PENS SIERI 19 febbraio 2012 IL CAFFÈ Vittorio e Paolo Taviani C4 “Alla Berlinale abbiamo portato gli attori carcerati di Rebibbia” CULTURA | SAPORI | INCONTRI LA PARO LA A PAGINA 54 In ogni società, primitiva o complessa che sia, c’è l’istinto di celare il volto dietro un finto volto Elisabetta Moro, autrice di questo articolo per il Caffè, è docente di antropologia culturale all’Università di Napoli Il Caffè / Renè Bossi Chi è ELISABETTA MORO C i sono civiltà che non hanno conosciuto la ruota, ma nessuna che non abbia conosciuto la maschera. Come dire che celare il volto dietro un finto volto è un basic instinct di tutte le società. Primitive o complesse. Ricche o povere. Perché il mascheramento è da sempre il modo più elementare per creare un mondo e un io virtuali. Rendendo immediatamente visibile quella soglia che separa il vero dal falso, il reale dall’immaginario. Di fatto la maschera è il mezzo più antico e potente per inscenare una fiction. Fare come se. Cambiare identità trasfigurandosi nel senso pieno del termine. In fondo, mettersi una maschera e, soprattutto, togliersela è la versione primitiva del mor- MASCHERA Cambiare identità per creare un io e separare il reale dall’immaginario OGNI SETTIMANA E OGNI GIORNO A SU TUTTI I TABLET phing. Quel trucco televisivo che destruttura i lineamenti di un viso facendone apparire un altro al suo posto. Apparentemente sembrerebbe un gioco da bambini, o almeno così ci siamo abituati a pensarlo in tempi recenti. Ma nessun travestimento è mai del tutto innocente. Né tantomeno ininfluente. Perché ogni volta che si indossa un costume di Carnevale o ci si cela dietro una mascherina che copre appena la linea degli occhi, accade qualcosa di inatteso. Si è trasformati in un avatar di se stessi. E chi ci guarda stenta a riconoscerci, brancola nel buio di fronte a quel nuovo viso che svisa il nostro, sfigurando la familiarità del sembiante. Come sapevano bene i Veneziani che a partire dal Cinquecento hanno fatto della maschera la loro seconda pelle. segue a pagina 49 DOMENICA LIBERO D’AGOSTINO IL MOLLEGGIATO ARRUGGINITO Il piacere di un “Caffè” con Apple e Android rrivati ad una certa età bisognerebbe farsi da parte. E godersi i ricordi, se la testa tiene ancora. Di anni Adriano Celentano ne ha 74, e ci ha fatto sognare con Azzurro, 24mila baci e altre canzoni famose. Era capace di accendere il cuore cantando, ma quando parla spegne il cervello, notava elegantemente Marcello Veneziani. Travestito da predicatore attanaglia le budella. La sua farneticante “Apparizione” al Festival di Sanremo, con le deliranti offese al settimanale cattolico Famiglia cristiana e al quotidiano Avvenire che, secondo lui, dovrebbero chiudere, pone una domanda: Celentano è già affetto da demenza senile o la sua è stata solo una spregiudicata trovata pubblicitaria per far parlare di sè e di un Festival sotto tono? Comunque sia, il cervello dell’ex supermolleggiato d’Italia pare ormai arrugginito. Meglio staccargli la spina.