Sociologia G, lezioni della settimana 19-21 gennaio 2009
1. L’emergere di nuove diseguaglianze sociali
Accanto ai processi di entrata- uscita verso e da una determinata classe sociale acquistano sempre più
rilevanza da qualche decennio, in Italia e altrove, movimenti e processi che riguardano l’occupazione.
Essi rendono intermittente la presenza sul mercato del lavoro, ovvero impediscono agli individui di
accedervi in tempi relativamente brevi rispetto alla fine della formazione, ovvero di ritornarvi una volta
usciti.
1.1. La crescita dei fenomeni di disoccupazione e inoccupazione è uno dei fattori responsabili di quelle
che
Ranci e Micheli chiamano le nuove diseguaglianze sociali.
L’intreccio di fenomeni, comuni a tutti i paesi occidentali, come
-la crisi del modello industriale fordista e del modello di lavoro stabile continuativo e tutelato che ad
esso faceva capo:
-il progressivo indebolirsi delle strutture familiari e della protezione che esse durevolmente
rappresentavano per i componenti più deboli o inattivi
-l’invecchiamento della popolazione e il suo crescente bisogno di cura (inteso più che nel senso di cure,
o terapia, nel senso di care, sostegno, attenzione, ecc.)
àconcorrono a rendere sempre più statisticamente rilevante un fenomeno che studiosi come Costanzo
Ranci (Le nuove diseguaglianze sociali, 2002 ) e Giuseppe Micheli (Equilibri fragili, 2004) tra gli altri,
hanno definito vulnerabilità.
*Vulnerabilità: situazione di squilibrio o di scompenso generata dall’ inserimento precario nei
contesti (come il mercato del lavoro e la famiglia) che costituiscono i canali di accesso alle risorse
fondamentali dell’integrazione sociale, e altresì dalla povertà delle reti sociali, dall’ esposizione a
sovraccarichi di cura, ecc.
L’analisi della vulnerabilità implica che si ragioni non più in termini di individui ma di famiglie al cui
interno si producono, distribuiscono e consumano risorse e che la dimensione familiare e quella
occupazionale siano considerate nel loro intreccio (work –family system).
Tale intreccio dà luogo a classificazioni assai complesse dove la variabile occupazione viene declinata
in termini di stabilità / instabilità o di mix tra le due (in tutti i casi si fa un bilancio del concorso di tutti
i membri della famiglia che lavorano); in termini di tipo e numero di redditi prodotti ( dove il reddito
viene
distinto in quanto prodotto sul mercato o ottenuto per via di welfare)i.
Quanto alla variabile della struttura familiare essa consente di distinguere tra presenza della coppia e
famiglie monogenitore, tra figli piccoli e figli adulti, ecc. Vedi tabella proiettata in classe
1.2. La condizione di vulnerabilità può essere osservata a partire da tre dimensioni cui fanno capo
trecategorie di individui f e famiglie che possono essere definiti vulne rabili per il loro aver esperienza
di
almeno una di quelle tre condizioni che, secondo Ranci, definiscono la vulnerabilità.
La prima dimensione: insediamento nella precarietà, è tipica di chi vive la precarietà come unica o
prevalente esperienza della vita adulta: sono per lo più immigrati, lavoratori flessibili, madri sole con
figli piccoli, e altri.
La seconda dimensione è quella della destabilizzazione, propria di chi subisce una perdita di risorse,
venendo da un passato lavorativo o abitativo stabile e mediamente garantito: sono definibili vulnerabili
secondo questa dimensione i disoccupati di lungo periodo, le famiglie che hanno subito uno sfratto, i
residenti in quartieri divenuti degradati, le famiglie numerose, le famiglie che hanno uno o più anziani
coresidenti.
L’ultima dimensione è definita dal sovraccarico di cura e comprende gli anziani non autosufficienti, le
famiglie con figli disabili, le famiglie con malati psichici, tutti coloro che, per quanto assistiti dal
welfare o da associazioni di volo ntariato, subiscono una fortissima compressione dell’organizzazione
familiare normale, vedono erodersi le reti sociali, rischiano l’ uscita o il mancato ingresso sul mercato
del lavoro, specie se donne.
Questa classificazione di individui/famiglie vulnerabili, di recente testata su una regione ricca come la
Lombardia (ambito nel quale si è svolta la ricerca di Ranci e Micheli), ha fornito una stima
complessiva di persone vulnerabili pari a circa il 30 % della popolazione della regione.
(*definiamo, in questa ottica, vulnerabile colui che può essere assimilato ad almeno uno dei gruppi
ricostruiti sulla base delle tre dimensioni della vulnerabilità).
Vedi tabella presentata a lezione tratta da Micheli, Ranci, Equilibri fragili
In tutte queste categorie la vulnerabilità si afferma all’incrocio di più condizioni che vedono spesso
implicata l’ età (anziani non autosufficienti, famiglie (numerose) con bambini piccoli , ecc.)
L’avere una certa età non è infatti un mero fatto biologico, bensì una condizione che ci espone a una
serie di opportunità e di vincoli e a una serie di aspettative e di obblighi socialmente normati
In certe particolari congiunture l’essere anziani o giovani individua gli estremi di una condizione a
rischio ( per esempio per gli anziani il rischio oggi riguarda il mantenimento di certi livelli di reddito,
per i giovani l’accesso al lavoro stabile, per gli adulti, specie se donne, il rischio è dato dal
sovraccarico di cura).
Si può dire dunque che l’età è un costrutto sociale in quanto obblighi e aspettative, rischi e opportunità
legati all’età non sono invarianti.
2. Età come attributo multilivello e come costrutto sociale
Alla sociologia dell’età e alla sua più famosa esponente, Mathilda Riley, allieva di Parsons, si deve il
merito di aver mostrato che l’età non è solo un dato biologico o anagrafico, ma anche un costrutto
sociale, e che inoltre non è solo un attributo dell’individuo considerato nella sua singolarità, ma
dell’intera società cui quell’individuo appartiene.
6.1. Partiamo dall’età come attributo non solo individuale ma di una società.
Questa relazione avviene attraverso gli strati di età, che sono gli stock di popolazione che ha una
determinata età in un certo momento storico. In quanto ha una certa età in quel momento,
ciascun individuo contribuisce a dar forma e consistenza quantitativa a un determinato strato di età, che
va a comporre, insieme con altri strati d’età, la piramide d’età di una popolazione.
per cui si può dire che:L’età individua quindi anche l’appartenenza a una collettività “intermedia ”
una vera e propria categoria sociale, in quanto costituisce il serbatoio di risorse e anche di oneri per
ogni società.
Ogni società dunque deve allocare risorse di sostegno e cura, di educazione, di accesso ai vari ruoli, di
riconoscimento simbolico, ecc. che si indirizzino ai vari strati di età tenuto conto non solo della loro
ampiezza demografica, ma anche del peso sociale, economico, politico,. che essi rivestono in quella
determinata società A seconda dei periodi il peso delle varie età può modificarsi (si pensi al
cambiamento della valutazione sociale del ruolo dell’anziano, ma anche dell’adolescente, dell’adulto,
ecc.), così come i confini di età possono slittare, e, ancora possono aumentare le articolazioni interne
aciascuno strato ( anziani e grandi anziani, adulti e giovani adulti, ecc.).
2.2 L’età è un costrutto sociale nel senso che individua una posizione nel tempo cui sono connessi
riconoscimenti di status, aspettative di esercizio di specifici ruoli, osservanza di valori e norme
Di tale collocazione nel tempo possiamo individuare diversi significati:
àIl primo significato sociologico dell’età fa capo al posizionamento in una certa fase della vita
socialmente e storicamente definita. Si può dire che l’età in termini sociologici individua una fase della
vita cui fanno capo azioni, capacità, opportunità, valori, norme, dunque ruoli socialmente definiti e
dunque attesi.Attraverso la socializzazione gli individui passano da un’età all’altra senza traumi e
grossomodo sapendo in anticipino quali saranno le tappe che dovranno superare, le sanzioni formali e
informali che dovranno subire se per qualche ragione non si conformeranno ai vari calendari
predisposti per ciascuna fase della vita (tappe, durate, ecc.)
àIl secondo significato sociologico di età riguarda la collocazione di un individuo nel tempo
storico,indicata dall’appartenenza a una determinata coorte (di nascita, 1983, 1984, ecc) o di ingresso in
un
determinato status ruolo (ad esempio la coorte degli studenti entrati nella specialistica di Sociologia
l’anno in cui è stata aperta).
Per coorte si intende per lo più la coorte di nascita: che è un gruppo di persone nato nello stesso anno (o
in anni vicini) e che invecchiano insieme (anche senza conoscersi).
3. L’appartenenza di coorte
CoorteàGruppo di persone che vivono lo stesso evento biografico
(per lo più la nascita, ma anche l’entrata in qualche status-ruolo) nello stesso momento storico.
L’età individua anche una collocazione nel tempo storico nel senso che essere nato o essere arrivato in
una certa posizione a una certa età e in un certo periodo, espone o sottrae a particolari esperienze (nato
durante la guerra, cresciuto durante la grande Depressione, giovane adulto al momento della caduta del
muro di Berlino, ecc.).
Quando considero la coorte utilizzo un’ informazione che, come per la fase della vita in rapporto allo
strato d’età, è al tempo stesso di tipo micro e macro perché ad un tempo evoca un certo tipo di
socializzazione e di esperienze che segnano la vita individuale, ma il fatto che una determinata età sia
comune a molti individui produce effetti di macro.
Una stessa coorte si presume che abbia mediamente fatto comuni esperienze di transizioni biografiche
tipiche dell’età (es. l’ingresso nella scuola superiore, l’ entrata sul mercato del lavoro) nello stesso
periodo storico e scontando gli stessi vincoli e le stesse opportunità offerti dal contesto.
àLa coorte collega l’invecchiamento degli individui alle strutture sociali che cambiano (vedi anche il
diagramma di Lexis, commentato a Lezione e anche in Bagnasco, nel capitolo sull’età e il corso di
vita)
4. Strati di età e coorti
4.1.Considerato dinamicamente, cioè per il suo andamento nel tempo, ogni strato di età è il risultato del
movimento di diverse coorti.
Attraverso la successione tra coorti (o flusso di coorte) nuovi membri fanno ingresso continuamente in
una società (o entrano in un gruppo), e muovono verso "l'alto" attraverso gli strati di età. Quindi
invecchiano, ed eventualmente muoiono e sono rimpiazzati da membri delle coorti successive.
La società cambia e quindi offre o impone significati e risorse diversi ai diversi ruoli di età; ma anche
le persone che arrivano ai diversi ruoli sono, per esperienze vissute, diverse dalle persone che
le hanno precedute.
La stratificazione per età è uno dei pochi processi che sono universali, inevitabili e irreversibili anche
se i loro effetti individuali e sociali sono parzialmente modificabili da processi di grande
portata, come le migrazioniLa fotografia trasversale mostra anc he come nel succedersi delle coorti si assista a un duplice
dinamismo. La società cambia e quindi offre o impone significati e risorse diversi ai diversi ruoli di età;
ma anche le persone che arrivano ai diversi ruoli sono, per esperienze vissute, diverse dalle persone che
le hanno precedute.
Infine la fotografia ci aiuta a mettere a fuoco non soltanto le differenze di età, ma anche le relazioni tra
età, che si possono capire soltanto dentro specifici contesti di socializzazione ed esercizio dei ruoli (la
famiglia , la scuola, un'impresa, un'organizzazione militare, ecc.).
Per identificare le possibili direzioni di cambiamento è utile utilizzare due tipi ideali: il tipo di società a
massima differenziazione (segregazione) d'età e il tipo di società a massima integrazione. Con la prima,
ad ogni età sono rigidamente connesse aspettative e risorse di ruoli, con relative definizioni di soglie di
entrata, permanenza e uscita, diritti, sanzioni e protezioni; con la seconda si ha la massima flessibilità,
con un'offerta e un'aspettativa di ruoli assai meno rigidamente incernierata sull'appartenenza di età.
E' abbastanza facile individuare l'ambivalenza insita in ciascuno di questi astratti scenari: il primo
scenario implica scarsa mobilità, ma anche maggior protezione e tutela per specifiche categorie di età
(come i bambini o gli anziani) ; il secondo scenario implica maggiore autonomia, ma, proprio per
questo, precarietà e rischio di iniquità.
4.2.Proprio a Matilda Riley e a Bernice Neugarten e alle loro teorie sulle norme di età, apprese e
interiorizzate, oltre che socialmente strutturate si deve la perdita di appeal della teoria della
modernizzazione applicata alle categorie di età.
Una prospettiva di questo genere ridimensiona l'ipotesi che la modernizzazione sempre e comunque
produca perdite e guadagni per i diversi strati di età (O'Rand, 1990); un correlato "classico" dell'ipotesi
della modernizzazione prevede infatti la perdita di influenza e di prestigio degli anziani, portatori per
eccellenza di valori e capacità del passato.
Questa ipotesi in realtà sottovaluterebbe l'eterogeneità e la continua ricostruzione del corso di vita da
parte delle coorti che si succedono nel tempo. Oggi la perdita d'autonomia degli anziani interviene in
una fase sempre più avanzata della vita che ha indotto a coniare lo specifico termine di quarta età (e
corrispettivamente di grandi anziani). Ciò non significa che quella dell'anziano sia attualmente una
condizione di assoluta pacificazione o equilibrio.
Piuttosto occorre considerare la tensione tra le variabili che producono un invecchiamento sociale
accelerato (prepensionamenti, perdita del lavoro, ecc.) e quelle che invece garantiscono e alimentano le
capacità individuali (migliori condizioni sanitarie, aumento della speranza di vita, politiche di
sostegno).
5. Ragionamenti fallaci sugli effetti età/coorte
Non sempre le spiegazioni dei fenomeni che utilizzano il fattore età come sinonimo di collocazione
entro una certa fase della vita, sono quelle corrette. Talora bisogna ragionare in termini di coorte.
Le differenze nelle valutazioni morali o nelle preferenze politiche riscontrate tra giovani e vecchi
possono essere dovute sia al fatto che in vecchiaia si tende ad essere più conservatori che in
gioventù, sia al fatto che le coorti più giovani stanno elaborando nuovi modelli di valore e che perciò
anche quando saranno più vecchie avranno atteggiamenti diversi da coloro che sono anziani
attualmente.
In mancanza di un controllo di entrambe queste dimensioni indicate dall'età (fase della vita e
appartenenza di coorte) si può prendere l'uno o l'altro degli abbagli che alcuni studiosi hanno chiamato
rispettivamente fallacia del corso di vita e fallacia di coorte
6. Coorti e generazioni (un po’ di vocabolario)
I due concetti non sono sinonimi, anche se spesso si dice generazione al posto di corte.
6.1.Ecco la differenza
àCoorte significa collocazione oggettiva e irrevocabile entro una categoria unificata da particolari tipi
di eventi vissuti nello stesso momento.
àGenerazione in senso sociologico evoca invece un comune sentire rispetto a eventi clou attraversati
da un certo gruppo di coetanei, specie, sostiene Karl Mannheim, sociologo tedesco, negli anni formativi
Ci sono tuttavia ulteriori distinzioni da fare
Andiamo per ordine. Dice Mannheim (1928):il fenomeno sociologico della generazione è fondato sul
ritmo biologico della nascita della morte.
Ma, non significa che la appartenenza ad anni di nascita affini sia sufficiente a individuare una
generazione.
à la generazione in sé non si può caratterizzare come un gruppo concreto nel senso di una comunità
, in cui la conoscenza reciproca è presupposto fondamentale e che si dissolve… quando cessa il
rapporto fisico di vicinanza.
Non è neanche paragonabile ad associazioni, ovvero a gruppi costituiti per uno scopo, che hanno come
caratteristica l’atto cosciente di fondazione, l’esistenza di uno statuto e la revocabilità, caratteristiche
che servono a tenere insieme il gruppo in assenza dei legami di vicinanza fisica e di comunità di vita.
Ciò che tiene insieme una generazione cos’è, allora?
àla possibilità di partecipazione a destini comuni i quali possono produrre contenuti di esperienza
unificanti (quindi due coorti con lo stesso anno di nascita, ma nate in contesti molto diversi non
possono produrre al loro interno alcun fenomeno generazio nale). ma quella descritta è soltanto una
generazione “in potenza”.
àLa generazione effettiva è a sua volta quella che si configura attraverso la concreta partecipazione a
destini comuni. Di quella data unità storico sociale ( non tutti coloro che sono nati in un certo periodo
sono ugualmente fioccati dalle vicende di quello stesso periodo).
àInfine l’unità di generazione.
I gruppi che elaborano quei particolari tipi di esperienza all’interno della stessa generazione effettiva in
modo di volta in volta diverso, formano diverse unità di generazione (la generazione della guerra, ad
esempio, ha dato luogo a diverse unità di generazione a seconda di come diversamente si è articolata, è
stato interpretata, fissata nella memoria, tramandata nel tempo, riletta successivamente l’esperienza
bellica da parte dei soggetti schierati dall’una e dall’altra parte).
6.2. Ricordiamo infine che esiste anche un’accezione antropologica di generazione.
In questo caso ciò che fa generazione è dato dalla collocazione in un rapporto di discendenza.
Fare parte di una stessa generazione significa avere la stessa collocazione lungo la linea di discendenza
( la generazione dei padri, dei figli, ecc.) .Appartenere a una generazione diversa
significa invece collocarsi in una posizione sottostante o sovrastante rispetto a un’altra lungo la linea di
discendenza.
I rapporti di discendenza non vanno considerati isolati rispetto ai rapporti tra coorti, in quanto dalla
famiglia e dalle relazioni intergenerazionali possono provenire risorse e compensi a debiti e crediti che
le varie coorti possono aver acquisito le une rispetto alle altre, nel corso dei vari regimi di welfare e
delle relative decisioni di allocazione delle risorse
7. Coorti e mutamento sociale
La vicenda di una coorte è il prodotto congiunto dei processi universali di invecchiamento e di processi
storicamente e socialmente specifici.
7.1.Lo stesso ricambio demografico fa sì che ogni nuova coorte di nascita, in quanto deve apprendere
da capo le regole della società in cui entra/nasce, porti in sé potenzialmente i germi del mutamento
sociale. Ciò significa che ogni coorte sarà diversa dall’altra, per motivi strutturali e anche culturali,
anche se i processi di trasmissione di valori da una generazione all’altra garantiranno una certa
continuità e permanenza nel tempo del modello culturale di riferimento.
Con riferimento alle coorti di nascita un fattore cruciale di diversità tra una coorte e l’altra è dato dalla
diversa ampiezza demografica (numerosità ) delle diverse coorti (su questo vedi anche Bagnasco,
paragrafo su La dimensione delle coorti e l’effetto Easterlin).
7.2 Ogni coorte consegna a quelle che la seguono una società mai perfettamente identica nel tempo.
Quando questi fenomeni sono accompagnati da mutamenti sostanziali (condizioni di
sopravvivenza delle coorti: guerre, pestilenze, carestie, o miglioramenti nelle condizioni alimentari e
igieniche, ma anche immigrazioni o emigrazioni) nei sistemi produttivi ed economici e negli assetti
politici e istituzionali, le differenze tra le coorti in termini sia di durate che di calendari di vita
divengono più visibili.
àI processi legati all’avvicendamento delle coorti richiedono di tener conto delle conseguenze di
lungo periodo di comportamenti messi in atto da una particolare coorte (si pensi ai fenomeni legati
ai comportamenti procreativi, come quelli espressi dal baby boom degli anni sessanta e
successivamente dal drastico calo delle nascite avvenuto in Italia dalla metà degli anni settanta in poi).
In questo modo si disegnano scenari di squilibrio tra le diverse classi di età per diversi decenni a venire.
11.3.Ciascuna coorte reagisce alle proprie circostanze; ma ciò facendo disegna lo scenario per quelle
successive. Ciascuna coorte lascia il segno, sia perché consuma o accumula risorse per quelle
successive, sia perché con i suoi comportamenti, modifica i margini di libertà delle altre coorti.
Esempio: l’entrata dilazionata nel mercato del lavoro, e la connessa concentrazione sia della
disoccupazione che dei rapporti di lavoro atipico nelle fasce di età giovanili àeffetti sulle successive
età e sul corso di vita delle coorti coinvolte.. anche tensioni e conflitti tra strati di età e nel passaggio da
uno strato di età all’altro: spesso i conflitti tra coorti vengono compensati a livello familiare (esempi
fatti in classe) La famiglia diventa quindi una sorta di stanza di compensazione di squilibri e tensioni
nei rapporti tra gruppi diversi di età.