Linguaggio, significato e condizioni di verità scheda 1 Sandro Zucchi 2013-14 Supponiamo di voler descrivere un linguaggio, l’italiano ad esempio, cosı̀ com’è ora. Una cosa che dobbiamo fare è elencare le parole del linguaggio e spiegare come queste parole possono combinarsi tra loro per produrre gli enunciati del linguaggio. Dopotutto, in italiano, cosı̀ com’è ora, l’enunciato (1-a) è grammaticale, mentre l’enunciato (1-b) non lo è; dunque una buona descrizione dell’italiano deve classificare (1-a) come grammaticale e (1-b) come non grammaticale. Un linguaggio che usasse le stesse parole dell’italiano ma in cui enunciati come (1-b) fossero grammaticali sarebbe un linguaggio diverso dall’italiano (almeno cosı̀ com’è ora). (1) a. b. il gatto è sul comò il è gatto comò sul È chiaro però che l’identità di un linguaggio non è determinata solo da informazioni relative al lessico (l’elenco delle parole) e da informazioni di tipo sintattico (come si combinano le parole tra loro). Un linguaggio in cui l’enunciato (1-a) vuol dire che il gatto non è sul comò oppure vuol dire che il gatto è fuori sarebbe, di nuovo, un linguaggio diverso dall’italiano (almeno cosı̀ com’è ora). In altre parole, quello che rende un linguaggio diverso da un altro, oltre che il lessico e le regole di formazione degli enunciati, sono le regole che determinano i significati degli enunciati che si ottengono combinando le parole tra loro, ovvero la semantica del linguaggio. Dunque, se vogliamo descrivere un linguaggio, dobbiamo specificare il suo lessico (l’elenco delle parole, o simboli, del linguaggio), le regole per combi- 1 Metodi formali per filosofi nare le parole in enunciati e le regole per determinare il significato di questi enunciati. Per i primi due compiti possiamo avere un’idea approssimativa di cosa comportino. Specificare il lessico di una lingua non pare tanto diverso dal compito che svolgono i compilatori di dizionari. Quanto alle regole di formazione della frase, le regole dell’italiano dovranno includere l’informazione che l’articolo viene prima del nome e cosı̀ la preposizione, e via dicendo. Ma che informazioni devono darci le regole che determinano i significati degli enunciati? Possiamo cercare di rispondere a questa domanda rispondendo prima ad un’altra. In quanto parlanti competenti dell’italiano, comprendiamo tutti l’enunciato (1-a). Ma cosa vuol dire esattamente comprendere (1-a)? Più in generale, cosa vuol dire comprendere un enunciato? Nel Tractatus logico-philosophicus (1921), Wittgenstein risponde cosı̀ a questa domanda: Comprendere un enunciato vuol dire sapere cosa accade se esso è vero. [Prop. 4.024] Perché è plausibile questa risposta? Supponete che un individuo giudichi vero (1-a) esattamente nei casi in cui il gatto è fuori. Ne dedurremmo che egli non conosce affatto il significato di (1-a). Se invece giudicasse vero (1-a) esattamente nei casi in cui il gatto è sul comò, ne dedurremmo invece che egli conosce il significato di (1-a). In questo senso, conoscere il significato di un enunciato comporta saper distinguere i casi in cui l’enunciato è vero da quelli in cui è falso. Più brevemente, conoscere il significato di un enunciato comporta conoscere le sue condizioni di verità. Cosı̀, le regole per determinare il significato degli enunciati di una lingua dovranno darci le informazione necessarie per associare delle condizioni di verità a ciascun enunciato della lingua. L’idea che il significato di un enunciato consista nelle sue condizioni di verità ha esercitato una grande influenza in filosofia e in linguistica. Questo non vuol dire che non sia stata messa in discussione (vedi Davies 1996, Richard 2005 e Cresswell 2005 per una rassegna delle diverse posizioni e per riferimenti bibliografici). 2