consueta dose di recensioni e interviste, augurandovi buona lettura ma, ancora di più, buoni ascolti. Aurelio Pasini Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Elettronoir Interessante sia a livello sonoro che concettuale, “Non un passo indietro” (autoprodotto) è il secondo, ottimo album degli Elettronoir. Per l’occasione, il quintetto romano al gran completo - Marco Pantosti, Matteo Cavucci, Davide Mastrullo, Nando Mattera e Georgia Colloridi - si è prestato a sviscerare l’argomento. Qual è stato il motivo di scelte come l’autoproduzione e il download libero tramite il vostro sito, dove è comunque possibile acquistare il CD? Non temete che il disco faccia fatica ad arrivare a chi non utilizza la Rete in maniera sistematica? MP: Il motivo è semplice: l’urgenza creativa nello scrivere e proporre. Una volta reputatolo “pronto”, l’album è stato divulgato attraverso il nostro sito. I dischi non devono essere recepiti passivamente bensì devono circolare in libertà e con il minor numero possibile di intermediari, non tanto fra i soggetti (compositore/fruitore) quanto nel tempo (fase creativa/ricerca d’ascolto). Chi scarica, in un secondo momento acquista: la vera innovazione sta nel fatto che non si compra più a scatola chiusa. Chi non usa la Rete non è un nostro contemporaneo e non potrebbe capire. MC: Con Internet siamo abituati all’asincronicità: arriviamo alle cose quando vogliamo, non quando ce le impongono. Nessuno accende il computer a una determinata ora per un programma, come facevano i nostri genitori con la televisione. Oggi scarichiamo centinaia di dischi, film e serie televisive che escono nel momento in cui premiamo il tasto “play” per la prima volta. NM: Vorrei precisare che, nonostante i vantaggi relativi alla “politica” di gruppo e alla libertà di gestione dell’immagine, l’autoproduzione è stata una conseguenza della mancanza di alternative. Non disdegneremmo di valutare delle proposte discografiche, se apportassero reali benefici alla nostra causa. A proposito del sito, apprezzo molto il vostro coinvolgimento e lo scambio di opinioni Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 rivolto a pubblico e stampa. MC: Se ci sono persone a cui piacciono le nostre canzoni, è naturale comunicare con loro in maniera “orizzontale” e senza filtri. Il mio sogno è che il sito diventi una specie di salotto per noi e per chi ci ascolta, con uno scambio completo e costante. Come una “bandzine”, un magazine - non nel senso classico del termine - realizzato da una band dove, oltre a testi, foto e mp3, si può trovare anche il nostro punto di vista sul mondo. E, se qualcuno lo desidera, può aggiungerci il proprio. In tempi in cui il pubblico assaggia file piuttosto che ascoltare album dall’inizio alla fine, la sovrapproduzione non rischia di far passare inosservati tanti progetti di valore? MP: Se il mercato è in difficoltà non è per via della sovrapproduzione che, in quanto creatività, è antidoto a ogni crisi. Il problema è che il mercato discografico adotta lo stesso marketing dagli anni 50. Ora come ora è possibile fare musica ed esprimersi sfruttando varie possibilità. La diffusione è importante ma secondaria, mentre la forza di ciò che dici ti tiene sempre a galla. MC: Pescando continuamente dalla Rete, avviene una sorta di selezione naturale: ciò che è buono si afferma, ciò che è cattivo viene via via dimenticato. La musica è sana è salva, ma chi la fa magari vorrebbe ville con piscina, macchine veloci e chitarre personalizzate. Mi sembra invece chiaro che si stia passando dal “musicista pop” per professione a una figura spinta più dalla passione che dai soldi. Per questi ultimi, come diceva qualcuno, c’è sempre il lavoro. Quanto è faticoso dedicarsi alla musica portando avanti altre attività professionali? MP: Lo fai e basta. Ti organizzi, ti cerchi, pretendi e realizzi. Di giorno si lavora, poi si entra in un’altra dimensione e tutto comincia sul serio. GC: È molto faticoso, hai detto bene! Soprattutto se il lavoro non lascia granché tempo libero. Credo sia per questo che parecchi artisti scelgono impieghi verso i quali non nutrono interesse, giusto per raccattare qualche soldo e pagare l’affitto. Mi viene in mente Charles Bukowski, che lavorava in una fabbrica di sottaceti, come tassista o usciere e scriveva di notte. Un completo disastro nella vita, ma in fondo una persona intellettualmente onesta. Voleva fare il giornalista e non gliel’hanno permesso, per cui preferiva inscatolare sardine di giorno e dedicarsi alla scrittura di notte piuttosto che piegarsi al sistema. E aveva ragione. Mettere le forze in un lavoro impegnativo e troppo distante concettualmente dalla tua passione, può generare confusione e frustrazione rendendoti la vita difficile. Meglio addormentarti puzzando di pesce e birra sulla tua macchina da scrivere... Non un passo indietro è il secondo capitolo della trilogia avviata con “Dal fronte dei colpevoli”. MP: La base è quella di un concept, una storia che si articola in tre dischi, tre capitoli di una narrazione, dove ogni canzone è un evento ben preciso ai fini della stratificazione della trama. La musica ne deve essere ovviamente portamento e ossatura. La storia parla di emarginazione e fughe, “ragazzi di vita” e una Napoli che muore in maniera cronica, senza mai resuscitare. DM: Il concept e il suono della trilogia sono fortemente legate dalla coerenza stilistica, che mettiamo spesso a verifica. Questa ricerca-azione ci sta portando verso una dimensione Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 sempre più essenziale e di sintesi. L'album sfoggia grande cura sonora, numerosi ingredienti in una formula omogenea e personale. Come avete raggiunto questi risultati? DM: L’obiettivo è “annusare” il proprio suono, definirlo per poi riproporlo. La ricerca individuale diventa di gruppo. MP: A tentoni, per tentavi personali. Quando suoniamo, ci conosciamo sempre di più: le attitudini, i desideri, la voglia, la potenza e le negazioni. Dobbiamo imparare e provare. Lentamente e con i nostri tempi. NM: È come se per ogni brano aprissimo una frigorifero, in cui di volta in volta troviamo una serie di ingredienti da cucinare. Sta a noi mettere insieme il tutto senza forzature, per trovare un gusto che ci rappresenti in modo elegante. Ascoltando i brani, si avvertono varie influenze musicali, cinematografiche e letterarie. DM: Le varie influenze sono probabilmente date dai background personali e dalla loro rielaborazione collettiva. GC: Quelli che recepiamo non sono solo input artistici ma derivano anche dal nostro quotidiano, che cerchiamo di tradurre in emozione. Siamo molto più terreni di quanto possa sembrare. MP: Potremmo elencare nomi all’infinito. Un giorno pubblicheremo sul sito bibliografia e filmografia essenziali, che ci hanno accompagnati durante il concepimento della trilogia. I testi regalano immagini di forte impatto e il mood è alquanto cupo, orientato verso un pessimismo atemporale che finisce per rispecchiare i giorni correnti. Basti pensare alla scelta di rifarsi a Pasolini nella title track. Quanta attenzione prestate ai risvolti socio-politici? MP: Il tentativo è trattare una storia calata nel turbine della fine degli anni 70 e riconoscerle degli spunti di attualità. Il fatto è che temi di esclusione e dinamiche di emarginazione sono, ahinoi, sempiterni. Pasolini l’ha insegnato, l’ha gridato fino a farsi ammazzare: abbiamo raccolto quell’urlo, riproponendolo nell’attualità. Pensate che i ricorrenti accostamenti con i Baustelle derivino dal comune utilizzo delle due voci o magari dalla partecipazione di Rachele Bastreghi in “Mondo folle” (adattamento di un brano dei Tears For Fears, contenuto nell’EP “#102006”)? MP: I Baustelle sono un’ottima band, ma noi siamo diametralmente opposti. Forse siamo suggestionati dallo stesso immaginario o forse è solo un modo come un altro per fare paragoni. Le due voci ci sono da sempre nella musica italiana: se questo fosse il motivo per cui ci accomunano ai Baustelle, ben venga... sempre meglio di Al Bano e Romina Power, no? NM: E no, eh! Non toccarmi Al Bano... Sai che lo amo! L’accostamento con i Baustelle è precedente alla bella collaborazione con Rachele: oltre a ritenere ideale la sua voce per quel pezzo, volendo è stata una scelta un po’ provocatoria. Parlando delle voci, cosa mi dite dell’avvicendamento tra Grazia Lucchese e Georgia? Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 MP: Due stili diversi, due voci incredibili. Grazia ha cantato in un disco difficile, in quanto esordio di un gruppo che non sapeva bene dove mettere le mani. Georgia è piovuta dal cielo, sta nelle nostre mani come un fiocco di neve che non si deve sciogliere. È una cantante eccezionale, destinata a crescere: il suo percorso parte da “Non un passo indietro” e non vedo l’ora di sentirlo evolvere. NM: Grazia all’inizio è stata la scelta più naturale: venivo da una lunga esperienza con lei in un’altra band, ed è stato quasi automatico che venisse coinvolta negli Elettronoir. Con il tempo sono venute fuori esigenze stilistiche diverse, così ha lasciato il progetto con naturalezza ed è subentrata Georgia con il suo entusiasmo. Per chiudere, ci sono concerti in programma? MC: Se riuscissimo a fare una decina di date sparse da qua alla fine dell’anno, sarebbe meraviglioso. C’è da combattere con chi gestisce i locali ma non ascolta i dischi, con chi ha spazi a disposizione ma preferisce spingere il gruppetto dell’amico, con chi pretende che si vada a suonare gratis col pretesto della gavetta. Dal punto di vista etico, è terribile. Non è che si voglia diventare ricchi, ma nemmeno tirar fuori i soldi per suonare in giro. E la colpa, in fin dei conti, non è solo dei gestori o degli organizzatori. La colpa è del pubblico, che se non conosce chi suona non esce di casa, o delle band, che accettano di esibirsi gratis in cambio di quindici minuti di gloria. Parlando di queste cose, si viene fraintesi con facilità. Passateci a trovare, che se ne dialoga volentieri. Contatti: www.elettronoir.com Elena Raugei Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Flap Ben tornati ai Flap da Montagnana (PD) con i loro passaggi strumentali eleganti e il loro spirito vivace che nuovamente, come era successo per il loro album precedente (“A Poor Story”), si contraddistingue per lucidità e grande consapevolezza di voler essere sedotti dalla melodia slabbrata e raffinata al tempo stesso. Il trio per usare una metafora, sa cucire perfettamente l’orlo di un paio di jeans strappati. Il risultato è “Trees Are Talking While Birds Are Singing”, appena uscito per Matteite e per la loro stessa etichetta, la In The Bottle (con distribuzione Venus). Ne parliamo con i fratelli Filippo (chitarra ed effetti) e Cristian (basso): completa il trio il batterista Fulvio. La vostra musica è come una scalata in montagna, man mano che si va avanti diventa sempre più ampia la prospettiva ma per "salire" bisogna essere temprati? Come immaginate chi ascolterà questo disco? F: “Trees Are Talking...” è un album principalmente strumentale con momenti molto intensi. L’ascoltatore sarà forse portato a lasciarsi trasportare dalla nostra musica e a immaginare e cantare quello che vuole. C: I primi ad affrontare la scalata siamo noi: in fase compositiva è come se indossassimo un paio di scarponcini e iniziassimo da una valle a cercare di raggiungere il passo pian piano, senza fretta in alcune circostanze, ma con la frenesia di assaporare un panorama sempre nuovo. L’ascoltatore di conseguenza non può che farsi trasportare dalla guida alpina, fidandosi di lei e comunque assaporando le proprie sensazioni. Le vostre orecchie invece sono sicuramente temprate. Il disco di chi avete consumato ultimamente? F: The Phantom Band. C: Ultimamente prediligo Fleet Foxes, Calexico, Built To Spill e Afterhours. Mi siete sembrati nel disco nuovo meno post rock e più psichedelici, replicando però Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 la vostra eleganza delle melodie delle chitarre. Voi come l'avete vissuto mentre lo componevate? F: Questo disco è sicuramente più diretto rispetto agli altri; è stato composto in meno tempo forse perché eravamo più ispirati, non per scelta e sicuramente non abbiamo voluto “divagare” troppo per non “stancare”. Diciamo che l’abbiamo vissuto molto serenamente. C: L’essere meno post-rock nasce dall’esigenza di discostarci da schemi che ci avevano in precedenza caratterizzati e che con il passare del tempo abbiamo messo in secondo piano, prediligendo il forte senso di spontaneità che ci ha regalato il crescere sia come persone sia come musicisti, non aggrappandoci più a schemi già noti pur apprezzandoli e cercando dentro di noi di far uscire il nostro modo di sentire e di vivere la musica. Le mode passano, anche attraverso i nostri ascolti, ma cerchiamo di uscirne inalterati. Come si misura il tempo che deve durare una canzone quando si compone? Un vostro brano ha la durata di tredici minuti, nel precedente a questo era di sei/ sette minuti. Quando vi rendete conto che il tempo che deve durare è quello? F: Non ci diamo assolutamente nessun limite. Sentiamo quand’è ora di smetterla e basta. Alle prove alle volte abbiamo un bel pubblico di amici e anche attraverso la loro presenza riusciamo a capire quanto deve essere lungo e intenso il brano. C: Sicuramente è bandita dal nostro modo di comporre la misura del tempo. Deriva soltanto dall’armonia che assumono le improvvisazioni che portiamo in sala prove. Non incidiamo mai niente, neanche i riff, li facciamo uscire, li modelliamo e li portiamo in studio solo dopo che il brano è passato anche sul palco. Quando vi siete messi insieme come Flap come vi immaginavate e se vi sentite ancora coerenti e fedeli ai primi vagiti del gruppo, ai vostri primi desideri? F: Abbiamo iniziato a suonare innanzitutto per divertirci come spesso accade per tutte le band ed eravamo ovviamente ispirati da Sonic Youth, Fugazi, Blonde Redhead. E speravamo che la nostra musica assomigliasse ai suddetti gruppi. Invece poi abbiamo preso la nostra strada e la maggior parte dei nostri desideri almeno per quanto riguarda la musica si stanno realizzando. C: Mai come ora stiamo apprezzando la nostra musica e vedendo che il tempo ha contribuito alla nostra seppur umile notorietà, consolida in noi il motivo primo per cui abbiamo iniziato: suonare per esprimere noi stessi, i nostri disagi, i nostri momenti tristi e felici e la nostra amicizia, in un’epoca che guarda a ben altri valori è veramente gratificante. Ospiti? Amici senza i quali il disco non sarebbe stato lo stesso? F: Ospiti e anche amici. Come per l’album precedente “A Poor Story” la grafica dell’album, ad esempio, è stata affidata a Paolo Moretti (Littlebrown, Madcap Collective): le sue illustrazioni sono fenomenali! Non poteva mancare Matteo Dainese (Il Moro E Il Quasi Biondo, Dejligt, Matteite Records) che sulla prima traccia ha suonato la chitarra e Bob Corn (Fooltribe) che ha inserito magnificamente la sua voce su “Férmo 2”. Traducendo il titolo: cosa significa che gli alberi stanno parlando mentre gli uccellini stanno cantando? C: E’ un’immagine molto semplice che ha avuto Fulvio, il nostro batterista, una sorta visione avuta quando l’album era praticamente ultimato. Un’immagine che parla da sé nella sua Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 semplicità. Gli alberi sembrano dire qualcosa mentre il vento li attraversa e gli uccelli cantano in un’armonia così disarmante per noi esseri umani, schiacciati ogni giorno da una vita così sofisticata che sembra non appartenerci. Dov'è stato registrato il disco e come sono andate le sessioni? F: Il disco, come i due precedenti, è stato registrato al Natural HeadQuarter di Ferrara da Max Stirner, principalmente con un banco Neve 8108 del 1979. Dapprima abbiamo inciso in circa due giorni tutte le tracce. Avevamo già in mente cosa volevamo fare. Tra l’altro abbiamo deciso come per “A Poor Story” e “Férmo” di registrarlo live, in una stanza tutti e tre assieme. Nel giro di altri quattro giorni dopo vari piccoli accorgimenti abbiamo sfornato il master. Manu del Natural ci ha aiutati molto riguardo la produzione. Noi siamo comunque abituati a non sconvolgere quello che registriamo e cerchiamo di mantenere tutto il più possibile fedele alla linea live. Il disco è uscito per la vostra stessa etichetta, In the Bottle, e Matteite. C: Si. Matteite è l’etichetta di Matteo Danese che ci ha dato, oltre alla sua grande amicizia, la possibilità di essere anche distribuiti da Venus in Italia e di poter ampliare la nostra visibilità come band. Contatti: www.myspace.com/flapband Francesca Ognibene Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Kiss Me Emily Uno spirito vagamente retrò si scontra e si fonde con la dichiarata apertura verso il più attuale panorama musicale internazionale. Questi sono, in una manciata di parole, i Kiss Me Emily, da pochi mesi sul mercato con l’album d’esordio “All In One” (Forears/Family Affair). Per conoscere meglio il progetto musicale e le ispirazioni artistiche della band forlivese abbiamo intervistato la “voce” della band, Nicola Rosetti. Una necessaria contestualizzazione: avete alle spalle anni di intense esibizioni live ma, esattamente, quando e come nascono I Kiss Me Emily? La band nasce nel 2003; abbiamo esordito in estate, in un concerto all’aperto. Veniamo tutti da esperienze musicali diverse che si intrecciano, abbiamo condiviso esperienze comuni, da cui sono nati per caso i Kiss Me Emily. Insieme inizialmente per inseguire gli esotismi musicali del momento, muovendoci lentamente verso un sound personale. L’amicizia è stata significativa per la genesi del gruppo, ma non vincolante, e l’obbiettivo era la produzione e la realizzazione musicale, anche se probabilmente all’inizio tutto era ancora molto annebbiato. Come si è sviluppato il legame con la label fiorentina Forears e in che misura questo incontro ha influenzato o modificato (o magari lasciato intatto) il vostro stile musicale? Sempre per caso abbiamo conosciuto Daniele Landi e i ragazzi di Forears. La casualità e la fortuna hanno giocato un ruolo chiave nella nostra esperienza. Una serie di conoscenze e di contatti ci hanno portato da Forlì a Pistoia, poi a Roma, fino a sbarcare a Firenze, dove abbiamo condiviso uno dei momenti più importanti della nostra carriera musicale. Per noi era la prima volta in uno studio, avevamo già fatto esperienza, ma si trattava di piccole occasioni, registrazioni di EP o brani singoli. Considero il tempo trascorso a Firenze per realizzare l’album un grande investimento, mi ha insegnato e ci ha insegnato molte cose, ci ha messo in guardia, ci ha spaventato ma ci ha anche fatto crescere. Daniele ha raddrizzato le mie idee, gli ha dato una forma più armoniosa, insieme abbiamo smussato gli spigoli della Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 materia, ancora grezza. È stata una cooperazione molto produttiva, a mio avviso. Il nostro genere era già cambiato prima di entrare in studio, la produzione artistica ha fatto il resto. Da Forlì al Regno Unito: lo scorso ottobre avete presentato “All In One” a Manchester, a In The City Festival (bella performance, ho avuto modo di vederla su YouTube). Come avete vissuto questo evento di respiro internazionale? Qual è il dettaglio che vi è rimasto maggiormente impresso? Suonare all’estero è stato emozionante. Quando Daniele mi ha chiamato, una mattina (stavo ancora dormendo), dicendomi che eravamo stati selezionati per partecipare alla manifestazione inglese, non gli ho creduto. Abbiamo dato il massimo, siamo rimasti soddisfatti, abbiamo ricevuto consensi da un pubblico difficile... e ci siamo accorti dei nostri limiti, a contatto con quell’universo, dove la musica realmente funziona, e chi la crea lo fa con consapevolezza. È stata un’esperienza unica, formante, socialmente utile, ci ha unito, ci ha reso un vero gruppo. Nonostante la lingua, la tensione, la paura di fallire, i ragazzi presenti ci hanno supportato: mi è rimasto in mente un inglese che uno dei giorni seguenti mi ha inseguito e mi ha fatto i complimenti, dicendomi “non è facile far muovere gli inglesi, siete forti”. I vostri brani sono un sapiente mix di indie rock e suggestioni tratte dalla scena synth-pop inglese dei primi anni Ottanta. Quali sono i vostri principali punti di riferimento musicali? Mi puoi citare un gruppo in particolare a cui vi siete ispirati? Le fonti di ispirazione sono tante. Ognuno di noi ascolta musica diversa, che molte volte non coincide affatto con quello che creiamo. Ci paragonano spesso a band che noi non abbiamo mai ascoltato, e questo penso sia un buon segno. Non vorrei essere retorico, però già da tempo abbiamo lasciato da parte l’emulazione. Siamo nati come cloni ma, anche se lentamente, ci siamo staccati dalle orme degli altri. I riferimenti e le allusioni, i rimandi e gli omaggi sono spesso involontari e inevitabili, ma come punto di partenza c’è la prerogativa di unicità, utopica forse, ma costante. Credo di avere ascoltato tutti i generi musicali, e questo vale anche per i miei compagni. Per quanto mi riguarda vivo una stasi musicale che mi impedisce l’ascolto disinvolto, ma cito qualche ascolto che ha significativamente influito ai tempi della genesi dell’album: The Killers e Bloc Party. Vocazione internazionale e testi in inglese. I vostri lavori sembrano dedicati a un pubblico europeo più che esclusivamente italiano, mi riferisco in particolare a brani come “Dance”, “Be There” o “I Ain't Looking”. In definitiva, a chi vi rivolgete? Qual è il vostro target reale? L’inglese è musicale, io credo nel messaggio armonico piuttosto che lirico, ho bisogno di un testo che non rallenti, non ostacoli il dispiegarsi delle note. La nostra lingua non lo permette, o io non so usarla nel modo giusto. La musica è per tutti, è per la gente, per il pubblico, non importa da chi è formato. Da più parti, in molte recensioni, la vostra musica è stata definita “semplice”, “orecchiabile”, “leggera”. Come rispondete a questi giudizi? La nostra musica è così. Sorrido quando leggo questi aggettivi in accezione tendenzialmente negativa, come se limitassero la potenzialità del suono e del messaggio. La semplicità è complessa da ottenere, è lo stadio successivo, se si segue una certa direzione. Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Dietro alle poche note, alle costruzioni lineari c’è ovviamente molto di più, dovrebbero permettere l’approccio sia dell’orecchio superficiale sia di quello più esigente. E i ritornelli, insistenti, orecchiabili, fanno da collante, ampliano lo spettro di ricezione. È un modo di affrontare l’esigenza artistica e culturale della musica, opinabile, che unisce all’istintività l’analisi. Molto interessante l’artwork del disco, le fotografie e il vostro abbigliamento tutto bretelle e colori improbabili. Mi sembra che nel vostro apparire pubblicamente ci sia una certa cura per il look e una particolare attenzione verso l’immagine... L’immagine è importante, l’apparenza è importante. La nostra musica è semplice, leggera. Siamo coerenti. Scherzi a parte, è stato molto divertente farsi fotografare, fare finta di essere delle star, travestirsi, atteggiarsi... Non basta più fare belle canzoni, la sostanza conta sempre meno. Bisogna stupire, o per lo meno, darsi un tono. Che ruolo riveste, nella vostra attività di musicisti, la dimensione live? È più importante registrare bene un disco o saperlo eseguire sul palco catturando l’attenzione del pubblico? Suonare le mie canzoni sul palco è una delle poche cose rimaste che mi fanno emozionare, perdere il contatto con la realtà, vivere in un’altra dimensione. E credo questo valga anche per gli altri ragazzi. Lo studio è un’esperienza divertente, stancante ma a cui non rinuncerei mai. Direi che sono entrambe importanti. Quali saranno i vostri prossimi passi? Volerete nuovamente in Europa o vi concentrerete sul territorio nazionale? State lavorando a nuovi progetti artistici, video o collaborazioni? Sarebbe bello suonare di nuovo in Europa. Ma siamo una piccola realtà, siamo felici di avere quello che per ora ci spetta, suoniamo in Italia, ci divertiamo. Stiamo lavorando sulla realizzazione di un videoclip, io continuo a scrivere, insieme impastiamo e cerchiamo di dare forma a nuove visioni. Contatti: www.myspace.com/kissmeemilymusic Federica Cardia Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Methel & Lord Spunto per un doveroso approfondimento, “Steps Of A Long Run” (Point Of View/Halidon) è il secondo album degli imprevedibili Methel & Lord. Sergio Ferrari risponde alle nostre domande, ribadendo lucidità d’intenti e ironia a piene mani. L’esordio del 2004, “Pai Nai”, era stato accolto benissimo dalla critica e aveva vinto anche il Premio “Fuori dal Mucchio”. Sull’onda degli ottimi feedback, vi aspettavate risultati diversi a lungo raggio? Immaginavamo una maggiore facilità nel poter presentare spettacoli dal vivo nei locali italiani, ma il numero elevato delle componenti, la teatralità e la bizzarria non hanno vita facile nella “terra dei maKaki”. In un mondo dove si etichetta tutto per renderlo maggiormente fruibile, la nostra spiccata volontà di sentirci liberi da ogni oppressione e incanalamento non è gradita. Insomma, non cercavamo di fare da spalla a Madonna. Sono trascorsi quattro anni tra “Pai Nai” e “Steps Of A Long Run”: di solito si tende a battere il ferro finché è relativamente caldo, mentre vi siete giustamente presi tutto il tempo necessario. Ci si prende il minor tempo possibile per realizzare un disco con lo stesso sound e la stessa anima del precedente: se funziona così, sarà senz’altro bello anche il successivo. Questo, però, non era quello che volevo. Il mio intento è ricreare la musica come se si stesse ascoltando musica: il CD che si impalla, l’abbaiare di un cane, un brano differente dall’altro come in una compilation. In breve, volare sopra una città e afferrare il suono dell’insieme. La mia nuova ricerca punta all’ambiente quale parte dell’arrangiamento. Il nuovo album è un’evoluzione del precedente o un capitolo a sé stante? Ci evolviamo, seppur con forti differenze da un periodo all’altro. Il compositore sono sempre io, ma indubbiamente sono diverso da quattro anni fa: da “Heroina mon amour” a “Irkutsk” un brano in italiano da ascoltare e vedere su YouTube - le differenze sono enormi! Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Methel & Lord sono Sergio Ferrari e Gianmarco Carlucci, ma l’idea di fondo è quella di un collettivo aperto a contributi esterni. Facciamo maggiore chiarezza per chi ancora non vi conoscesse? Io e Gianmarco siamo alla base del processo di creazione ed esecuzione, che necessita comunque il maggior apporto possibile da parte di tutti gli artisti che riusciamo a coinvolgere. Non ci poniamo limiti, ma spesso sono gli stessi musicisti che se li pongono. In campo musicale c’è sempre un bisogno enorme di osare e giocare. Nella supponenza degli studi intrapresi, nel porre in primo piano la tecnica strumentale e una gran quantità di note, si dimentica talvolta il piacere e il divertimento che non possono e non devono mai mancare, soprattutto nei live. Colgo l’occasione per ringraziare tutti i musicisti che hanno contribuito a questo disco! Rock, pop, jazz, blues, elettronica, fiati, sperimentazione e così via: come riuscite ad amalgamare tutti questi elementi nei vostri brani? Non amalgamandoli bensì sporcandoli. Non riesco a concepire un disco con brani della medesima matrice sonora. L’arrangiamento è semplicemente un vestito, e io odio uscire sempre con gli stessi vestiti. Ritmi e suoni diversi, atmosfere varie: questo è quello di cui ho bisogno... ed è quello che faccio! In “Dear Tony” troviamo Tony Formichella al sax e per il singolo “Washed Untrue” avete utilizzato un’orchestra di ventidue elementi. Tony è indubbiamente il mio maestro e ne sono fiero! È uno dei pochi veri, grandi artisti che conosco e mi ha insegnato attraverso la sua musica a comporre in maniera migliore, a fronteggiare le difficoltà di chi vive solo per suonare. È molto schivo nel registrare in studio e in multitraccia. L’ho invitato e ha cominciato a suonare come solo lui sa fare, ininterrottamente per così tanto tempo che lo abbiamo dovuto fermare. Sono contento che da questa esperienza sia nata una collaborazione con la mia etichetta, dalla quale è venuto fuori disco a suo nome. Per quanto riguarda l’orchestra, all'inizio avevamo creato un arrangiamento di archi ma ero sicuro che l’avremmo eseguito con le tastiere. Al ritorno da un viaggio, il produttore mi ha fatto invece ascoltare tutto quanto già registrato e andava benissimo! In un periodo in cui non si fa altro che parlare di “Gomorra” e derivati, la scelta di un pezzo come “Pizza mafia & mandolino” è una casualità o meno? Quelle parole provengono da una registrazione fatta a casa qualche anno fa e purtroppo non ricordo a quale dei tanti eventi da “paese di bananas” fosse associato, ma il concetto di uno stato satellite di altri - USA e Vaticano in primis - mi spinge a cantare “Pizza mafia e mandolino, san Gennaro, Valentino, Sofia Loren, maccaroni. Siamo zitti e stiamo buoni”. La vostra musica ha sempre avuto una certa impronta teatraleggiante, e non a caso so che in passato avete operato nel campo del teatro sperimentale e musicato alcune rappresentazioni. Mi puoi dire qualcosa sulle interazioni fra queste due sfere artistiche? La luce, l’uso di forti simboli, il buio, il suono: tutto ciò nel teatro è qualcosa che né il cinema né un concerto possono trasmettere. Voglio che almeno una piccola parte di questo mondo possa fuoriuscire anche dai dischi di Methel & Lord. Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Mi sembra che lo spirito di ricerca, contaminazione e sperimentazione sia sempre accompagnato da un approccio estremamente ludico e beffardo, così come la padronanza tecnica va di pari passo con la tendenza verso la stravaganza. Abbasso la “trombonaggine”. Quando si tratta di lavori sperimentali, il passaggio tra il capolavoro e la cagata pazzesca -“fantozzianamente” parlando - è sottilissimo. Adottare uno sguardo distaccato e ironico su quello che ci circonda, è importante. O si sorride o si impugna un’arma, anche se ultimamente sorrido sempre meno. I testi sono cantati in un personale mix di inglese e italiano. Quale è l’intento principale sul fronte delle parole? Avevo deciso di italianizzare in modo personale la nostra seconda lingua obbligatoria: in pratica, era un connubio atroce di colpi bassi al mondo anglosassone, incomprensibile da chicchessia tranne me. Per “Steps Of A Long Run” sono invece passato da un grammelot di “escape from significance” a un inglese più corretto. Dopo “Irkutsk”, ultimamente mi piacerebbe riuscire a scrivere solo brani in italiano. Cosa pensi del panorama indie italiano? Se ha ancora un senso parlare di panorama indie, alla luce della frequente sovrapposizione fra ciò che oggigiorno si può intendere underground e mainstream... Proprio per via di queste sovrapposizioni, non ci sto capendo più niente. Ammetto una pressoché totale ignoranza su tutto ciò che riguarda le etichette... tranne quelle dei vini! Dato che per fortuna è così difficile incasellarvi in un genere stilistico, mi viene spontaneo chiedere quali siano i tuoi punti di riferimento. Immagino destabilizzatori per eccellenza come Syd Barrett o Frank Zappa, per esempio. Loro due, assieme a Captain Beefheart e Velvet Underground, sono i miei autori preferiti: libertà, bizzarria, delirio. Amo ovviamente tantissimi altri artisti, ma Barrett e Zappa li ascolto e riascolto da quando avevo tredici anni e ancora non mi stancano! Che mi dici della copertina del disco, così colorata e filo-psichedelica, quasi all’opposto rispetto al luciferino cane nero di quella di “Pai Nai”? Avevo mostrato al produttore un mio autoritratto realizzato di getto e dipinto con le dita, usando colori per bambini. “Steps Of A Long Run” era nato in origine per essere un vinile, per cui pensavo di metterlo al posto di una mia foto all’interno del disco ma lui mi consigliò di utilizzarlo come copertina. Scie di giallo, blu, rosso: soltanto colori primari. Dal vivo avete proposto anche spettacoli davvero sui generis, con “animali, ballerini, proiezioni, carnevalate e burlesque”. Che progetti avete per i prossimi concerti? Solo stadi olimpici o niente! Contatti: www.myspace.com/methellord Elena Raugei Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Municipale Balcanica Il secondo episodio nella carriera della Municipale Balcanica, “Road To Damascus” (Felmay/Egea), è un elogio del viaggio: arie klezmer, coinvolgenti contrappunti bandistici degni di una brass band. Ne abbiamo parlato con Nico Marziale, percussionista dello scoppiettante ottetto pugliese. Il vostro lavoro sembra dirci che si viaggia non tanto per la meta, quanto per il viaggio stesso. Qualcuno ha detto: “per la stessa ragione del viaggio: viaggiare”. Per noi così avventurosi è sicuramente importante godere del percorso, ma anche capire da dove partiamo, le motivazioni per intraprendere il cammino, e quanto lontano vogliamo arrivare. Il viaggio in sé ha la sua poesia perché è fatto non solo di fatiche ma anche di incontri, ma la volontà di raggiungere una meta, e ciò che essa promette, fa sì che le energie non vadano disperse. Perché Damasco? Damasco univa le suggestioni di una meta reale a quelle di un luogo immaginato e mistico. Tutti i suoni che abbiamo incontrato e raccolto pare ci conducano al Medio Oriente: praticamente attraversiamo la Puglia, quindi i Balcani, l’Europa più orientale ed esotica fino alla meta di Damasco. La “Via di Damasco” è proverbiale perché San Paolo vi ebbe una visione e cambiò vita, divenendo da persecutore ad apostolo... per noi questo riferimento biblico ha significati non solo religiosi. La via di Damasco è un luogo di rivelazioni, sorprese, cambiamenti... e questo album ne è pieno! Nello statuto della vostra band c’è quello di mettere insieme le sonorità orientali del klezmer e dei Balcani con la musica popolare del meridione italiano e pugliese. C’è un luogo - geografico, ideale, musicale - in cui questa fusione avviene? Noi veniamo da una Puglia in cui abbiamo sperimentato che l’integrazione tra uomini e culture è possibile, e che può essere un processo naturale che può avvenire senza violenza Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 e senza retorica. La filosofia di bande lontane e diverse, sia che appartengano alla tradizione pugliese (da cui proveniamo), a quella klezmer o balcanica, è una: accompagnare i momenti di incontro della comunità. La comunità prega, festeggia, e fa pure baldoria, sempre con una banda che catalizza le energie della collettività con il ritmo. Quindi, più che un luogo, c’è un momento che rappresenta questa fusione: quello della festa in piazza. Torniamo indietro di un attimo. Con l’uscita del primo disco avete compreso che la strada intrapresa era quella giusta? Cosa vi ha convinto? Durante la lavorazione e la pubblicazione di “Fòua” ci ha incoraggiato la vibrazione che sentivamo quando suonavamo, prima ancora che il riscontro della critica e degli ascoltatori. In quel periodo è iniziata una intensa attività live in cui la risposta del pubblico è sempre stata sorprendente; in poco tempo siamo arrivati a quasi quattrocento concerti. L’esuberanza della Municipale è stata premiata soprattutto perché liberava l’esuberanza del pubblico, che non è spettatore, ma parte di quel rito che inizia quando la banda inizia a suonare. Ora in “Road To Damascus” il nostro suono è più ricco, sintetico e massiccio anche perché abbiamo lavorato su quello degli inizi così sovrabbondante e pieno di eccessi. C’è qualche musicista che alimenta più di altri la vostra musica? Da chi vi sentite influenzati? Tanti musicisti influenzano profondamente il nostro approccio alla musica anche più che la musica stessa, quindi non è strano se tra le influenze, oltre alla tradizione delle bande di paese, ci sono l’Amsterdam Klezmer Band , la Kocani Orkestar, la Banda Osiris, De André, Carlo Actis Dato, Richard Galliano, Yann Tiersen e vi citeremo anche Miles Davis, Bosso, Coleman, Steel Pulse, Black Uhuru, PFM, Ska-P, Mötley Crüe, Jeff Beck, Rage Against The Machine e sicuramente Capossela. Nel disco ci sono tre brani tradizionali. Come scegliete le composizioni tradizionali da reinterpretare? Noi facciamo una gran ricerca sulla tradizione, ma quando si tratta di scegliere preferiamo quelli che emotivamente ci piacciono di più, con la storia che ci intriga di più. Ad esempio “Kolomeika”, una danza di nozze ucraina. Ci è piaciuta subito perché ha dei tempi bellissimi che paiono proprio raccontare una festa di nozze, dalla cerimonia ai festeggiamenti scatenati. “Artigiana di Luma” è il brano orientale per eccellenza, che abbiamo ascoltato da tanti musicisti albanesi. È anche questa una melodia bellissima, con un ritmo suadente, a cui abbiamo aggiunto una sezione ritmica meno fluttuante e più “spinta”. “Usti, usti baba” rappresenta per noi un feticcio. È un brano che dapprima abbiamo amato dalla Kocani Orkestar, e che dopo abbiamo avuto modo di suonare direttamente con loro in un bellissimo concerto in un festival curato da Moni Ovadia. Da allora “Usti, Usti Baba” e divenuta nostra, in una versione più elettrica. Anche la scelta di “Contessa” dei Decibel merita una spiegazione... È una bellissima canzone, piena di stupende frasi musicali! Anche se abbiamo parlato seriamente di tradizione, abbiamo un background musicale molto ampio ed eterogeneo. I Decibel hanno cercato di portare nella cultura musicale italiana di massa il punk e le sue rivoluzioni. Noi siamo una sorta di banda in evoluzione, amante dei rinnovamenti, e riproporre Contessa è il nostro tributo, divertito ma serio, a chi voleva portare addirittura al Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Festival di Sanremo una novità travolgente. Se poteste contare sulla collaborazione e produzione di un mostro sacro, a chi vi affidereste? Rick Rubin! O per quelli di noi più amanti del suono indie ti direi Steve Albini. Dovendo sognare sogniamo in grande, e qualcosa di molto lontano dal sound cui siamo arrivati. Siamo una curiosa banda che sogna Damasco, quindi nessun bel progetto è troppo fuori contesto per noi! Quelli con cui siamo sulla stessa lunghezza d’onda sono forse Aires Tango, Galliano, Yann Tiersen, Balkan Beat Box, e soprattutto Capossela... Come si mettono d’accordo, prima che tanti strumenti, tante teste? Come funzionano le dinamiche tra di voi, interne al gruppo? Le decisioni importanti vengono prese magicamente all’unanimità, per tutto il resto si litiga. Il più delle volte ridendo. Siamo amici di vecchia data, il nucleo dei fiati ha passato l’infanzia insieme, a suonare nella banda del paese, quindi affrontiamo tutto in grande confidenza. A livello artistico le proposte passano attraverso la prova decisiva del suono, e capiamo più o meno immediatamente se qualcosa ci sta bene o no. Contatti: www.municipalebalcanica.com Gianluca Veltri Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 9 Eponymous Sopa 9 è il progetto dietro cui si cela Marco Brosolo, italiano trasferitosi da qualche tempo a Berlino, musicista ma anche performer originale capace di mettere all'asta su eBay i propri concerti multimediali. Il punto focale di questo album è in ogni caso piuttosto chiaro: quelle che emergono infine, dopo essersi fatte strada tra arrangiamenti che mescolano loop e segnali elettronici assortiti a strumenti più o meno tradizionali (tra i quali un theremin), sono alla fine limpide canzoni pop. Il segreto, e questo Brosolo dimostra di saperlo bene, è quello di non lasciarle soccombere alla dittatura delle macchine e alla pura ricerca sonora, e in questo senso i brani di “Eponymous” si collocano ad un crocevia ideale tra modernità e tradizione. La scrittura del musicista è classica ma non troppo, valorizzata da una voce che si muove sui binari di un crooning asciutto ed essenziale, spoglio e vagamente jazzato. “Delay”, con quel morbido intrecciarsi di glitch-music, chitarre e batteria, ci introduce nel mondo del musicista, una forma di indietronica sobria e attenta alla sostanza che in Sogni lascia il proscenio ad una voce femminile che pare uscita, addizionata di melanina, da un disco dei Baustelle. Il brano che colpisce di più è comunque “As Snow In Harvest”, con un piano che, come in “By This River” di Brian Eno, a successive ondate fa da tappeto ad una melodia malinconica ed autunnale. Disco curioso (in tutti i sensi) e riuscito, nome da tenere d'occhio. Contatti: www.9-9.it Alessandro Besselva Averame Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Al Fabris Bianco Ponderosa/Audioglobe Alberto Fabris non è un nome nuovo per queste pagine: già autore, cantante e chitarrista nei Blend, dotato di una vocazione eclettica che lo ha spinto ad occuparsi tra le altre cose di acid jazz e di cantautorato (ha collaborato spesso in studio con Pacifico), Fabris ha percorso negli ultimi anni una strada che lo ha portato a lavorare come assistente di studio di Ludovico Einaudi e a dedicarsi all'elettronica sperimentale. “Bianco” è il suo debutto a nome Al Fabris: una raccolta di brani strumentali legati ad un concept sul colore bianco e la sua percezione ideato insieme allo stilista Saverio Palatella, al centro di una performance newyorkese svoltasi la scorsa estate. Tra gli ospiti, i gemelli Pace (Blonde Redhead) e il violoncellista Marco Decimo, già al fianco di Einaudi. Le composizioni si svincolano agilmente dall'evento cui sono legate, elaborando tenui partiture elettroniche che inglobano nel proprio tessuto gli strumenti tradizionali, riuscendo allo stesso tempo a svincolarsi da facili riferimenti e dalla tentazione di produrre partiture troppo astratte. Il crepitio dei ritmi non prende mai il sopravvento, e l'afflato melodico non diventa mai troppo scontato, aprendosi una strada sicura tra le architetture neoclassiche di Murcof e il minimalismo di derivazione post rock dei To Rococo Rot, con i quali (con il percussionista Ronald Lippok in particolare) il Nostro ha in cantiere una collaborazione dall'imminente sbocco discografico. Contatti: www.ponderosa.it Alessandro Besselva Averame Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Alfa Nefer Maschere e deserti Lady Music Questo quintetto di Livorno, attivo dal 2006 con il monicker Alfa Nefer (dall’egiziano: armonia, luce, bellezza), ma i cui componenti vantano precedenti e costruttive esperienze, arriva al debutto con “Maschere e deserti”, puntellato su una formazione ideale per un rock multicromatico, ovvero il classico triangolo strumentale con cantante, più le tastiere ad arricchire il sound (e ci riescono molto bene, va detto). Come spesso accade per band giovani, le intenzioni teoriche sono sempre superiori alla svolgimento pratico: infatti, a leggere il loro MySpace, gli Alfa Nefer ambiscono a un rock originale, fatto di elementi fondamentali e già noti, ma sviluppato con una sensibilità personale. Purtroppo, ascoltando le undici tracce che alimentano il CD, solo raramente l’obiettivo viene centrato. Non che “Maschere e deserti” sia deludente, tutt’altro, ma scorre sui binari di un rock a strati, ora progressivo con echi dei PFM più vicini alla canzone, ora al pop adulto di scuola italiana, ora circondato da ampollosità di stampo prog-metal. La voce di Alessio Consani ha gli attributi giusti per esaltare le impennate strumentali che alimentano “Il fato dei padri”, “Voodoo”, l’incedere hard pop di “Contessa”, “Luna”, l’ambiziosa title track e “Attimi”, sostenute da testi mai banali e da una chitarra più originale in veste solista che come ritmica. Come per molte band giovani, il problema è quello di voler fissare istantanee di tutto ciò che si scrive, mentre una maggior selezione avrebbe prodotto un mini CD di grande impatto. E sono convinto che gli Alfa Nefer sappiano con certezza quali brani avrebbero dovuto scegliere. Esatto ragazzi, gli stessi proposti nella vetrina del MySpace. Contatti: www.myspace.com/alfanefer Gianni Della Cioppa Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Claudio Valente Un po’(p) più adulto Top Music/Self Art Déco, Circle, Festamobile, Telegram: queste le principali esperienze del mestrino Claudio Valente, che con “Un po’(p) più adulto” rompe gli indugi ed esordisce in proprio sulla lunga distanza (c’era già stato un EP un paio d’anni fa). Il disco – disponibile anche in vinile con CD allegato – preso nel suo insieme offre una dimostrazione pratica decisamente convincente di quello che il suo autore definisce, appunto, “pop adulto”: un universo sonoro in cui convivono tanto strumentazione tradizionale quanto loop e lievi pennellate di elettronica, sassofoni e chitarre, archi ed elettricità; non ci sono regole, insomma, ma tutto è al servizio delle canzoni, degli stati d’animo che comunicano e delle storie che raccontano. Qua e là si possono sentire echi del cantautorato più intimista, di Roberto Vecchioni come del glam e persino dei Postal Service, ma sono solo momenti, assimilati da Valente all’interno di uno stile che riesce a risultare organico nel suo essere multiforme. Magari, venendo ai testi, qualche immagine non è del tutto a fuoco, ma nel complesso l’album suona solido e maturo, ennesimo tassello di quel colorato e affascinante mosaico che è la canzone d’autore (pop) italiana contemporanea. Contatti: www.myspace.com/claudiovalente Aurelio Pasini Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Dany Greggio & The Gentlemen Dany Greggio & The Gentlemen NDA Press/Interno 4 L’esordio del riminese Dany Greggio e dei suoi ottimi Gentlemen è una bella operazione musical-letteraria. Accompagnato da una confezione che è riduttivo definire booklet a opera di Gianluigi Toccafondi, l’album è un concept di un’ora e un quarto. Anche a costo e a rischio di una qualche sovrabbondanza, il musicista di nascita sudafricana ha messo in fila pietanze ricche e gustose. Cerchiamo di scomporre gli ingredienti: “Sisifo”, ispirato a Camus, è un canto dall’incedere sgangherato, etilico e in bassa-fedeltà, in perfetto stile-Capossela, mentre “Ode marittima” ci dona oceani di solitudine e nostalgie americane alla Bubola. In perfetta coerenza con i primi due riferimenti, “I tuoi vestiti” rievoca naturalmente De André, “Magnani la rossa” ci porta dritti da Tom Waits. Delineati i padri nobili, va detto che Greggio e i Gentlemen, che sono Atto Alessi (contrabbasso), Simone Zanchini (fisarmonica) e Vincenzo Vasi (vibrafono, theremin), non si fermano a essi. Una dilatata e ipnotica “L’incontro” omaggia Piero Ciampi quasi fosse rifatto da Tim Buckley, “Lettera all’anima” è dedicata a Bernardo Soares (alias Fernando Pessoa) e “Vita agra” è un talkin’ ispirato a Luciano Bianciardi. E non finisce qui, se ci aggiungiamo “Circumgasse”, un valzer albanese cafone, e i nove minuti della mini-opera “Canzone a Isa”, che sceglie un punto nel quale si incontrano Antony, Peppe Voltarelli e Astor Piazzolla. Come si vede, un vasto spettro di sollecitazioni culturali, musicali e poetiche per la terza uscita della NdA/Interno 4 di Massimo Roccaforte. Contatti: www.ndanet.it Gianluca Veltri Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Eva Mon Amour Senza niente addosso
 29R/Self Nel 2008 esce un EP a nome Eva Mon Amour, con tre brani in scaletta. Al suo interno, una “Indi” che già mostra quelli che saranno i caratteri fondanti della proposta musicale della formazione romana: orecchiabilità, testi funzionali alla melodia ma in possesso di una propria dignità letteraria, convivenza felice tra aspirazioni autoriali e istanze fondamentalmente rock. Una formula replicata nel primo full-length della band, uscito a gennaio di quest'anno, da un programma che ci pare richiamare nell'approccio alla scrittura – ma non nell'estetica – figure di primo piano della scuola romana dei cantautori (su tutti, Niccolò Fabi, soprattutto nell'iniziale “See You Soon”) ma che è anche capace di momenti malinconici (“In mezzo al petto” e “Sempre più spesso”) dal piglio decisamente originale. Chitarre elettriche, Hammond, Fender Rhodes, basso, batteria la strumentazione, declinata alla bisogna in caute accelerazioni in stile Radiohead prima maniera e in parentesi distorte senza troppe pretese, crescendo graduali e picchi di intensità apprezzabili. Materiale che, in tutti i casi, ha il pregio di suonare radiofonico ma al tempo stesso di buona caratura, friendly ma nel medesimo istante sufficientemente solido da reggere sulla distanza. Contatti: www.myspace.com/evamonamour Fabrizio Zampighi Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Fabryka Istantanea Godz Nella discografia, tra i critici ed ormai anche tra gli ascoltatori c’è una grande diffidenza preconcetta verso i gruppi tra elettronica e pop con cantante femminile: colpa della sbornia anni ’90, in cui il seme lanciato da Bristol è stato abbracciato e poi, come spesso succede, inflazionato, banalizzato, svalutato. Musica che doveva essere avventurosa è diventata presto cliché zuccheroso, o giù di lì. In effetti ai Fabryka si può rimproverare una mancanza di spigolosità, soprattutto nella voce di Tiziana Felle: si adagia sulla melodia, la abbraccia, non canta mai contro. Ce ne sarebbe bisogno: perché l’impasto strumentale del gruppo pur pescando a piene mani dall’elettronica – anche quella non banale – non ha il coraggio di essere irregolare come nel caso, tanto per fare un esempio, dei migliori Lamb. Però “Istantanea” a questi difetti aggiunge anche molti pregi: vero, non è un disco geniale ed imprevedibile, ma in più di un caso le linee melodiche ed armoniche sono costruite con gusto, e in generale si suona e si arrangia con grande preparazione tecnica. Roba da serie A, non stiamo relazionando tutto al livello medio da underground italiano, sia chiaro. Per spiccare il definitivo salto di qualità non devono accontentarsi di un materiale come quello racchiuso in questo album, ma imparare a lavorare di più sugli spigoli compositivi, soprattutto per quanto riguarda l’accento ritmico: più sorprese e meno Üstmamò/Madreblu/eccetera. Li terremmo d’occhio, comunque. Hanno stoffa. Non ci sorprenderemmo a vederli in futuro giocare da protagonisti nel pop nostrano, se il pop nostrano avrà la forza e la decenza di diventare un posto migliore, non popolato solo da sepolcri imbiancati sanremesi, da rocker uguali a se stessi da decenni, o da cantanti romani con la voce da papero. Contatti: www.fabryka.it Damir Ivic Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Fine99 Fine99 Music Manor Chissà, forse un giorno ricorderemo questi anni come quelli in cui elettronica e punk rock hanno iniziato ad andare d’amore e d’accordo. In attesa di risposte che solo il tempo saprà fornire tanto vale che parli chiaro subito: non sono un fan di questo genere di unioni. Questo ha condizionato il mio approccio all’esordio dei Fine99, band che cita tra le proprie influenze Refused –ma chi non lo fa al giorno d’oggi? – e Funeral For A Friend. Devo dire però che alla fine dei dodici episodi che compongono il lavoro del combo bresciano mi sono in parte ricreduto. Anzitutto perché si è tentata la carta dell’italiano, una lingua solitamente penalizzata con queste sonorità ma che in questo caso risulta credibile ed efficace. Quando nella costruzione dei pezzi prevalgono le chitarre, come ad esempio in “Il fuoco che brucia dentro”, il risultato è più godibile rispetto ad un brano come “Tradito”, in cui i campionamenti sfiorano il fastidio. Il meglio e il peggio? Tutto nello spazio di due brani: “La ballata del lumacotto” sembra un outtake dei Timoria, e non è un complimento, mentre “Fuori dalla finestra” e le sue repentine accelerazioni conquistano al primo ascolto. Il momento, con la parola “emo” che rimbalza in tutti i media, potrebbe esser loro propizio. Se sapranno approfittarne spetta a loro e alla fortuna. Non sarebbe nemmeno poi tanto male. Contatti: www.myspace.com/fine99ninetynine Giorgio Sala Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Fuzz Orchestra Comunicato n° 2 Wallace/Bar La Muerte/Boring Machines/Escape From Today/Dizlexiqa Più che l'idea, interessante ma di certo non originale, ovvero l'inserimento di campioni sonori estratti da film in strutture musicali più o meno complesse, a essere decisivo è lo svolgimento. Rispetto all'esordio omonimo di un paio d'anni fa, i lombardi Fuzz Orchestra (due componenti dei Bron Y Aur, Luca Ciffo e Fabio Ferrario, con il batterista Marco Mazzoldi, ospite aggiunto in questa occasione il jazzista Edoardo Ricci al clarinetto e al sax) potenziano la loro visione gestendo le spinte espressive e creative con una maggiore disinvoltura e padronanza dei mezzi. Il suono si potenzia, e il nome del progetto trova perfetta corrispondenza nelle distorsioni di una chitarra a volte così cupa e doom da sembrare un basso filtrato attraverso un pedale. L'esperimento amplia il proprio raggio d'azione a dire il vero, con un paio di esiti particolarmente interessanti: Un antico brano popolare, “Focu d’amuri”, rimodellato intorno ad una voce femminile proveniente da qualche vecchio vinile che in coda lascia emergere i propri crepitii, e una cover/rilettura di “Volo magico n. 1” di Claudio Rocchi, che qui, mantenendo la melodia originale, diventa una specie di postmoderna, irreale reinterpretazione dei primi Black Sabbath tagliata con abbondanti dosi di psichedelia. L'attenzione non cala mai, e gli accostamenti non rischiano mai la prevedibilità, ma forse l'apice il disco lo raggiunge con la intensità desolante di “Luglio 01”, una brezza di rumore bianco che spazza tutto, lasciando aggrappati al terreno una batteria costante e solida e i voli laceranti del sax. Contatti: www.fuzzorchestra.com Alessandro Besselva Averame Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Graziano Romani Between Trains Freedom Rain Con “Between Trains” Graziano Romani, uno dei maggiori rocker di casa nostra, propone il suo personale tributo alla storia della musica che più ha amato, ascoltato, cantato e vissuto. Un album che arriva dopo l’esperienza del disco italiano “Tre colori” e che offre l’opportunità di conoscere brani davvero nascosti di quei musicisti che a tutti gli effetti compongono la spina dorsale del sound che ha accompagnato le nostre vite. Il progetto denota una grande cultura musicale e contiene delle vere perle. Si parte con i Fairport Convention e “Genesis Hall”, non proprio nelle mie corde, ma si arriva subito alla struggente “Between Trains” di Robbie Robertson, rock ballad chitarra, basso e batteria interpretata con una potenza vocale unica. “The Living End” di Judee Sill scorre via veloce con un bell’assolo di chitarra a fare da ponte ed è seguita da “Sound Of Free” di Dennis Wilson, non troppo convincente. La rivisitazione di “Mutineer” (Warren Zevon) è invece da brividi, come quella della intramontabile vanmorrisoniana “Brand New Day”, impreziosita da un violino perfetto a fare da contorno. “Wichita Lineman” di Jimmy Webb passa abbastanza inosservata mentre “Don’t Fall Apart On Me Tonight” del sommo Dylan sembra fatta apposta per le poderose corde vocali del Nostro. Armonica, voce e via, su queste strade Graziano ha pochi concorrenti in Italia. La romantica “Grace Darling” (Strawbs) è completamente incentrata sul violino e sulla voce, “White Shadow” (Peter Gabriel) appare un po’ macchinosa e la solitaria “Last Chance Lost” di Joni Mitchell offre un senso di solitudine toccante. L’omaggio a Springsteen è una coraggiosa versione di “Real World” che strizza l’occhio al blues, mentre il finale è affidato alla stupenda e corale “Struggling Man” di Jimmy Cliff. Un bell’album, ben suonato e interpretato da Romani (anche produttore) e dalla sua band. Contatti: www.grazianoromani.it Marco Quaroni Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Johnny Grieco I’m Cool Le Silure d’Europe/Snaps È senza dubbio un periodo di grande creatività questo per Gianfranco “Johnny” Grieco. Non contento di aver ridato vita alla sua creatura musicale più celebre, i Dirty Actions, ora l’artista si ripresenta con un nuovo lavoro, un EP a suo nome, per molti versi complementare rispetto a quanto fatto con la band. Se là infatti il contesto è tipicamente punk/rock’n’roll, le cinque canzoni qui raccolte si appoggiano esclusivamente sull’elettronica. Un’elettronica umanissima, però, sporca e di pancia, all’apparenza povera ma in fin dei conti perfettamente funzionale a quello che è il risultato prefigurato, ovvero dar vita a un rock mutante, sintetico nella forma, ma anche carico di un’energia e di un sudore che di meccanico non hanno assolutamente nulla. Verrebbe la tentazione di tirare in ballo i Suicide, ma più come approccio generale che come influenza sonora pratica: anche qui infatti il clima è teso, nervoso, inquietante quasi. Sulle basi create da drum-machine e tastiere assortite, poi, Grieco più che cantare parla, e urla il proprio disagio per un mondo sempre più alienante e inumano. E, se in effetti la title track è un po’ più lunga del dovuto, altre critiche al progetto non ci sentiamo di farle. Consigliato soprattutto – ma, naturalmente, non solo – a quanti non riescono a immaginare come gli aggettivi “post-industriale” e “sanguigno” possano convivere. Contatti: www.myspace.com/dirtyactions Aurelio Pasini Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Lebowski The Best Love Songs Of The Love For The Songs And Best
 Valvolare/Bloodysound/Stonature/Lemmings Non fatevi ingannare dal titolo evidentemente ironico e da quel profilo un po' da loser che spicca nelle foto di copertina: i marchigiani Lebowski sanno il fatto loro. Che li si giudichi partendo dai testi meravigliosamente surreali – attenzione: “surreali”, non “demenziali” – che fanno da filo conduttore alla musica o dalla girandola di chitarra, basso, batteria e tastiere in bilico tra Liars, One Dimensional Man e Gang Of Four che ne costituisce l'ossatura, il discorso non cambia. Spanciarsi su dei Devo millimetrici e taglienti tra improbabili parabole di vita vissuta o viaggiare di gusto su ritmiche in controtempo e nonsense in forma di verso o narrazione, non è poi così difficile nell'universo strampalato della band di Jesi. E allora “Church Of Fonz!”, con il suo travestitismo post-punk che è anche un puntare il dito contro le posizioni talebane della chiesa cattolica in fatto di omosessualità – da applauso il verso “ormai la mia chiesa è il bancone dell'Arci” –, “Zuber Buller”, storia di un tentato suicidio finito male, “Didier e il suo cesto di droga”, sorta di trasposizione della favola di Cappuccetto Rosso ai tempi di Gomorra, con tanto di dilatazioni psichedeliche in chiusura. Fuori fase come il personaggio a cui la band si ispira per la ragione sociale ma al tempo stesso dotato di un razionalismo da perfezionisti, l'esordio dei Lebowski – prodotto da Giulio Favero – si appresta a scalare la nostra personalissima classifica di inizio anno, col rischio di aggiudicarsi in un battibaleno il primo gradino del podio. Contatti: www.myspace.com/lebowskiband Fabrizio Zampighi Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Leitmotiv L'audace bianco sporca il resto La Fabbrica Non nascondiamo la nostra simpatia per quei gruppi che amano saltabeccare da un genere all'altro, mescolando le idee e i registri, incasinando i riferimenti con anarchica precisione e con pratica costante. I brindisini Leitmotiv appartengono senz'altro alla categoria e hanno trovato nel conterraneo Amerigo Verardi il complice ideale delle loro macchinazioni, una guida discreta ma pronta a valorizzare una sottile vena psichedelica che permea le contaminazioni sonore documentate nelle sedici tracce – alcune delle quali costituite da brevi intermezzi – di questo promettente debutto. Difficile fare l'inventario delle spezie senza dimenticarsi qualcosa: diciamo subito che l'entusiasmo per le possibilità di una mente aperta e onnivora a volte fa dimenticare la troppa carne al fuoco e rifiniture a volte un po' frettolose, e che brani come l'introduttiva e parlata “Balocchi”, favolistica nel suo evocare stupori e ricordi d'infanzia, una “Nuhar” in due parti che mescola indie-rock chitarristico e visioni mediorientali, e la ballata storta, in odore di dEUS, di “Vizi privati, pubbliche virtù” sono i momenti d'eccellenza, mentre le dialettali “Donca” e “Acqua di luna” paiono in confronto assai più convenzionali, e il rap sui generis, attraversato da sprazzi di medioevo, di “Magno gaudio populi” poco più che una curiosità. Nel complesso, comunque, se non fossimo stati abbastanza chiari, sono l'entusiasmo e il talento ad avere la meglio, aprendo orizzonti di un futuro parecchio promettente. Contaitt: www.leitmotivonline.net Alessandro Besselva Averame Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Lou Dalfin Remescla Musicalista Sergio Berardo è da sempre nemico delle barriere culturali. Si può infatti tranquillamente affermare che ha passato buona parte della sua carriera musicale, soprattutto quella a nome Lou Dalfin, cercando di ibridare la tradizione occitana coi suoni del rock. Con questa premessa non stupisce quindi l'uscita di “Remescla”, che altro non è se non un'esplorazione nel mondo dei remix usando come base “I virasolhels”, l'ultimo album della band. E quale scelta migliore che affidare la produzione alle sapienti mani dei Feel Good Productions? Del resto un duo che fa base nelle langhe per mischiare i suoni di Bombay con quelli di New York sembra perfetto, e ha fatto la differenza. La scelta dei remixer infatti è stata davvero oculata, e fin dalla “Sem encar ici” di Ahilea, trasformata in un quasi-tanto alla Piazzolla, il viaggio si fa affascinante. Si passa così da Parigi, dove troviamo il dub etnico di Çoza Djaati su “La Maire” per spingerci fino all'estremo oriente dove DJ Code rilegge “Borreia” inserendovi beat ed echi jazz, ma poi si torna sempre a Torino con la drum&bass dei Rollers Inc. In casi come questi l'idea comunque prevale sul risultato finale, ma nonostante qualche brano non all'altezza c'è da dire che “Remescla” funziona, e sentire la ghironda mischiarsi coi suoni di mezzo mondo è sia il segnale di una tradizione che – grazie al lavoro di Lou Dalfin – non vuole rinchiudersi in alcun ghetto, ma anche un'occasione per ascoltare buona musica dimenticandosi per una volta di qualsiasi preconcetto. Contatti: www.loudalfin.it Giorgio Sala Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Mauro Mercatanti Band Sano come un sushi Anomolo È Giorgio Gaber il canone di riferimento della Mauro Mercatanti Band. È il teatro-canzone, e va da sé che non sia il disco, ma lo spettacolo dal vivo, luogo d’elezione di un progetto artistico siffatto. Momento di maturazione ― siamo al terzo disco ― e insieme snodo di dichiarata sofferenza umana e artistica per le sorti italiane odierne, Mercatanti e band fanno del gioco la lente per decifrare la realtà. L’arma dell’ironia, non demenziale, serve a Mercatanti per sferzare le coscienze assopite, per sottolineare i vizi della nostra società, avvelenata da un male che sembra non avere cura. “Giochiamo” suggerisce un’allegoria calcistica tra condizioni e intenzioni: tanta prosopopea sulla bellezza di giocare, la doccia eccetera, e poi... nessuno ha portato il pallone. “Paura” e “Fatima” lasciano trasudare lo spavento che ci opprime, oscuri presagi e scricchiolii (il verso “non vedo l’ora che faccia mattina” sembra una perifrasi dell’eduardiano “ha d’a passà ‘a nuttata”), mentre “A Frisco prima del Big One” è un piacevole rhythm & blues sfottente e ancheggiante. E comunque, non manca un certo buonumore e la capacità sorridere, anche se “il mondo se ne fotte allegramente delle tue preferenze”. Frequenti gli intermezzi e i frammenti citazionisti (Troisi, tra gli altri), che immettono il lavoro in un reticolato fluttuante. Alcuni segmenti “spoken” sono sorretti da sottofondi liquidi. Non si comprende perché in un album che molto confida nel valore delle liriche non siano pubblicati i testi nel booklet (peraltro ben curato); ma tant’è. Finale con “Mattiniera”, valzerino nostalgico. L’album è scaricabile gratis dal sito della label. Contatti: www.anomolo.com Gianluca Veltri Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Monoma E.le.menti autoprodotto Promotori di un approccio interdisciplinare che trae ispirazione dal cinema, dalla pittura e dalle fotografia, i Monoma si sono imposti tra i gruppi più dinamici nel panorama delle autoproduzioni, pubblicando ben tre album tra il 2003 e il 2007, con circa 3.500 copie distribuite, non soltanto nella zona di Roma. Oltre che in sala d’incisione, la loro creatività si esprime anche sul web, come dimostrano le pagine del loro sito (piccolo gioiello di animazione in flash) su cui è anche possibile visionare il surreale videoclip di “Portamento”, brano tratto dall’album “Cabaret meccanico?”. Con “E.le.menti” – quarto capitolo della sua vicenda artistica, già in vendita da alcuni mesi – la band mette a fuoco uno stile che ama definire ”Elettronica d’autore”: canzoni a tutto tondo la cui indole sostanzialmente pop è declinata in episodi ammiccanti (come “Kometa” e “Nuovo mondo”, mai scontate per quanto efficaci), oppure in momenti di enigmatico intimismo (“Falena”). Menzione particolare merita inoltre la confenzione del CD, riprova ulteriore dell’inventiva del terzetto romano; il dischetto è infatti racchiuso in una copertina di cartone a forma di goccia che, una volta aperta, si trasforma in un simpatico piedistallo sagomato. Contatti: www.monoma.com Fabio Massimo Arati Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Nagaila Live 08 autoprodotto Fra i vari talenti non pienamente espressi di cui è disseminato l’underground italiano va sicuramente menzionata Nagaila Calori: ormai sono anni che è in giro, ha anche uscite discografiche alle spalle, momenti in cui sembrava dovesse svoltare, eppure è ancora confinata nella nicchia delle recensioni-ogni-tanto sul web, dei concerti episodici e concentrati soprattutto nella sua zona geografica, di una notorietà molto ma molto ridotta. Viene da chiedersi come questo sia possibile, vedendo questo prezioso (e impegnativo) “Live 08”, un CD+DVD dal packaging assai raffinato e curato, e soprattutto sentendolo: una voce curata, dal bel timbro, tecnicamente inappuntabile, in grado di salire in alto nelle ottave senza mai perdere il controllo, e con anche la qualità e l’intelligenza di non esagerare coi virtuosismi tecnici; ma oltre alla voce c’è pure il fatto, importante, che le canzoni che canta Nagaila le scrive, non è solo una brava turnista vocale tra jazz e pop come ce ne sono molte. Le scrive pure bene, soprattutto dal punto di vista del pentagramma, così come gli arrangiamenti (pop acustico di classe) sono più che indovinati. Ecco, le piccole critiche possono esserci sul fatto che i testi potrebbero avere più personalità, così come – il dvd ci permette di controllarlo – la presenza scenica. Ma sono sfumature. Se ci indugiamo è solo perché proviamo a darci una spiegazione del perché la Calori non sia già un nome importante per lo meno nell’indie nostrano. Forse è troppo educata, musicalmente e caratterialmente. Forse non è a sufficienza sporca&cattiva, forse è troppo minuziosamente attenta a fare le cose per bene, senza liberare quel che di selvaggio e sensuale. Forse. Ma forse molto semplicemente non è stata finora assistita dalla fortuna, e per intanto quello che noialtri possiamo fare è dare un ascolto e una visione a questo bel progetto: garantiamo che ne sarete appagati, è materiale di qualità assolutamente sopra la media. Contatti: www.myspace.com/nagaila Damir Ivic Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Nina The Black Mill ConcertOne/Edel Se c’è una cosa inspiegabile e sorprendente con cui bisogna sempre fare i conti è la continua capacità di sorprendere che è propria della musica. Accade poi, seppur con minore frequenza che sia la persona, non solo il suono, ad accendere scintille di interesse e sorpresa. È il caso di Nina Ricci, arrivata al debutto nel 2008 vantando un curriculum da lasciare interdetti. Talento precoce con impostazione lirica, Nina nel corso degli anni deve aver trovato i confini di genere troppo limitanti, (s)cavalcando di volta in volta nuovi sentieri: la disillusione dolceamara di certe vocalist jazz, l’energia sorniona del soul, la teatralità, la ricerca. La ricerca, giustappunto, non di una identità tra queste, ma di uno stile nuovo che fondesse di ciascuna di esse il buono e l’inesplorato. In tal senso, trova la sua ragione che questo “The Black Mill” sia arrivato solo dopo anni, quasi a farne un mirabile punto e a capo. Dei dieci brani contenuti nel disco, non uno suona fuori posto. Si passa da ritmi tipicamente bristoliani (“Where Are You?”) alle atmosfere fumose e jazzy di “Let The Rain Fall”. Nina non ha paura di mostrare della stessa medaglia le due facce, diverse eppure uguali (il clangore di “Miss X”, la dolcezza di “A un solo passo”). Anche la cover di “Sign O’ The Times” di Prince, su cui sarebbe stato facile scivolare, mostra di sapersi adattare alla perfezione tra i solchi di un album ombroso e non scontato, che pure non rinuncia al gusto per la melodia. Ed è con dischi come questi, artiste come Nina, che vogliamo pensare al panorama musicale italiano attuale. E la sconsolatezza cede il posto alla speranza. Contatti: www.myspace.com/ninatheblackmill Giovanni Linke Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 The Acappella Swingers Let’s On Doo-Wop! Waterbirds Parlare male di “X Factor” è un tiro al piccione a cui, bene o male, prima o poi hanno partecipato tutti. E non senza buone ragioni, intendiamoci. Eppure, messe da parte (per poi dimenticarsene per sempre, si spera) le varie Giusy Ferreri, qualcosa di buono rimane, anche se magari si è visto per una sola puntata. È questo il caso degli Acappella Swingers, che hanno fatto della loro unica apparizione al celebre programma un trampolino di lancio per una carriera che ci auguriamo ricca di soddisfazioni. L’ensemble catanese merita infatti attenzione e riconoscimenti per il rispetto, il buon gusto e la classe con cui si rifà ai propri modelli, nello specifico quelli del doo-wop; senza strafare o sembrare troppo passatista o affettato, ma con curiosità e amore. E, per farlo, il quintetto si serve solamente delle proprie voci (tre maschili e due femminili), mescolandole, intrecciandole, creando con esse accompagnamenti avvolgenti e lasciando che, a turno, ognuna giochi il ruolo di solista; sfoggiando una notevole tecnica, certo, ma sempre al servizio delle canzoni. Alle prese con un repertorio composto tanto da composizioni originali in inglese quanto, soprattutto, da riprese di brani classici (“Moon River”, “Banana Boat Song”, “Lollipop”), gli Acappella Swingers non solo convincono, ma divertono anche, e non poco. Tutt’altro che una semplice curiosità, insomma, ma una realtà che sembra avere basi sufficientemente solide per poter durare nel tempo. Contatti: www.theacappellaswingers.it Aurelio Pasini Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 The One's The Debut Of Lady June Forears Americani roots fino al midollo pur essendo di Napoli, ma anche sensibili ad una certa immediatezza power pop che porta scritto nel DNA, fatte le dovute differenze e stabilite le doverose gerarchie, il nome dei Big Star, i The One's hanno prodotto un disco d'esordio che arriva immediatamente nel luogo in cui si è prefisso di arrivare: senza voler sembrare troppo retorici, parliamo del cuore dell'ascoltatore. Questo non significa che tutto funzioni a pieno regime: la scrittura è limpida ma a volte forse ancora un po' ingenua, e scivola di tanto in tanto su qualche pozzanghera di miele (“Kathy And Me”, pianistica e davvero un po' retorica). E purtuttavia non è possibile restare indifferenti all'ascolto della veloce e travolgente “All Night Bar”, con quei ritornelli sottolineati e lanciati per aria da una sezione fiati precisa e puntuale e un assolo di chitarra che non lesina le note ma le raggruma con essenziale compostezza, l'incalzare country tutto spazzole e corde veloci di “Dream”, l'attacco neilyounghiano di “Brown-Haired Girl”, la ballata languida e pianistica, con efficace armonica malinconica, che prende il nome di “I Haven't Lost My Hope, Yet”. Resta il solito, vecchio e probabilmente inevitabile dilemma, ovvero dove finisce la maniera e dove inizia l'ispirazione. Dilemma che lasceremo ancora una volta sospeso, preferendo soffermarci sul songwriting promettente e talentuoso del gruppo. Contatti: www.theonesband.com Alessandro Besselva Averame Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 The Saint Four With The Saint Four EP El Cortez Records Dopo i Satellite Inn, dopo alcuni progetti estemporanei ma estremamente godibili come Gold Rust, Stiv Cantarelli torna con un nuovo nome d’arte, The Saint Four, e una musica potente ed espressiva che richiama tanto Neil Young quanto quella tradizione americana portata avanti negli anni attraverso gruppi e reincarnazioni. “With The Saint Four EP” esce per la statunitense El Cortez Records – etichetta di Willy Vlautin e Richmond Fontane – come già i Gold Rust e come antipasto è fin troppo breve. Insomma, sono cinque canzoni molto belle che riflettono appieno un’attitudine, una filosofia, una storia musicale che da queste parti viene apprezzata andando oltre l’aspetto della citazione (qui, va detto, mai fine a se stessa). Comincia con una sparata country-punk alla Uncle Tupelo come “The Country You Were Born” e continua con una “Fades And Dies” sembra uscita dai migliori Whiskeytown, “Disco Queen”, invece, è Nashville allo stato puro tanto quanto “Don’t Hang On Me” e “The Killer” richiamano le due anime di Neil Young. Ballata malinconica la prima, sfuriata elettrica la seconda. Si prevedono grandi cose. Stiv Cantarelli è sempre stato sottovalutato dalla stampa e dal pubblico underground italiano (...chi si ricorda i Satellite Inn? Io li ho pure visti pseudo-insultati ad un concerto italiano degli Arab Strap) e sarebbe ora che qualcuno se ne accorgesse. Speriamo che l’esordio sulla lunga distanza dei Saint Four possa mettere a posto un po’ le cose. Sarebbe anche ora. Contatti: www.myspace.com/thesaintfour Hamilton Santià Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Tom Moto Junk Lizard/Pick Up/Bft Too many influences: Jazz 17%, Punk, 3%, Funk 5%, Metal 25%, Progressive 5%, Impro(vvisazione) 3%, Juri 46%, JUNK: 100%. Basterebbe questa singolare sequenza, bene in vista sul MySpace della band, per dare un’idea della personalità poliedrica e bizzarra di questo trio che, nonostante l’età relativamente giovane, affronta con coraggio un viaggio avventuroso nei meandri di sonorità imparentate con il jazz e l’improvvisazione in generale. Un percorso non facile, che è frutto di un concepire la musica come sfida e allo stesso tempo divertimento, viatico per la dannazione e la redenzione. Esattamente come Charles Bukowski, il grande scrittore americano, a cui è dedicato questo album: “Junk” infatti cita, anche attraverso delle parti narrate, il capolavoro assoluto “Post Office” (1971), il cui protagonista è Henry Chinaski, alter ego altamente biografico del buon vecchio Charles. Ora se aggiungete che il libro citato è in assoluto uno dei miei cinque volumi da isola deserta ma, lo giuro, non sapevo nulla dell’affare tra i Tom Moto e il disincantato autore dei marciapiedi americani, capirete che si tratta si una sorpresa, una bella sorpresa, che non fa altro che ingigantire il mio interesse verso questo album di esordio. Esordio arrivato dopo tre anni di concerti, accompagnati da un CD-demo ben accolto da critica e pubblico. Se Junk è un personaggio di contorno di “Post Office”, altrettanto non si può dire del “Junk” musicale esposto dalle trombe di Marco Calcaprina, dal basso e chitarra di Giulio Tosi e dalla batteria di Juri Massa (più ospiti vari), che si spingono in sentieri che decodificano jazz, rock e punk. Letterature apparentemente diverse, ma qui fotografate con lucidità, rabbia e persino una certa poesia. Certo, non avventure musicali “da colazione”, ma il vostro coraggio verrà premiato. Tante presunte avanguardie che arrivano da oltre confine avrebbero molto da imparare dai Tom Moto. Contatti: www.myspace.com/tommotoband Gianni Della Cioppa Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '09 Bancale Cinque brani registrati la scorsa estate in uno studio del bergamasco (e ora raccolti in un EP in ascolto gratuito), una visione musicale non inedita ma capace di abitare un immaginario tutto suo. Un immaginario che forse è ancora in fase di definizione, che forse non è ancora maneggiato con esperta padronanza, ma di certo interessante, viva e propositiva. Di che cosa stiamo parlando? Di una forma blues corrotta e italianizzata che deve molto, moltissimo ai Bachi Da Pietra pur senza emularli, trattenendo tra le proprie maglie scorie di Massimo Volume ancora pulsanti, soprattutto nel fluire fluorescente delle chitarre. Forse il malessere che trasudano queste canzoni non è ancora perfettamente codificato musicalmente, di certo è sincero e per questo motivo attendiamo con estremo interesse le prossime mosse del trio lombardo. Contatti: www.myspace.com/ilbancale Alessandro Besselva Averame Thee Piatcions Garage, all’occorrenza diluito in acido. Questa, in estrema sintesi, la proposta dei Thee Piatcions – en passant, ineffabile la ragione sociale, da non saper se ridere o piangere – da Domodossola. Proposta messa bene in chiaro dai tre brani ascoltabili sul loro MySpace, gli stessi disponibili anche su un 7” recentemente stampato dalla Suiteside. Ad aprire le danze è “Fireworks Generation”, scoppiettante proprio come suggerito dal titolo, le cui ascendenze sono facilmente rintracciabili dalle parti di “Nuggets”; ed è più o meno sulla stessa riga che si muove la sbarazzina “Mary Mary”, con organo e chitarra a sostenere la finta ingenuità delle melodie. Più rallentati e dilatati, invece, i tempi di “Homeless Blues”, coi suoi sei minuti e mezzo di paesaggi notturni e sottilmente inquietanti. Un bel biglietto da visita: chi ha il giradischi sa già cosa fare, gli altri dovranno accontentarsi dello streaming, consapevoli – speriamo – che no, non è per niente la stessa cosa. Contatti: www.myspace.com/theepiatcions Aurelio Pasini Pagina 41 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it