Capitolo 1 Geometria proiettiva Vi sono vari tipi di Geometria che possono essere considerati secondo le proprietà geometriche che si vogliono studiare. La Geometria euclidea, cioè quella del liceo, privilegia concetti quali lunghezza e angolo che perdono importanza nella Geometria affine, dove ci si interessa solo ad altri concetti euclidei quali l’allineamento o la complanarità dei punti, l’incidenza o il parallellismo di rette, piani, etc.. La distinzione tra queste due geometrie la stabiliscono le trasformazioni che vengono considerate: le isometrie (traslazioni, rotazioni, riflessioni e loro composizioni) sono le trasformazioni della Geometria euclidea perché sono precisamente quelle che conservano lunghezze ed angoli, mentre le affinità sono le trasformazioni della Geometria affine che conservano le altre proprietà prima elencate. Tuttavia la Geometria affine (e a maggior ragione quella euclidea) non è adatta a descrivere proprietà geometriche quali la ”prospettività” una proprietà tipica delle immagini (fotografie, quadri, etc.): in una fotografia un binario non appare come una coppia di rette parallele bensı̀ come una coppia di rette confluenti in un punto (il ”punto di fuga”). La Geometria che descrive questi aspetti è la Geometria proiettiva con le sue trasformazioni, le proiettività, che andiamo ad introdurre. Introduzione all’ambiente proiettivo. Ogni spazio proiettivo si ottiene a partire da uno spazio vettoriale V di cui si prende in considerazione il sottoinsieme V ∗ := V \ {0V } nel quale viene definita la relazione di equivalenza x ∼ y se x e y sono vettori linearmente dipendenti. Chiaramente le classi d’equivalenza che ne derivano sono le rette (vettoriali) di V private del vettore nullo e ciascuna classe è un punto proiettivo su V , mentre l’insieme quoziente formato dai punti proiettivi è lo spazio proiettivo su V , usualmente indicato con P (V ). Dunque, se k è il campo delle coordinate di V , un punto proiettivo è identificabile con hvik \ 0V per qualche vettore non nullo v ∈ V , ma per snellire il simbolismo scriveremo semplicemente hvik sapendo che il vettore nullo non va considerato. Se n + 1 è la dimensione di V su k, ogni vettore è identificabile col vettore (X0 , X1 , . . . , Xn ) ∈ kn+1 delle sue coordinate, ove si fissi preliminarmente una 1 2 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA base di riferimento in V . Il punto proiettivo corrispondente a (X0 , X1 , . . . , Xn ) è la classe [(X0 , X1 , . . . , Xn )]∼ che chiameremo il punto proiettivo di coordinate omogenee (o proiettive) [X0 : X1 : . . . : Xn ] 1 . In questo caso di dimensione finita n + 1, P (V ) è denominato lo spazio proiettivo di dimensione n su k ed è più frequentemente indicato col simbolo P n (k). Se W è un sottospazio dello spazio vettoriale V , allora abbiamo il sottoinsieme di P (V ) P (W ) := hwik : w ∈ W, w 6= 0V che è il sottospazio proiettivo di P (V ) individuato da W . Si definisce dimensione (proiettiva) di P (W ) l’intero dimp P (W ) := dimk W − 1. I sottospazı̂ proiettivi di dimensione 0 sono i punti di P (V ), quelli di dimensione 1 sono le rette di P (V ), quelli di dimensione 2 i piani, . . . . . . , quelli di dimensione n − 1 gli iperpiani. Si conviene di attribuire dimensione proiettiva −1 all’insieme vuoto corrispondente al sottospazio vettoriale nullo h0V ik che, come sappiamo, non individua alcun punto proiettivo. Se si pone Vi := (X0 , . . . , Xi , . . . , Xn ) ∈ V ∗ : Xi 6= 0k , la proiezione canonica π : V ∗ → P n (k), π : (X0 , X1 , . . . , Xn ) 7→ [X0 : X1 : . . . : Xn ], trasforma Vi nell’insieme di punti proiettivi Πi := π(Vi ) = X0 : X1 : . . . : Xn ∈ P n (k) : Xi 6= 0k e si ha P n (k) = n [ Πi . i=0 Se [X0 : X1 : . . . : Xn ] ∈ Πi , allora h i h 0 X0 : X1 : . . . : Xn = X Xi : . . . : Xi−1 Xi :1: Xi+1 Xi : ... : Xn Xi i , cioè, ogni punto di Πi si scrive nella forma x0 : . . . : xi−1 : 1 : xi+1 : . . . : xn 1 Ovviamente il punto proiettivo di coordinate omogenee [X : X : . . . : X ] ha anche n 0 1 coordinate omogenee [tX0 : tX1 : . . . : tXn ] per ogni scalare t ∈ k, t 6= 0k perché non esiste alcun punto proiettivo di coordinate omogenee [0k : 0k : . . . : 0k ]. Nel seguito identificheremo spesso un punto proiettivo con le sue coordinate omogenee che, per quanto detto, sono determinate a meno di un fattore di proporzionalità 6= 0k e, ovviamente, dipendono dal riferimento scelto in V. 3 con coordinate x0 , . . . , xi−1 , xi+1 , . . . , xn univocamente determinate cosicché abbiamo una ben posta biiezione x0 : . . . : xi−1 : 1 : xi+1 : . . . : xn (x0 , . . . , xi−1 , xi+1 , . . . , xn ) tra Πi e il sostegno kn dello spazio affine An (k). Pertanto Proposizione 1 . L’insieme dei punti dello spazio proiettivo P n (k) è unione dei suoi sottoinsiemi Π0 , Π1 , . . . , Πn ciascuno dei quali sostiene uno spazio affine di dimensione n. 2 Dunque lo spazio proiettivo P n (k) è, come insieme di punti, unione di n + 1 spazı̂ affini di pari dimensione ciascuno dei quali copre P n (k) per una larga parte, come ci si può convincere esaminando i casi di dimensione più bassa. Nel caso di una retta proiettiva, cioè n = 1, si ha P 1 (k) = [1 : y] : y ∈ k ∪ [x : 1]: x ∈ k = [1 : y]: y ∈ k ∪ [0 : 1] = [1 : 0] ∪ [x : 1] : x ∈ k e si vede che i punti di ciascuna delle rette affini che hanno sostegno in Π0 e Π1 non coprono solo un punto proiettivo di P 1 (k), ovvero una retta proiettiva si ottiene aggiungendo un punto ad una retta affine. Nel caso di un piano proiettivo, cioè n = 2, abbiamo invece i punti di tre piani affini che coprono P 2 (k): P 2 (k) [1 : y : z] : (y, z) ∈ k2 ∪ [x : 1 : z] : (x, z) ∈ k2 ∪ [x : y : 1] : (x, y) ∈ k2 , ma si può anche scrivere P 2 (k) = [1 : y : z] : (y, z) ∈ k2 ∪ [0 : y : z] : [y : z] ∈ P 1 (k) = [x : 1 : z] : (x, z) ∈ k2 ∪ [x : 0 : z] : [x : z] ∈ P 1 (k) = [x : y : 1] : (x, y) ∈ k2 ∪ [x : y : 0] : [x : y] ∈ P 1 (k) e si può osservare che l’insieme dei punti di ciascuno dei tre piani affini che hanno sostegno in Π0 , Π1 , Π2 non copre solo una retta proiettiva di punti del piano P 2 (k). Andando su con la dimensione si troverà che dall’insieme dei punti dello spazio affine di dimensione n che ha sostegno in Πi (i = 0, . . . , n) rimane escluso solo un iperpiano proiettivo di punti di P n (k) e si può enunciare la seguente Proposizione 2 . P n (k) è, come insieme di punti, unione disgiunta di uno spazio affine di dimensione n e di un sottospazio proiettivo di dimensione n − 1 2 . 2 2 Quando si decompone uno spazio proiettivo in questo modo i punti dello spazio affine vengono detti punti propri (o punti affini) e quelli dell’iperpiano proiettivo punti impropri (o punti all’infinito). 4 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA Sottospazı̂ proiettivi e loro intersezione. La dimensione proiettiva più bassa in cui sono presenti sottospazı̂ significativi è quella di piano, essendo P 0 (k) un singolo punto e P 1 (k) solo un insieme di punti proiettivi. In P 2 (k) invece, oltre ai punti, abbiamo come sottospazı̂ le rette. Una retta proiettiva di P 2 (k) è individuata da un piano vettoriale W di k3 . Le coordinate [X0 : X1 : X2 ] di un punto della retta proiettiva P (W ) sono caratterizzate dal fatto che devono soddisfare un’equazione omogenea di primo grado a0 X0 + a1 X1 + a2 X2 = 0 (1.1) nelle indeterminate X0 , X1 , X2 soddisfatta dalle coordinate dei vettori di W . Guardando da una delle tre finestre affini Πi , per esempio da Π0 , dei punti che soddisfano la (1.1) vediamo solo i punti [1 : x : y] ≡ (x, y) tali che a0 + a1 x + a2 y = 0, (1.2) cioè i punti di una retta del piano affine A2 (k). Quelli che non vediamo da Π0 hanno la prima coordinata nulla, ma vi è un solo punto di coordinate [0 : X1 : X2 ] che soddisfa la (1.1) ed è [0 : a2 : −a1 ] 3 . Dunque P (W ) consiste dei punti della retta affine (1.2) e dell’ulteriore punto [0 : a2 : −a1 ] che non può essere visto dalla finestra Π0 : chiameremo questo punto il punto all’infinito (o improprio) della retta affine (1.2). Osserviamo che la retta di P 2 (k) rappresentabile mediante l’equazione b0 X0 + a1 X1 + a2 X2 = 0, (1.3) con b0 6= a0 , consiste dei punti della retta affine b0 +a1 x+a2 y = 0 di Π0 , una retta parallela alla (1.2), ed ha lo stesso punto all’infinito della (1.2). Questo significa 3 È ben noto che un’equazione omogenea in due variabili di grado 1 ha solo soluzioni che si ottengono l’una dall’altra moltiplicando per un fattore di proporzionalità. 5 che le rette parallele del piano affine A2 (k) d’equazione (1.2) e (1.3) condividono il loro punto all’infinito [0 : a2 : −a1 ] le cui coordinate successive alla prima sono le componenti di un vettore parallelo alle due rette 4 . Dunque in un piano proiettivo due rette hanno sempre un punto in comune. Questo fatto è determinato dalla relazione di Grassmann che lega due sottospazı̂ vettoriali U e W di kn+1 : dimk U + dimk W = dimk (U + W ) + dimk (U ∩ W ), che in P (V ) si riscrive dimp P (U ) + dimp P (W ) = dimp P (U + W ) + dimp P (U ) ∩ P (W ) . (1.4) Per n = 2, se P (U ) e P (W ) sono rette vettoriali distinte, la (1.4) ci dice appunto che dimp P (U ) ∩ P (W ) = 0, dovendo essere 1 < dimp P (U + W ) ≤ 2. Dunque due rette distinte di un piano proiettivo hanno sempre un punto (ed uno solo) in comune. In P 3 (k) come sottospazı̂, oltre alle rette, abbiamo i piani. Le coordinate [X0 : X1 : X2 : X3 ] di un punto di un piano proiettivo P (W ) di P 3 (k) sono caratterizzate dal fatto che devono soddisfare l’equazione omogenea di primo grado a0 X0 + a1 X1 + a2 X2 + a3 X3 = 0 nelle indeterminate X0 , X1 , X2 , X3 soddisfatta dai vettori di W . P (W ) interseca Π0 nei punti [1 : x : y : z] ≡ (x, y, z) tali che a0 + a1 x + a2 y + a3 z = 0, (1.5) cioè in un piano affine di Π0 . Invece i punti di P (W ) che non stanno in Π0 hanno coordinate [0 : X1 : X2 , X3 ] tali che a1 X1 + a2 X2 + a3 X3 = 0, (1.6) cioè formano una retta proiettiva, ove si tenga conto che la terna (X1 , X2 , X3 ) è determinata a meno di un fattore di proporzionalità. Dunque P (W ) consiste dei punti del piano affine d’equazione (1.5) a cui vanno aggiunti i punti della retta proiettiva (1.6), che chiameremo retta all’infinito (o impropria) del piano affine (1.5). Poiché la (1.6) è anche l’equazione della giacitura del piano affine (1.5), i punti di questa retta all’infinito sono identificabili con le direzioni che i vettori di quella giacitura danno. Il piano di P 3 (k) rappresentabile mediante l’equazione b0 X0 + a1 X1 + a2 X2 + a3 X3 = 0, (1.7) con b0 6= a0 , ha per punti quelli del piano affine b0 + a1 x + a2 y + a3 z = 0 di Π0 , un piano parallelo al piano (1.5), ed ha la stessa retta all’infinito di quel piano. Questo significa che piani paralleli dello spazio affine A3 (k) d’equazione (1.5) e (1.7) condividono la loro retta all’infinito identificabile con la comune giacitura. Dunque in P 3 (k) due piani hanno sempre una retta in comune, e questo è confermato dalla (1.4). Considerazioni analoghe possono essere ripetute per gli iperpiani di ogni spazio proiettivo di dimensione superiore. 4 La retta vettoriale h(a , −a )i è la ”giacitura” della retta (1.2), cioè, consiste dei vettori 2 1 k ”direttivi” della (1.2) e della (1.3). Questo giustifica l’affermazione che il punto improprio di una retta dà la direzione della retta. 6 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA Vogliamo concludere questa sezione con delle considerazioni sulle rette dello spazio proiettivo P 3 (k). Ogni retta di questo tipo si può ottenere come intersezione di due piani, cioè, si rappresenta con una coppia di equazioni ( a0 X0 + a1 X1 + a2 X2 + a3 X3 = 0; (1.8) b0 X0 + b1 X1 + b2 X2 + b3 X3 = 0. Il punto improprio della (1.8) (rispetto a Π0 ) si ottiene intersecando le giaciture dei due piani che determinano la retta, cioè, le sue coordinate proiettive sono quelle che risolvono simultaneamente le equazioni ( a1 X1 + a2 X2 + a3 X3 = 0; b1 X1 + b2 X2 + b3 X3 = 0. Si può verificare che queste coordinate sono 0 : a2 b3 − a3 b2 : a3 b1 − a1 b3 : a1 b2 − a2 b1 5 . 5 Si osservi che le tre coordinate diverse da 0 sono i minori della matrice a1 a2 a3 b1 b2 b3 presi a segni alterni. (1.9) 7 La (1.4) assicura che una retta ed un piano in P 3 (k) hanno sempre almeno un punto in comune; ne consegue che il punto proiettivo (1.9) lo si deve necessariamente ritrovare in ogni piano di P 3 (k) che interseca Π0 secondo un piano parallelo alla retta ( a0 + a1 x + a2 y + a3 z = 0, b0 + b1 x + b2 y + b3 z = 0, che è la parte affine della (1.8) che vediamo in Π0 . Osserviamo infine che, se P (U ) e P (W ) sono due rette di P 3 (k), la (1.4) ci dà due opzioni: o dimk (U + W ) = 3, cioè c’è un piano, precisamente P (U + W ), che contiene le rette P (U ) e P (W ) (rette complanari ), oppure U ∩ W = h0V ik , e quindi V = U ⊕ W , e le rette P (U ) e P (W ) non hanno punti in comune (rette sghembe). Equivalenze proiettive. In ogni ambito geometrico è fondamentale conoscere quali trasformazioni preservano le proprietà geometriche di pertinenza di quell’ambito. Tale conoscenza è certamente indispensabile se si vuole procedere ad una classificazione delle strutture che si vogliono studiare in base alle proprietà che le differenziano. In Geometria proiettiva le trasformazioni a cui ci riferiamo sono quelle che mettono in corrispondenza biunivoca i punti di due spazı̂ proiettivi di pari dimensione (non necessariamente distinti) trasformando ogni sottospazio del primo in un sottospazio del secondo avente la stessa dimensione, cioè trasformazioni che mandano punti allineati in punti allineati, punti complanari in punti complanari e, salendo su con la dimensione, punti giacenti in un iperpiano del primo spazio in punti di un iperpiano del secondo. Siffatte trasformazioni si trovano nella letteratura matematica sotto il nome di collineazioni. Le collineazioni più comuni sono le proiettività. Ogni proiettività si ottiene come segue: se ϕ : V → W è un isomorfismo lineare tra due spazı̂ vettoriali sul campo k, l’applicazione hxik 7→ hϕ(x)ik definisce, al variare del punto proiettivo hxik in P (V ), la proiettività ϕp : P (V ) → P (W ) indotta da ϕ. Poiché ϕ determina una corrispondenza biunivoca tra i sottospazı̂ vettoriali di V e quelli di W , ϕp mette in corrispondenza biunivoca i sottospazı̂ proiettivi di P (V ) con quelli di P (W ) (con la stessa dimensione) e quindi è una collineazione. Non tutte le collineazioni sono proiettività. Per esempio, in presenza di un isomorfismo α : k → k0 tra due campi k e k0 6 , è facile controllare che la funzione X0 , X1 , . . . , Xn 7→ α(X0 ), α(X1 ), . . . , α(Xn ) trasforma sottospazı̂ vettoriali di kn+1 in sottospazı̂ vettoriali di k0 induce la collineazione X0 : X1 : . . . : Xn 7→ α(X0 ) : α(X1 ) : . . . : α(Xn ) ] 6 Per n+1 e quindi esempio, l’automorfismo del campo dei numeri complessi dato dal coniugio x 7→ x. 8 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA tra gli spazı̂ proiettivi P n (k) e P n (k0 ) 7 . Tuttavia, dovendo classificare oggetti proiettivi rappresentabili con equazioni polinomiali omogenee, verranno prese in considerazione solamente collineazioni che siano proiettività perché queste trasformazioni sono indotte da funzioni con componenti lineari, cosicché trasformano oggetti proiettivi rappresentabili con equazioni polinomiali omogenee in oggetti dello stesso tipo. In termini di coordinate, una proiettività ϕp indotta da un isomorfismo lineare ϕ : V → W si può descrivere mediante la matrice ϕij ∈ M(n+1, k) che rappresenta ϕ rispetto a riferimenti fissati in V e W : ϕp trasforma il punto proiettivo X0 : . . . : Xn ∈ P (V ) nel punto proiettivo Y0 : . . . : Yn ∈ P (W ), dove Yj = Pn i=0 Xi ϕij . Se ϕ è un isomorfismo lineare, anche la funzione tϕ : x 7→ tϕ(x) lo è per ogni scalare t ∈ k∗ , però la proiettività che induce tϕ è nuovamente ϕp . Più precisamente, si può dimostrare Proposizione 3 . Due isomorfismi lineari ϕ e ψ inducono la stessa proiettività se, e solamente se, ψ = tϕ per qualche t ∈ k∗ . Dimostrazione. Siano ϕ e ψ isomorfismi k-lineari aventi stesso dominio e stesso codominio e sia {e0 , e1 , . . . , en } una base del dominio V ' kn+1 . Si assuma che −1 ψ. Allora %p = idP (V ) ϕp = ψp , ovvero che ϕ−1 p ψp = idP (V ) , e si ponga % := ϕ ∗ implica %(ei ) = ti ei per scalari ti ∈ k , i = 1, 2, . . . , n, cosicché si può scrivere Pn Pn Pn % i=0 ei = i=0 %(ei ) = i=0 ti ei . Dunque t1 = t2 = . . . = tn = t per qualche scalare t ∈ k∗ tale che Pn Pn % i=0 ei = t i=0 Pnei . i Allora ogni combinazione k-lineare i=0 a ei dei vettori e0 , e1 , . . . , en Pn % trasformaP n in i=0 ai tei = t i=0 ai ei e si può concludere che %(x) = tx per ogni x ∈ V . −1 Pertanto ϕ ψ = t idV , cioè ψ = tϕ. 2 Pn Osservazione 4 . Gli n + 2 vettori e0 , e1 , . . . , en , i=0 ei che compaiono nella dimostrazione della Proposizione 3 hanno la proprietà che comunque si scelgano n + 1 di essi si ottiene sempre una base di V . In termini proiettivi questo si riformula dicendo che i punti proiettivi generati da n + 1 di quei vettori comunque presi non sono mai contenuti in un sottospazio di P (V ) di dimensione n − 1, sono, come si suol dire, n + 2 punti in posizione generale. Può essere dimostrato che n + 2 punti di P (V ) in posizione generale si ottengono sempre in questo modo. Infatti, se hp0 ik , hp1 ik , . . . , hpn+1 ik sono punti diPP (V ) in posizione generale, n allora p0 , p1 , . . . , pn generano V cosicché pn+1 = i=0 ai pi con ciascun scalare 8 ai non nullo . Allora, posto ei := ai pi , abbiamo hpi ik =hei ik per i = 0, 1, . . . , n 7 Si può dimostrare (Teorema Fondamentale della Geometria proiettiva) che ogni collinazione si ottiene componendo una collineazione di questo tipo con una proiettività. 8 Se fosse a = 0 , gli n + 1 vettori p , . . . , p 0 i i−1 , pi+1 , . . . , pn+1 sarebbero k-linearmente k dipendenti e ci sarebbe un sottospazio proiettivo di dimensione n − 1 che conterrebbe i punti proiettivi generati da questi vettori. 9 Pn e hpn+1 ik = h i=0 ei ik . Osserviamo inoltre che n + 2 punti in posizione generale costituiscono un riferimento dello spazio proiettivo P (V ) perché permettono di coordinatizzare lo spazio: con gli stessi simboli Pndi prima, un dato punto Y dello spazio ha coordinate [Y0 : . . . : Yn ] se Y = h i=0 Yi ei ik ; in particolare gli n + 2 punti hp0 ik , hp1 ik , . . . , hpn+1 ik hanno coordinate [1 : 0 : . . . : 0], [0 : 1 : . . . : 0], . . . , [0 : . . . : 0 : 1], [1 : 1 : . . . : 1], rispettivamente. È meritevole di riflessione il fatto che in questo modo le coordinate vengono determinate da fissati n + 2 punti proiettivi in cui la presenza del punto hpn+1 ik non è pleonastica perché serve a fissare i generatori dei primi n + 1 punti, quindi della base dello spazio vettoriale di sostegno, che altrimenti potrebbero essere cambiati moltiplicando per scalari non nulli. Osservazione 5 . Dalla dimostrazione della Proposizione 3 si evince che se una proiettività fissa n + 2 punti di P n (k) in posizione generale, allora quella proiettività è l’identità dello spazio proiettivo. Se V e W sono + 1 sul campo k e hp0 ik , Pnspazı̂ vettoriali di dimensione n P n hp1 ik , . . . , hpn ik , h i=0 pi ik e hq0 ik , hq1 ik , . . . , hqn ik , h i=0 qi ik sono n + 2 punti, di P (V ) e P (W ) rispettivamente, in posizione generale, allora l’isomorfismo lineare ϕ : V → W definito dalla posizione ϕ(pi ) = qi , i = 0, 1, . . . , n, induce una proiettività che trasforma ordinatamente i primi n+2 punti nei secondi. In base a quanto puntualizzato nell’Osservazione 5, ϕp è l’unica proiettività P (V ) → P (W ) che fa questo. Pertanto Teorema 6 . Siano P (V ) e P (W ) spazı̂ proiettivi aventi dimensione n su un dato campo k. Esiste una ed una sola proiettività P (V ) → P (W ) che trasforma n + 2 punti in posizione generale assegnati in P (V ) in n + 2 punti in posizione generale assegnati in P (W ). Corollario 7 . 1. Date due terne di punti distinti in P 1 (k), esiste una ed una sola proiettività P 1 (k) → P 1 (k) che trasforma la prima terna ordinatamente nella seconda. 2. Date due quaterne di punti a tre a tre non allineati in P 2 (k), esiste una ed una sola proiettività P 2 (k) → P 2 (k) che trasforma la prima quaterna ordinatamente nella seconda. 3. Date due cinquine di punti a quattro a quattro non complanari in P 3 (k), esiste una ed una sola proiettività P 3 (k) → P 3 (k) che trasforma la prima cinquina ordinatamente nella seconda. 2 Osservazione 8 . È evidente che le proiettività P (V ) → P (V ) formano un gruppo, il gruppo PGL(V ) delle proiettività di P (V ), indicato anche con PGL(n + 1, k) se V = kn+1 . Il Teorema 6 nel caso V = W = kn+1 può essere formulato nel seguente modo: il gruppo PGL(n + 1, k) è strettamente transitivo sull’insieme delle (n + 2)-ple ordinate di punti di P n (k) in posizione generale. Per n = 1 si dice più comunemente: il gruppo PGL(2, k) è strettamente 3-transitivo sui punti di P 1 (k). 10 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA Osservazione 9 . Se si usano le coordinate per rappresentare i punti, l’azione di una proiettività su un punto si manifesta moltiplicando le sue coordinate per una delle matrici che rappresentano gli isomorfismi lineari che inducono la proiettività (cfr. Proposizione 3). Da un punto di vista matematico quest’operazione equivale a cambiare coordinate utilizzando quella matrice come matrice di passaggio da una base di riferimento ad un’altra. Dunque fare agire una proiettività o cambiare coordinate sono due operazioni indistinguibili da un punto di vista matematico. La struttura di una retta proiettiva. Si è già sottolineato che una retta proiettiva non ha una vera e propria struttura, infatti è priva di sottospazı̂ proprı̂ essendo solo un insieme di punti proiettivi. Tuttavia, esistono in essa degli invarianti proiettivi d’interesse in Geometria, i cosiddetti birapporti, che andiamo ad illustrare. Siano dati quattro punti P1 , P2 , P3 , P4 a due a due distinti allineati su una retta di uno spazio proiettivo P (V ). In base all’Osservazione 4 si può scrivere P1 = hp1 ik , P2 = hp2 ik , P3 = hp1 + p2 ik , P4 = hc1 p1 + c2 p2 ik = hp1 + c2 b1 p2 ik per vettori p1 , p2 ∈ V e scalari c1 , c2 ∈ k∗ univocamente determinati. Definizione 10 . Lo scalare c := punti P1 , P2 , P3 , P4 e si scrive c2 c1 è il birapporto della quaterna ordinata di (P1 , P2 , P3 , P4 ) = c2 9 c1 . Se c = −1 la quaterna ordinata di punti P1 , P2 , P3 , P4 viene detta armonica. Proposizione 11 . Il birapporto di una quaterna P1 , P2 , P3 , P4 di punti allineati su una retta è un invariante proiettivo, cioè ϕp (P1 ), ϕp (P2 ), ϕp (P3 ), ϕp (P4 ) = P1 , P2 , P3 , P4 per ogni proiettività ϕp 10 . Dimostrazione. Sia P1 = hp1 ik , P2 = hp2 ik , P3 = hp1 +p2 ik , P4 = hc1 p1 + c2 p2 ik , allora ϕp (P1 ) = hϕ(p1 )ik , ϕp (P2 ) = hϕ(p2 )ik , ϕp (P3 ) = hϕ(p1 ) + ϕ(p2 )ik , ϕp (P4 ) = hc1 ϕ(p1 ) + c2 ϕ(p2 )ik . 2 Siano hp1 ik , hp2 ik , hp3 ik , hp4 ik quattro punti distinti di una retta proiettiva R = he1 , e2 ik 11 e si ponga c := hp1 ik , hp2 ik , hp3 ik , hp4 ik . 10 Si può dimostrare (Teorema di von Staudt) che ogni biiezione che conserva i birapporti è una proiettività. Omettiamo la dimostrazione perché, sebbene elementare, non è di breve esposizione. 11 R può essere anche un sottospazio di uno spazio proiettivo di dimensione più grande. 11 Vogliamo calcolare il birapporto c in funzione delle coordinate [ai : bi ] di hpi ik riferite alla base {e1 , e2 } di R, cioè hpi ik = hai e1 + bi e2 ik (i = 1, . . . , 4). (1.10) Sappiamo che esistono generatori q1 di hp1 ik e q2 di hp2 ik tali che hp3 ik = hq1 + q2 ik ; (1.11) hp4 ik = hq1 + cq2 ik . La (1.10) e la (1.11) allora danno y3 (a3 e1 + b3 e2 ) = y1 a1 e1 + b1 e2 + y2 a2 e1 + b2 e2 ; y4 (a4 e1 + b4 e2 ) = c1 y1 a1 e1 + b1 e2 + c2 y2 a2 e1 + b2 e2 ; per opportuni scalari y1 , y2 , y3 , y4 , c1 , c2 ∈ k∗ con cc12 = c, equazioni che possono essere riscritte nella forma a3 e1 + b3 e2 = x1 a1 e1 + b1 e2 + x2 a2 e1 + b2 e2 ; (1.12) a4 e1 + b4 e2 = d1 x1 a1 e1 + b1 e2 + d2 x2 a2 e1 + b2 e2 ; dove, per i = 1, 2, xi := yy3i e di := ci yy34 , dunque [d1 : d2 ] = [c1 : c2 ]. La prima delle (1.12) dà le equazioni in x1 , x2 a3 = x1 a1 + x2 a2 ; b3 = x1 b1 + x2 b2 ; da cui si ottiene x1 = a3 b3 a1 b1 a2 b2 a2 b2 , x2 = a1 b1 a1 b1 a3 b3 a2 b2 12 , (1.13) mentre la seconda delle (1.12) fornisce d1 = d2 = a4 x2 a2 b4 x2 b2 x1 a1 x2 a2 x1 b1 x2 b2 = a4 a2 b4 b2 a1 a2 b1 b2 ; x1 a1 a4 x1 b1 b4 x1 a1 x2 a2 x 1 b1 x 2 b2 a1 a4 b1 b4 = a1 a2 x2 b1 b2 , x1 ove si tenga conto che x1 6= 0 6= x2 poiché hp1 ik 6= hp3 ik 6= hp2 ik . Pertanto, sostituendo i valori (1.13), a1 b1 c2 d2 c= = = c1 d1 a x2 4 b4 x1 12 Si a tenga presente che 1 b1 a4 b4 a2 b2 a3 b3 = a1 b1 a2 b2 a3 b3 a2 6 0 perché hp1 ik 6= hp2 ik . = b2 a1 b1 a4 b4 a4 b4 a2 b2 . (1.14) 12 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA Certamente il birapporto di quattro punti di una retta proiettiva R dipende dall’ordine con cui sono scritti i punti; per esempio, è evidente che 1 . P2 , P1 , P3 , P4 = P1 , P2 , P3 , P4 Poiché su 4 oggetti è possibile far agire 24 differenti permutazioni, uno potrebbe aspettarsi 24 birapporti diversi avendo a disposizione 4 punti distinti, ma in realtà si ottengono solo 6 birapporti. Infatti, sia Pi = hpi ik , i = 1, . . . , 4, con p3 = p1 +p2 e p4 = p1 + cp2 . Se prendiamo le coordinate rispetto alla base {p1 , p2 } di R si ha P1 ≡ [1 : 0], P2 ≡ [0 : 1], P3 ≡ [1 : 1], P4 ≡ [1 : c]. Applicando la (1.14) si ha P1 , P2 , P3 , P4 = 1 1 1 0 0 1 1 1 1 0 1 c 1 c 0 1 = c; P1 , P 2 , P 4 , P 3 = 1 c 1 0 0 1 1 c 1 0 1 1 1 1 0 1 = P1 , P 3 , P 2 , P 4 = 0 1 1 0 1 1 0 1 1 0 1 c 1 c 1 1 = c ; c−1 P1 , P 3 , P 4 , P 2 = 1 c 1 0 1 1 1 c 1 0 0 1 0 1 1 1 = 1 − 1c ; P1 , P 4 , P 2 , P 3 = 0 1 1 0 1 c 0 1 1 0 1 1 1 1 1 c = 1 ; 1−c P1 , P 4 , P 3 , P 2 = 1 1 1 0 1 c 1 1 1 0 0 1 0 1 1 c = 1 − c. 1 ; c Dunque lasciando P1 fisso e permutando i rimanenti punti in tutti i modi possibili otteniamo l’insieme di birapporti c 1 1 1 ,1 − , ,1 − c . M(c) := c, , c c−1 c 1−c D’altronde si ha anche 1 1 0 1 1 0 1 1 0 1 1 c 1 c 1 0 = 1c ; 1 0 1 1 0 1 1 0 1 1 1 c 1 c 0 1 = 1 − c; 1 1 1 c 0 1 1 1 1 c 1 0 1 0 0 1 = P2 , P 1 , P 3 , P 4 = P3 , P 2 , P 1 , P 4 = P4 , P 2 , P 3 , P 1 = c ; c−1 e si può verificare che M 1 c = M(1 − c) = M c c−1 = M(c). Si può pertanto concludere che M(c) esaurisce tutti i possibili birapporti che si possono ottenere a partire da un iniziale birapporto c = (P1 , P2 , P3 , P 4) operando con una permutazione sugli indici. 13 Definizione 12 . M(c) è detto il modulo dell’insieme di punti {P1 , P2 , P3 , P4 }. Poiché i birapporti sono invarianti proiettivi, anche il modulo di quattro punti allineati lo è. Anche per le rette ha senso parlare di birapporti. Siano date quattro rette R1 , R2 , R3 , R4 di un piano proiettivo E 13 , aventi un comune punto d’intersezione V = hvik , e due ulteriori rette T1 e T2 non contenenti il punto V . Si ponga Pi := Ri ∩ T1 e Qi := Ri ∩ T2 (i = 1, 2, 3, 4) e si scelgano vettori p1 , p2 , q1 , q2 tali che P1 = hp1 ik , P2 = hp2 ik , P3 = hp1 + p2 ik , P4 = hp1 + cp2 ik , Q1 = hq1 ik , Q2 = hq2 ik , Q3 = hq1 + q2 ik , Q4 = hq1 + dq2 ik , dove c := (P1 , P2 , P3 , P4 ) e d := (Q1 , Q2 , Q3 , Q4 ). Poiché Qi sta sulla retta V +Pi , deve essere qi = ai v + bi pi per opportuni scalari ai , bi (i = 1, 2, 3, 4), dove si è posto p3 = p1 + p2 , p4 = p1 + cp2 , q3 = q1 + q2 , q4 = q1 + dq2 . Allora possiamo scrivere a3 v + b3 (p1 + p2 ) = a3 v + b3 p3 = q3 = q1 + q2 = (a1 v + b1 p1 ) + (a2 v + b2 p2 ); a4 v + b4 (p1 +cp2 ) = a4 v + b4 p4 = q4 = q1 + dq2 = (a1 v + b1 p1 )+ d(a2 v+b2 p2 ). (1.15) La prima delle (1.15) dà a3 = a1 + a2 , b3 = b1 e b3 = b2 , ove si tenga conto che v, p1 , p2 sono vettori linearmente indipendenti perché V 6∈ T1 = P1 + P2 . Posto b := b1 = b3 = b2 , la seconda delle (1.15) fornisce adesso a4 = a1 + da2 , b4 = b e b4 c = db. Dunque c = d perché b4 = b è uno scalare non nullo essendo certamente Q4 6= V . Pertanto Proposizione 13 . Se s’intersecano quattro rette distinte R1 , R2 , R3 , R4 di un piano proiettivo passanti per uno stesso punto V con una retta T non passante per V , il birapporto (R1 ∩ T, R2 ∩ T, R3 ∩ T, R4 ∩ T ) è indipendente da T . Questo birapporto è definito come il birapporto della quaterna ordinata di rette (R1 , R2 , R3 , R4 ) 14 . 2 Il concetto di varietà algebrica. Gli argomenti che tratteremo nelle prossime lezioni s’inquadrano nell’ambito della Geometria algebrica, un contesto matematico in cui gli oggetti studiati sono definiti come ”zeri” comuni ad un certo numero di polinomi. Per esempio, nello spazio affine di coordinate reali (x, y, z) gli zeri del polinomio x2 + y 2 + z 2 − 1 danno le coordinate dei punti della sfera classica, mentre gli zeri comuni ai polinomi x2 + y 2 + z 2 − 1 e x + y + z danno le coordinate dei punti di una circonferenza. La seguente Definizione 14 formalizza la situazione generale. Definizione 14 . Nello spazio affine di coordinate (x1 , . . . , xn ) prese in un campo k 15 , la varietà algebrica affine definita da polinomi f1 , . . . , fr ∈ k[x1 , . . . , xn ] è l’insieme di punti V(f1 , . . . , fr ) := (x1 , . . . , xn ) ∈ An (k) : fi (x1 , . . . , xn ) = 0, i = 1, . . . , r . 13 E può essere anche un sottospazio di uno spazio proiettivo di dimensione più grande. le stesse ragioni può essere definito il modulo delle rette R1 , R2 , R3 , R4 come il modulo dei punti R1 ∩ T, R2 ∩ T, R3 ∩ T, R4 ∩ T . 15 Con questa espressione intendiamo che nello spazio affine An (k) di dimensione n sul campo k è stato fissato un riferimento rispetto al quale vengono prese le coordinate (x1 , . . . , xn ). 14 Per 14 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA Volendo replicare lo stesso concetto anche nello spazio proiettivo di coordinate omogenee [X0 : . . . : Xn ], bisogna subito dire che gli zeri di un polinomio f ∈ k[X0 , . . . , Xn ] in generale non individuano punti di P n (k). Per esempio, l’equazione polinomiale X02 − X1 = 0 è soddisfatta dalla coppia (1, 1), ma non dalle coppie t, t con t 6= 0, 1, per cui non si può dire che è soddisfatta dalle coordinate del punto proiettivo [1 : 1]. Se invece ci si restringe al sottospazio vettoriale k[X0 , . . . , Xn ]0 dei polinomi omogenei di k[X0 , . . . , Xn ], si vede che gli zeri di un polinomio omogeneo F ∈ k[X0 , . . . , Xn ]0 16 individuano sempre punti proiettivi: F (X0 , . . . , Xn ) = 0 =⇒ F (tX0 , . . . , tXn ) = td F (X0 , . . . , Xn ) = 0, se d denota il grado di F . Pertanto è ben posta la seguente Definizione 15. Definizione 15 . Nello spazio proiettivo di coordinate omogenee [X0 : . . . : Xn ] prese in un campo k, la varietà algebrica proiettiva definita da polinomi omogenei F1 , . . . , Fr ∈ k[X0 , . . . , Xn ]0 è l’insieme di punti V(F1 , . . . , Fr ) := [X0 : . . . : Xn ] ∈ P n (k) : Fi (X0 , . . . , Xn ) = 0, i = 1, . . . , r . Osservazione 16 . Le varietà algebriche proiettive di cui abbiamo una conoscenza completa sono quelle lineari, cioè quelle definite da polinomi di primo grado: rette, piani, . . . , iperpiani sono varietà algebriche del tutto semplici da descrivere. Per esempio, per un dato iperpiano P (W ) di P n (k), scegliendo una base {w1 , w2 , . . . , wn } dell’iperpiano W di kn+1 P ed un vettore non nullo e 6∈ W , gli n n+2 punti heik , hw1 ik , hw2 i, . . . , hwn ik , h e+ j=1 wj ik di P n (k) sono in posizione generale cosicché il Teorema 6 garantisce che possono essere trasformati con una proiettività ordinatamente nei punti di coordinate [1 : 0 : . . . : 0], . . . , [0 : . . . : 0 : 1 : 0], [0 : . . . : 0 : 1], [1 : 1 : . . . : 1], cioè, P (W ) è proiettivamente equivalente all’iperpiano V(X0 ) dei punti di P n (k) con la prima coordinata nulla. Ciò si può esprimere in maniera equivalente dicendo (cfr. Ossevazione 9) che è sempre possibile scegliere coordinate in P n (k) in modo che i punti di un suo iperpiano abbiano la prima coordinata nulla. In modo analogo, se P (W ) è un sottospazio di P n (k) di codimensione 2, cioè dimp P (W ) = n − 2, prendendo n + 2 punti in posizione generale, siano Pn he0 ik , he1 ik , hw2 ik , hw3 i, . . . , hwn ik , h e0 + e1 + j=2 wj ik con hw2 , w3 , . . . , wn ik = W si può costruire una proiettività che trasforma P (W ) in V X0 , X1 . Scendendo con la dimensione si troverà alla fine che ogni retta di n P (k) è proiettivamente equivalente a V X0 , . . . , Xn−1 . Classificare varietà algebriche non lineari è decisamente più complicato. Le difficoltà aumentano esponenzialmente all’aumentare del numero dei polinomi che definiscono la varietà. Ma anche tra le superfici algebriche, cioè le varietà algebriche definite da un solo polinomio 17 , la classificazione si complica sia all’aumentare del grado del polinomio, sia all’allontanarsi del campo k dall’essere 16 Utilizzeremo sempre lettere latine maiuscole per denotare polinomi omogenei, distinguendoli da quelli non omogenei che continueranno ad essere indicati con lettere latine minuscole. 17 In dimensione 2 una superficie algebrica è detta curva algebrica. 15 algebricamente chiuso: classificazioni in coordinate reali sono più complicate di quelle in coordinate complesse, per non parlare di quelle in coordinate razionali. Il nostro prossimo obiettivo sarà quello di classificare le (superfici) quadriche, cioè definite da polinomi di grado 2, dello spazio proiettivo P n (k) 18 con particolare riguardo ai casi classici k = C e k = R. Le quadriche. Una (superficie) quadrica V(F ) dello spazio proiettivo P n (k) è individuata da un polinomio omogeneo F ∈ k[X0 , . . . , Xn ]0 avente grado 2, cioè un polinomio P F (X) = 0≤i≤j≤naij Xi Xj , (1.16) dove si è posto X := (X0 , X1 , . . . , Xn ). Decomponendo ciascun monomio aij Xi Xj nella somma aij Xi Xj = 21 aij Xi Xj + 12 aij Xj Xi , si vede che la (1.16) si può riscrivere nella forma matriciale F (X) = XAX T con 1 a00 . . . 12 a0n 2 a01 1 a01 a11 . . . 12 a1n 2 (1.17) A := . .. .. . .. .. . . . 1 1 . . . ann 2 a0n 2 a1n Per un ulteriore vettore Y ∈ kn+1 la matrice A definisce la forma bilineare simmetrica ρ : (X, Y ) 7→ XAY T . Il coefficiente collocato nella matrice A all’incrocio tra la i-ma riga e j-ma colonna dà il valore ρ(ei , ej ), avendo denotato con e0 , e1 , . . . , en i vettori della base canonica di kn+1 che presentano tutte le componenti nulle eccetto una. Se si prendono coordinate rispetto ad un’altra base di kn+1 , la matrice A va sostituita con la matrice congruente P AP T , se P è la matrice di passaggio da una base all’altra. Poiché matrici congruenti hanno lo stesso rango, vediamo che il rango r di A è un invariante proiettivo e può essere quindi assunto come rango della quadrica (1.16) non dipendendo dalle coordinate scelte. In particolare se si prendono le coordinate rispetto ad una base di kn+1 che risulti ortogonale per ρ, la matrice A può essere assunta diagonale e, a meno di permutare i vettori di questa base ortogonale, la (1.16) si può riscrivere nella forma Pr−1 F (X) = j=0 aj Xj2 , dove abbiamo semplificato il simbolismo scrivendo aj in luogo di ajj . Se il campo k è algebricamente chiuso, la proiettività √ √ X0 : . . . : Xr−1 : Xr : . . . : Xn → 7 a0 X0 : . . . : ar−1 Xr−1 : Xr : . . . : Xn P r−1 2 rende V(F ) proiettivamente equivalente a V X . Dunque j=0 j Teorema 17 . Ogni quadrica di P n (k) di rango r è proiettivamente equivalente a 2 V a0 X02 + a1 X12 + . . . + ar−1 Xr−1 per scalari a0 , a1 , . . . , ar−1 ∈ k∗ . Se il campo k è algebricamente chiuso, si può prendere a0 = a1 = . . . = ar−1 = 1, cioè si hanno esattamente n + 1 classi di quadriche proiettivamente equivalenti. 2 18 Per n = 2 una quadrica viene più comunemente chiamata conica. 16 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA Osservazione 18 . Le quadriche di rango 1 vengono dette doppiamente degeneri e ciascuna di esse è proiettivamente equivalente a V a0 X02 = V X02 19 che ha per sostegno l’iperpiano V(X0 ), cioè consiste degli stessi punti di quell’iperpiano. Le quadriche di rango 2 sono invece dette semplicemente degeneri e si suddividono in due classi di quadriche proiettivamente equivalenti: una classe ha sostegno in una coppia di iperpiani distinti, un’altra invece si sostiene in un sottospazio di P n (k) di codimensione 2. Infatti, il Teorema 17 ci assicura che possono essere scelte coordinate in modo che i punti di una tale quadrica soddisfino un’equazione del tipo X12 = − aa10 X02 . Se − aa10 è un quadrato in k∗ , sia − aa01 = c2 , la proiettività [X0 : X1 : . . . Xn ] 7→ [cX0 : X1 : . . . Xn ] rende la quadrica proiettivamente equivalente a V X02 − X12 = V X0 − X1 X0 + X1 che ha sostegno in V(X0 − X1 ) ∪ V(X0 + X1 ); altrimenti deve essere necessariamente X0 = X1 = 0 e la quadrica ha sostegno nei punti del sottospazio V(X0 , X1 ) di P n (k). Ovviamente se il campo è algebricamente chiuso la seconda eventualità non si presenta. Le coniche. Quanto precisato nell’Osservazione 18 sulle quadriche di rango 1 e 2 prescinde dalla dimensione dello spazio proiettivo in cui quelle quadriche sono contenute. La conoscenza di queste quadriche è esaustiva in P 1 (k) perché 2 è il massimo rango possibile per una quadrica di una retta proiettiva: le quadriche doppiamente degeneri si sostengono in un singolo punto, quelle semplicemente degeneri o hanno per sostegno due punti oppure il loro sostegno è vuoto 20 . In P 2 (k) è presente un ulteriore tipo di quadrica, quelle di rango 3, le cosiddette coniche non degeneri, rappresentabili, con opportune coordinate, mediante equazioni del tipo a0 X02 + a1 X12 + a2 X22 = 0 (1.18) e si può prendere a0 = a1 = a2 = 1 se k è algebricamente chiuso (cfr. Teorema 17). Se k è un campo arbitrario è problematico stabilire quante classi di coniche non degeneri proiettivamente equivalenti ci sono. Oltre che nel caso algebricamente chiuso, si può dare una risposta esaustiva per k = R. Più precisamente si ha Teorema 19 . Ogni conica non degenere del piano proiettivo P 2 (R) è proiettivamente equivalente ad una, ed una sola, delle seguenti coniche: V X02 + X12 + X22 ; (1.19) 2 2 2 V X0 + X1 − X2 . (1.20) 19 Chiaramente le superfici di P n (k) V(F ) e V(tF ) con t ∈ k∗ individuano lo stesso insieme di punti di P n (k) : non considereremo V(F ) e V(tF ) superfici distinte. 20 Infatti, gli iperpiani di P 1 (k) sono i singoli punti e l’insieme vuoto, che ha dimensione proiettiva −1, ha codimensione 2 in P 1 (k). 17 Dimostrazione. A meno di moltiplicare la (1.18) per un fattore 6= 0, si può suppore che due dei coefficienti a0 , a1 , a2 presenti in quell’equazione siano numeri reali positivi e, a meno di permutare i vettori della base di riferimento, si può assumere che a0 , a1 ∈ R+ . Allora le proiettività ( √ √ √ a0 X0 : a1 X1 : a2 X2 , se a2 > 0; √ [X0 : X1 : X2 ] 7→ √ √ a0 X0 : a1 X1 : −a2 X2 , se a2 < 0. permettono di ridurre la (1.18) o nella (1.19), o nella (1.20). 2 La (1.19) viene detta conica a punti immaginari 21 perché il suo sostegno è vuoto essendo (0, 0, 0) l’unico zero del polinomio X02 + X12 + X22 . Diverso è il discorso per la conica (1.20) che certamente ha sostegno non vuoto. Per avere un’idea almeno parziale possiamo esaminare qual è la ”traccia” che questa conica lascia in ciascuno dei piani affini Π0 , Π1 , Π2 che ricoprono il piano (cfr. Proposizione 1). Le tracce affini che vediamo sono: − l’iperbole V X12 − X22 + 1 in Π0 ; − l’iperbole V X02 − X22 + 1 in Π1 ; − la circonferenza V X02 + X12 − 1 in Π2 . Mentre da Π2 vediamo tutti i punti della conica perché nessun punto con la terza coordinata nulla appartiene al suo sostegno, dalle altre due finestre affini non vediamo esattamente due punti: [0 : 1 : −1] e [0 : 1 : 1] da Π0 , [1 : 0 : −1] e [1 : 0 : 1] da Π1 22 . Iperbole e circonferenza non sono le uniche tracce affini che può lasciare una conica non degenere di P 2 (R). La conica V X0 X2 − X12 , proiettivamente equivalente alla (1.20) perché di rango 3 con sostegno non vuoto, ha come traccia in Π0 la parabola V y − x2 , ove si ponga x := X1 X0 , y := X2 X0 , e l’unico punto che non si vede da quella finestra è [0 : 0 : 1] 23 . Ci si chiede a questo punto se è possibile desumere ulteriori tracce affini da una conica proiettiva non degenere. I risultati che otterremo nelle prossime sezioni daranno una risposta negativa a questa domanda. Proiettività che mutano in sé V(X0 ). Se in P n (k) si assume come improprio l’iperpiano V(X0 ), ai fini della classificazione delle tracce affini delle quadriche di P n (k) è fondamentale la conoscenza delle proiettività che mutano in sé quell’iperpiano. Si ha 21 Come stabilito dal Teorema 17, ogni conica non degenere del piano proiettivo complesso è proiettivamente equivalente alla conica (1.19) che in quel piano contiene infiniti punti per esempio [1 : 0 : i] nessuno dei quali è rappresentabile in P 2 (R). 22 Si osservi che quelli indicati sono i punti improprı̂ degli asintoti delle iperboli considerate. 23 Che è il punto improprio dell’asse della parabola considerata. 18 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA Proposizione 20 . Sia ϕp una proiettività dello spazio proiettivo P n (k) che muta in sé l’iperpiano V(X0 ). Allora ϕp è definita da una matrice della forma 1 b1 . . . bn 0 .. . M 0 con (b1 , . . . , bn ) ∈ kn e M ∈ GL(n, k) Dimostrazione. Sia a c1 .. . 24 b1 . ... M bn (1.21) cn una matrice che definisce ϕp , dove (b1 , . . . , bn ) e (c1 , . . . , cn ) sono vettori di kn , a ∈ k ed M ∈ M(n, k). Posto [Y0 : Y1 : . . . : Yn ] := ϕp [X0 : X1 : . . . Xn ], Pn se X0 = 0, allora Y0 = j=1 cj Xj e, imponendo Y0 = 0 per ciascun punto [X1 : X2 : . . . : Xn ] ∈ P n−1 (k), si ricava cj = 0 prendendo X1 = . . . = Xj−1 = Xj+1 = . . . = Xn = 0 6= Xj . Dunque la prima colonna della (1.21) ha tutti i coefficienti nulli ad eccezione del coeffiente a: poiché è una matrice invertibile, deve essere necesariamente a 6= 0 ed M ∈ GL(n, k). Tenuto conto che una matrice che definisce una proiettività è determinata a meno di un fattore 6= 0, si può prendere a = 1. 2 Essendo una biiezione tra i punti, una proiettività muta in sé l’iperpiano V(X0 ) se, e solamente se, la proiettività muta in sé lo spazio affine Π0 dei punti di P n (k) di coordinate [X0 : X1 : . . . : Xn ] con X0 6= 0. La Proposizione 20 ci dice che la restrizione a Π0 di una tale proiettività è una funzione del tipo Pn Pn [1 : x1 : . . . : xn ] 7→ [1 : i=1 m1i xi + b1 : . . . : i=1 mni xi + bn ] per qualche matrice M = mij ∈ GL(n, k) e qualche vettore (b1 , b2 , . . . , bn ) ∈ kn , ovvero induce in Π0 un’affinità, cioè una trasformazione della forma Pn Pn (x1 , x2 , . . . , xn ) 7→ (1.22) i=1 m1i xi + b1 , . . . , i=1 mni xi + bn ottenuta componendo l’isomorfismo lineare Pn Pn (x1 , x2 , . . . , xn ) 7→ i=1 mni xi i=1 m1i xi , . . . , con la traslazione (x1 , . . . , xn ) 7→ (x1 + b1 , . . . , xn + bn ). Osserviamo che, cosı̀ come proiettività e cambiamenti di coordinate proiettive sono essenzialmente la stessa cosa, applicare un’affinità è equivalente a cambiare le coordinate nel piano affine: infatti, l’isomorfismo lineare serve a cambiare la base di riferimento dei vettori, la traslazione a cambiare l’origine del riferimento. 24 GL(n, k) denota il gruppo delle matrici n × n invertibili. 19 Tracce affini di una quadrica proiettiva. Si rappresenti una generica quadrica non degenere di P n (k) mediante l’equazione Pn 25 , (1.23) r, s=0 ars Xr Xs = 0 ovvero nella forma matriciale XAX T = 0 con a00 a01 . . . a0n a01 a11 . . . a1n A= . .. .. .. .. . . . a0n a1n . . . ann . (1.24) Assumendo V(X0 ) come iperpiano all’infinito, i punti propri della (1.23) sono quelli che sostengono la quadrica affine Pn Pn (1.25) k=1 a0k xk + a00 = 0, i, j=1 aij xi xj + 2 Xi ove si ponga xi := X , i = 1, . . . , n. La (1.25) è una quadrica affine scritta nella 0 sua forma più generale come insieme di zeri di un polinomio generico di secondo grado in x1 , . . . , xn . Si osservi che si riottiene la (1.23) dalla (1.25) eseguendo, Xi per i = 1, . . . , n, le sostituzioni xi = X e liberando dal denominatore 26 . Ciò 0 significa, in virtù di quanto stabilito nella sezione precedente, che il problema della classificazione delle tracce affini della (1.23) è equivalente al problema delle quadriche dello spazio affine An (k). Proposizione 21 . Ogni quadrica con chiusura proiettiva non degenere dello spazio affine di coordinate (x1 , x2 , . . . , xn ) prese in un dato campo k è affinemente equivalente o ad una quadrica d’equazione Pn 2 ∗ (1.26) i=1 ai xi + 1 = 0 (ai ∈ k ), o ad una quadrica d’equazione Pn−1 i=1 ai x2i + xn = 0 (ai ∈ k∗ ), (1.27) Se k è algebricamente chiuso i coefficienti ai possono essere tutti presi uguali a 1 (±1 se k = R) sia nella (1.26) che nella (1.27). Dimostrazione. Per quanto puntualizzato alla fine della sezione precedente, proveremo l’assunto trasformando le coordinate con un’affinità (1.22). Si prendano nella (1.22) come coefficienti mij quelli della matrice di passaggio dalla base utilizzata per dare le coordinate (x1 , . . . , xn ) ad una base ortogonale per la forma bilineare simmetrica associata alla forma quadratica Pn (x1 , . . . , xn ) 7→ i, j=1 aij xi xj che dà i termini di secondo grado nella (1.25). Se si danno coordinate ai vettori con questa nuova base (senza spostare l’origine del riferimento, cioè senza utilizzare traslazioni), l’effetto delle nuove coordinate, che continuiamo a indicare con 25 Abbiamo usato una rappresentazione diversa rispetto alla (1.16) per evitare il fattore compare nella matrice (1.17). 26 La (1.23) è detta la chiusura proiettiva della (1.25). 1 2 che 20 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA (x1 , . . . , xn ), è che la (1.25) si scrive senza termini in xi xj con i 6= j, cioè, non è restrittivo assumere nella (1.25) aij = 0 per i 6= j. Si scriva ai invece di aii . Se ai 6= 0, la traslazione (x1 , . . . , xn ) 7→ (x01 , . . . , x0n ) con x0i := xi + aa0ii e x0j = xj per j 6= i permette di porre a0i = 0 nella (1.25). Ne deduciamo che ci si può restringere a queste due possibilità: o ciascun ai è 6= 0 e conseguentemente ciascun a0i può essere assunto uguale a 0, cioè la (1.25) si trasforma nella (1.26) 27 , oppure uno degli ai è 0 e, a meno di una permutazione dei vettori della base di riferimento, si può prendere an = 0: in tal caso deve essere a0n 6= 0 28 e si può prendere a0n = 1 moltiplicando ambo i membri dell’equazione 29 per a−1 . 0n , cioè la (1.25) dà la (1.27) Adesso la dimostrazione può essere completata osservando che se ai è un quadrato (risp. l’opposto di un quadrato), diciamo ai = b2i (risp. ai = −b2i ), allora il cambiamento di coordinate (x1 , . . . , xn ) 7→ (x01 , . . . , x0n ) con bi xi se j = i; x0j := xj se j = i; permette di assumere ai = 1 (risp. ai = −1) sia nella (1.26) che nella (1.27). 2 Osservazione 22 . Una quadrica Γ del tipo (1.26) viene detta a centro perché l’origine del riferimento è centro di simmetria per essa: se vi Pnè un punto p nel sostegno di Γ, siano (p1 , . . . , pn ) le sue coordinate, quindi i=1 ai p2i + 1 = 0, allora appartiene al sostegno di Γ anche il punto simmetrico di p rispetto all’origine del riferimento, cioè il punto di coordinate (−p1 , , . . . , −pn ). Si osservi che non vi può essere alcuna affinità che trasforma una quadrica a centro in una quadrica non a centro perché i punti impropri delle due quadriche sostengono quadriche di rango diverso, precisamente di rango n e n − 1 rispettivamente. Classificazione delle coniche affini non degeneri. In accordo con la Proposizione 21, una conica del piano affine di coordinate (x, y) prese in un dato campo k ha chiusura proiettiva non degenere se, e solamente se, è affinemente equivalente o ad una conica a centro ax2 + by 2 + 1 = 0, a 6= 0 6= b, (1.28) o ad una conica non a centro (una parabola) ax2 + y = 0 a 6= 0. (1.29) Se k è algebricamente chiuso i parametri a e b nella (1.28) e nella (1.29) possono essere presi ambedue uguali ad 1 ed abbiamo esattamente due classi non equivalenti (cfr. Osservazione 22). Se k non è algebricamente chiuso vi sono più di due classi di coniche affini non equivalenti con chiusura proiettiva non degenere e un’elencazione di esse risulta 27 Se si vuole che il rango della matrice (1.24) sia massimo non può essere a 00 = 0 se ciascun a0i è nullo, cosicché si può assumere a00 = 1 a meno di moltiplicare ambo i membri dell’equazione per a−1 00 . 28 Altrimenti la matrice (1.24) non avrebbe rango massimo presentando una riga ed una colonna nulle. 29 Non vi può essere un ulteriore coefficiente a nullo perché ciò richiederebbe la presenza di i due righe e due colonne linearmente dipendenti nella (1.24), la i-ma e la n-ma. 21 problematica essendo strettamente legata alla struttura di k: ci limiteremo al caso classico k = R. Se k = R vi sono tre possibilità per la conica a centro (1.28) secondo che i parametri a e b siano ambedue positivi, ambedue negativi, oppure uno è positivo e l’altro negativo, nel qual caso, a meno di uno scambio dei vettori della base di riferimento, non è restrittivo suppore a > 0 > b. Per la parabola (1.29) vi è invece una sola possibilità: il cambio di coordinate (x, y) 7→ (x, −y) riconduce sempre il caso a > 0 al caso a < 0. In virtù di quanto stabilito nell’Osservazione 22 possiamo allora affermare: Teorema 23 Una conica del piano affine di coordinate (x, y) prese in un dato campo k, se ha chiusura proiettiva non degenere, può essere trasformata mediante un’affinità o in una conica a centro (1.28), o in una parabola (1.29). Se k è algebricamente chiuso abbiamo solamente le due forme canoniche x2 + y 2 + 1 = 0 e x2 + y = 0. Per k = R le forme canoniche sono quattro: − la conica a punti immaginari V(x2 + y 2 + 1); − la circonferenza V(x2 + y 2 − 1); − l’iperbole V(x2 − y 2 + 1); − la parabola V(x2 + y). 2 Osservazione 24 . Certamente una conica a punti immaginari non può essere trasformata mediante un’affinità né in una circonferenza, né in un’iperbole, né in una parabola perché è l’unica delle quattro ad avere sostegno vuoto. Per stabilire che le rimanenti sono a due a due non affinemente equivalenti basta riflettere sul fatto che il numero dei punti impropri per ciascun tipo di conica è differente: 0 per una circonferenza, 2 per un’iperbole, √ 1 per una parabola. Si osservi altresı̀ che √ per a 6= 0 6= b l’affinità (x, y) 7→ ( ax, by) trasforma l’ellisse V(ax2 + by 2 − 1) in una circonferenza, cioè ellissi e circonferenze sono coniche affinamente equivalenti. Le quadriche tridimensionali di rango 3. In virtù del Teorema 17 ogni quadrica di rango 3 dello spazio proiettivo di coordinate [X0 : X1 : X2 : X3 ] si può rappresentare con un’equazione del tipo a0 X02 + a1 X12 + a2 X22 = 0, (a0 , a1 , a2 ) 6= (0, 0, 0), (1.30) che nel caso in cui il campo delle coordinate sia algebricamente chiuso è riconducibile alla forma canonica X02 + X12 + X22 = 0. Se le coordinate [X0 : X1 : X2 : X3 ] sono prese nel campo dei numeri reali, a meno di moltiplicare per −1 il primo membro della (1.30) e/o scambiare le coordinate, non è restrittivo assumere che i parametri a0 , a1 , a2 o sono tutti positivi, o solamente a0 e a1 sono positivi e a3 è negativo. Nel primo caso √ √ √ [X0 : X1 : X2 : X3 ] 7→ [ a0 X0 : a1 X1 : a2 X2 : X3 ] è una proiettività che trasforma la (1.30) in X02 + X12 + X22 = 0, (1.31) 22 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA il cui sostegno consiste del solo punto v = [0 : 0 : 0 : 1], mentre nel secondo caso si può usare la proiettività √ √ √ a0 X0 : a1 X1 : −a2 X2 : X3 [X0 : X1 : X2 : X3 ] 7→ per trasformare la (1.30) in X02 + X12 − X22 = 0. (1.32) Nel sostegno della (1.32) troviamo nuovamente il punto v = [0 : 0 : 0 : 1], ma anche altri punti, per esempio quelli della conica d’equazione X02 + X12 − X22 = X3 = 0 (1.33) del piano V(X3 ). Inoltre, Se p = [p 0 : p 1 : p 2 : p 3 ] è un punto della (1.33) diverso da v, dunque p02 + p12 − p22 = 0 con (p1 , p2 , p3 ) 6= (0, 0, 0), la retta v + p per i punti v e p è interamente contenuta nella (1.32): infatti, v +p = hav + bpiR : [a : b] ∈ P 1(R) = [bp 0 : bp 1 : bp 2 : a + bp 3 ] : [a : b] ∈ P 1 (R) e si ha (bp 0 )2 + (bp 1 )2 − (bp 2 )2 = b2 p02 + p12 − p22 = 0. Dunque i punti della (1.32) sono distribuiti su rette passanti per v, più precisamente sulle rette che congiungono v con i punti della conica (1.33), ove si tenga conto che le rette su cui giacciono i punti della (1.32) devono necessariamente intersecare il piano V(X3 ) e l’intersezione tra questo piano e la (1.32) è proprio la conica (1.33) 30 . Riassumendo Proposizione 25 . Ogni quadrica di P 3 (R) di rango 3 è proiettivamente equivalente o alla (1.31), ed ha per sostegno un singolo punto, o alla (1.32), nel qual caso ha per sostegno il ”cono” di rette per un punto v (”vertice” del cono) che si appoggiano su una conica non degenere di un piano non passante per v (”direttrice” del cono) 31 . 2 Assumendo V(X0 ) come piano dei punti impropri e rappresentando i punti Xi , trovare le rappresentazioni canoniche propri in coordinate (x1 , x2 , x3 ), xi := X 0 per le tracce affini di una quadrica Γ di rango 3 di P 3 (R) è abbastanza semplice. Se Γ ha per sostegno un punto vi sono due possibilità: o il punto è affine, e a meno di una traslazione si può assumere che sia (0, 0, 0) con conseguente forma canonica V x12 + x22 + x32 (un cono (affine) a punti immaginari), oppure è all’infinito, e quindi il sostegno è vuoto. In questo secondo caso, il vettore che dà quel punto improprio può essere portato mediante un isomorfismo lineare in un qualunque altro vettore, per esempio nel vettore direttivo della retta V(x1 , x2 ), cioè, si può supporre che quel punto all’infinito sia [0 : 0 : 0 : 1]: la relativa forma canonica è allora V x12 + x22 + 1 (un cilindro a punti immaginari). 30 L’affermazione è supportata dal fatto che in dimensione proiettiva 3 una retta ed un piano che non la contiene hanno sempre per intersezione un punto. 31 Potendo inserire ogni punto di P 3 (R) in una cinquina di punti in posizione generale di cui tre giacenti su un piano non passante per il punto, il Corollario 7.3 ci assicura che possono essere scelti senza restrizioni sia il vertice, sia un piano dove posizionare una direttice, purché il piano non contenga il vertice; ma anche la scelta di una direttrice nel piano può essere scelta liberamente, visto che due coniche proiettive non degeneri a punti reali sono sempre proiettivamente equivalenti. 23 Anche quando il sostegno di Γ è un cono di rette vi sono due possibilità secondo che il vertice sia un punto affine o un punto all’infinito: come nel caso precedente possiamo assumere che questo vertice sia o il punto affine (0, 0, 0) o il punto improprio [0 : 0 : 0 : 1]. La prima possibilità conduce al cono affine V x12 + x22 − x32 , mentre la seconda dà una superficie formata da rette parallele aventi la direzione data dal punto improprio [0 : 0 : 0 : 1], cioè, quello che viene chiamato un cilindro. Quest’ultima eventualità fornisce tre distinte classi di quadriche affini non affinemente equivalenti secondo che la parte affine di una direttrice sia una circonferenza (cilindro a sezione circolare), un’iperbole (cilindro a sezione iperbolica), o una parabola (cilindro a sezione parabolica): le corrispon denti forme canoniche sono, rispettivamente, V x12 + x22 − 1 , V x12 − x22 − 1 e V x12 + x2 . La quadriche tridimensionali non degeneri. Per il Teorema 17 una quadrica non degenere di P 3 (R) si rappresenta mediante un’equazione della forma a0 X02 + a1 X12 + a2 X22 + a3 X32 = 0 per scalari ai che possono essere trasformati in ±1 mediante cambiamenti di coordinate già ampiamente consolidati in precedenza. Moltiplicando eventualmente il primo membro dell’equazione per −1 e/o permutando i vettori della base di riferimento, possiamo limitarci ai seguenti tre casi palesemente non equivalenti: 1. a0 , a1 , a2 , a3 ∈ R+ : la quadrica è proiettivamente equivalente a V X02 + X12 + X22 + X32 , una quadrica a punti immaginari il cui sostegno è vuoto; 2. a0 , a1 , a2 ∈ R+ e a3 ∈ R− : la quadrica è proiettivamente equivalente a V X02 + X12 + X22 − X32 una (quadrica a punti ellittici) il cui sostegno non contiene alcuna retta 32 ; 3. a0 , a1 ∈ R+ e a2 , a3 ∈ R− : la quadrica è proiettivamente equivalente a V X02 + X12 − X22 − X32 una (quadrica a punti iperbolici) il cui sostegno contiene rette 33 . Rimane da chiarire quali siano le tracce affini sia di una quadrica a punti ellittici che di una a punti iperbolici. Il seguente Teorema 26 chiarisce quali possono essere queste tracce. Teorema 26 . Ogni quadrica dello spazio affine A3 (R) avente chiusura proiettiva non degenere può essere trasformata con un’affinità in una, ed una sola, delle seguenti quadriche: 1. la quadrica a punti immaginari V x12 + x22 + x32 + 1 ; 32 Se una tale quadrica contenesse una retta questa dovrebbe intersecare il piano V(X ), ma 3 l’intersezione tra questo piano e la quadrica è vuota. 33 Per esempio la retta V(X − X , X − X ). 0 2 1 3 24 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA 2. la sfera V x12 + x22 + x32 − 1 ; 3. l’iperboloide a punti ellittici (a due falde) V x12 − x22 − x32 − 1 ; 4. l’iperboloide a punti iperbolici (ad una falda) V x12 − x22 + x32 − 1 ; 5. il paraboloide a punti ellittici V x12 + x22 + x3 ; 6. il paraboloide a punti iperbolici (a sella) V x12 − x22 + x3 . Dimostrazione. La lista si deduce agevolmente dalla Proposizione 21. Per stabilire che quelle sei quadriche non sono trasformabili con un’affinità una nell’altra, si osservi che • la quadrica a punti immaginari V x12 + x22 + x32 + 1 , visto il suo sostegno vuoto, non può essere trasformabile con un’affinità in alcuna delle rimanenti, che invece hanno un sostegno non vuoto; • la sfera V x12 + x22 + x32 − 1 è l’unica ad essere priva di punti impropri; • nessuna delle due quadriche a punti ellittici, può essere trasformabile con un’affinità in una a punti iperbolici perché le loro chiusure proiettive non sono proiettivamente equivalenti; • i punti all’infinito di un iperboloide sostengono una conica proiettiva non degenere; • i punti all’infinito di un paraboloide sostengono una conica proiettiva degenere. 2 Osservazione 27 . Se si vuole avere un’idea della forma di un iperboloide a una o a due falde, o di un paraboloide a punti ellittici o a sella, sono utili le seguenti considerazioni: • un iperboloide ad una falda (risp. a due falde) si ottiene facendo ruotare l’iperbole Γ := V x12 − x22 − 1 del piano V(x3 ) attorno alla retta V(x2 , x3 ) risp. V(x1 , x3 ) 34 ; 34 Facendo ruotare l’iperbole Γ attorno alla retta V(x , x ) si ottiene una superficie i cui punti 2 3 si distribuiscono su circonferenze giacenti su piani paralleli al piano x2 = 0 con centro sull’asse x2 e passanti per qualche punto dell’iperbole Γ. Sia Λ una di queste circonferenze e siano x2 = h il piano che la contiene e q = (a, h, 0) un punto di Γ per cui passa Λ: dunque a2 − h2 = 1. (1.34) Allora Λ ha centro c = (0, h, 0) e raggio pari alla distanza |a| che intercorre tra i punti q e c : pertanto le coordinate (x1 , h, x3 ) di un generico punto di Λ soddisfano l’equazione x12 + x32 = a2 cosicché la (1.34) dà l’iperboloide V x12 − x22 + x32 − 1 . Con analoghe considerazioni si può verificare che la rotazione di Γ attorno all’asse x1 produce l’iperboloide V x12 − x22 − x32 − 1 . 25 • un paraboloide a punti ellittici si ottiene facendo ruotare la parabola V x21 + x3 del piano V(x2 ) attorno alla retta V(x2 , x3 ) di quel piano 35 ; • le ”sezioni” di un paraboloide a sella rispetto a piani paralleli al piano V(x1 ) sono parabole con concavità verso l’alto, quelle rispetto a piani paralleli al piano V(x2 ) sono parabole con concavità verso il basso e quelle rispetto a piani paralleli al piano V(x3 ) sono iperboli, ad eccezione della sezione col piano V(x3 ) che dà una conica semplicemente degenere 36 . Pn La derivata di un polinomio. Sia dato un polinomio f (t) = i=0 ai ti ∈ D[t] a coefficienti in un dato dominio d’integrità D nella variabile t. Il polinomio derivata di f , o semplicemente la derivata di f , può essere definito in maniera simbolica come il polinomio f 0 (t) = Pn j=1 jaj tj−1 37 estendendo ad un qualsiasi dominio D quanto appreso nel calcolo infinitesimale nei casi in cui D è uno dei campi classici dell’Analisi Matematica. Poiché per un campo classico i due polinomi, derivata ottenuta simbolicamente e derivata fornita dal calcolo infinitesimale, devono coincidere, tutte le regole di derivazione apprese dal calcolo infinitesimale 38 possono essere utilizzate per un qualunque dominio D. Quanto detto giustifica l’estensione a polinomi a coefficienti in un dominio di fatti ben noti che riguardano i polinomi a coefficienti in R e che di seguito elenchiamo ai fini di una futura utilizzazione. − Il polinomio derivata k-esima induttivamente ponendo dk f, d tk indicato anche con f (k) , è definito dk d f := f (k−1) d tk dt ∂ − Se f (x1 , x2 , . . . , xm ) ∈ D[x1 , x2 , . . . , xm ], il polinomio ∂x f , derivata pari ziale di f rispetto a xi , è il polinomio derivata di f considerato come polinomio in xi a coefficienti nel dominio D[x1 , . . . , xi−1 , xi+1 , . . . , xm ]. È un facile esercizio verificare che vale l’identità ∂ ∂xj e si può usare il simbolo ∂ f ∂xi ∂2 ∂xi ∂xj f = ∂ ∂xi ∂ f ∂xj 39 per ambedue i membri. 35 L’affermazione può essere verificata con argomentazioni analoghe a quelle fatte per gli iperboloidi. 36 Un paraboloide a sella è l’unico tipo di quadrica che non può essere ottenuto facendo ruotare una conica attorno ad una retta. 37 Può essere usato come nel caso D = R il simbolo d f in luogo di f 0 . Si osservi che se il dt grado di f è divisibile per la caratteristica del campo, f 0 ha grado inferiore ad n − 1. 38 Per esempio, la derivata di una somma, o di un prodotto, di polinomi. 39 È sufficiente eseguire la verifica su un monomio, visto che la derivata di una somma di polinomi è la somma delle derivate dei singoli polinomi. 26 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA − la derivata del polinomio f x1 (t), x2 (t), . . . , xm (t) ∈ D[t], dove xi (t) ∈ D[t] (i = 1, . . . , m) ed f (x1 , x2 , . . . , xm ) ∈ D[x1 , x2 , . . . , xm ], non può essere diversa da quella che si trova col calcolo infinitesimale, cioè d dt f Pm ∂ x1 (t), x2 (t), . . . , xm (t) = i=1 x0i (t) ∂x f x1 , x2 , . . . , xm . i (1.35) Un’applicazione della (1.35) dà Proposizione 28 (Identità di Eulero). Siano D un dominio con unità ed F un polinomio omogeneo di grado n a coefficienti in D nelle indeterminate X1 , . . . , Xm . Allora Pm ∂ F (X1 , X2 , . . . , Xm ) 40 . 2 nF (X1 , X2 , . . . , Xm ) = i=1 Xi ∂X i Dimostrazione. Essendo F omogeneo di grado n si può scrivere F (tX1 , . . . , tXm ) = tn F (X1 , . . . , Xm ) per ogni t ∈ D. Derivando ambo i membri rispetto a t e ponendo t = 1D otteniamo l’assunto. 2 Ovviamente quando diciamo che i risultati che fornisce il calcolo differenziale sulle funzioni polinomiali possono essere estesi a polinomi a coefficienti in un dominio generico sottointendiamo che quei risultati devono avere un senso in quel 1 dominio. Per esempio il Teorema 29 presenta le frazioni k! che non hanno un significato in un generico dominio D, a meno che quel dominio non contenga il campo Q dei numeri razionali. Teorema 29 (Taylor). Sia D un dominio contenente il campo Q dei numeri razionali e sia f ∈ D[t] un polinomio di grado n. Allora si può scrivere f (t) = f (0) + tf 0 (0) + Dimostrazione. Sia f (t) = membri otteniamo t2 00 t3 000 tn (n) f (0) + f (0) + . . . + f (0) 2 6 n! Pn i=0 ai ti . Allora per derivate successive dei due a0 = f (0), a1 = f 0 (0), 2a2 = f 00 (0), 6a3 = f 000 (0), . . . , n!an = f (n) (0), da cui l’assunto. 2 Concludiamo questa sezione con un risultato che troverà applicazione nello studio locale di una curva algebrica. Proposizione 30 . Un polinomio f in una variabile t a coefficienti in un dominio D ammette la radice t0 con molteplicità > 1 se, e solamente se, t0 è radice anche di f 0 . 40 PmSi noti∂ che se la caratteristica di D divide il grado di F l’identità di Eulero implica che i=0 Xi ∂X F (X0 , X1 , . . . , Xm ) è il polinomio nullo. i 27 Dimostrazione. Per il Teorema di Ruffini si ha f (t) = (t − t0 )g(t) per qualche polinomio g. Eguagliando le derivate di ambo i membri troviamo l’identità polinomiale f 0 (t) = g(t) + (t − t0 )g 0 (t) che ci dice che il polinomio g ha t0 come radice esattamente quando t0 è radice di f 0 . 2 Le curve algebriche di P 1 (k). D’ora in poi, salvo diversamente specificato, il campo k delle coordinate sarà sempre assunto algebricamente chiuso. Un polinomio omogeneo in due indeterminate ha infiniti zeri (a, b), ma gli zeri proiettivi [a : b], cioè quelli definiti a meno di un fattore di proporzionalità, sono un numero finito; precisamente Proposizione 31 . Ogni polinomio omogeneo in due indeterminate X, Y ammette un numero di zeri proiettivi pari al suo grado, purché ciascuno venga contato con la relativa molteplicità. Pn i n−i Dimostrazione. Sia L(X, Y ) = , ei ∈ k. L ha [0 : 1] come i=0 ei X Y zero proiettivo esattamente quando e0 = 0 e in tal caso L si scrive nella forma L(X, Y ) = XM (X, Y ) con Pn M (X, Y ) = j=1 ej X j−1 Y n−j . Se anche M ha [0 : 1] come zero proiettivo, e quindi L ammette tale zero con molteplicità almeno 2, anche e1 è nullo e quindi L(X, Y ) = XM (X, Y ) = X 2 N (X, Y ) con Pn N (X, Y ) = l=2 el X l−2 Y n−l . Iterando l’argomento vediamo che la molteplicità di [0 : 1] come soluzione proiettiva di L è m esattamente quando e0 = e1 = . . . = em−1 = 0 e, conseguentemente, L(X, Y ) = X m Pn r=m er X r−m Y n−r Pn con em 6= 0 41 . Ogni zero proiettivo [a : b] del polinomio r=m er X r−m Y n−r è ovviamente diverso da [0 : 1], cioèPa 6= 0, per cui si può scrivere nella forma [1 : c] n con c := ab radice del polinomio r=m er Y n−r ∈ k[Y ]: per il Teorema fondamentale dell’Algebra questo polinomio ha esattamente n−m radici, ove si conti ciascuna radice con la sua molteplicità. Abbiamo pertanto un totale di m + (n − m) = n zeri proiettivi per L, ovviamente tenendo conto delle molteplicità. 2 Osservazione 32 . La dimostrazione del Lemma 31 ciPillumina sul seguente fatto. n Se cm+1 , cm+2 , . . . , cn sono le radici del polinomio r=m er tn−r ∈ k[t] contate con le rispettive molteplicità, il Teorema di Ruffini permette di scrivere Qn−m Pn n−r = em r=1 (t − cm+r ) r=m er t 41 Ovviamente m = 0 se L non ha [0 : 1] tra i suoi zeri proiettivi e, all’altro estremo, m = n se L(X, Y ) = en X n . 28 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA e quindi Pn r=m er X r−m Pn Qn−m Y n−r Y n−r = X n−m r=m er X = X n−m em r=1 Qn−m = em r=1 (Y − cm+r X) Y X − cm+r Qn−m e, conseguentemente, L(X, Y ) = em X m r=1 (Y − cm+r X). Se si riscrivono gli zeri proiettivi di L nella forma generale [a1 : b1 ], [a2 : b2 ], . . . , [an : bn ] si ha Qn L(X, Y ) = d j=1 (aj Y − bj X) per qualche scalare non nullo d. I fattori lineari a secondo membro, determinati a meno di un fattore scalare 6= 0, sono i fattori irriducibili di L. Poiché l’anello k[X, Y ]0 dei polinomi omogenei in X, Y è un dominio a fattorizzazione unica, i fattori irriducibili di L sono univocamente determinati (a meno di un fattore scalare 6= 0). Molteplicità d’intersezione. Sempre nell’ipotesi che il campo k delle coordinate è algebricamente chiuso, assumeremo anche che la sua caratteristica sia 0 e indicheremo costantemente con − F un polinomio omogeneo di grado n appartenente a k[X0 , X1 , X2 ]; − Γ la curva algebrica V(F ) del piano proiettivo di coordinate [X0 : X1 : X2 ] in k. Sia R = hp, qik una retta di P 2 (k) non contenuta in Γ con p = (p0 , p1 , p2 ) e q = (q0 , q1 , q2 ) vettori non nulli di k3 . Ogni punto di R si scrive allora nella forma hxp + yqik per un opportuno punto proiettivo [x : y] ∈ P 1 (k). Determinare i punti d’intersezione tra la curva Γ e la retta R significa risolvere l’equazione in x, y F xp0 + yq0 , xp1 + yq1 , xp2 + yq2 = 0, (1.36) il cui primo membro è un polinomio omogeneo di grado n nelle indeterminate x e y 42 : la Proposizione 31 ci assicura che la (1.36) ammette n soluzioni proiettive contando le relative molteplicità 43 . Se si sostituisce {p, q} con un’altra base {p0 , q 0 } di R, sia p0 = (p0 0 , p0 1 , p0 2 ) 0 e q = (q 0 0 , q 0 1 , q 0 2 ), e [x0 : y 0 ] denotano le coordinate rispetto a questa nuova base, per determinare i punti dell’intersezione Γ ∩ R in termini di queste nuove coordinate si deve ovviamente risolvere l’equazione in x0 , y 0 F x0 p0 0 + y 0 q 0 0 , x0 p0 1 + y 0 q 0 1 , x0 p0 2 + y 0 q 0 2 = 0. (1.37) Se M ∈ GL(2, k) è la matrice di passaggio dalla vecchia base alla nuova, il punto proiettivo [a : b] risolve la (1.36) esattamente quando il punto [a0 : b0 ] con (a0 , b0 ) = (a, b)M risolve la (1.37) e quindi M determina, insieme a M −1 , una biiezione tra i fattori irriducibili della (1.36) e i fattori irriducibili della (1.37). Questo significa che se una soluzione [a : b] della (1.36) si presenta con una certa molteplicità, anche la soluzione [a0 : b0 ] della (1.37) si presenta con la stessa molteplicità. Dunque, per un dato punto hap + bqik della retta R, la molteplicità 42 L’eventualità che la (1.36) sia identicamente soddisfatta equivale a chiedere che la retta R sia contenuta in Γ, un’eventualità che stiamo escludendo. 43 Dunque, quando il campo k delle coordinate è algebricamente chiuso, una retta non contenuta in una curva di P 2 (k) di grado n interseca la curva in al più n punti, precisamente in n se vengono prese in considerazione le molteplicità. 29 d’intersezione di R con Γ in hap + bqik resta ben definita come la molteplicità di [a : b] come soluzione proiettiva della (1.36), essendo tale molteplicità indipendente dal riferimento {p, q} scelto. Ovviamente questa molteplicità è 0 se hap + bqik 6∈ Γ; inoltre, includeremo in questa definizione il caso in cui la retta R è contenuta in Γ dicendo che la molteplicità d’intersezione di R con Γ è ∞ in ogni punto di R. Osservazione 33 . Una proiettività ϕp di P 2 (k) trasforma Γ nella curva V(f ), dove G := F ◦ ϕ−1 ; infatti, se (Y0 , Y1 , Y2 ) := ϕ(X0 , X1 , X2 ), cioè [Y0 : Y1 : Y2 ] := ϕp [X0 : X1 : X2 ], si ha G(Y0 , Y1 , Y2 ) = F ◦ ϕ−1 ϕ(X0 , X1 , X2 ) = F (X0 , X1 , X2 ). Inoltre, ϕp (R) = ϕp hp, qik = hϕ(p), ϕ(q)ik cosicché i fattori irriducibili del polinomio omogeneo in x, y L(x, y) := F (xp + yq) = G(xϕ(p) + yϕ(q)) danno simultaneamente le intersezioni, e le relative molteplicità, di R con V(F ) e di ϕp (R) con ϕp V(F ) = V(f ); in altre parole la molteplicità d’intersezione di una retta con una curva in un suo punto è un invariante proiettivo. Studio locale di una curva algebrica. Mantenendo la notazione della sezione precedente, si assuma Q 6∈ Γ. In queste condizioni la (1.36) non ammette la soluzione proiettiva [0 : 1] corrispondente al punto Q per cui i punti dell’intersezione R ∩ Γ sono della forma hp + aqik con a ∈ k a radice del polinomio f (t) := F (p + tq) = F (p0 + tq0 , p1 + tq1 , p2 + tq2 ). (1.38) Poiché stiamo supponendo k di caratteristica 0 possiamo applicare Il Teorema 29 di Taylor cosicché, usando la (1.35), il polinomio (1.38) si riscrive, con notazione propria del calcolo differenziale, nella forma P2 2 P2 2 ∂ F + t2 i,j=0 qi qj ∂X∂i ∂Xj p F + f (t) = F (p) + t i=0 qi ∂X i p (1.39) 3 P2 ∂3 F + ... ... + t6 i,j,k=0 qi qj qk ∂Xi ∂X j ∂Xk p più eventuali termini di grado superiore a 3 nel caso in cui n > 3 44 . Palesemente P è un punto di Γ esattamente quando t = 0 è radice del polinomio (1.39). La retta R ha molteplicità d’intersezione maggiore di 1 con Γ in P esattamente quando t = 0 è radice di molteplicità almeno 2 con Γ in P ovvero se, e solamente se, P2 ∂ (1.40) i=0 qi ∂Xi p F = 0. Distinguiamo due situazioni: o la (1.40) è un’equazione di primo grado nelle variabili q0 , q1 , q2 , oppure è identicamente nulla, cioè è nullo il gradiente ∂ ∂ ∂ 3 ∇F (p) = ∂X F, F, (1.41) ∂X1 p ∂X2 p F ∈ k . 0 p Nel primo caso i punti Q per cui la retta R per P e Q ha molteplicità d’intersezione maggiore di 1 con Γ in P sono quelli della retta P 2 ∂ TP (Γ) := V (1.42) i=0 Xi ∂Xi p F . 44 Se Γ è una conica la (1.39) s’interrompe dopo due passi essendo nulle le derivate terze. 30 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA Nel secondo caso comunque si scelga il punto Q, ovvero comunque si scelga una retta passante per P , questa retta ha molteplicità d’intersezione maggiore di 1 con Γ in P 45 . Definizione 34 . Se il gradiente (1.41) non è nullo il punto P di Γ viene detto un punto regolare e la retta (1.42) è detta la tangente a Γ in P : tale retta è l’unica retta per P che ha molteplicità d’intersezione maggiore di 1 con Γ in P . In caso contrario P viene detto un punto singolare di Γ ed ogni retta passante per P ha molteplicità d’intersezione maggiore di 1 con Γ in P . Osservazione 35 . La Definizione 34 ha senso anche nel caso in cui Γ sia una conica (cfr. nota 44 a piè di pagina). Guardando il gradiente delle forme canoniche delle coniche di P 2 (k) si vede che solo quelle degeneri possono avere punti singolari; più precisamente, quelle semplicemente degeneri hanno nell’intersezione delle due rette componenti l’unico punto singolare, mentre i punti di una conica doppiamente degenere sono tutti singolari 46 . Se Γ è una conica semplicemente degenere e P è un suo punto regolare, la retta tangente TP (Γ) è necessariamente la componente di Γ su cui giace P perché ogni altra retta per P interseca Γ in un punto appartenete all’altra componente e quindi ha molteplicità d’intersezione 1 con Γ in P . Osservazione 36 . L’identità di Eulero 28 ci dice che l’annullarsi del gradiente di un polinomio F nelle coordinate di un punto implica l’appartenenza del punto a Γ e conseguentemente che quel punto è singolare per Γ. Considerazioni analoghe a quelle sviluppate in questa sezione per una curva proiettiva possono essere riproposte anche per una curva V(g) del piano affine A2 (k). Se P è un punto della curva, siano (px , py ) le sue coordinate, ed R è una generica retta di A2 (k) per P , sia (ux , uy ) un suo vettore direttivo, i punti dell’intersezione R ∩ V(g) hanno coordinate (px + aux , py + auy ) con t = a radice del polinomio g(px + tux , py + tuy ) ∈ k[t]; (1.43) in particolare la radice t = 0 corrisponde al punto P . La retta R ha molteplicità d’intersezione maggiore di 1 con la curva V(g) in P esattamente quando t = 0 è anche radice del polinomio derivata (cfr. Proposizione 30), cioè se, e solamente se, ∂ ∂ g + uy ∂y g = 0. ux ∂x (1.44) p p Come nel caso proiettivo, abbiamo due differenti possibilità: o la (1.44) è un’equazione omogenea di primo grado in ux e uy , e quindi vi è solo la soluzione 45 Si noti che questa affermazione vale anche per un’eventuale retta contenuta in Γ (molteplicità ∞) che abbiamo escluso inizialmente dalle nostre considerazioni. 46 Il fatto che l’intersezione delle componenti di una conica riducibile produca punti singolari è un fatto generale che riguarda le curve di ogni grado, cioè: ”Se un polinomio F si decompone nel prodotto F = F1 F2 di due polinomi di grado positivo, quindi V(F ) = V(F1 ) ∪ V(F2 ), allora V(F1 ) ∩ V(F2 ) consiste di punti singolari di V(F )”. Infatti, l’identità ∂ ∂ ∂ F = F1 (p) ∂X F + F2 (p) ∂X F ∂X p p 2 p 1 i i i mostra che se hpik appartiene sia a V(F1 ) che V(F2 ), allora il vettore p è uno zero per ciascuno ∂ ∂ ∂ dei polinomi ∂X F , ∂X F , ∂X F. 0 1 2 31 proiettiva h ∂ ∂y p g i ∂ : − ∂x g p che la risolve, cioè la retta d’equazione ∂ ∂ g + (y − py ) ∂x g=0 (x − px ) ∂y p p è la sola retta per P che ha molteplicità d’intersezionemaggiore di 1 con la curva ∂ ∂ (la tangente a V(g) in P ), oppure è nullo il gradiente ∂x g, ∂y g e ogni retta p p passante per P ha molteplicità d’intersezione maggiore di 1 con V(g) in P , cioè P è un punto singolare della curva. Osservazione 37 . A differenza del caso della curva proiettiva V(F ) dove l’annullarsi del gradiente di F nelle coordinate di un punto implica che il punto sta sulla curva (cfr. Osservazione 36), nel caso affine questo non è detto che succeda: per esempio, il gradiente in (0, 0) della funzione g(x, y) = x3 + y 3 + 1 è (0, 0), ma (0, 0) non è un punto di V(g). Riprendiamo lo studio locale della curva proiettiva Γ = V(F ) mantenendo la precedente notazione. Riguardiamo il polinomio (1.38) nell’ipotesi che P = hpik sia un punto singolare di Γ: in tal caso 3 P2 2 2 P2 ∂3 F + ... . f (t) = t2 i,j=0 qi qj ∂X∂i ∂Xj p F + t6 i,j,k=0 qi qj qk ∂Xi ∂X ∂X j k p (1.45) Chiaramente t = 0 è radice di molteplicità maggiore di 2 per f , e quindi la retta R = hp, qik ha molteplicità d’intersezione maggiore di 2 con Γ in P , esattamente quando P2 ∂2 (1.46) i,j=0 qi qj ∂Xi ∂Xj p F = 0. Come nel caso della (1.40), anche la (1.46) presenta due situazioni ben distinte: o 2 le 9 derivate parziali ∂X∂i ∂Xj p F sono tutte nulle, e in tal caso comunque si scelga il punto Q la retta per P e Q, cioè una qualunque retta per P , ha molteplicità d’intersezione maggiore di 2 con Γ in P , oppure i punti Q per cui la retta per P e Q ha molteplicità d’intersezione maggiore di 2 con Γ in P sono quelli della conica ΩP (Γ) := V(G) definita dal polinomio (1.47) G(X0 , X1 , X2 ) = ∂2 i,j=0 Xi Xj ∂Xi ∂Xj p F. P2 La conica ΩP (Γ), detta osculatrice di Γ in P , dà informazioni che illuminano su quello che avviene in P come la seguente Proposizione 38 spiega. Proposizione 38. Si assuma che le le derivate seconde di F valutate in p non siano tutte nulle cosicché è ben definita la conica ΩP (Γ) data dalla (1.47). Allora si ha − P è un punto regolare di Γ se, e solamente se, P è un punto regolare di ΩP (Γ) e ΩP (Γ) condivide con Γ la stessa tangente TP (Γ) in P ; − P è un punto singolare di Γ se, e solamente se, P è un punto singolare di ΩP (Γ). 32 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA Dimostrazione. Per l = 0, 1, 2 si ha P2 P2 ∂ ∂2 ∂ ∂2 i=0 Xi ∂Xi ∂Xl p F i,j=0 ∂Xl (Xi Xj ) ∂Xi ∂Xj p F = 2 ∂Xl G(X0 , X1 , X2 ) = ∂ F, e, applicando l’identità di Eulero (Proposizione 28) al polinomio omogeneo ∂X l ∂ ∂ (l = 0, 1, 2). (1.48) ∂Xl p G = 2(n − 1) ∂Xl p F Allora, l’identità di Eulero applicata a G, permette di scrivere P2 P2 ∂ ∂ 2G(p) = i=0 pi ∂X G = 2(n − 1) i=0 pi ∂X F = 2n(n − 1)F (p) = 0 i p i p e si vede che P ∈ Γ ⇐⇒ P ∈ ΩP (Γ). Inoltre, per la (1.48), possiamo affermare che P è un punto regolare (risp. singolare) per Γ esattamente quando è un punto regolare (risp. singolare) per ΩP (Γ) con tangente P P2 2 ∂ ∂ TP (G) := V i=0 Xi ∂Xi p F = TP (Γ). 2 i=0 Xi ∂Xi p G = V 2(n − 1) La Proposizione 38 giustifica adesso le seguente 2 Definizione 39 . Sia P un punto singolare di Γ. Se le derivate parziali ∂X∂i ∂Xj p F (i, j = 0, 1, 2) non sono tutte nulle, e quindi la conica ΩP (Γ) è ben definita, allora P è detto un punto doppio di Γ. In particolare P si dice un nodo se la conica ΩP (Γ) (1.47) è una conica semplicemente degenere cioè se esistono precisamente due rette per P che hanno molteplicità maggiore di 2 con Γ in P (le cosiddette tangenti principali a Γ in P ), una cuspide se ΩP (Γ) è una conica doppiamente degenere cioè se c’è precisamente una retta (la tangente principale a Γ in P ) che ha molteplicità maggiore di 2 con Γ in P 47 . Osservazione 40 . Se tutte le derivate parziali seconde di F si annullano in p, ∂ allora l’identità di Eulero (Proposizione 28) applicata a ciascun polinomio ∂X F, j j = 0, 1, 2, dà P P2 2 2 ∂ ∂ ∂ F = F = i=0 Xi ∂X∂i ∂Xj F, (n − 1) ∂X X i i=0 ∂Xi ∂Xj j identità che garantiscono l’annullarsi anche di tutte le derivate parziali prime, cioè P è in ogni caso un punto singolare. Nascono in questo caso tutta una serie di definizioni, legate all’annullarsi o meno in p anche delle derivate d’ordine superiore, casi che crescono al crescere del grado n di Γ. Ci limitiamo a definire punto triplo un punto singolare tale che tutte le rette per esso hanno con la curva molteplicità d’intersezione almeno 3 (che equivale all’annullarsi in quel punto di tutte le derivate parziali seconde) ed alcune hanno molteplicità d’intersezione superiore a 3 (che equivale al non annullarsi in quel punto di tutte le derivate parziali terze). Si può dimostrare che queste rette (le tangenti principali) sono al più 3. Per una cubica queste rette devono avere necessariamente molteplicità d’intersezione ∞, cioè devono essere contenute nella cubica, non essendo ammessa in questo caso la molteplicità d’intersezione 4, cosicché la cubica si decompone in 3 rette per P . 47 Nel caso di un campo non algebricamente chiuso, per esempio k = R, c’è una terza eventualità che va considerata e cioè che la conica (1.47) abbia per sostegno il solo punto P . In tal caso il punto singolare P viene detto un nodo isolato. 33 In virtù dell’Osservazione 40, se P è un punto regolare di Γ, allora sia la retta TP (Γ) (1.42) che la conica ΩP (Γ) (1.47) sono ben definite. La Proposizione 38 ci dice che in tal caso Γ e ΩP (Γ) condividono la stessa tangente TP (Γ). Se ΩP (Γ) è degenere, TP (Γ) è contenuta in ΩP (Γ) e il polinomio (1.39) ci dice che TP (Γ) ha in tal caso molteplicità d’intersezione maggiore di 2 con Γ in P , cioè P è un punto di flesso secondo la seguente Definizione 41 . Il punto regolare P di Γ̄ è detto un punto di flesso se la tangente TP (Γ) ha molteplicità d’intersezione k > 2 con Γ in P 48 . Dunque, se P è regolare e ΩP (Γ) è degenere, P è un punto di flesso. Ma vale anche il viceversa. Se P è di flesso la tangente TP (Γ) ha molteplicità d’intersezione almeno 3 con Γ̄ in P : guardando il polinomio (1.39) vediamo che ciò significa che le coordinate [q0 : q1 : q2 ] di ogni punto Q appartenente a TP (Γ) devono soddisfare anche l’equazione di ΩP (Γ), cioè TP (Γ) deve essere contenuta in ΩP (Γ) cosicché ΩP (Γ) è degenere 49 . Riassumendo ci sono due tipi di punti P di Γ per cui ΩP (Γ) è una ben definita conica degenere: i punti singolari doppi ed i flessi. Come ogni conica, anche ΩP (Γ) si definisce mediante una matrice simmetrica che nel caso di ΩP (Γ) è la matrice hessiana ∂2 ∂2 ∂2 ∂X0 ∂X0 p F ∂X0 ∂X1 p F ∂X0 ∂X2 p F 2 2 2 (1.49) ∂X∂1 ∂X0 p F ∂X∂1 ∂X1 p F ∂X∂1 ∂X2 p F . 2 2 2 ∂ ∂ ∂ F F F ∂X2 ∂X0 p ∂X2 ∂X1 p ∂X2 ∂X2 p Si può quindi concludere che P è un punto singolare doppio, o un punto di flesso, esattamente quando la matrice hessiana (1.49) è non nulla ed ha determinante 0, ovvero appartiene alla curva hessiana V(HF ) di V(F ) = Γ̄, cioè alla curva di grado 3(n − 2) 50 definita dal polinomio ∂2F ∂2F ∂2F HF := det ∂X0 ∂X0 ∂2F ∂X1 ∂X0 ∂2F ∂X2 ∂X0 ∂X0 ∂X1 ∂2F ∂X1 ∂X1 ∂2F ∂X2 ∂X1 ∂X0 ∂X2 ∂2F ∂X1 ∂X2 ∂2F ∂X2 ∂X2 . Osservato che appartengono a V(HF ) anche i rimanenti punti singolari, cioè quelli che annullano tutte le derivate parziali seconde di F , possiamo enunciare il seguente Teorema 42 . Se V(F ) è una curva di grado n ≥ 3, i punti comuni a V(F ) e alla sua hessiana V(HF ) sono precisamente i punti singolari ed i punti di flesso di V(F ). Osservazione 43 . Un teorema dovuto a Bezout, che non dimostriamo, stabilisce che se il campo k è algebricamente chiuso due curve algebriche del piano proiettivo di coordinate in k hanno almeno un punto in comune 51 . In virtù del Teorema 42 48 L’intero k − 2 è detto il tipo del flesso P . questo caso però, non potendo essere P un punto singolare, ΩP (Γ) deve essere una conica semplicemente degenere che si sostiene in due rette, di cui una è la tangente TP (Γ), che non s’intersecano in P . 50 Ovviamente per rette e coniche non c’è una curva hessiana. 51 Abbiamo già osservato ciò nel caso in cui una delle curve sia una retta (cfr. la nota 43 a piè di pagina). 49 In 34 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA ciò implica che una curva di grado n ≥ 3 ha almeno un punto singolare, oppure un punto di flesso. Lo spazio delle coniche. I polinomi omogenei di secondo grado nelle indeterminate X0 , X1 e X2 costituiscono, con l’aggiunta del polinomio nullo, uno spazio vettoriale di dimensione 6 avendo come base i monomi X02 , X0 X1 , X0 X2 , X12 , X1 X2 , X22 . Poiché l’equazione di una conica è individuata a meno di un fattore di proporzionalità, ogni conica è identificabile con un punto di uno spazio proiettivo di dimensione 5 che chiameremo lo spazio (proiettivo) delle coniche; più precisamente, la conica d’equazione A00 X02 + A01 X0 X1 + A02 X0 X2 + A11 X12 + A12 X1 X2 + A22 X22 = 0 si identifica col punto proiettivo di coordinate [A00 : A01 : A02 : A11 : A12 : A22 ]. Ne consegue che le coniche passanti per un dato punto [P0 : P1 : P2 ] costituiscono un iperpiano nello spazio proiettivo di coordinate [A00 : A01 : A02 : A11 : A12 : A22 ], precisamente l’iperpiano d’equazione P02 A00 + P0 P1 A01 + P0 P2 A02 + P12 A11 + P1 P2 A12 + P22 A22 = 0. Poiché in uno spazio proiettivo di dimensione 5 un punto si ottiene come intersezione di 5 iperpiani, si può concludere che servono 5 punti per individuare univocamente una conica 52 . Siano P ed R un punto ed una retta di un piano proiettivo con P ∈ R e si denoti con Λ l’insieme delle coniche di quel piano aventi molteplicità d’intersezione ≥ 2 con R in P . Sia R0 X0 + R1 X1 + R2 X2 = 0 un’equazione lineare che rappresenti R. Con queste coordinate le coniche di Λ sono precisamente le coniche V(F ) per cui si ha ( ∇F (P ) = (0, 0, 0), se P è singolare; ∂F ∂F ∂F ∂X0 (P ) : ∂X1 (P ) : ∂X2 (P ) = [R0 : R1 : R2 ], se P è regolare. Ambedue le eventualità possono essere condensate nel fatto che la matrice ! R0 R1 R2 ∂F ∂X0 (P ) ∂F ∂X1 (P ) ∂F ∂X2 (P ) ha rango 1, condizione che è equivalente a chiedere che due opportuni minori d’ordine 2 della matrice siano nulli 53 . Poiché i due minori danno equazioni lineari 52 Poiché gli iperpiani devono essere linearmente indipendenti, i punti non possono essere scelti arbitrariamente: per esempio, 5 punti di cui 4 allineati su una retta non individuano univocamente una conica ma un fascio di coniche, ovvero una retta nello spazio delle coniche. 53 Infatti, uno almeno tra R , R , R deve 6= 0; se R 6= 0 allora 0 1 2 0 R0 ∂F (P ) ∂X0 R1 ∂F (P ) ∂X1 = R0 ∂F (P ) ∂X0 R2 ∂F (P ) ∂X2 =0 (1.50) ∂F ∂F ∂F dà R2 R0 ∂X (P ) = R2 R1 ∂X (P ) = R1 R0 ∂X (P ) e, eliminando R0 dal primo e dall’ultimo 1 0 2 membro, si ottiene che anche il terzo minore R1 ∂F (P ) ∂X1 R2 ∂F (P ) ∂X2 deve essere nullo. Analogamente si procede se R1 6= 0, o se R2 6= 0. 35 nei sei coefficienti di F , equazioni indipendenti perché coinvolgono coefficienti differenti di F , si vede che Λ sostiene un sottospazio di codimensione 2. Si osservi che se s’impone alle coniche di Λ di passare per ulteriori due punti non allineati con P si ottiene un fascio di coniche (un fascio di tangenza). 36 CAPITOLO 1. GEOMETRIA PROIETTIVA Capitolo 2 Topologia generale Intorni sferici in uno spazio metrico. Uno spazio metrico è semplicemente una coppia (X, d) costituita da un insieme non vuoto X e da una metrica, cioè una funzione d : X × X → R, detta anche distanza, che soddisfa le condizioni • • • d(x1 , x2 ) ≥ 0, d(x1 , x2 ) = 0 ⇐⇒ x1 = x2 d(x1 , x2 ) = d(x2 , x1 ) d(x1 , x2 ) + d(x2 , x3 ) ≥ d(x1 , x3 ) (positività); (simmetria); (triangolarità); ∀x1 , x2 , x3 ∈ X. L’esempio classico di spazio metrico è lo spazio euclideo En che ha sostegno in Rn con metrica q 2 Pn dn : (x, y) 7−→ i=1 xi − yi , dove si è posto x = x1 , x2 , . . . , xn e y = y1 , y2 , . . . , yn 1 . Ogni insieme non vuoto X può essere dotato di una metrica; la più semplice da introdurre è la metrica discreta: 0, se x = y; 2 δ(x, y) = 1, se x 6= y. Definizione 44 . In uno spazio metrico (X, d) un intorno sferico di centro p ∈ X e raggio r ∈ R+ è il sottoinsieme Bd (p, r) = x ∈ X : d(p, x) < r di X. Osservazione 45 . L’aggettivo ”sferico” è suggerito dagli intorni sferici di E3 che sono parti interne di sfere, ma già in E1 questa ”rotondità” degli intorni sferici non sussiste, essendo in tal caso Bd1 (p, r) l’intervallo aperto ] p − r, p + r[ di R. Ancor più distanti dall’idea di sfera sono gli intorni sferici di uno spazio metrico discreto: si riducono o ai singoli punti (quelli di raggio ≤ 1) o coincidono con l’intero spazio (quelli di raggio > 1). 1 Osserviamo che d1 (x, y) = |x − y| per ogni coppia di numeri reali x e y. positività e la simmetria di δ sono evidenti. Per la triangolarità si osservi che non è possibile che sia δ(x1 , x2 ) + δ(x2 , x3 ) = 0 e δ(x1 , x3 ) = 1 perché questo porterebbe alla contraddizione x1 = x2 = x3 6= x1 . 2 La 37 38 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE Decisamente ”non rotondi” sono gli intorni sferici determinati dalla seguente metrica µn definibile in Rn : µn : (x, y) 7−→ max{|xi − yi |}i=1,2, ... ,n 3 . Per questa metrica l’intorno sferico di centro p = (p1 , p2 , . . . , pn ) e raggio r è Bµn (p, r) = x ∈ Rn : |pi − xi | < r, i = 1, 2, . . . , n , ovvero consiste dei punti che stanno all’interno dell’(iper-)cubo di Rn di centro p e lato 2r. Sono immediate le inclusioni Bµn p, √r2 ⊂ Bdn (p, r) ⊂ Bµn (p, r). (2.1) Vi sono metriche in cui gli intorni sferici hanno legami più forti della (2.1). Infatti, ad ogni metrica d definita su un insieme X ne resta associata un’altra, ¯ definita su X dalla relazione che denotiamo con d, ¯ 1 , x2 ) := d(x d(x1 , x2 ) . 1 + d(x1 , x2 ) (2.2) 3 Chiaramente µ = d . Per n > 1 invece, posto |x − z | := max{|x − z |} m m 1 1 i i i=1,2, ... ,n , con la notazione consolidata in questa sezione possiamo scrivere µn (x, z) = |xm − zm | ≤ |xm − ym | + |ym − zm | ≤ max{|xi − yi |}i=1,2, ... ,n + max{|yi − zi |}i=1,2, ... ,n = µn (x, y) + µn (y, z). 39 d¯ è palesemente definita positiva e simmetrica perché tale è d. Per la proprietà triangolare, osserviamo che la diseguaglianza d(x2 , x3 ) d(x1 , x3 ) d(x1 , x2 ) + ≥ 1 + d(x1 , x2 ) 1 + d(x2 , x3 ) 1 + d(x1 , x3 ) può essere riscritta nella forma d(x1 , x2 ) 1 + d(x2 , x3 ) 1 + d(x1 , x3 ) + d(x2 , x3 ) 1 + d(x1 , x2 ) 1 + d(x1 , x3 ) ≥ d(x1 , x3 ) 1 + d(x1 , x2 ) 1 + d(x2 , x3 ) e semplificando d(x1 , x2 )+d(x2 , x3 )+2d(x1 , x2 )d(x2 , x3 )+d(x1 , x2 )d(x2 , x3 )d(x1 , x3 ) ≥ d(x1 , x3 ), una disuguaglianza certamente vera perché la proprietà triangolare vale per la metrica d e la quantità 2d(x1 , x2 )d(x2 , x3 ) + d(x1 , x2 )d(x2 , x3 )d(x1 , x3 ) a primo membro è certamente non negativa. Il legame tra gli intorni di questa metrica d¯ e gli intorni della metrica d è il seguente ( X, se r ≥ 1; 4 Bd¯(p, r) = (2.3) r Bd p, 1−r , se r < 1; s 5 Bd (p, s) = Bd¯ p, 1+s . (2.4) Un aperto di uno spazio metrico (X, d) è un sottoinsieme di X che si ottiene come unione di intorni sferici. In particolare sono aperti l’insieme vuoto (unione di 0 intorni sferici) e X (unione di tutti gli intorni sferici). Chiaramente rientra nella definizione di aperto ogni singolo intorno sferico. Un intorno sferico, però, può anche essere ottenuto come unione d’intorni sferici più piccoli; più precisamente Proposizione 46 . Per ogni punto q di un intorno sferico Bd (p, r) esiste un numero reale positivo s tale che Bd (q, s) ⊆ Bd (p, r). Dimostrazione. Infatti, posto s := r − d(p, q), per ciascun x ∈ Bd (q, s) si ha d(q, x) < s = r − d(p, q) ⇒ d(p, q) + d(q, x) < r ⇒ d(p, x) < r ⇒ x ∈ Bd (p, r). 2 4 Se d(p,x) < r ⇐⇒ 1+d(p,x) d(p,x) ¯ d(p, x) = 1+d(p,x) < s . 1+s r < 1, si ha x ∈ Bd¯(p, r) ⇐⇒ invece r ≥ 1, per ciascun x ∈ X è 5 Si ottiene dalla (2.3) per r = d(p, x) < 1 ≤ r. r 1−r ⇐⇒ x ∈ Bd p, r 1−r . Se 40 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE Osservazione 47 . Se q è un elemento di un aperto A di uno spazio metrico (X, d), allora esiste un intorno sferico Bd (p, r) per cui si ha q ∈ Bd (p, r) ⊆ A perché A è unione d’intorni sferici. La Proposizione 46 asserisce che non è restrittivo assumere p = q. Osservazione 48 . Può capitare che metriche diverse definiscano gli stessi aperti. In virtù della (2.3) è certamente questo il caso di due metriche d e d¯ soddisfacenti la (2.2). Ma anche le metriche µn ed dn di Rn definiscono gli stessi aperti perché si può dimostrare che ogni intorno sferico Bµn (p, r) è unione di intorni sferici dello spazio euclideo En = Rn , dn 6 e, viceversa, ogni intorno euclideo Bdn (p, r) è unione d’intorni sferici dello spazio metrico Rn , µn 7 . Tutto ciò rientra nella seguente Definizione 49. Definizione 49 . Due metriche definite su uno stesso insieme si dicono equivalenti se definiscono gli stessi aperti. Il concetto di spazio topologico. Chiaramente per la famiglia dei sottoinsiemi aperti di uno spazio metrico vale la seguente: Proposizione 50 . L’unione dei membri di una qualsiasi famiglia ancora un aperto. 2 8 di aperti è Ma si può dimostrare anche che Proposizione 51 L’intersezione di due aperti è ancora un aperto; conseguentemente, per induzione, l’intersezione di un numero finito di aperti è ancora un aperto 9 . Dimostrazione. Siano A1 e A2 aperti. Se A1 ∩ A2 = ∅ l’assunto è vero, per cui possiamo senz’altro supporre che esiste q ∈ A1 ∩ A2 : esistono allora intorni sferici Bd (p1 , r1 ) ⊆ A1 e Bd (p2 , r2 ) ⊆ A2 tali che q ∈ Bd (p1 , r1 ) ∩ Bd (p2 , r2 ). L’Osservazione 47 ci assicura che possiamo assumere p1 = q = p2 ; allora, se r denota il più piccolo tra i raggi r1 ed r2 , valgono le inclusioni q ∈ Bd (q, r) ⊆ A1 ∩A2 che ci permettono di concludere che A1 ∩ A2 è unione d’intorni sferici. 2 Le Proposizioni 50 e 51 evidenziano proprietà degli aperti e degli intorni sferici di uno spazio metrico (X, d) che s’inquadrano nella seguente Definizione 52 . Sia X un insieme non vuoto. Una struttura topologica, o topologia, su X è una famiglia non vuota T di sottoinsiemi di X che soddisfano le seguenti condizioni: 6 Infatti, se q ∈ B µn (p, r), per la Proposizione 46 c’è un intorno Bµn (q, s) ⊆ Bµn (p, r) e per la (2.1) si ha q ∈ Bdn (q, s) ⊆ Bµn (q, s) ⊆ Bµn (p, r). s 7 Infatti, se q ∈ B (p, r), si ha q ∈ B ⊆ Bdn (q, s) ⊆ Bdn (p, r) per un opportuno µn q, √ dn 2 raggio s la cui esistenza è garantita dalla Proposizione 46 e dalla (2.1). 8 Anche di cardinalità infinita. 9 La proprietà non può essere estesa ad una famiglia di aperti di cardinalità infinita. Per esempio la famiglia degli intorni sferici Bd1 (p, r) di E1 di centro p fisso e raggio r variabile è chiusa rispetto all’intersezione finita T perché Bd1 (p, r1 ) ∩ Bd1 (p, r2 ) ∩ . . . ∩ Bd1 (p, rn ) = Bd1 (p, r) con r := min{ri }i=1,2, ... ,n , mentre r∈R+Bd1 (p, r) = {p}, che non può essere un aperto poiché gli intorni sferici di E1 , cioè gli intervalli aperti, non si riducono mai ad un punto. 41 • X e ∅ appartengono a T ; • l’unione di un qualsiasi insieme di membri di T appartiene ancora a T ; • l’intersezione di due membri di T appartiene ancora a T . Una base della topologia T è una sottofamiglia B di T tale che ogni ogni membro di T è unione di membri di B 10 . Un insieme dotato di una topologia è uno spazio topologico, i membri della topologia sono gli aperti dello spazio topologico, prendendo in prestito la terminologia usata in uno spazio metrico. Dunque gli aperti di uno spazio metrico (X, d) definiscono una topologia di X di cui gli intorni sferici costituiscono una base. Una domanda che sorge spontanea è se ogni topologia definibile su un insieme X è metrizzabile, cioè, se è la famiglia degli aperti di una metrica di X. Vi è una proprietà che discrimina le topologie non metrizzabili; più precisamente si ha Proposizione 53 . In uno spazio metrico (X, d) per ogni coppia di elementi distinti p1 e p2 di X esistono aperti A1 e A2 tali che pi ∈ Ai e A1 ∩ A2 = ∅ (Proprietà di Hausdorff ). Dimostrazione. Si ponga r := d(p1 , p2 ), allora gli intorni sferici Bd p1 , 2r e Bd p2 , 2r contengono p1 e p2 , rispettivamente, ed hanno intersezione vuota 11 . 2 Soddisfare la Proprietà di Hausdorff è dunque una condizione necessaria perché una topologia sia metrizzabile. Per esempio non ha certamente la Proprietà di Hausdorff la topologia banale che si può definire in ogni insieme non vuoto X prendendo come aperti solamente i sottoinsiemi ∅ e X. Le topologie definibili in un insieme X sono parzialmente ordinabili secondo la seguente definizione Definizione 54 . Date due topologie T1 e T2 in un insieme X, si dice che T1 è meno fine di T2 , oppure che T2 è più fine di T1 , se ogni aperto della topologia T1 è anche aperto per T2 . 10 Si dice anche che B genera T . Si osservi che vi sono delle condizioni necessarie affinché una famiglia B di sottoinsiemi di un insieme X sia una base per una topologia di X: i) l’intero X deve ottenersi come unione di membri di B; ii) l’intersezione di due membri di B deve essere unione di membri di B. È agevole controllare che tali condizioni sono anche sufficienti affinche la famiglia di sottoinsiemi B sia una base per una topologia di X. 11 Se esistesse x ∈ B p , r ∩ B p , r di dovrebbe avere d(p , p ) ≤ d(p , x) + d(p , x) < 1 2 1 2 d 1 2 d 2 2 r + r2 = r, una evidente contraddizione. 2 42 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE Poiché ∅ e X sono aperti in quasiasi topologia definibile su un insieme X, la topologia banale è la topologia meno fine che si possa definire su X. All’altro estremo c’è la topologia in cui ogni sottoinsieme di X è un aperto, una topologia che, a differenza di quella banale, è metrizzabile: è la topologia i cui aperti sono quelli definiti dalla metrica discreta δ 12 . Osservazione 55 . Ovviamente non tutte le topologie sono confrontabili secondo la Definizione 54. Per esempio è una topologia per R quella che considera come aperti propri, cioè diversi da ∅ e R, le ”semirette sinistre” (−∞, a [: tale topologia non è confrontabile con l’altra che considera aperti propri le ”semirette destre” ] a, +∞). Palesemente ambedue queste topologie di R non soddisfano la proprietà di Hausdorff e pertanto non possono essere metrizzabili. La proprietà di Hausdorff, necessaria affinché una topologia sia metrizzabile, non è tuttavia sufficiente per poter definire una metrica che dia gli aperti della topologia come mostra il seguente Esempio 56. Esempi 56 . È un elementare esercizio controllare che gli intervalli [a, b [ costituiscono una base per una topologia Tca di R (cfr. nota 10 a piè di pagina). Confrontando questa topologia con la ”topologia euclidea” di R, cioè con la topologia corrispondente allo spazio metrico E1 , si vede che quella S euclidea è meno fine perché ogni intervallo aperto ] a, b [ si ottiene come unione a<x<b [x, b [. Cosı̀, considerando che quella euclidea soddisfa la Proprietà di Hausdorff in quanto topologia metrizzabile, quella proprietà è soddisfatta anche dalla topologia Tca . Tuttavia, non vi è alcuna metrica su R che produce questa topologia Tca . Prima di provare quest’affermazione abbiamo bisogno di un risultato preliminare. Premesso che un sottoinsieme di uno spazio topologico viene detto denso se ogni aperto non vuoto contiene suoi elementi, si ha Proposizione 57 . Se in uno spazio topologico metrizzabile è presente un sottoinsieme denso e numerabile di punti, allora lo spazio può essere generato con una base numerabile. Dimostrazione. Siano d la metrica che definisce la topologia dello spazio ed Y il sottoinsieme denso e numerabile di punti ipotizzato. Mostreremo che la famiglia d’intorni sferici B := {Bd (y, q) : y ∈ Y, q ∈ Q+ } , una famiglia di cardinalità numerabile, genera la topologia. Per ciò sarà sufficiente mostrare che ogni intorno sferico Bd (p, r) è unione d’intorni della famiglia B, ovvero che per ogni x ∈ Bd (p, r) c’è un intorno Bd (y, q) ∈ B tale che x ∈ Bd (y, q) ⊆ Bd (p, r). (2.5) Sappiamo (cfr. Proposizione 46) che c’è un intorno Bd (x, s) contenuto in s Bd (p, r) e, poichéY è denso, c’è almeno un elemento y ∈ Y nell’intorno B x, . d 3 s 2s Se scegliamo q ∈ 3 , 3 ∩ Q, vediamo che questi valori di y e q soddisfano la (2.5). 12 Infatti, per r < 1 ogni intorno sferico B (p, r) consiste del solo punto {p} (cfr. Osservazione δ 45) e quindi ogni sottoinsieme di X è aperto per la metrica discreta in quanto unione d’intorni sferici. Uno spazio topologico in cui tutti i sottoinsiemi sono aperti è detto uno spazio topologico discreto. 43 Infatti, certamente x ∈ Bd (y, q) perché d(x, y) < 3s e q > 3s ; inoltre, ∀z ∈ Bd (y, q) si ha d(x, z) ≤ d(x, y) + d(y, z) < 3s + q < 3s + 2s 3 = s, cioè z ∈ Bd (x, s) ⇒ Bd (y, q) ⊆ Bd (x, s) ⊆ Bd (p, r). 2 Adesso siamo in grado di dimostrare che la topologia Tca non è metrizzabile; supponiamo per assurdo che lo sia. Poiché ciascun intervallo [a, b [ contiene numeri razionali, Q costituisce un sottoinsieme denso e numerabile di numeri reali per la topologia Tca e la Proposizione 57 garantisce che questa topologia ha una base B numerabile. Allora, per ciascun numero reale x, deve esistere un membro di B che contiene x ed è contenuto nell’aperto [x, +∞) 13 : si denoti questo membro con Bx . Ponendo f (x) := Bx , si ha f (x) 6= f (y) se x < y, tenuto conto che x 6∈ [y, +∞). Dunque f è un’applicazione iniettiva dell’insieme non numerabile R all’insieme numerabile B, una palese contraddizione. 2 Una topologia può essere definita anche attraverso i complementari degli aperti, i cosiddetti chiusi della topologia 14 . Naturalmente affinché una famiglia C di sottoinsiemi di un dato insieme X sia la famiglia dei chiusi per una topologia di X devono essere soddisfatte proprietà complementari a quelle elencate nella Definizione 52, precisamente • X e ∅ appartengono a C; • l’intersezione di un qualsiasi insieme di membri di C appartiene ancora a C; • l’unione di due membri di C appartiene ancora a C. Le proprietà appena elencate sono soddisfatte, per esempio, dalla famiglia dei sottoinsiemi finiti di qualunque insieme X, a cui aggiungiamo lo stesso X nel caso in cui la sua cardinalità non sia finita 15 . Sottospazı̂. Dato un insieme X 6= ∅ in cui è stata selezionata una topologia T ci chiediamo come siano fatte le sottostrutture dello spazio topologico (X, T ). A tal proposito consideriamo un sottoinsieme proprio Y di X e la famiglia di intersezioni TY = {A ∩ Y : A ∈ T } in cui prendiamo la porzione di ogni aperto A di T contenuta in Y . Osserviamo che TY è una topologia di Y , essendo di facile verifica le condizioni richieste 13 [x, +∞) si ottiene come unione degli intervalli [x, y [ al variare di y tra i numeri reali maggiori di x. 14 Può capitare che un chiuso sia anche un aperto. È questo il caso di un intervallo [a, b [ per la topologia Tca dell’Esempio 56: quell’intervallo è il complementare dell’aperto G G [x, a [ [b, y [. x<a b<y Osserviamo che in E1 l’intervallo [a, b [ non è né aperto, né chiuso. 15 Ovviamente, se |X| < ∞, la topologia che si va a definire è quella discreta, essendo in tal caso ogni sottoinsieme di X, oltre che chiuso, anche aperto. Se, invece, X è di cardinalità infinita, la topologia che si ottiene non è metrizzabile perché non è soddisfatta la proprietà di Hausdorff. 44 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE dalla Definizione 52, ovviamente riferite alla coppia (Y, TY ): diremo che lo spazio topologico (Y, TY ) ha la topologia di sottospazio di (X, T ), o che (Y, TY ) è un sottospazio (topologico) di (X, T ). Osservazione 58 . In presenza di un sottoinsieme intermedio tra X e Y , sia Y ⊆ Z ⊆ X, Y ha la struttura di sottospazio topologico sia rispetto alla topologia T di X, sia rispetto alla topologia TZ di Z. Poiché per ogni A ∈ T si ha (A ∩ Z) ∩ Y = A ∩ Y , le due topologie di Y coincidono. Dunque la struttura di sottospazio di Y non dipende dal fatto che noi consideriamo Y sottoinsieme di Z piuttosto che di X. Se Y è un membro della topologia T di X, allora TY consiste degli aperti di X contenuti in Y 16 . Ovviamente diversa è la situazione se Y 6∈ T ; per esempio, il sottospazio D1 della retta euclidea E1 che ha sostegno nell’intervallo [−1, 1 ] ha per base la famiglia di sottoinsiemi ] a, b [ : −1 < a < b < 1 ∪ ] a, 1] : −1 < a < 1 ∪ [−1, b [ : −1 < b < 1 . L’analogo di D1 in dimensione superiore è il disco n-dimensionale Dn := x ∈ Rn : ||x|| ≤ 1 dello spazio euclideo En , dove ||x|| denota la norma del vettore x, cioè la distanza che x ha dal vettore nullo. Altri due sottospazı̂ di En che hanno un ruolo centrale in Topologia sono la palla n-dimensionale Bn := x ∈ Rn : ||x|| < 1 , che ha sostegno nell’intorno sferico Bdn 0Rn , 1 , e la sfera (n − 1)-dimensionale Sn−1 := x ∈ Rn : ||x|| = 1 che ha sostegno nei punti di Dn che non stanno in Bn . È ben noto che l’intervallo [−1, 1 ], sostegno di D1 , è un chiuso di E1 , ma questo è vero anche per n > 1 essendo il complementare del sostegno di Dn in En l’aperto x ∈ Rn : ||x|| > 1 17 . 16 Un’affermazione analoga può essere fatta se Y è un chiuso dello spazio topologico X: i chiusi della topologia TY sono i chiusi della topologia T contenuti in Y . 17 Infatti, per ciascun punto x non appartente a Dn , l’intorno sferico di centro x e raggio ||x||−1 non contiene punti di Dn , quindi tale intorno è contenuto nel complementare del sostegno di Dn che, conseguentemente, è unione d’intorni sferici, cioè un aperto. 45 In realtà il sostegno di Dn è il ”più piccolo” chiuso di En che contiene il sostegno di Bn 18 , ovvero è la sua chiusura secondo la seguente Definizione 59 . Il più piccolo chiuso di uno spazio topologico X che contiene un dato insieme Y di punti di X è detto la chiusura di Y ed è usualmente denotato con Y . La chiusura di Y è l’intersezione di tutti i chiusi di X che contengono Y e i suoi elementi sono detti d’aderenza per Y . Scambiando i ruoli tra Dn e Bn si trova che il sostegno di Bn è il ”più grande” aperto di En contenuto nel sostegno di Dn ovvero è la sua parte interna in accordo con la seguente Definizione 60 . Il più grande aperto di uno spazio topologico X contenuto in un dato insieme Y di punti di X è detto la parte interna di Y ed è usualmente ◦ denotato con Y . La parte interna di Y è l’unione di tutti gli aperti di X contenuti in Y ed i suoi elementi sono detti punti interni di Y . Osserviamo infine che i punti della sfera Sn−1 sono di aderenza sia per il sostegno di Dn (risp. Bn ) che per il suo complementare ovvero ne costituiscono la frontiera come specificato dalla seguente Definizione 61 . Per un dato insieme Y di punti di uno spazio topologico X l’intersezione ϑ(Y ) := Y ∩ Y C è la frontiera di Y . Equivalenza topologica. Anche in Topologia, come in qualunque altro ambito matematico, è centrale il problema di stabilire quando due strutture sono equivalenti. Date due strutture topologiche, si tratta di vedere se vi è la possibilità d’identificare una con l’altra, cioè, di stabilire una corrispondenza biunivoca tra i punti delle due strutture che induca una corrispondenza biunivoca tra i loro aperti 19 cosicché, identificando gli elementi corrispondenti, sia punti che aperti, le due strutture coincidono. La Definizione 62 formalizza questo concetto. Definizione 62 . Un omeomorfismo tra due spazı̂ topologici X1 e X2 , con topologia T1 e T2 rispettivamente, è una funzione invertibile h : X1 X2 tale che h(A1 ) ∈ T2 ∀A1 ∈ T1 (2.6) 18 Infatti, gli intorni sferici aventi centro in un punto di Dn hanno sempre punti in comune con Bn , quindi i punti di Dn sono di aderenza per il sostegno di Bn secondo la seguente Definizione 59. 19 E quindi una corrispondenza biunivoca tra i complementari degli aperti, cioè tra i chiusi. 46 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE e h−1 (A2 ) ∈ T1 ∀A2 ∈ T2 . (2.7) La condizione (2.6) si esprime dicendo che h è una funzione aperta, mentre per la (2.7) si utilizza l’espressione h è una funzione continua. Osservazione 63 . La definizione di funzione continua (risp. aperta) può essere data anche per funzioni non necessariamente invertibili. Un omeomorfismo è invece una funzione invertibile che risulta continua e aperta 20 . Si noti che una funzione continua può essere definita anche come una funzione che trasforma i chiusi del codominio in chiusi del dominio, ove si tenga conto che, con la notazione della Definizione 62, vale la relazione C h−1 A2C = h−1 A2 per ciascun A2 ∈ T2 . Una funzione aperta, invece, non può essere definita come una funzione che trasforma i chiusi del dominio in chiusi del codominio. Per esempio, la proiezione π : E2 → E1 sulla prima componente, cioè π(x1 , x2 ) = x1 , è aperta perché trasforma un intorno sferico di E2 in un intorno sferico di E1 21 e quindi trasforma aperti di E2 in aperti di E1 . La stessa cosa non può dirsi però per i chiusi di E2 : i punti dell’iperbole d’equazione x1 x2 = 1 formano un chiuso di E2 22 che viene trasformato da π nell’aperto R∗ := {0}C di E1 . 20 E questo di conseguenza vale anche per la funzione inversa. l’immagine in π dell’intorno Bd2 (x1 , x2 ), r è l’intervallo ] x1 − r, x1 + r [ . 21 Precisamente 22 Costituiscono la pre-immagine del chiuso {1} di E1 nella funzione polinomiale, quindi continua (cfr. la successiva Osservazione 64), (x1 , x2 ) 7→ x1 x2 . 47 Osservazione 64 . L’espressione ”funzione continua” è importata dall’Analisi matematica perché la condizione (2.7) effettivamente esprime il concetto di funzione continua in senso classico quando dominio e codominio sono dotati della topologia euclidea. Infatti, in presenza di topologie T1 e T2 ambedue metrizzabili, siano d1 e d2 rispettivamente le metriche che le definiscono, per ogni p ∈ X1 e per ogni numero reale positivo r > 0, l’intorno sferico B h(p), r appartiene a T2 e, d2 conseguentemente, h−1Bd2 h(p), r è un membro di T1 contenente p. Ne consegue −1 l’esistenza di un intorno sferico Bd1 p, s contenuto in h Bd2 h(p), r e quindi h Bd1 (p, s) ⊆ Bd2 h(p), r . Questa è la condizione che viene utilizzata in Analisi matematica per esprimere la continuità di una funzione vettoriale, ma anche per una funzione ad una variabile, ove si tenga conto che Bd1 (p, s) = p − s, p + s = x ∈ R : |x − p| < s e Bd1 h(p), r = h(p) − r, h(p) + r = y ∈ R : |y − h(p)| < r . Quest’osservazione ci permetterà nel seguito, in presenza di una funzione con dominio e codominio euclideo, di utilizzare gli strumenti dell’Analisi matematica per stabilirne l’eventuale continuità (cfr. ad esempio le dimostrazioni delle Proposizioni 65 e 66). Le proprietà geometriche preservate dagli omeomorfismi è proprio ciò di cui si occupa la Topologia. Diciamo subito che le proprietà metriche di uno spazio non hanno alcun valore topologico potendosi definire una topologia anche ricorrendo a metriche diverse (cfr. Osservazione 48) 23 . La seguente proposizione esalta questo aspetto Proposizione 65 . Ogni intervallo aperto della retta euclidea è sostegno di un sottospazio omeomorfo a E1 . Dimostrazione. Siano ] a, b [ e ] c, d [ due intervalli aperti della retta euclidea. La funzione lineare a valori reali d−c (x − a) + c h : x 7→ y := b−a è strettamente crescente avendo derivata prima costantemente positiva. Poiché limx→a+ h(x) = c e limx→b− h(x) = d, h stabilisce una biiezione continua ] a, b [ ] c, d [ con inversa b−a (y − c) + a, d−c anch’essa continua. Dunque h trasforma aperti di ] a, b [ in aperti di ] c, d [ e viceversa, cioè è un omeomorfismo 24 . Poiché l’essere omeomorfi è chiaramente una h−1 : y 7→ 23 Addirittura, utilizzando la metrica (2.2), riusciamo a racchiudere l’intero spazio dentro un intorno sferico, cioè, come si suol dire, lo spazio risulta limitato rispetto a quella metrica. 24 Le stesse funzioni h e h−1 possono essere utilizzate per definire omeomorfismi [a, b] [c, d], [a, b [ [c, d [, ]a, b] ]c, d]. Queste equivalenze e l’omeomorfismo [0, 1 [ ] 0, 1] che si può definire utilizzando la funzione x 7→ 1 − x, ci permettono di affermare che anche gli intervalli [a, b [ e ] c, d] sono topologicamente equivalenti qualunque siano i valori dei numeri reali a, b, c, d. Nel seguito vedremo che non ci sono altre equivalenze topologiche tra gli intervalli di E1 . 48 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE relazione d’equivalenza tra spazı̂ topologici, per transitività, sarà sufficiente esibire un omeomorfismo tra il sottospazio B1 che ha sostegno nell’intervallo ] − 1, 1 [ ed E1 per concludere la dimostrazione. A questo scopo si consideri la funzione con dominio B1 ( x 1+x , se −1 < x ≤ 0; x 7→ y := (2.8) x 1−x , se 0 < x < 1. Si controlla agevolmente che la (2.8) è una funzione continua strettamente crescente, la cui immagine copre tutto R, tenuto conto che limx→ −1+ y = −∞ e limx→1− y = +∞. La (2.8) ha dunque un’inversa R → ] − 1, 1 [ data dalla funzione continua ( y 1−y , se y ≤ 0; y 7→ x = y 1+y , se y > 0. 2 La Proposizione 65 giustifica l’appellattivo di ”Geometria delle deformazioni continue” con cui spesso la Topologia è indicata. Vogliamo consolidare questa idea esibendo due spazı̂ topologici omeomorfi in dimensione più alta di 1 che possono essere deformati uno nell’altro con continuità. Proposizione 66 Il disco n-dimensionale Dn è omeomorfo all’ n-cubo D1 cioè al sottospazio di En che ha sostegno in [−1, 1 ]n = (x1 , x2 , . . . , xn ) ∈ Rn : |xi | ≤ 1, i = 1, 2, . . . , n . n , Dimostrazione. Poiché la dimostrazione ha una certa complessità la presenteremo gradualmente discutendo dapprima i casi n = 2 ed n = 3 in modo che poi il passaggio al caso generale appaia naturale. Sia n = 2. Ogni punto del disco D2 appartiene ad almeno uno dei sottoinsiemi X1 := (x1 , x2 ) ∈ D2 : |x1 | ≥ |x2 | e X2 := (x1 , x2 ) ∈ D2 : |x2 | ≥ |x1 | . 1 X1 (risp. X2 ) è un chiuso di D2 perché preimmagine del chiuso [0, 1] di E nella funzione continua (x1 , x2 ) 7→ |x1 | − |x2 | risp. (x1 , x2 ) 7→ |x2 | − |x1 | . Sia n = 3. Ogni punto del 3-disco D3 giace in almeno uno dei sottoinsiemi X1 := (x1 , x2 , x3 ) ∈ D3 : |x1 | ≥ |x2 | e |x1 | ≥ |x3 | ; X2 := (x1 , x2 , x3 ) ∈ D3 : |x2 | ≥ |x1 | e |x2 | ≥ |x3 | ; 49 X3 := (x1 , x2 , x3 ) ∈ D3 : |x3 | ≥ |x1 | e |x3 | ≥ |x2 | . X1 è un chiuso perché intersezione dei chiusi U12 := (x1 , x2 , x3 ) ∈ D3 : |x1 | ≥ |x2 | ; U13 := (x1 , x2 , x3 ) ∈ D3 : |x1 | ≥ |x3 | ; e per motivi analoghi risultano chiusi X2 e X3 . Caso generale. Per k = 1, 2, . . . , n si ponga Xk := (x1 , x2 , . . . , xn ) ∈ Dn : |xk | = max{|xi |}i=1,2, ... ,n . Xk è un chiuso perché si ottiene per intersezione degli n − 1 chiusi Uik := (x1 , x2 , . . . , xn ) ∈ Dn : |xk | − |xi | ≥ 0 (i 6= k). In modo perfettamente analogo può essere dimostrato che n Yk = (y1 , y2 , . . . , yn ) ∈ D1 : |yk | = max{|yi |}i=1,2, ... ,n n è un chiuso di D1 . Posto x = (x1 , x2 , . . . , xn ) e y = (y1 , y2 , . . . , yn ), si consideri la funzione ( ||x|| n |xk | x , se x 6= 0R ; fk : x 7→ y := 0Rn , se x = 0Rn ; che è ben definita su Xk avendosi n in tal caso xk 6= 0 se x 6= 0Rn . Al variare di x in Xk \{0Rn } il vettore y è in D1 perché la sua componente yi è il prodotto di ||x|| e xi |xk | , numeri reali ambedue con valore assoluto non superiore a 1. Più precisamente y è in Yk perché |xk | = max{|xi |}i=1,2, ... ,n implica |yk | = max{|yi |}i=1,2, ... ,n . Pertanto fk dà una funzione vettoriale Xk → Yk che è continua per ciascun x 6= 0Rn 25 , ma è continua anche per x = 0Rn poiché si ha limx→0Rn y = 0Rn 26 . La funzione ( |y | k n ||y|| y se y 6= 0R ; gk : y 7→ x := 0Rn se y = 0Rn . 25 Perché sono continue le funzioni componenti x 7→ yi . ||x|| osservi che quel limite è il vettore nullo di Rn perché y ha norma ||y|| = |x | ||x|| limitata k r Pn xi 2 √ ||x|| superiormente, ove si tenga conto che |x | = ≤ n e ||x|| ≤ 1. i=1 x 26 Si k k 50 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE fornisce, come si può agevolmente controllare, una ben definita inversa continua di fk per cui Xk e Yk sono spazı̂ topologici omeomorfi per ciascun k = 1, 2, . . . , n. Osservato che se x ∈ Xj ∩ Xk allora |xj | = |xk | = max{|xi |}i=1,2, ... ,n e conseguentemente fj (x) = fk (x), cosı̀ come gj (y) = gk (y) se y ∈ Yj ∩ Yk , possiamo ”incollare” le funzioni fk e le funzioni gk come suggerito dal Lemma 67 per ottenere un omeomorfismo n Dn D1 . 2 Sn Lemma 67 (d’incollamento). Se X = k=1 Xk è un ricoprimento di chiusi di uno spazio topologico X e {fk : Xk → Y }k=1,2, ... ,n è una famiglia di funzioni continue tali che fi (x) = fj (x) ∀x ∈ Xi ∩ Xj , allora ponendo f (x) = fk (x) se x ∈ Xk si ottiene una ben definita funzione continua X → Y 27 . Dimostrazione. Per ogni chiuso C di Y si ha Sn Sn −1 C ∩ Xk ) f −1 C = fS−1 C ∩ X = f −1 C ∩ k=1 Xk = k=1 (f n −1 = k=1 fk C. La continuità di fk garantisce che fk−1 C è un chiuso del sottospazio Xk e quindi di X perché Xk è un chiuso di X. Dunque f −1 C è unione di un numero finito di chiusi di X ed è esso stesso un chiuso. In virtù dell’Osservazione 63, possiamo concludere che f è continua. 2 Connessione. Nella sezione precedente abbiamo trattato alcune proprietà geometriche che non hanno alcun valore topologico. Adesso vogliamo concentrarci su proprietà geometriche che invece hanno rilevanza topologica, come per esempio il concetto di connessione. Definizione 68 . Uno spazio topologico X si dice connesso se non ha una decomposizione X = A1 ∪ A2 in due suoi aperti proprı̂ disgiunti 28 . L’idea di uno spazio topologico non connesso è quella di uno spazio che si ”spezza” in due parti, gli aperti disgiunti A1 e A2 . Un esempio di spazio non connesso è quello dell’Esempio 56 che, per ogni numero reale a, presenta la decomposizione R = (−∞, a [ ∪ [a, +∞) in due suoi aperti disgiunti, ma anche il sottospazio R∗ di E1 che si spezza nell’unione R∗ = (−∞, 0 [ ∪ ]0, +∞). La Proposizione 69 ci dice che la connessione è un invariante per le funzioni continue. Proposizione 69 . Sia f : X → Y una funzione continua e suriettiva tra due spazı̂ topologici. Se X è connesso allora anche Y deve essere connesso. In particolare la connessione è una proprietà che si conserva per omeomorfismi. F 27 Esiste una versione del lemma anche per aperti. In tal caso la decomposizione X = k∈K Xk in aperti può essere fatta con l’insieme indicizzante K di cardinalità qualsiasi. 28 Ovvero non è unione di due suoi chiusi proprı̂ disgiunti. Un’altra formulazione equivalente di spazio connesso è quella di uno spazio topologico privo di sottoinsiemi proprı̂ che risultano simultaneamente aperti e chiusi. 51 Dimostrazione. Si assuma per assurdo che Y si decomponga nell’unione disgiunta Y = A ∪ B di due suoi aperti proprı̂ disgiunti. Allora anche X avrebbe la decomposizione X = f −1A ∪ f −1B in due suoi aperti proprı̂ disgiunti. 2 La connessione è una proprietà peculiare di ogni sottospazio della retta euclidea che ha sostegno in un intervallo I. Infatti, sia I = (C1 ∩ I) ∪ (C2 ∩ I) per chiusi C1 e C2 di E1 tali che C1 ∩ I 6= ∅ = 6 C2 ∩ I e (C1 ∩ I) ∩ (C2 ∩ I) = ∅. A meno di scambiare gli indici, non è restrittivo suppore l’esistenza di a1 ∈ C1 ∩ I e a2 ∈ C2 ∩ I con a1 < a2 : allora [a1 , a2 ] ⊆ I perché I è un intervallo. Si ponga Z := x ∈ ] a1 , a2 [ : [a1 , x] ∈ C1 . L’appartenenza di a1 al complementare di C2 che è un aperto, richiede l’esistenza di un intervallo ] a1 − r, a1 + r [ contenuto in C2C : ovviamente a1 + r < a2 perché a2 ∈ C2 , cosicché se b ∈ ] a1 , a1 + r [ si ha [a1 , b] ⊂ C2C ∩ I, quindi [a1 , b] ⊂ C1 e vediamo che Z non è vuoto: si ponga z := supZ. Sia z ∈ C1 , allora z 6∈ C2 perché, altrimenti, z è un elemento dell’intersezione (C1 ∩ I) ∩ (C2 ∩ I) che sappiamo essere vuota. Pertanto z è un punto interno al complementare di C2 , in particolare z < a2 , ed esiste un intervallo ] z − s, z + s [ contenuto in C2C , ma ciò contraddice il fatto che z è l’estremo superiore di Z. Sia z ∈ C2 , allora z è un punto interno al complementare di C1 , in particolare a1 < z, ed esiste un intervallo ] z − s, z + s [ contenuto in C1C , ma ciò contraddice nuovamente il fatto che z è l’estremo superiore di Z. Possiamo allora concludere che non è possibile decomporre l’intervallo I nell’unione di due suoi chiusi proprı̂ disgiunti. Pertanto si può affermare che Proposizione 70 . Ogni sottospazio di E1 che ha sostegno in un intervallo connesso. 2 29 è Definizione 71 . Una componente connessa di uno spazio topologico X è un sottoinsieme di X che sostiene un sottospazio connesso massimale. La successiva Proposizione 72 ci dice in particolare che le componenti connesse di uno spazio topologico formano una partizione insiemistica dei punti dello spazio. Proposizione 72 . Sia Yj j∈J una famiglia di sottoinsiemi di uno spazio topologico X ciascuno dei quali è sostegno di un sottospazio connesso.F Se una delle componenti Yj interseca le rimanenti, allora anche l’unione Y := j∈J Yj è sostegno di un sottospazio connesso. 29 Di qualsiasi tipo: limitato o illimitato, chiuso o aperto, o chiuso da un lato e aperto dall’altro. 52 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE Dimostrazione. Sia F un sottoinsieme non vuoto di Y che risulti simultaneamente aperto e chiuso per la topologia di sottospazio indotta in Y : dobbiamo dimostrare che F = Y (cfr. nota 28 a piè di pagina). F 6= ∅ implica che esiste j 0 ∈ J per cui F ∩ Yj 0 6= ∅. Allora Yj 0 ⊆ F perché Yj 0 è sostegno di un sottospazio connesso di X ed F ∩Yj 0 è un sottoinsieme non vuoto di quel sottospazio che risulta simultaneamente aperto e chiuso (cfr. Osservazione 58). Sia Y la componente di Y che interseca tutte le rimanenti componenti, allora F interseca Y cosicché F ∩ Y è un sottoinsieme non vuoto aperto e chiuso del sottospazio connesso che ha sostegno in Y : deve essere Y ⊆ F . Iterando il ragionamento si può concludere che F contiene tutte le componenti di Y . 2 Ovviamente uno spazio connesso ha una sola componente connessa, mentre il sottospazio R∗ di E1 ha due componenti connesse: l’insieme R− dei numeri reali negativi e l’insieme R+ dei positivi. In uno spazio discreto invece le componenti connesse si riducono ai singoli punti perché ogni sottoinsieme è simultaneamente aperto e chiuso. Definizione 73 . Uno spazio topologico in cui le componenti connesse si riducono ai singoli punti è detto totalmente sconnesso. Dunque gli spazı̂ topologici discreti sono totalmente sconnessi cosı̀ come è totalmente sconnesso lo spazio topologico dell’Esempio 56: se K è un sottospazio contenente due punti a e b, sia a < b, e c è tale che a < c < b, allora si ha la decomposizione F K = (−∞, c [ ∩ K [c, +∞) ∩ K di K in due aperti non vuoti e disgiunti, cioè, ogni sottospazio contenente due elementi non può essere connesso 30 . Una conseguenza della successiva Proposizione 74 è che il sostegno di una componente connessa di uno spazio topologico è un chiuso dello spazio 31 . 30 Analogamente si prova che ogni insieme K di numeri razionali contenente due elementi a e b ha la decomposizione F K = (−∞, c [ ∩ K ] c, +∞) ∩ K per ogni numero irrazionale c compreso tra a e b, cioè, anche il sottospazio Q di E1 che ha sostegno nell’insieme dei numeri razionali è totalmente sconnesso. Si noti che a differenza di uno spazio discreto in cui ogni punto è aperto, sia nello spazio topologico dell’Esempio 56, che in Q ogni punto non è un aperto. 31 Quindi anche un aperto, se lo spazio ha solo un numero finito di componenti connesse. 53 Proposizione 74 . Se Y è sostegno di un sottospazio connesso di uno spazio topologico X, allora ogni sottoinsieme Z tale che Y ⊆ Z ⊆ Y è sostegno di un sottospazio connesso di X. In particolare il sottospazio che ha sostegno in Y è connesso. Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che ogni sottoinsieme non vuoto F di Z che risulti simultaneamente aperto e chiuso in Z deve coincidere con Z. Possiamo scrivere F = A∩Z = C ∩Z per qualche aperto A e qualche chiuso C di X. In virtù dell’Osservazione 58, F ∩ Y è simultaneamente aperto e chiuso nel sottospazio che ha sostegno in Y : poiché Y sostiene un sottospazio connesso, deve essere o F ∩ Y = ∅, o F ∩ Y = Y . Sia F ∩Y = ∅. Allora ∅ = (A∩Z)∩Y = A∩Y , cioè, AC è un chiuso contenente Y e conseguentemente contiene la sua chiusura ⇒ A ∩ Y = ∅ ⇒ F = A ∩ Z = ∅, ma stiamo supponendo F 6= ∅. Sia F ∩ Y = Y . Allora Y = (C ∩ Z) ∩ Y = C ∩ Y ⇒ Y ⊆ C ⇒ Y ⊆ C ⇒ Z ⊆ C ⇒ F = Z. 2 Il successivo Esempio 75 permette d’introdurre concetti di connessioni differenti da quello dato dalla Definizione 68 Esempi 75 (Il pettine e la pulce). Si consideri il sottospazio X del piano euclideo E2 con sostegno F F Y Z (0, 1) , dove Y := (x, y) ∈ R2 : x = 1 n, n ∈ N∗ e Z := (x, y) ∈ R2 : y = 0 . Il sottospazio che ha sostegno in Y ha infinite componenti connesse le rette d’equazione x = n1 , maY ∪ Zsostiene uno spazio connesso in virtù della Proposizione 72. La successione n1 , 1 n=1,2, ... di punti di Y converge al punto (0, 1) 32 cioè, (0, 1) è punto d’aderenza per Y ∪ Z e quindi la chiusura di Y ∪ Z include tutti i punti di X: X è allora connesso per la Proposizione 74. Tuttavia, X non è ”localmente connesso” nel senso specificato dalla seguente Definizione 76. 32 Nel senso dell’Analisi matematica: ogni intorno di (0, 1) (cfr. Definizione 76) contiene gli elementi della successione a partire da un certo indice in poi. 54 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE Definizione 76. Premesso che per intorno di un punto p di uno spazio topologico X deve intendersi un sottoinsieme che ha p come suo punto interno, si definisce sistema fondamentale d’intorni di p una famiglia d’intorni U = {Uj }j ∈J di p soddisfacente la condizione che ogni aperto A che contiene p deve includere almeno un intorno della famiglia U (come si suol dire ”U consiste d’intorni di p piccoli a piacere”). X è localmente connesso in p se esiste un sistema fondamentale d’intorni di p ciascuno dei quali sostiene un sottospazio connesso; X viene detto localmente connesso se è localmente connesso in ogni suo punto. Gli aperti dello spazio topologico X dell’Esempio 75 che contengono il punto (0, 1) e non intersecano Z non possono sostenere un sottospazio connesso 33 , cioè (0, 1) non può avere intorni piccoli a piacere ciascuno dei quali è sostegno di un sottospazio connesso. Ne consegue che X non è localmente connesso in (0, 1) 34 . Vi è un altro tipo di connessione più forte di quello dato dalla Definizione 68; precisamente Definizione 77 . Un cammino in uno spazio topologico X è una funzione continua con dominio il sottospazio di E1 che ha sostegno nell’intervallo [0, 1] e codominio X 35 . X è connesso per cammini se per ogni coppia di suoi punti p e q esiste in X un cammino γ tale che γ(0) = p e γ(1) = q. I punti p e q sono detti rispettivamente il punto iniziale ed il punto finale del cammino. Uno spazio topologico X connesso per cammini è anche connesso secondo la Definizione 68 in quanto, se γ : [0, 1] → X è un cammino in X, il sottospazio di X che ha sostegno in γ[0, 1] è connesso per le Proposizioni 69 e 70: due qualunque punti di X sono pertanto sempre contenuti in un sottospazio connesso di X e quindi stanno nella stessa componente connessa. Lo spazio topologico dell’Esempio 75 mostra che esistono spazı̂ topologici connessi che non sono connessi per cammini. Infatti, che in quello spazio non esiste alcun cammino γ tale che γ(0) = (0, 1) e γ(1) = (1, 1) si può dimostrare come segue. Si supponga per assurdo che un tale cammino γ esista e si ponga P := γ −1 (0, 1). Poiché γ è una funzione continua, P è un chiuso in [0, 1], ma mostreremo che è anche un aperto. Infatti, la continuità di γ in un qualunque t ∈ P richiede che 33 Le componenti connesse di questi aperti si ottengono dall’intersezione con le rette 1 d’equazione x = n . 34 Però lo è nei rimanenti punti. 35 Un cammino è spesso detto un arco, anche se questo termine dovrebbe essere riservato ad un cammino γ che sia un omeomorfismo [0, 1] γ[0, 1]. 55 per ogni intorno sferico Bd2 (0, 1), r esista un intervallo ] t − s, t + s [ con t > s tale che γ ] t − s, t + s [ ⊆ Bd2 (0, 1), r ∩ X 36 . Se il raggio r dell’intorno sferico non eccede 1, il sottoinsieme γ ] t − s, t + s [ di Bd2 (0, 1), r ∩ X, in quanto sostegno di un sottospazio connesso, non può contenere punti di ascissa 6= 0 37 e (0,1) è l’unico punto di X con ascissa nulla. Ne deduciamo che γ ] t−s, t+s [ = (0, 1) e, conseguentemente, ] t−s, t+s [ ⊆ P , cioè P è un sottoinsieme non vuoto dell’intervallo [0, 1] che risulta simultaneamente aperto e chiuso, quindi P dovrebbe esaurire l’intervallo [0, 1], ma ciò contraddice il fatto che γ(1) = (1, 1). 2 Ovviamente può essere introdotto il concetto di componente connessa per cammini come sottoinsieme che sostiene un sottospazio connesso per cammini massimale e si può dimostrare agevolmente che anche le componenti connesse per cammini formano una partizione insiemistica 38 . L’Esempio 75 mostra che le componenti connesse per cammini non sono necessariamente dei chiusi. Compattezza. Un altro invariante topologico che gioca un ruolo rilevante è quello di compattezza. Vi sono più formulazioni di tale concetto che si equivalgono nel caso di spazı̂ topologici metrizzabili, ma andiamo con ordine. Definizione 78 . 1. Uno spazio topologico X si dice compatto se ogniqualvolta si ricopre X con degli aperti, sono sufficienti un numero finito di essi per ricoprire X 39 . 2. Uno spazio topologico X si dice compatto per successioni se ogni successione {xn }n∈N di suoi elementi ha una sottosuccessione convergente ad un elemento p ∈ X 40 . In generale la compattezza per successioni è utilizzata in spazı̂ di Hausdorff, in particolare in quelli metrizzabili, dove i punti possono essere separati con intorni disgiunti che assicurano l’unicità dell’eventuale limite di una successione. L’altra definizione di compattenza è invece più universale e può essere utilizzata per ogni spazio topologico. Il seguente Teorema 79 ci dice che le due definizioni possono essere utilizzate indifferentemente nel caso di spazı́ metrizzabili. 36 Ovviamente l’intervallo ] t − s, t + s [ va sostituito con [0, s [ per t = 0. (0, 1), r ∩X, aperto del sottospazio X, contiene il punto (0, 1) e non interseca Z, quindi non può sostenere un sottospazio connesso che non sia un singolo punto (cfr. nota 33 a piè di pagina). 38 Infatti, se a e b sono elementi di uno spazio topologico appartenenti a componenti connesse per cammini distinte, assumendo per assurdo che queste componenti abbiano intersezione non vuota, sia c un elemento dell’intersezione, devono esistere un cammino α di punto iniziale a e punto finale c ed un cammino β di punto iniziale c e punto finale b: allora ( α(2t), se t ∈ 0, 12 ; t 7→ 1 β(2t − 1), se t ∈ 2 , 1 ; 37 B d2 è, per il Lemma d’incollamento, un cammino di punto iniziale a e punto finale b. 39 Si potrebbe formulare il concetto di spazio compatto anche in termini d’intersezione di chiusi prendendo il complementare di tutti i termini che compaiono nella definizione data: uno spazio topologico è compatto se ogniqualvolta una famiglia di suoi chiusi ha intersezione vuota, esistono un numero finito di questi chiusi che hanno intersezione vuota. 40 Cioè, ogni intorno di p contiene infiniti elementi della succesione {x } n n∈N . 56 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE Teorema 79 . Uno spazio topologico metrizzabile è compatto se, e solamente se, è compatto per successioni 41 . Dimostrazione. Sia X uno spazio topologico metrizzabile mediante una metrica d e si supponga dapprima che X sia compatto. Sia {xn }n∈N una successione di elementi di X che, supponiamo per assurdo, non abbia alcuna sottosuccessione convergente. Si denoti con Z il sottospazio di X che ha sostegno negli elementi di quella successione. Ogni punto p ∈ X ha allora un intorno sferico Bd (p, r) in cui non vi sono elementi di Z, oppure vi è solo p nel caso in cui p sia un elemento di Z 42 . Questo significa due cose: a) ogni punto che non è nella successione {xn }n∈N è interno al complementare dell’insieme degli elementi della successione, cioè Z ha sostegno in un chiuso di X; b) ogni punto di Z è isolato, cioè è un sottoinsieme aperto in Z, e quindi Z è uno spazio topologico discreto. Il fatto che Z si sostiene in un chiuso dello spazio compatto X richiede che Z stesso sia compatto 43 , ma uno spazio discreto compatto deve necessariamente avere cardinalità finita 44 : ciò contraddice il fatto che la successione {xn }n∈N non ha sottosuccessioni convergenti. Si supponga, viceversa, che X sia compatto per succesioni e sia U = Uj j∈J una famiglia di aperti di X che copra tutti gli elementi di X. Proveremo che esiste un numero reale positivo r0 tale che, per ogni x ∈ X, l’intorno sferico Bd (x, r0 ) è contenuto in qualche membro Uj del ricoprimento U 45 . Si assuma che un tale numero reale positivo r0 non esista: per ciascun intero positivo n c’è allora un xn ∈ X per cui l’intorno sferico Bd (xn , n1 ) non è contenuto in alcun membro della famiglia U di aperti (altrimenti basterebbe porre r0 = n1 ). C’è allora una sottosuccessione della successione {xn }n∈N∗ che converge ad un punto x ∈ X: per semplicità d’esposizione continueremo a denotare con {xn }n∈N∗ tale sottosuccessione. Sia U0 un aperto, membro del ricoprimento U, che contiene x; allora è possibile scegliere un intero positivo m per cui 2 Bd x, m ⊆ U0 . 1 Poiché limn→+∞ xn = x, l’intorno sferico Bd (x, m ) contiene tutti gli elementi della sottosuccessione a partire da un certo indice n0 in poi: ovviamente non è restrittivo assumere n0 > m. Cosı̀ per ogni y ∈ Bd xn0 , n10 si ha d(xn0 , y) < n10 e si può scrivere d(x, y) ≤ d(x, xn0 ) + d(xn0 , y) < 1 m + 1 n0 < 2 m, 41 Per questa ragione in Analisi matematica, che opera in ambiente euclideo, quindi metrizzabile, il concetto di spazio compatto viene spesso indicato in termini di compatto per successioni. 42 Altrimenti, facendo tendere il raggio r a 0, potremmo costruire una successione di elementi di Z convergente a p, ma si sta assumendo che questo non è possibile farlo. 43 Infatti, se ricopriamo Z con degli aperti, aggiungendo l’insieme degli elementi non appartenenti a Z, ricopriamo anche X con degli aperti, e sappiamo che ne bastano una quantità finita per ricoprire X. 44 Perché i singoli punti costituiscono un ricoprimento di aperti da cui non se ne può togliere alcuno. 45 Come si suol dire, gli intorni sferici di raggio r costituiscono un ”raffinamento” del ricopri0 mento U ; r0 é quello che nella letteratura matematica viene chiamato un numero di Lebesgue di U . 57 2 2 cioè y ∈ Bd x, m , e quindi Bd xn0 , n10 ⊆ Bd x, m ⊆ U0 : ciò contraddice 1 il fatto che l’intorno sferico Bd xn0 , n0 non è contenuto in alcun membro del ricoprimento U. Dunque esiste un numero reale positivo r0 per cui ogni intorno sferico di raggio r0 è contenuto in qualche membro della famiglia di aperti U e questi intorni sferici ricoprono ovviamente X: se dimostriamo che bastano un numero finito di questi intorni sferici per coprire X, basteranno anche un numero finito di membri di U per coprire X e avremo provato che X è compatto. Possiamo formare una sequenza y1 , y2 . . . di elementi di X come segue: sceglia- mo y1 arbitrariamente; poi prendiamo y2 non appartenente all’intorno Bd y1 , r0 Fn e, iterando, sceglieremo yn+1 non appartenente a i=1 Bd yi , r0 . Gli elementi di questa sequenza, a due a due, hanno una distanza non inferiore a r0 per cui la sequenza deve fermarsi dopo un numero finito di passi 46 . Ciò significa che un numero finito di questi intorni sferici di raggio r0 ricopre X. 2 Ambedue le nozioni di compattezza date dalla Definizione 78 si conservano per continuità; precisamente si ha Proposizione 80 . Sia f : X → Y una funzione continua e suriettiva. a) Se X è compatto anche Y è compatto; b) se X è compatto per successioni anche Y è compatto per successioni. S Dimostrazione di a). Sia Y = j∈J Aj per una data famiglia {Aj }j∈J di aperti S di Y . Allora X = j∈J f −1Aj ed esistono un numero finito d’indici j1 , . . . , jn ∈ J Sn per cui si ha X = r=1 f −1Ajr perché X è compatto: conseguentemente Y = S n r=1 Ajr . 2 Dimostrazione di b). Sia {yn }n∈N una successione di elementi di Y e, per ciascun indice n ∈ N, si scelga xn ∈ f −1 (yn ). Poiché X è compatto per successioni, la successione {xn }n∈N ha una sottosuccessione convergente ad un elemento p ∈ X. Sia U un intorno di f (p) in Y ; allora la continuità di f garantisce che f −1 U è un intorno di p e infiniti elementi della successione {xn }n∈N devono essere contenuti in f −1 U : conseguentemente U contiene infiniti elementi della successione {yn }n∈N . 2 Ogni intervallo aperto ] a, b [ della retta euclidea E1 non sostiene un compatto perché dal ricoprimento S ] a, b [ = a<x<b ] a, x [ b−a non è possibile Sn estrarne uno finito: comunque si scelgano r1 , r2 , . . . , rn ∈ 0, 2 , l’aperto i=1 ] a + ri , b − ri [ copre solo la parte ] a + r0 , b − r0 [ di ] a, b [ , dove si è posto r0 := min{ri }i=1,2, ... ,n . In modo analogo si può giungere alla conclusione che non è compatto un sottospazio di E1 che si appoggia su un intervallo di tipo [a, b [ utilizzando il ricoprimento S [a, b [ = 0<x<b [a, x [. 46 Una eventuale successione con queste caratteristiche non può avere alcuna sottosuccesione convergente. 58 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE Queste considerazioni, tenuto conto della Proposizione 80, del Teorema di HeineBorel e del fatto che per un sottospazio di E1 compattezza e compattezza per successioni sono fatti equivalenti, ci dicono che un sottospazio di E1 che ha per sostegno un intervallo chiuso e limitato non può essere topologicamente equivalente ad un sottospazio di E1 che si sostiene su un intervallo di tipo diverso 47 . Si è già osservato altrove (cfr. nota 43 a piè di pagina) che ogni sottospazio di uno spazio compatto è esso stesso compatto se il suo sostegno è chiuso. La seguente Proposizione 81 è una sorta di viceversa di questo fatto. Proposizione 81 . Sia X uno spazio topologico soddisfacente la condizione di Hausdorff. Ogni sottospazio compatto di X ha sostegno in un chiuso. Dimostrazione. Sia Y il sostegno di un sottospazio compatto di X, proveremo che il suo complementare è un aperto di X, ovvero che ogni p 6∈ Y è interno a YC . La condizione di Hausdorff assicura che per ogni y ∈ Y ci siano intorni aperti Uy di y e Vp (y) di p che non s’intersecano. Ovviamente gli intorni Uy al variare di y ricoprono Y , ma sappiamo che ne bastano un numero finito per questo scopo: siano y1 , y2 , . . . , yn gli elementi di Y corrispondenti a questi intorni; dunque Sn Y ⊆ i=1 Uyi . Tn Allora V := i=1 Vp (yi ), come intersezione di un numero finito di aperti che contengono p, è un intorno di p che chiaramente non interseca alcuno degli intorni Uyi , quindi che non interseca Y . 2 Corollario 82 . Ogni funzione continua con dominio compatto e codominio di Hausdorff è una funzione chiusa, cioè una funzione che trasforma i chiusi del dominio in chiusi del codominio. Dimostrazione. Siano X uno spazio topologico compatto, C un suo chiuso, Y uno spazio topologico soddisfacente la condizione di Hausdorff, f : X → Y una funzione continua. Allora C sostiene un sottospazio compatto di X ed f (C) è un compatto di Y in virtù della Proposizione 80. La Proposizione 81 assicura che f (C) è un chiuso di Y . 2 Prodotto topologico. A partire da spazı̂ topologici X1 , X2 , . . . , Xn aventi topologie T1 , T2 , . . . , Tn possiamo definire un nuovo spazio topologico, il loro prodotto topologico 48 , usualmente indicato con n Y Xi , i=1 47 Per completare il quadro sulle equivalenze topologiche relative ai vari intervalli della retta euclidea (cfr. nota 24) a piè di pagina) rimane ancora da stabilire se gli intervalli ] a, b [ e [a, b [ sostengono sottospazı̂ omeomorfi oppure no. La questione può essere risolta nel seguente modo: una funzione suriettiva f : [a, b [ → ] a, b [ , dà per restrizione una funzione suriettiva ] a, b [ → ] a, f (a) [ ∪ ] f (a), b [ tra un sottoinieme che sostiene un sottospazio connesso di E1 ed un sottoinsieme che invece ne sostiene uno sconnesso: la Proposizione 69 esclude che f possa essere continua. 48 Il prodotto topologico può essere definito anche per una famiglia di qualsiasi cardinalità di spazı̂ topologici, ma noi non siamo interessati ad una tale generalizzazione. 59 o semplicemente con X1 × X2 , X1 × X2 × X3 , . . . se n = 2, 3, . . . , che ha sostegno nell’insieme delle n-ple x1 , x2 , . . . , xn , xi ∈ Xi (i = 1, 2, . . . , n), e topologia generata dalla base B := (A1 × A2 × . . . × An ) : Ai ∈ Ti , i = 1, 2, . . . , n 49 . Qn Dunque un aperto del prodotto topologico i=1 Xi ha la forma [ A1j × A2j × . . . × Anj j ∈J Qn con Aij ∈ Ti . Vi sono n funzioni con dominio il prodotto i=1 Xi che giocano un ruolo rilevante in Topologia, sono le cosiddette proiezioni sulle componenti X1 , X2 , . . . , Xn : πi : x1 , x2 , . . . , xn → 7 xi (i = 1, 2, . . . , n). Ciascuna proiezione πi è funzione continua perché per ogni Ai ∈ Ti si ha πi−1 Ai = X1 × . . . × Xi−1 × Ai × Xi+1 × . . . × Xn ∈ B. Ma πi è anche funzione aperta avendosi S S πi j ∈J A1j × A2j × . . . × Anj = j∈J Aij ∈ Ti per ciascun aperto S j ∈J Qn A1j × A2j × . . . × Anj del prodotto i=1 Xi . 50 Su Rn abbiamo due strutture topologiche: En e n E1 := E1 × E1 × . . . × E1 (n volte). n Lo spazio euclideo En ha per base la famiglia di sottoinsiemi ] a, b [ (cfr. Osn 1 n servazione 48) ciascuno dei quali è anche un aperto di E ; d’altronde E1 è generato dai prodotti ] a1 , b1 [ × ] a2 , b2 [ × . . . × ] an , bn [ ed è del tutto evidente che un tale prodotto è unione (non necessariamente disgiunta) di aperti ] a, b [ n , cioè, n En = E1 . (2.9) La (2.9) permette di estendere a qualunque dimensione il risultato della Proposizione 70. Infatti si ha Proposizione 83 . Q Se X1 , X2 , . . . , Xn sono spazı̂ topologici connessi, anche il n prodotto topologico i=1 Xi lo è. In particolare lo spazio euclideo En è connesso per ogni intero positivo n. 49 Qui per A ×A × . . . ×A deve intendersi il prodotto cartesiano degli aperti A , A , . . . , A n n 1 2 1 2 e non il prodotto topologico dei sottospazı̂ che hanno sostegno in quegli aperti. Si osservi che B è effettivamente una base Q per una topologia perché l’unione di tutti i prodotti A1 × A2 × . . . × An copre tutti i punti di n i=1 Xi , mentre l’intersezione \ A1 × A2 × . . . × An B1 × B2 × . . . × Bn di due membri di B è il prodotto A1 ∩ B1 × A2 ∩ B2 × . . . × An ∩ Bn appartenente anch’esso a B (cfr. nota 10 a piè di pagina). 50 Si è già dimostrato altrove (cfr. Osservazione 63) che le proiezioni non sono funzioni chiuse. 60 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE Dimostrazione. Esaminiamo dapprima il caso del prodotto topologico di due spazı̂ X e Y connessi. Bisogna controllare se dati due qualunque elementi (x1 , y1 ) e (x2 , y2 ) di X × Y vi è un sottospazio connesso che li contiene. Il punto (x1 , y1 ) appartiene al sottospazio X ×{y1 }, che è connesso perché palesemente omeomorfo a X, cosı̀ come il punto (x2 , y2 ) appartiene al sottospazio connesso {x2 } × Y ' Y . Poiché X × {y1 } T {x2 } × Y = {(x2 , y1 )}, S la Proposizione 72 assicura che X ×{y1 } {x2 }×Y è un sottospazio connesso e questo sottospazio contiene sia (x1 , y1 ) che (x2 , y2 ). Adesso la connessione di un prodotto topologico X1 × X2 × . . . × Xn di n > 2 spazı̂ connessi può essere provata agevolmente per induzione su n, utilizzando l’equivalenza topologica X1 × X2 × . . . × Xn ' X1 × X2 × . . . × Xn 51 . 2 Vale un analogo della Proposizione 83 per spazı̂ compatti. Proposizione 84 . Il prodotto topologico di spazı̂ topologici compatti è ancora compatto. Dimostrazione. Procederemo anche qui per induzione sul numero degli spazı̂, cominciando col caso del prodotto topologico di due spazı̂ X e Y . S Sia j∈J (Aj ×Bj ) un ricoprimento con aperti di X ×Y : dobbiamo dimostrare che ne bastano una quantità finita per coprire lo spazio. Per ciascun x ∈ X il sottospazio che ha sostegno in {x} × Y è compatto perché omeomorfo a Y , quindi ci sono un numero finito d’indici j1 (x), j2 (x), . . . , jmx (x) ∈ J 52 , dipendenti da x, per cui si ha: {x} × Y ⊆ Aj1 (x) × Bj1 (x) ∪ Aj2 (x) × Bj2 (x) ∪ . . . ∪ Ajmx (x) × Bjmx (x) . Si ponga Ux := m \x Aji (x) i=1 51 La biiezione x1 , x2 , . . . , xn 7→ x1 , (x2 , . . . , xn ) dà un omeomorfismo che rende equivalenti i due spazı̂. 52 L’indice m sta indicare che il numero di aperti che servono per coprire {x} × Y è un intero x che dipende da x. 61 Al variare di x in X, gli Ux formano un ricoprimento di aperti dello spazio compatto X, ma ne bastano un numero finito per lo scopo: siano x1 , x2 , . . . , xt ∈ X per cui si abbia St X = k=1 Uxk . Allora abbiamo il ricoprimento X ×Y = St k=1 Smxk i=1 Uxk × Bji (xk ) che è costituito da un numero finito di aperti S ciascuno dei quali è contenuto in qualcuno degli aperti del ricoprimento iniziale j∈J (Aj × Bj ): questi aperti del ricoprimento iniziale, essendo più grandi, ricoprono a loro volta X × Y e sono anch’essi in numero finito. Si può adesso passare al caso generale procedendo per induzione come fatto per la dimostrazione della Proposizione 83. 2 Con la Proposizione 66 abbiamo stabilito l’equivalenza topologica tra Dn ed il sottospazio di En che ha sostegno nel prodotto cartesiano [−1, 1 ]n di n copie dell’intervallo [−1, 1 ]. Poiché [−1, 1] è il sostegno di D1 , [−1, 1 ]n è il sostegno di 1 n D cosicché, tenuto conto della (2.9), abbiamo l’equivalenza topologica Dn ' 1 n D che giustifica il simbolo usato nella Proposizione 66 per quel sottospazio di En . La Proposizione 84 permette cosı̀ di affermare che Corollario 85 . Il sottospazio Dn di En è compatto. Osservazione 86 . Sappiamo che Dn ha per sostegno la chiusura dell’intorno sferico Bdn (0Rn , 1), ma è topologicamente equivalente ad un qualunque sottospazio di En che si sostiene sulla chiusura di un qualunque intorno Bdn (p, r): infatti, la ”traslazione” x 7→ x − p dà un omeomorfismo Bdn (p, r) Bdn (0Rn , r), mentre la ”dilatazione” x 7→ 1r x permette di definire un omeomorfimo tra gli intorni Bdn (0Rn , r) e Bdn (0Rn , 1). Osservazione 87 . La compattezza di Dn può essere desunta anche dal Teorema di Heine-Borel essendo un sottospazio di En con sostegno chiuso e limitato. A tal proposito vogliamo sottolineare il fatto che, nonostante le proprietà metriche non abbiano alcun valore topologico (cfr. Osservazione 48), i compatti di En vengono caratterizzati dal Teorema di Heine-Borel con l’ausilio di una condizione metrica. 62 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE Un altro sottospazio compatto di En che riveste un ruolo di primo piano in Topologia è la sfera (n−1)-dimensionale Sn−1 che ha sostegno nella frontiera dell’intorno sferico Bdn (0Rn , 1) 53 . Ovviamente può essere eseguito il prodotto topologico tra più sfere, anche di dimensioni diverse, ottenendo un ulteriore spazio compatto. Tra questi quello più importante è il toro n-dimensionale ottenuto dal prodotto topologico di n copie di S1 , in simboli Tn := S1 × S1 × . . . × S1 (n volte). Si tratta di uno spazio topologico identificabile mediante le coordinate con un sottospazio di E2n 54 , quindi uno spazio che per n > 1 ”vive” in una dimensione che non è congeniale per la nostra visione geometrica. Tuttavia, il toro T2 ha un’immagine omeomorfa in E3 che ci illumina sul suo aspetto topologico; concluderemo questo paragrafo descrivendo questo modello tridimensionale di T2 . Si utilizzino in R3 coordinate (x, y, z) e si consideri il sottospazio Ξ di E3 che ha sostegno nella ”ciambella” ottenuta facendo ruotare attorno all’asse z la circonferenza Γ del piano y = 0 di centro (2, 0, 0) e raggio 1, cioè Γ := (a, 0, c) ∈ R3 : (a − 2)2 + c2 = 1 . I punti di Ξ si distribuiscono su circonferenze giacenti su piani paralleli al piano z = 0 con centro sull’asse z e passanti per qualche punto di Γ. Sia Λ una di queste circonferenze e siano z = z0 il piano che la contiene e q = (a, 0, z0 ) il punto di Γ per cui passa Λ: dunque (a − 2)2 + z02 = 1. (2.10) Allora Λ ha centro c = (0, 0, z0 ) e raggio pari alla distanza a 55 che intercorre tra i punti q e c : pertanto le coordinate (x0 , y0 , z0 ) di un generico punto di Λ soddisfano l’equazione x20 + y02 = a2 , cioè q (2.11) a = x20 + y02 . La (2.10) e la (2.11) allora ci dicono che i punti di Ξ sono quelli le cui coordinate (x, y, z) soddisfano l’equazione p 2 x2 + y 2 − 2 + z 2 = 1. (2.12) 53 La frontiera di un sottoinsieme è intersezione di due chiusi, quindi è un chiuso. Nel caso di Sn−1 si tratta di un chiuso contenuto nello spazio compatto Dn . 54 Ma anche di Cn , ove si doti il sostegno R2 del campo dei numeri complessi della topologia euclidea. 55 Si tenga presente che tutti i punti di Γ hanno ascissa positiva. 63 Un omeomorfismo Ξ T2 si definisce attraverso la funzione p f : (x, y, z) 7→ x2 + y 2 − 2, z, √ 2x 2 , √ 2y x +y 2 x +y p che è ben definita sui punti di Ξ perché la (2.12) assicura che x2 + y 2 6= 0 e la stessa condizione (2.12) garantisce che f (x) ∈ T2 ∀x ∈ Ξ. Poiché il dominio ed il codominio di f sono sottospazı̂ euclidei, f è funzione continua essendo tali le funzioni componenti. Si può infine controllare agevolmente che la funzione continua g : (a, b, c, d) 7→ (a + 2)c, (a + 2)d, b è l’inversa di f 56 . Compattificazione di uno spazio topologico. Vi è un procedimento dovuto a Pavel S. Alexandrov che permette di rendere compatto un dato spazio topologico (S, T ) con la semplice aggiunta di un punto, usualmente indicato con ∞. Si tratta di aggiungere alla topologia T ulteriori aperti, ciascuno dei quali contiene il nuovo punto ∞, in modo da ottenere una topologia Te che renda Se := S ∪ {∞} uno spazio topologico compatto di cui S è sottospazio. La costruzione di Te si ispira a quella che nella letteratura matematica viene chiamata proiezione stereografica che spiegheremo qui di seguito. Si considerino la sfera n-dimensionale Sn , che ricordiamo è un sottospazio di n+1 E , il suo punto N = (1, 0, . . . , 0) e si denoti con Σ il sostegno di Sn privato di N , cioè n o Pn Σ = x0 , x1 , . . . , xn ∈ Rn+1 : i=0 x2i = 1 6= x0 . Per ciascun punto P = (p0 , p1 , . . . , pn ) ∈ Σ la retta P + N , congiungente P ed N , interseca l’iperpiano Ω d’equazione x0 = 0 nel punto Q = (0, q1 , . . . , qn ) con qj = pj 1−p0 per j = 1, . . . , n 57 . Abbiamo cosı̀ la funzione vettoriale p1 pn p0 , p1 , . . . , pn 7→ 0, 1−p , . . . , 1−p 0 0 (2.13) una funzione con componenti razionali che risulta quindi continua come funzione tra i sottospazı̂ euclidei che hanno sostegno in Σ ed Ω. La (2.13) ha un’inversa perché per ogni punto Q = (0, q1 , . . . , qn ) ∈ Ω la retta Q + N interseca Σ in un unico punto P = (p0 , p1 , . . . , pn ) con Pn qi2 −1 p0 = Pi=1 ; n q 2 +1 i=1 pj = 56 Si 58 i 2qj , 2 i=1 qi +1 Pn j = 1, 2, . . . , n; noti che g(a, b, c, d) ∈ Ξ perché (a, b, c, d) ∈ T2 richiede le condizioni a2 +b2 = c2 +d2 = 1. coordinate dei punti della retta P + N si ottengono al variare del parametro t ∈ R dalle equazioni x0 = 1 + t(p0 − 1); xj = tpj , per j = 1, 2, . . . , n; e quelle del punto (P +N )∩Ω si ottengono per il valore di t che risolve l’equazione 1+t(p0 −1) = 0, 1 cioè per t = 1−p . 0 58 Le coordinate dei punti della retta Q + N devono risolvere le equazioni parametriche y0 = 1 − t, yj = tqj , per j = 1, 2, . . . , n, 57 Le 64 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE cioè la (2.13) ha per costruzione l’inversa Pn 2 qk −1 , Pn 2q1q2 +1 , . . . , Pn 2qnq2 +1 , (0, q1 , . . . , qn ) 7→ Pk=1 n q 2 +1 k=1 k k=1 k k=1 k un’altra funzione con componenti razionali. Si può pertanto concludere che Σ ed Ω sostengono spazı̂ topologici omeomorfi. Poiché lo spazio topologico che ha sostegno in Ω è palesemente omeomorfo ad En , possiamo affermare che la (2.13) fornisce un omeomorfismo tra il sottospazio di Sn che si ottiene privando Sn del suo punto N ed En 59 . Capovolgendo il punto di vista, lo spazio compatto Sn si ottiene, topologicamente parlando, aggiungendo ad En il punto ∞ := N . È questa l’idea che conduce alla compattificazione di Alexandrov, ma occorre ancora precisare quali siano gli aperti che contengono ∞, ovvero quali sono i sottoinsiemi di Ω che con l’aggiunta di ∞ diventano aperti del nuovo spazio. Guardando in Sn vediamo che gli aperti che contengono N sono precisamente quei sottoinsiemi che hanno per complementare un compatto perché questi sono i chiusi di uno spazio di Haudorff compatto qual è Sn (Proposizione 81). Poiché la proiezione stereografica, in quanto omeomorfismo, determina una biiezione tra compatti con sostegno in Σ e compatti con sostegno in Ω, gli aperti che contengono ∞ devono essere esattamente quei sottoinsiemi di Ω ∪ {∞} i cui complementari sostengono un compatto. Formalizziamo tutto ciò per un generico spazio topologico. e := X ∪ {∞} e Te := T ∪ T Sia X = (X, T ) uno spazio topologico e si ponga X con T := A ∪ {∞} : A ∈ T e il suo complementare in X sostiene un compatto 60 . 2 P Pn 2 2 e quelli che giacciono in Σ si ottengono per n = 1, i=0 yi = 1, cioè per (1 − t) + k=1 tqk equazione nella variabile t che si riscrive nella forma Pn 2 t2 k=1 qk + 1 − 2t = 0. Il polinomio in t a primo membro ha radici t = 0, da scartare perché dà il punto N 6∈ Σ, e t= che dà il punto (p0 , p1 , . . . , pn ) con p0 = 59 La Pn 2 2 q +1 k=1 k Pn 2 2q qk −1 Pk=1 e pj = Pn jq2 +1 n q 2 +1 k=1 k k=1 k di Sn su En dal punto N . per j = 1, . . . , n. cosiddetta proiezione stereografica 60 Se X soddisfa la condizione di Hausdorff è ridondante chiedere che il complementare di A in X sia un chiuso (Proposizione 81), ma nel caso generale è una richiesta necessaria. 65 e Te ) è uno spazio topologico compatto e T coincide con la topoTeorema 88 . (X, logia di sottospazio indotta da Te in X. e appartiene a T in Dimostrazione. L’insieme vuoto è già in T ⊂ Te , mentre X quanto il complementare di X in X, l’insieme vuoto, è banalmente compatto. e che non contengono ∞ è Ovviamente l’unione di una famiglia di aperti di X e perché T è una topologia, cosı̀ come è un aperto di X e ancora un aperto di X e di cui almeno uno non contiene ∞ perché in l’intersezione di due aperti di X tal caso si ottiene un aperto di X. Pertanto, per poter affermare che Te è una e di cui topologia, si deve solo controllare che l’unione di una famiglia di aperti di X almeno uno contiene ∞ appartiene a Te , che è equivalente a chiedere che l’unione di un membro di T con un membro di T è in T , e che l’intersezione di due membri di T appartiene ancora a T . Siano A1 , A2 ∈ T con il complementare di A2 in X che sostiene un sottospazio compatto K di X. Allora il complementare di A1 ∪ A2 in X è l’intersezione AC1 ∩ AC2 dei complementari di A1 e A2 che è un chiuso del sottospazio K e quindi sostiene a sua volta un compatto: ciò significa A1 ∪ A2 ∪ {∞} ∈ T . Siano A1 , A2 ∈ T aventi complementari in X che sostengono compatti di X. Allora il complementare di A1 ∩ A2 in X è l’unione AC1 ∪ AC2 dei complementari di A1 e A2 : essendo sempre possibile estrarre un ricoprimento di cardinalità finita sia da ogni ricoprimento di aperti di AC1 che da ogni ricoprimento di aperti di AC2 , C ciò può essere fatto anche per la loro unione, cioè A1 ∩ A2 = AC1 ∪ AC2 sostiene un compatto di X e conseguentemente A1 ∪ {∞} ∩ A2 ∪ {∞} = A1 ∩ A2 ∪ {∞} ∈ T e Te ) è uno spazio topologico. e si può concludere che (X, Essendo evidente che la topologia di sottospazio di X coincide con T , rimane da dimostrare che la topologia Te è compatta. Per quanto osservato nella nota 39 a piè di pagina, sarà sufficiente eseguire la seguente verifica: se i membri di una e non hanno alcun elemento in comune, allora famiglia C = Cj j∈J di chiusi di X esistono un numero finito di essi che hanno intersezione vuota. La condizione posta sulla famiglia C implica che esiste j0 ∈ J tale che ∞ 6∈ Cj0 , e sta in T e conseguentemente Cj sostiene un cioè, il complementare di Cj0 in X 0 T sottospazio compatto di X. Allora la condizione j∈J Cj = ∅ si riscrive \ (Cj ∩ Cj0 ) = ∅, j∈J\{j0 } cioè la famiglia di chiusi Cj ∩ Cj0 j∈J\{j0 } di Cj0 ha intersezione vuota e, poiché Cj0 sostiene un compatto, esistono indici j1 , j2 , . . . , jn ∈ J per cui si ha n \ (Cji ∩ Cj0 ) = i=1 n \ Cjk = ∅. 2 k=0 e = X ∪ {∞} compatto con (X, T ) Osservazione 89 . Una topologia che renda X e sottospazio non può essere più fine di T perché i chiusi complementari degli aperti che contengono ∞, in quanto chiusi di un compatto, devono a loro volta sostenere un compatto, e questi chiusi sono stati presi tutti per ottenere Te . 66 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE Spazı̂ quoziente. In presenza di una funzione suriettiva f avente per dominio il sostegno di uno spazio topologico X e per codominio un insieme in cui non è stata evidenziata alcuna struttura topologica, è sempre possibile rendere il codominio di f uno spazio topologico Y in modo che f : X → Y è funzione continua: basta prendere per aperti di Y tutti quei sottoinsiemi la cui pre-immagine in f è un aperto di X, dunque A è aperto di Y ⇐⇒ f −1 A è aperto di X. È un elementare esercizio verificare che effettivamente in questo modo si è definita una topologia nel codominio di f , la cosiddetta topologia indotta da f , che è la più fine topologia che si può definire nel codominio di f che la renda continua. Esempi 90 . Una circostanza in cui s’introduce questo tipo di topologia è quella che si presenta quando è data una relazione d’equivalenza ∼ nel sostegno di uno spazio topologico X e si vuole rendere anche l’insieme delle classi d’equivalenza uno spazio topologico. In tal caso è consuetudine prendere come topologia quella indotta dalla proiezione canonica x 7→ [x]∼ , che associa ad ogni elemento x ∈ X la sua classe d’equivalenza [x]∼ ; lo spazio topologico che si ottiene, denominato lo spazio quoziente di X modulo ∼ e usualmente indicato con X/∼ , è tale che la proiezione canonica risulta una funzione continua X → X/∼. L’operazione di ”quozientare” uno spazio topologico con una relazione d’equivalenza viene spesso utilizzata quando si vogliono ottenere nuovi spazi topologici con particolari proprietà, per esempio uno spazio topologico con sostegno lo spazio proiettivo P n (k) quando k è uno dei campi classici Q, . . . , R, C. Infatti, in tal caso, kn+1 ha la struttura di spazio topologico prodotto di n + 1 copie di k e ∗ nel sottospazio kn+1 , che ha sostegno nell’insieme dei vettori non nulli di kn+1 , si può introdurre la relazione d’equivalenza che identifica ogni coppia di vettori linearmente dipendenti: lo spazio topologico quoziente che ne deriva ha allora sostegno nello spazio proiettivo P n (k) e viene usualmente indicato con kPn 61 . Definizione 91 . Una funzione continua e suriettiva f : X → Y si dice un’identificazione se la topologia di Y è quella indotta da f . Vediamo di capire quando una funzione continua e suriettiva f : X → Y è un’identificazione. Un sottoinsieme Z di X viene detto f -saturo se soddisfa la condizione f −1f (Z) = Z 62 . Proposizione 92 . Una funzione continua e suriettiva f : X → Y è un’identificazione se, e solamente se, f (A) è un aperto di Y ogniqualvolta A è un aperto f -saturo di X. In particolare è un’identificazione ogni funzione continua aperta e suriettiva. 61 Abbiamo dunque gli spazı̂ topologici proiettivi QPn , . . . , RPn , CPn . Ribadiamo che un sottoinsieme di punti di kPn è un aperto esattamente quando la sua pre-immagine nella proiezione canonica π : (x0 , x1 , . . . , xn ) 7→ [x0 : x1 : . . . : xn ], ∗ è un aperto del sottospazio kn+1 di kn+1 . 62 L’identità f f −1 Z = Z è sempre verificata per qualunque sottoinsieme Z di X, invece non è sempre vero che f −1f Z = Z per ogni sottoinsieme Z di X. Per esempio, se f : R → R è la funzione x 7→ x2 , si ha f −1f ] 0, 1 [ = ] − 1, 1 [. 67 Dimostrazione. Si assuma che f sia un’identificazione e sia A un aperto f saturo di X. Allora l’identità A = f −1 f (A) ci dice che f (A) ha pre-immagine in f aperta e quindi che f (A) è un aperto di Y avendo Y la topologia indotta da f . Si supponga, viceversa, che f (A) è un aperto di Y ogniqualvolta A è un aperto f -saturo di X e sia B ⊆ Y un sottoinsieme tale che f −1 B è un aperto di X. Allora l’identità f −1 f (f −1 B) = f −1 B ci dice che f −1 B è un aperto saturo di X e quindi che B è un aperto di Y . Tenuto conto che la pre-immagine di un aperto di Y è un aperto di X per la continuità di f , si vede che la topologia di Y è proprio quella indotta da f . 2 Corollario 93 . Sia f : X → Y una funzione suriettiva, continua e chiusa, cioè, che trasforma ogni chiuso di X in un chiuso di Y . Allora f è un’identificazione. Dimostrazione. Per un sottoinsieme A di punti di X che risulti f -saturo vale l’identità f (AC ) = f (A)C non avendo f AC punti in comune con f (A). Nel caso in cui il sottoinsieme f -saturo A sia un aperto di X, quindi AC è un chiuso, si ha che f (AC ) = f (A)C è un chiuso di Y e, conseguentemente, f (A) è un suo aperto. Dunque f trasforma aperti saturi di X in aperti di Y ed è pertanto un’identificazione in virtù della Proposizione 92. 2 f g In presenza di funzioni X − → Y − → Z tra spazı̂ topologici di cui f e g ◦ f continue nulla si può in generale dire sull’eventuale continuità delle funzione g. Tuttavia, nel caso in cui f è un’identificazione, la continuità di g è garantita dalla seguente Proposizione 94. Proposizione 94 . Siano f : X → Y un’identificazione e g : Y → Z una funzione tale che la composizione g ◦ f : X → Z sia continua. Allora anche g è funzione continua. Dimostrazione. Sia A un aperto di Z: dobbiamo dimostrare che g −1 A è un aperto in Y . Certamente f −1 g −1 A = (g ◦ f )−1 A è aperto in X perchè la composizione g ◦ f è funzione continua. Poiché la topologia di Y è quella indotta da f , si può senz’altro concludere che g −1 A è un aperto di Y . 2 La Proposizione 94 risulta particolarmente utile quando si deve stabilire se una data funzione f : X/∼ → Y con dominio uno spazio quoziente e codominio uno spazio topologico risulta continua oppure no: la Proposizione 94 ci assicura che basta controllare l’eventuale continuità f ◦ π della composizione di f con la proiezione canonica π : X → X/∼. Per esempio, controllare la continuità della funzione i| 63 [X0 : X1 : . . . : Xn ] 7→ √P|X (2.14) n X2 i=0 i n con dominio lo spazio proiettivo kP e codominio k, equivale a controllare la continuità della sua composizione con la proiezione canonica π : (X0 , X1 , . . . , Xn ) 7→ [X0 : X1 : . . . : Xn ], 63 Si osservi che la funzione è ben definita avendosi |X | qP i n i=0 per ciscun t ∈ k∗ . Xi2 = |tXi | n (tX ) 2 i i=0 qP 68 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE ovvero a controllare la continuità della funzione i| (X0 , X1 , . . . , Xn ) 7→ √P|X n i=0 Xi2 , una funzione notoriamente continua in ambito euclideo. La continuità della funzione (2.14) può essere utilizzata per stabilire che la pre-immagine del chiuso {0k } di k, cioè l’iperpiano V(Xi ), è un chiuso di kPn e conseguentemente è un aperto lo spazio affine Πi dei punti di kPn aventi la coordinata Xi 6= 0k 64 Pertanto Proposizione 95 . Il sostegno dello spazio proiettivo kPn è unione degli aperti Π0 , Π1 , . . . , Πn ciascuno dei quali sostiene un sottospazio omeomorfo al prodotto topologico kn . Dimostrazione. Potendosi scrivere ogni punto di Πi univocamente con la coordinata xi = 1, abbiamo un’applicazione biiettiva x0 : . . . : xi−1 : 1 : xi+1 : . . . : xn (x0 , . . . , xi−1 , xi+1 , . . . , xn ) (2.15) che definisce un omeomorfismo tra il sottospazio di kPn che ha sostegno in Πi ed il prodotto topologico kn . Infatti, la Proposizione 94 garantisce che la (2.15) è continua perché la sua composizione con l’identificazione π : Vi → Πi 65 dà la funzione vettoriale con componenti razionali xi+1 xn (x0 , . . . , xi−1 , xi , xi+1 , . . . , xn ) 7→ xx0i , . . . , xxi−1 , , . . . , . x x i i i Inoltre, l’inversa della (2.15) si ottiene per composizione di π con la funzione continua (y0 , . . . , yi−1 , yi+1 , . . . , yn ) 7→ (y0 , . . . , yi−1 , 1, yi+1 , . . . , yn ). 2 . Un doppio utilizzo della Proposizione 94 permette agevolmente di dimostrare un teorema che risulta strategico per ottenere alcuni spazı̂ topologici classici come spazı̂ topologici quoziente. 64 Ricordiamo che Π = π(V ) (Capitolo 1), dove V indica il sottoinsieme dei vettori di kn+1 i i i aventi non nulla la coordinata d’indice i. 65 In generale la restrizione di un’identificazione non è detto che sia ancora un’identificazione, ∗ tuttavia in questo caso lo è perché, essendo Vi un aperto π-saturo di kn+1 , ogni aperto π-saturo ∗ n+1 di Vi è anche un aperto π-saturo di k e quindi è trasformato da π in un aperto di Πi . 69 Teorema 96 . Siano f : X → Y e g : X → Z identificazioni e sia h : Z → Y una biiezione tale che h ◦ g = f . Allora h è un omeomorfismo Z Y . Dimostrazione. Infatti, h è continua perché g è un’identificazione e la composizione h ◦ g = f è continua, e h−1 è continua perché f è un’identificazione e la composizione h−1 ◦ f = g è continua. 2 Osservazione 97 . Il Teorema 96 trova frequente applicazione nella seguente circostanza. Se f : X → Y è un’identificazione ed introduciamo in X la relazione d’equivalenza x1 ∼ x2 ⇐⇒ f (x1 ) = f (x2 ), allora l’applicazione h che associa alla classe d’equivalenza [x]∼ di x ∈ X l’elemento f (x) ∈ Y definisce una ben posta biiezione h tra i punti dello spazio quoziente X/∼ ed i punti di Y tale che h ◦ π = f (ma anche h−1 ◦ f = π) se π denota la proiezione canonica x 7→ [x]∼ : il Teorema 96 allora assicura che h fornisce un omeomorfismo tra lo spazio topologico quoziente X/∼ e lo spazio topologico Y . Un esempio in cui si applica ciò ce lo dà la funzione esponenziale exp : E1 7→ S1 che si definisce ponendo exp(t) = e2πit = cos(2πt) + i sin(2πt) ≡ cos(2πt), sin(2πt) . Essendo il suo dominio ed il suo codominio ambedue euclidei e le sue componenti cos e sin due classiche funzioni continue della trigonometria, exp è certamente una funzione continua. È ben noto che exp è suriettiva, ma non iniettiva avendosi exp(t1 ) = exp(t2 ) esattamente quando t1 − t2 ∈ Z. Allora l’Osservazione 97 permette di affermare che lo spazio topologico quoziente che ha sostegno nell’insieme R/Z delle classi laterali di R modulo Z è omeomorfo ad S1 , se si prova che exp è anche un’identificazione: a questo scopo si può provare che exp è più di un’identificazione, è una funzione aperta. Infatti, sia A un aperto di E1 e sia F il complementare di exp(A). Si ha S exp−1 exp(A) = z∈Z (z + A) e si vede che exp−1 exp(A) è un aperto di E1 perché è aperto ciscun sottoinsieme z + A (le traslazioni sono omeomorfismi), conseguentemente è un chiuso di E1 il suo complementare exp−1 F . Poiché per ciascun t ∈ exp−1 F esiste t0 ∈ [0, 1] tale che exp(t) = exp(t0 ), si ha F = exp exp−1 F = exp exp−1 F ∩ [0, 1] cioè F è l’immagine di un chiuso del sottospazio compatto di E1 che ha sostegno nell’intervallo [0, 1] e come tale è un chiuso di S1 in virtù del Corollario 82. Ne consegue che exp(A) è un aperto di S1 . Quanto detto si può anche applicare restringendo la funzione esponenziale all’intervallo [0, 1]: si ha che identificando 0 ed 1 in quell’intervallo si ottiene uno spazio quoziente omeomorfo ad S1 . Un altro modello per lo spazio proiettivo RPn . Nel caso k è il campo R dei numeri reali, vi è un modo alternativo d’introdurre lo spazio proiettivo RPn che illustreremo qui di seguito. Si consideri in Sn la relazione d’equivalenza che identifica punti antipodali: x ∼ y ⇐⇒ x = ±y. 70 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE Si controlla a vista che f : [X0 : X1 : . . . : Xn ] 7→ 0 ± √PX n i=0 1 , √PX n 2 Xi i=0 n , . . . , √PX n 2 Xi i=0 Xi2 è una ben posta biiezione tra i punti di RPn ed i punti di Sn/∼ . ∗ La composizione di f con la proiezione canonica π : En+1 → RPn , cioè la funzione (x0 , x1 , . . . , xn ) 7→ ± √Pxn0 i=0 , √Pxn1 2 xi i=0 , . . . , √Pxnn 2 xi i=0 , xi2 può essere scritta anche come composizione ρ ◦ ψ, dove ψ : (x0 , x1 , . . . , xn ) 7→ √Pxn0 i=0 , √Pxn1 2 xi i=0 , . . . , √Pxnn 2 xi i=0 xi2 e ρ denota la proiezione canonica Sn → Sn / ∼ : f ◦ π = ρ ◦ ψ. (2.16) Poiché ρ e ψ sono ambedue funzioni continue, la composizione f ◦π risulta continua e conseguentemente lo è anche f in virtù della Proposizione 94. Se proviamo che la biiezione continua f è anche una funzione aperta avremo un omeomorfismo RPn Sn /∼ . ∗ Sia A un aperto di RPn , allora π −1 A è un aperto di Rn+1 che consiste di rette vettoriali private del vettore nullo. ψ proietta π −1 A sull’aperto U di Sn ottenuto per intersezione di π −1 A col sostegno di Sn : chiaramente U = −U . Dunque U è un aperto di Sn saturo rispetto alla proiezione canonica ρ : Sn → Sn/∼, che quindi lo proietta su un aperto dello spazio quoziente Sn /∼ . Pertanto la composizione di Sn /∼ e per la (2.16) la stessa cosa fa la ρ ◦ ψ trasforma π −1 A in un aperto −1 composizione f ◦ π: f ◦ π π A = f (A) è un aperto dello spazio quoziente Sn /∼ . Possiamo cosı̀ affermare che Teorema 98 . Lo spazio proiettivo RPn è omeomorfo allo spazio quoziente che si ottiene identificando su Sn le coppie di punti antipodali. 2 71 La retta proiettiva nei casi classici k = R e k = C. S’è visto nel paragrafo precedente che la retta proiettiva reale RP1 si può concepire come una circonferenza in cui vengono identificati punti diametralmente opposti. Tuttavia per RP1 si può dire di più. Nel piano eucliedo E2 si considerino le circonferenze Γ := V(x2 + y 2 + y) e ∆ := V(x2 + y 2 − 1), ciascuna delle quali sostiene ovviamente un sottospazio di E2 omeomorfo a S1 . Come si può agevolmente verificare, l’applicazione (x, y) 7→ (−xy, −y 2 ) manda ciascun punto di ∆ in un punto appartenente a Γ (2.17) 66 , ed è suriettiva 67 . La (2.17) è funzione continua perché le sue componenti sono polinomi ed il Corollario 82 garantisce che trasforma ogni chiuso del sottospazio di E2 che ha sostegno in ∆ in un chiuso del sottospazio che ha sostegno in Γ, quindi è un’identificazione in virtù del Corollario 93. Abbiamo quindi un’identificazione ρ : S1 → S1 determinata dalla (2.17) nella quale due punti del dominio hanno la stessa immagine esattamente quando sono diametralmente opposti. Ne consegue che l’insieme di coppie {±p} di punti di S1 è in corrispondenza biunivoca col codominio di ρ. Poiché lo spazio quoziente che si sostiene nell’insieme di quelle coppie {±p} è omeomorfo alla retta proiettiva RP1 , quanto puntualizzato nell’Osservazione 97 ci permette di affermare che esiste un omeomorfismo S1 RP1 . Dunque RP1 è, al pari di S1 , la compattificazione di Alexandrov di E1 . Questo fatto, tuttavia, non può essere esportato in dimensione più alta come ci spiega la Proposizione 2 del Capitolo 1, anche se RPn rimane compatto in qualunque dimensione in virtù del Teorema 98. 66 È un buon esercizio verificare che la (2.17) corrisponde alla proiezione dei punti di ∆ su Γ attraverso il punto o = (0, 0): infatti, se p = (a, b) ∈ ∆, dunque a2 + b2 = 1, la retta o + p ha equazioni parametriche x = ta, y = tb (t ∈ R) ed interseca Γ per i valori di t che risolvono l’equazione (ta)2 + (tb)2 + tb = 0, ovvero l’equazione t2 + tb = 0, cioè t = 0, che dà o, e t = −b, che dà appunto (−ab, −b2 ). 67 Infatti, si controlla a vista che il punto o = (0, 0) ∈ Γ è immagine dei punti ±(1, 0) di S1 , √ c mentre un punto q = (c, d) ∈ Γ diverso da o è immagine dei punti ± − √−d , −d di S1 , ove si tenga conto che q ha ordinata d negativa. 72 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE Anche lo spazio proiettivo CPn è uno spazio topologico compatto. Infatti, per ogni punto Z0 : Z1 : . . . : Zn ∈ CPn si ha Z0 : Z1 : . . . : Zn = √PnZ 0 i=0 con Z0 √P n i=0 Zi Zi : √PnZ1 i=0 Z1 Zi Zi , √P n i=0 Zi Zi : . . . . . . : √PnZn i=0 , . . . . . , √Pn i=0 Zi Zi Zn Zi Zi Zi Zi un vettore di Cn+1 (' E2n+2 ) di norma 1, cioè, un vettore appartenente ad un sottospazio di Cn+1 identificabile con la sfera S2n+1 . Pertanto la proiezione ∗ canonica Cn+1 → CPn induce una funzione continua e suriettiva S2n+1 → CPn e ciò implica che CPn sia compatto. Vista la Proposizione 2 del capitolo 1, la compattezza della retta proiettiva CP1 ci fa chiedere se, come nel caso reale, CP1 è la compattificazione di Alexandrov di C ' E2 , ovvero se CP1 è uno spazio topologico omeomorfo a S2 che, ricordiamo, è la compattificazione di Alexandrov di E2 . Il richiesto omeomorfismo CP1 S2 si ottiene mediante la funzione Z0 Z1 + Z1 Z0 Z0 Z1 − Z1 Z0 Z1 Z1 − Z0 Z0 ,i , (2.18) [Z0 : Z1 ] 7→ Z0 Z0 + Z1 Z1 Z0 Z0 + Z1 Z1 Z0 Z0 + Z1 Z1 che, come si può controllare a vista, è ben posta. Per la Proposizione 94, la (2.18) ∗ è continua perché è continua la funzione C2 → S2 , Z0 Z1 +Z1 Z0 Z0 Z1 −Z1 Z0 Z1 Z1 −Z0 Z0 (Z0 , Z1 ) 7→ Z , i , , Z +Z Z Z Z +Z Z Z Z +Z Z 0 0 1 1 0 0 1 1 0 0 1 1 ed è chiusa per il Corollario 93. Basterà provare che la (2.18) è invertibile per poter affermare che la (2.18) definisce un omeomorfismo CP1 S2 . Si può agevolmente controllare che la funzione ( [0 : 1], se x3 = 1; (x1 , x2 , x3 ) 7→ 1 − x3 : x1 + ix2 , se x3 6= 1. è proprio l’inversa della (2.18) che cerchiamo. Varietà topologiche Una classe di spazı̂ topologici che include quelli più classici è la classe delle varietà topologiche. Una varietà topologica è uno spazio topologico di Hausdorff M provvisto di un atlante, ovvero di un ricoprimento di aperti ciasuno dei quali è dominio di un omeomorfismo avente per immagine un aperto dello spazio euclideo Em per un ben determinato intero positivo m che definisce la dimensione di M (come si suol dire, M è ”localmente euclideo”). Se U è un aperto dell’atlante e se ϕ è un omeomorfismo tra U ed un aperto di Em , la coppia (U, ϕ) viene detta una carta e permette di attribuire ad ogni punto p di U le coordinate del punto ϕ(p) di Em : la coppia (U, ϕ) è un intorno di coordinate locali di p. Inoltre, per una varietà topologica è richiesto che due qualsiasi carte (U1 , ϕ1 ) e (U2 , ϕ2 ) siano ”compatibili” nel senso che le funzioni di transizione ϕ2 ◦ ϕ−1 1 : ϕ1 (U1 ∩ U2 ) → ϕ2 (U1 ∩ U2 ) e ϕ1 ◦ ϕ−1 2 : ϕ2 (U1 ∩ U2 ) → ϕ1 (U1 ∩ U2 ) 73 devono essere ambedue funzioni continue (ovviamente se non c’è intersezione tra i domini delle carte questa condizione non sussiste) 68 69 . Un esempio classico di varietà topologica è la sfera Sm che possiamo ricoprire utilizzando le due carte fornite dalle proiezioni stereografiche dal suo ”polo nord” n := (1, 0, . . . , 0) e dal ”polo sud” s := (−1, 0, . . . , 0); più precisamente, abbiamo le carte p1 pm ϕ1 : U1 = {p ∈ Sm : p 6= n} → Em , (p0 , p1 , . . . , pm ) 7→ 1−p , p2 , . . . , 1−p ; 0 1−p0 0 pm p1 , p2 , . . . , 1+p ; ϕ2 : U2 = {p ∈ Sm : p 6= s} → Em , (p0 , p1 , . . . , pm ) 7→ 1+p 0 1+p0 0 con funzioni di transizione ϕ2 ◦ ϕ−1 e ϕ1 ◦ ϕ−1 definite dalla stessa funzione 1 2 razionale (x1 , x2 , . . . , xm ) 7→ Pmx1 x2 , Pmx2 x2 , . . . , Pmxm x2 70 . k=1 k k=1 k k=1 k Un altro esempio classico di varietà topologica è lo spazio proiettivo RPm in cui un atlante è costituito dalle m + 1 carte Ui , ϕi dove Ui := X0 : X1 : . . . : Xm ∈ RPm : Xi 6= 0 e ϕi è l’applicazione Xi−1 Xi+1 Xm 0 , . . . , , , . . . , , ϕi : X0 : . . . : Xi−1 : Xi : Xi+1 : . . . : Xm 7→ X Xi Xi Xi Xi 68 Un atlante può sempre essere arricchito con nuove carte compatibili con quelle iniziali (per esempio carte ottenute restringendo il dominio di una carta già presente nell’atlante). Il Lemma di Zorn assicura che ogni atlante può essere completato ad uno massimale. 69 Nella letteratura matematica è spesso richiesto che una varietà topologica abbia una base numerabile; questa condizione permette di escludere alcuni spazı̂ topologici quali il prodotto topologico di una quantità non numerabile di copie di spazı̂ euclidei che non rientra nell’idea di varietà topologica che uno ha. 70 Le funzioni inverse delle proiezioni stereografiche da n e da s sono rispettivamente ! Pm 2 2y1 2ym k=1 yk − 1 (y1 , y2 , . . . , ym ) 7→ Pm , Pm , . . . , Pm 2 2 2 k=1 yk + 1 k=1 yk + 1 k=1 yk + 1 e (y1 , y2 , . . . , ym ) 7→ ! P 1 − m yk2 2y1 2ym Pm k=1 P P , , . . . , . m m 2 2 2 k=1 yk + 1 k=1 yk + 1 k=1 yk + 1 74 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE con funzioni di transizione anche in questo caso razionali ma non semplici da scrivere nel caso più generale. Nel caso più semplice della retta proiettiva abbiamo −1 ∗ solo due funzioni di transizione, ϕ1 ◦ϕ−1 0 e ϕ0 ◦ϕ1 , che hanno R sia come dominio che codominio e sono ambedue espresse dalla stessa funzione razionale x 7→ x1 : ϕ−1 ϕ1 : 1 −→ x1 ; ϕ0 ϕ−1 1 x −− → [x : 1] = 1 : x1 −→ x1 . 0 x −− → [1 : x] = 1 x Il numero delle funzioni di transizione ovviamente aumenta notevolmente all’aumentare della dimensione m, ne abbiamo già sei per m = 2; per esempio, ϕ1 ◦ ϕ−1 0 è la funzione ϕ−1 0 (x, y) −− → [1 : x : y] = 1 x :1: y x ϕ1 −→ 1 y x, x con dominio e codominio dati dal sottospazio di E2 che ha sostegno nell’insieme dei punti con ascissa non nulla. Sono certamente varietà topologiche i sottospazı̂ di uno spazio euclideo che si sostengono in un suo aperto A, essendo un tale spazio provvisto dell’atlante con la 2 sola carta (A, idA ) 71 . È questo il caso del sottospazio GL(n, R) di M(n, R) ' En 2 (risp. GL(n, C) di M(n, C) ' E2n ), che per n = 1 è lo spazio topologico R∗ (risp. C∗ ). Con una certa forzatura ogni spazio topologico discreto viene considerato come una varietà topologica di dimensione 0, ove si tenga conto che in un tale spazio i singoli punti formano un ricoprimento di aperti a due a due disgiunti (quindi non ci sono funzioni di transizione da considerare) e ogni punto può essere assimilato allo spazio euclideo E0 . Non è invece varietà topologica il sottospazio Qn di En perché non è uno spazio localmente compatto, cioè ogni punto di Qn non possiede alcun intorno che sostiene un sottospazio compatto 72 , al contrario di quello che succede per una varietà topologica 73 . Osserviamo ancora che il prodotto topologico di due varietà topologiche è ancora una varietà topologica. Infatti, se le varietàtopologiche M1 ed M2 hanno atlanti (Uj1 , ϕj1 ) : j1 ∈ J1 e (Uj2 , ϕj2 ) : j2 ∈ J2 , allora (Uj1 × Uj2 , ϕj1 × ϕj2 ) : (j1 , j2 ) ∈ J1 × J2 è un atlante di M1 × M2 . Per esempio, il toro T2 = S1 × S1 possiede un atlante con quattro carte ottenute prendendo le proiezioni stereografiche per ciascuna componente S1 di T2 . Ovviamente una varietà topologica ha le proprietà di connessione locale di uno spazio euclideo, cioè è localmente connessa per cammini. Inoltre, una varietà topologica connessa lo è anche per cammini. Infatti, la locale connessione per cammini garantisce che ogni componente connessa per cammini si sostiene su un 71 Ovviamente in tal caso non vi sono funzioni di transizione. dei punti con coordinate razionali di un aperto U di En è sempre denso in U perché ogni numero reale irrazionale è sempre limite di una successione di razionali. Dunque in Qn un punto non possiede intorni chiusi e quindi nessun intorno può sostenere un compatto. 73 Infatti, in una varietà topologica ogni punto ha un intorno topologicamente equivalente ad un aperto euclideo nel quale ogni punto p ha un intorno che sostiene un sottospazio compatto, basta prendere la chiusura di un intorno sferico di centro p. 72 L’insieme 75 aperto (essendo ogni suo punto interno) cosicché il suo complementare, oltre che un chiuso, è anche un aperto perché unione di aperti. Dunque una componente connessa per cammini ha un sostegno che è simultaneamente aperto e chiuso e come tale non può essere contenuto propriamente in una componente connessa. Pertanto Teorema 99 . Ciascuna componente connessa di una varietà topologica è anche una componente connessa per cammini, in particolare si sostiene su un insieme di punti che è simultaneamente aperto e chiuso. Pertanto ogni varietà topologica connessa è anche connessa per cammini. 2 76 CAPITOLO 2. TOPOLOGIA GENERALE Capitolo 3 Topologia algebrica Omotopia di applicazioni continue. In questo capitolo denoteremo costantemente con I il sottospazio di E1 che ha sostegno nell’intervallo [0, 1], uno spazio topologico omeomorfo a D1 . Siano X e Y spazı̂ topologici e f, g : X → Y due funzioni continue. Un’omotopia tra f ed g è un’applicazione continua F :X ×I→Y del prodotto topologico X×I a Y tale che F (x, 0) = f (x) e F (x, 1) = g(x) ∀x ∈ X. In tal caso f ed g si dicono omotope 1 . Molto spesso è più utile una condizione più ristretta di omotopia, l’omotopia relativa ad un insieme A di punti di X, un’omotopia che richiede la condizione aggiuntiva F (a, t) = f (a) = g(a) ∀a ∈ A, t ∈ I 2 . (3.1) Nelle nostre applicazioni A consiste di due punti (non necessariamente distinti), ma quello che diremo varrà per ogni insieme A di punti di X, incluso il caso A = ∅ dove la (3.1) svanisce. La relazione d’omotopia tra funzioni continue X → Y (relativamente a qualche insieme A di punti di X) è una relazione d’equivalenza; infatti, - Riflessività: basta prendere F (x, t) := f (x) per vedere che ogni funzione continua f : X → Y è omotopa a sé stessa; - Simmetria: se F è un’omotopia tra le funzioni continue f ed g, allora F (x, 1 − t) è un’omotopia tra g ed f ; - transitività: se F è un’omotopia tra le funzioni continue f ed g e se G è un’omotopia tra le funzioni continue g ed h, allora la funzione ( F (x, 2t), se t ∈ 0, 12 ; H(x, t) = G(x, 2t − 1), se t ∈ 12 , 1 . rende f ed h omotope, ove si tenga conto che risulta continua per il Lemma d’incollamento. 1 Dunque 2 In due funzioni sono omotope se possono essere deformate con continuità una nell’altra. tal caso f e g si dicono omotope relativamente ad A 77 78 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA La notazione per due funzioni omotope è f ' g, oppure f 'A g se l’omotopia è relativa ad un insieme non vuoto A di punti di X. Proposizione 100. Due funzioni continue f, g : X → En risultano sempre omotope, in particolare ogni funzione continua con codominio En è omotopa alla funzione costante cp : x 7→ p per ciascun p ∈ En , oppure all’identità di En se anche X = En . Dimostrazione. Si prenda l’omotopia F (x, t) := f (x) + t g(x) − f (x) che è sempre ben definita quando il codominio è En 3 . 2 Due spazı̂ topologici X e Y si dicono omotopicamente equivalenti (oppure dello stesso tipo di omotopia, o anche aventi lo stesso tipo d’omotopia) se esistono funzioni continue f : X → Y e g : Y → X tali che g ◦ f ' idX e f ◦ g ' idY . Questa relazione tra spazı̂ topologici è palesemente riflessiva e simmetrica ma è anche transitiva. Infatti, se esistono funzioni continue f : X → Y , g : Y → X, h : Y → Z, k : Z → Y tali che g ◦ f ' idX , f ◦ g ' idY , k ◦ h ' idY , h◦k ' idZ , allora devono esistere funzioni continue F : X ×I → X, G : Y ×I → Y , H : Y × I → Y , K : Z × I → Z tali che F (x, 0) = g f (x) , F (x, 1) = x, G(y, 0) = f g(y) , G(y, 1) = y, H(y, 0) = k h(y) , H(y, 1) = y, K(z, 0) = h k(z) , K(z, 1) = z. Otteniamo omotopie L : X × I → Z e M : Z × I → X tali che L(x, 0) = (g ◦ k) ◦ (h ◦ f )(x), L(x, 1) = x, M(z, 0) = (h ◦ f ) ◦ (g ◦ k)(z), M(z, 1) = z, ponendo ( g H f (x), 2t , se t ∈ 0, 21 ; F (x, 2t − 1), se t ∈ 12 , 1 ; ( h G k(z), 2t , se t ∈ 0, 12 ; K(z, 2t − 1), se t ∈ 21 , 1 ; L(x, t) = e M (z, t) = ambedue funzioni ben definite, avendosi per t = 21 L x, 12 = g H(f (x), 1) = g f (x) = F (x, 0) 3 Per ciascun x ∈ En l’immagine di F (x, t) è il segmento di estremi f (x) e g(x) − f (x) che è sempre ben definito quando il codominio è convesso, ovvero è un sottoinsieme di uno spazio R-vettoriale che contiene sempre il segmento avente per estremi due arbitrari suoi punti. 79 e M z, 12 = h G(k(z), 1) = h k(z) = K(z, 0), funzioni che risultano continue per il Lemma d’incollamento. Dunque essere dello stesso tipo d’omotopia è una relazione d’equivalenza tra gli spazı̂ topologici che risulta più debole dell’essere omeomorfi. Per esempio lo spazio topologico che ha sostegno in un singolo punto {p} ed En non sono certamente spazı̂ topologici omeomorfi ma hanno lo stesso tipo d’omotopia: infatti ponendo f (p) = (0, 0, . . . , 0) e denotando con g l’unica funzione En → {p} si ha g ◦ f = id{p} e un’omotopia tra f ◦ g e idEn è data dalla funzione (x, t) 7→ tx. Dunque gli spazı̂ topologici euclidei sono spazı̂ contraibili secondo la seguente Definizione 101 . Uno spazio topologico connesso per cammini si dice contraibile se ha lo stesso tipo d’omotopia di uno spazio topologico avente sostegno in un singolo punto 4 . La relazione d’omotopia non tiene dunque conto della cardinalità degli spazı̂ ma, come la relazione di omeomorfismo, esprime la possibilità di deformare con continuità uno spazio in un altro. Il prossimo esempio chiarirà meglio il concetto. ∗ Esempi 102 . La sfera Sn ha lo stesso tipo di omotopia del sottospazio En+1 di En+1 che ha sostegno nell’insieme dei suoi punti diversi da (0, 0, . . . , 0). In∗ x , una fatti, l’inclusione ι : Sn ,→ En+1 composta con la funzione ϕ : x 7→ ||x|| ∗ funzione con dominio En+1 e codominio Sn , restituisce l’identità di Sn , men∗ tre l’altra composizione ι ◦ ϕ è omotopa all’identità di En+1 via l’omotopia (x, t) 7→ xe(t−1) ln||x|| . Il gruppo fondamentale. In questo paragrafo vedremo come, utilizzando la nozione di omotopia, sia possibile associare ad ogni spazio topologico Y connesso per cammini un gruppo. Le proprietà algebriche di questo gruppo riflettono le proprietà topologiche dello spazio. Per introdurre tale gruppo si deve utilizzare la nozione di omotopia tra cammini dello spazio Y che è un caso particolare dell’omotopia tra funzioni quando il dominio X è il sottospazio I di E1 . Più precisamente si tratta di una funzione continua F : I × I → Y la cui immagine in Y produce una deformazione continua del quadrato I × I come mostra la successiva figura. 4 In realtà è ridondante richiedere che uno spazio contraibile X sia connesso per cammini. Infatti, la contraibilità di X ad un punto {p} richiede in particolare l’esistenza di funzioni continue f : X → {p} e g : {p} → X tali che g ◦ f ' idX ; conseguentemente deve esistere un’omotopia F : X × I → X tale che F (x, 0) = g(f (x)) e F (x, 1) = x. Poiché f (x) = p ∀x ∈ X, t 7→ F (x, t) è un cammino di punto iniziale g(p) e punto finale il generico punto x di X. 80 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA Più precisamente, serve la nozione di omotopia tra cammini relativamente al sottoinsieme A = {0, 1} dell’intervallo [0, 1] sostegno di I. È il caso di precisare che due dati cammini α e β di uno spazio topologico Y sono omotopi relativamente a {0, 1} se α(0) = β(0), α(1) = β(1) e si può trasformare con continuità α in β, ovvero se esiste un’omotopia F : I × I → Y tale che F (s, 0) = α(s), F (s, 1) = β(s) e F (0, t) = α(0) = β(0), F (1, t) = α(1) = β(1) per ogni valore del parametro t, dunque un’omotopia nella cui immagine in Y le curve t 7→ F (0, t) e t 7→ F (1, t) collassano in un singolo punto. L’idea è dunque quella di deformare con continuità un cammino in un altro in mancanza di ”ostacoli topologici” quale può essere per esempio un buco. In presenza di due cammini α e β in uno spazio topologico Y , se il punto finale di α coincide con il punto iniziale di β si può definire per incollamento un nuovo cammino, detto il prodotto di α e β e usualmente indicato con α ∗ β, che è definito come segue: ( α(2t), se t ∈ 0, 21 ; α ∗ β(t) = (3.2) β(2t − 1), se t ∈ 12 , 1 . Il prodotto α ∗ β è compatibile con la relazione di omotopia, più precisamente con l’omotopia relativa agli estremi 0 e 1 dell’intervallo [0, 1] 5 . Infatti si ha Proposizione 103 . Siano α1 , α2 , β1 , β2 cammini in Y e si abbia α1 '{0,1} α2 e β1 '{0,1} β2 . Se il punto finale di α1 coincide con il punto iniziale di β1 6 , allora α1 ∗ β1 '{0,1} α2 ∗ β2 . Dimostrazione. Siano F, G : I × I → Y omotopie tali che F (s, 0) = α1 (s), F (s, 1) = α2 (s), G(s, 0) = β1 (s), G(s, 1) = β2 (s) ∀s ∈ [0, 1]. 5 Si tenga presente che un cammino corrisponde al caso X = I e quindi ha senso considerare omotopie relative al sottoinsieme A = {0, 1} di punti di I. 6 Conseguentemente il punto finale di α coincide con il punto iniziale di β . 2 2 81 Allora ponendo ( H(s, t) = se s ∈ 0, 12 ; G(2s − 1, t), se s ∈ 12 , 1 ; F (2s, t), si definisce una ben posta omotopia, ove si tenga conto che F (1, t) e G(0, t) sono, rispettivamente, il comune punto finale di α1 e α2 ed il comune punto iniziale di β1 e β2 , punti che un’ipotesi assicura coincidenti. Inoltre H(s, 0) = α1 ∗ β1 (s) e H(s, 1) = α2 ∗ β2 (s). 2 L’operazione ∗, quando è definita tra tre cammini, risulta essere associativa, modulo la relazione d’omotopia (relativa a {0, 1}), ovvero Proposizione 104 Se α, β, γ sono cammini sullo spazio topologico Y tali che α(1) = β(0) e β(1) = γ(0), allora i cammini (α ∗ β) ∗ γ e α ∗ (β ∗ γ) sono omotopi. Dimostrazione. Si ha se s ∈ 0, 41 ; α(4s), β(4s − 1), se s ∈ 14 , 12 ; (α ∗ β) ∗ γ(s) = γ(2s − 1), se s ∈ 12 , 1 ; e se s ∈ 0, 12 ; α(2s), β(4s − 2), se s ∈ 12 , 34 ; α ∗ (β ∗ γ)(s) = γ(4s − 3), se s ∈ 34 , 1 ; ed un’omotopia tra (α ∗ β) ∗ γ e α ∗ (β ∗ γ) è 4s α 1+t , β(4s − t − 1), F (s, t) := γ 4s−t−2 , 2−t data da se s ∈ 0, 1+t 4 ; 2+t se s ∈ 1+t 4 , 4 ; se s ∈ 2+t 4 ,1 . Osservazione 105 . La Proposizione 104 ci dice che, modulo la relazione d’omotopia, mettere le parentesi nel prodotto ∗ è superfluo. Osserviamo che, con i dati della proposizione, se s ∈ 0, 13 ; α(3s), 1 2 β(3s − 1), se s ∈ 3 , 3 ; (3.3) s 7→ 2 γ(3s − 2), se s ∈ 3 , 1 ; è un ben definito cammino su Y di punto iniziale α(0) e punto finale γ(1) che risulta omotopo (relativamente a {0, 1}) ai cammini (α ∗ β) ∗ γ e α ∗ (β ∗ γ), un’omotopia tra (α ∗ β) ∗ γ e il cammino (3.3) essendo data dalla funzione i h 1 α(4s − st), se s ∈ 0, ; 4−t h i 1 2 β(4s − st − 1), se s ∈ 4−t , 4−t ; (s, t) 7→ h i 2 γ 4s−st−2 , se s ∈ 4−t ,1 . 2−t Useremo il simbolo α ∗ β ∗ γ per denotare il cammino (3.3) assumendolo a rappresentante canonico della sua classe d’omotopia. 82 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA Osservazione 106 . Ciascun cammino costante funge da elemento neutro per il prodotto ∗. Infatti se α è un cammino su Y di punto iniziale y0 e punto finale y1 i prodotti cy0 ∗ α e α ∗ cy1 sono definiti e sono ambedue omotopi ad α perché abbiamo le omotopie 1−t ( y0, se s ∈ 0, 2 ; G(s, t) := , se s ∈ 1−t α 2s+t−1 1+t 2 ,1 ; e ( H(s, t) := α y1 , 2s 1+t , se s ∈ 0, 1+t ; 2 1+t se s ∈ 2 , 1 . Osservazione 107 . Per ogni cammino α in Y di punto iniziale y0 e punto finale y1 α b : s 7→ α(1 − s) ∀s ∈ [0, 1] è un cammino in Y di punto iniziale y1 e punto finale y0 per cui restano definiti i prodotti ( α(2s), se s ∈ 0, 21 ; α∗α b : s 7→ α b(2s − 1) = α(2 − 2s), se s ∈ 12 , 1 ; e ( α b(2s) = α(1 − 2s), se s ∈ 0, 21 ; α b ∗ α : s 7→ α(2s − 1), se s ∈ 12 , 1 ; due cammini che risultano due cappi 7 , ovvero cammini il cui punto iniziale coincide con quello finale (il punto base del cappio). Più precisamente, α ∗ α b è un cappio di punto base y0 e α b ∗ α un cappio di punto base y1 . L’omotopia ( α(2st), se s ∈ 0, 21 ; (s, t) 7→ α (2 − 2s)t , se s ∈ 21 , 1 . rende omotopicamente equivalente la funzione costante cy0 , un particolare cappio di punto base y0 , a α ∗ α b, mentre l’omotopia ( α(1 − 2st), se s ∈ 0, 12 ; (s, t) 7→ α 2st − 2t + 1 , se s ∈ 21 , 1 . dà l’equivalenza tra cy1 e α b ∗ α. Chiaramente cappi aventi lo stesso punto base y0 possono essere sempre moltiplicati secondo la (3.2): la Proposizione 103 assicura che questo prodotto può essere trasferito all’insieme quoziente dei cappi di punto base y0 modulo la relazione d’omotopia 8 : [α]y0 [β]y0 = [α ∗ β]y0 , (3.4) dove per un dato cappio γ di Y di punto base y0 , [γ]y0 denota la classe di omotopia di γ nell’insieme dei cappi di Y di punto base y0 . Per quanto precisato 7O loop utilizzando il più diffuso termine anglosassone. relativamente a {0, 1}, visto che i cammini in esame hanno tutti y0 sia come punto iniziale che come punto finale. 8 Ovviamente 83 nelle Osservazioni 105, 106 e 107, la struttura algebrica che cosı̀ si ottiene, che denoteremo con π1 (Y, y0 ) è un gruppo, detto gruppo fondamentale 9 di Y con punto base y0 , ed ha come elemento neutro la classe d’omotopia [cy0 ]y0 e per inverso della classe [α]y0 la classe [b α]y0 . La proposizione che segue assicura che gruppi fondamentali di uno spazio topologico con punti base appartenenti alla medesima componente connessa per cammini sono isomorfi. Proposizione 108 Siano y0 e y1 punti dello spazio topologico Y per i quali esiste un cammino γ tale che γ(0) = y0 e γ(1) = y1 . Allora σγ : [α]y0 7→ [b γ ∗ α ∗ γ]y1 definisce un isomorfismo di gruppi π1 (Y, y0 ) → π1 (Y, y1 ). Dimostrazione. La Proposizione 103 garantisce che σγ è ben posta. Inoltre, se α e β sono cappi di Y di punto base y0 , in virtù delle Osservazioni 106 e 107 si può scrivere σγ [α]y0 [β]y0 = σγ [α ∗ β]y0 = [b γ ∗ (α ∗ β) ∗ γ]y1 = [b γ ∗ α ∗ (γ ∗ γ b) ∗ β ∗ γ]y1 = [b γ ∗ α ∗ γ]y1 [b γ ∗ β ∗ γ]y1 = σγ [α]y0 σγ [β]y0 , Dunque σγ è un omomorfismo π1 (Y, y0 ) → π1 (Y, y1 ) e analogamente è un omomorfismo π1 (Y, y1 ) → π1 (Y, y0 ) quello definito dal cammino γ b. Poiché σγb ◦ σγ [α]y0 = [α]y0 ∀[α]y0 ∈ π1 (Y, y0 ) 10 e σγ ◦ σγb [β]y1 = [β]y1 9O ∀[β]y1 ∈ π1 (Y, y1 ), anche primo gruppo di omotopia. σγb ◦ σγ [α]y0 = [γ ∗ γ b∗α∗γ∗γ b]y0 = [α]y0 per quanto precisato nelle Osservazioni 106 e 107. 10 Infatti, 84 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA σγ e σγb sono isomorfismi di gruppi uno inverso dell’altro. 2 La Proposizione 108 ci dice che la struttura del gruppo fondamentale non dipende dal particolare punto base se lo spazio è connesso per cammini. In tal caso si scriverà semplicemente π1 (X) per denotare il gruppo fondamentale essendo ridondante specificarne il punto base. Il gruppo fondamentale non sarebbe di alcuna utilità se non avesse la proprietà di essere compatibile con le funzioni continue; più precisamente si ha Proposizione 109 . Se f : X → Y è una funzione continua e α è un cappio di X di punto base x0 , allora f∗ : [α]x0 7→ [f ◦ α]f (x0 ) è un ben posto omomorfismo π1 (X, x0 ) → π1 Y, f (x0 ) . Dimostrazione. Che l’applicazione f∗ è ben definita segue dal fatto che se F è un’omotopia tra due cammini α1 e α2 di X, allora f ◦ F è un’omotopia tra i cammini f ◦ α1 e f ◦ α2 di Y . Inoltre per due cappi arbitrari α1 e α2 di X di punto base x0 possiamo scrivere f∗ [α1 ]x0 [α2 ]x0 = f∗ [α1 ∗ α2 ]x0 = f ◦ (α1 ∗ α2 ) f (x0 )= (f ◦ α1 ) ∗ (f ◦ α2 ) f (x0 ) = f ◦ α1 f (x0 ) f ◦ α2 f (x0 ) = f∗ [α1 ]x0 f∗ [α2 ]x0 , ove si tenga conto che ( f ◦ (α1 ∗ α2 )(t) = f ◦ ( f ◦ α1 (2t), se t ∈ 0, 12 ; se t ∈ 0, 12 ; = α2 (2t − 1), se t ∈ 12 , 1 ; f ◦ α2 (2t − 1), se t ∈ 12 , 1 ; α1 (2t), = (f ◦ α1 ) ∗ (f ◦ α2 )(t). 2 In presenza di due funzioni continue f : X → Y e g : Y → Z abbiamo due omomorfismi: f∗ : π1 (X, x0 ) → π1 (Y, f (x0 )) e g∗ : π1 (Y, f (x0 )) → π1 (Z, g◦f (x0 )). Si controlla a vista che la composizione g∗ ◦ f∗ : π1 (X, x0 ) → π1 (Z, g ◦ f (x0 )) è l’omomorfismo (g ◦ f )∗ . Poiché è evidente che gli omomorfismi idX ∗ e idY ∗ inducono l’identità dei gruppi π1 (X, x0 ) e π1 (Y, y0 ) per ogni x0 ∈ X e y0 ∈ Y , quanto detto ci fa concludere che se f è un omeomorfismo tra due spazı̂ connessi per cammini allora i gruppi fondamentali dei due spazi devono essere isomorfi. Il seguente teorema ribadisce questo fatto. Teorema 110 . Spazı̂ topologici connessi per cammini omeomorfi hanno gruppi fondamentali isomorfi. 2 85 L’avere lo stesso gruppo fondamentale è solo una condizione necessaria affinché due spazı̂ topologici connessi per cammini siano omeomorfi. Per esempio spazı̂ topologici connessi per cammini che hanno lo stesso tipo di omotopia hanno gruppi fondamentali isomorfi (cfr. successivo Teorema 113), anche se i due spazı̂ non sono ∗ omeomorfi (è il caso di Sn e del sottospazio En+1 di En+1 , spazı̂ aventi lo stesso tipo d’omotopia (cfr. Example 102), ma certamente non omeomorfi perché uno è compatto mentre l’altro non lo è). Prima di dimostrare il Teorema 113 abbiamo bisogno di alcuni risultati preliminari. Lemma 111 . Per una data funzione continua G : I × I → Y si ponga α(t) := G(0, t), β(t) := G(1, t), γ(s) := G(s, 0), δ(s) := G(s, 1). Allora il cammino α b ∗γ∗β è ben definito ed è omotopo a δ relativamente a {0, 1} 11 . Dimostrazione. Un’omotopia tra i due cammini è la seguente: δ(0), se s ∈ 0, 3t ; t 1 α(1 + t − 3s), se s ∈ 3 , 3 ; G(3s − 1, t), se s ∈ 13 , 23 ; F (s, t) := β(t + 3s − 2), se s ∈ 23 , 3−t 3 ; δ(1), se s ∈ 3−t 3 ,1 . 2 Proposizione 112 . Siano f, g : X → Y due funzioni continue ed F : X× I → Y un’omotopia tra f e g. Per un dato punto x0 ∈ X sia γ il cammino di Y di punto iniziale f (x0 ) e punto finale g(x0 ) definito dalla posizione γ(t) := F (x0 , t). Allora il diagramma f∗ π1 (X, x0 ) −→ π1 (Y, f (x0 )) ↓σγ g& ∗ π1 (Y, g(x0 )) commuta, dove σγ denota l’isomorfismo di gruppi definito dalla Proposizione 108. Pertanto f∗ è un omomorfismo iniettivo, suriettivo o biiettivo se, e solamente se, tale è g∗ . 11 L’immagine in G del ”quadrato” I × I è una porzione di Y delimitata dalle curve α, β, γ e δ. 86 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA Dimostrazione. Sia α un cappio di X di punto base x0 e si ponga G(s, t) := F (α(s), t). Si ha: G(0, t) = F (α(0), t) = F (x0 , t) = γ(t), G(1, t) = F (α(1), t) = F (x0 , t) = γ(t); G(s, 0) = F (α(s), 0) = f (α(s)), G(s, 1) = F (α(s), 1) = g(α(s)). Per il Lemma 111 possiamo allora scrivere g∗ [α]x0 = [g ◦ α]g(x0 ) = [b γ ∗ f ◦ α ∗ γ]g(x0 ) = ργ ◦ f∗ [α]x0 . 2 Teorema 113 Siano X e Y spazı̂ topologici aventi lo stesso tipo d’omotopia e siano f : X → Y e g : Y → X funzioni continue tali che g ◦f ' idX e f ◦g ' idY . Allora f∗ : π1 (X, x0 ) → π1 Y, f (x0 ) è un isomorfismo di gruppi per ciascun x0 ∈ X. Dimostrazione. Applicando la Proposizione 112 alle funzioni g ◦ f e idX si trova che (g ◦ f )∗ : π1 (X, x0 ) → π1 X, g ◦ f (x0 ) è un isomorfismo di gruppi perché tale è idX ∗ . Poiché (g ◦ f )∗ = g∗ ◦ f∗ , vediamo che f∗ è iniettiva e g∗ suriettiva. Ripetendo il ragionamento per l’altro isomorfismo (f ◦ g)∗ troveremo che g∗ è iniettiva e f∗ suriettiva, quindi ambedue isomorfismi di gruppi. 2 Definizione 114 . Uno spazio topologico connesso per cammini si dice semplicemente connesso se il suo gruppo fondamentale è banale, cioè consiste di una sola classe d’omotopia. Corollario 115 . Ogni spazio topologico contraibile è semplicemente connesso. Rivestimenti. Un rivestimento di uno spazio topologico Y è una coppia (X, ρ) costituita da uno spazio topologico X (lo spazio del rivestimento) e da una funzione continua ρ : X → Y (la funzione del rivestimento) soddisfacente la condizione che ogni punto y ∈ Y ha un intorno ben ricoperto da ρ, cioè un intorno Uy tale che ρ−1 Uy è unione disgiunta di aperti su ciascuno dei quali ρ si restringe ad un omeomorfismo con Uy 12 12 Come si suol dire ρ è un omeomorfismo locale. Osserviamo che se Uy è un intorno ben ricoperto del punto y ∈ Y , allora ogni intorno più piccolo di Uy è altrettanto ben ricoperto. 87 Proposizione 116 . Ogni funzione di rivestimento è una funzione aperta. Dimostrazione. Se (X, ρ) è un rivestimento dello spazio topologico Y , A è un aperto di X e p è un punto di A, l’immagine ρ(p) ha un intorno ben ricoperto Uρ(p) . Ciò significa che ρ−1 Uρ(p) è unione di aperti disgiunti di X su ciascuno dei quali ρ si restringe ad un omeomorfismo con Uρ(p) : a meno di restringere opportunamente Uρ(p) (cfr nota 12 a piè’ di pagina), non è restrittivo assumere che sia contenuta in A la componente di ρ−1 Uρ(p) contenente p, cosicché A è unione di aperti ciascuno dei quali è mandato da ρ su un aperto di Y . Ne consegue che ρ(A) è unione di aperti di Y . 2 Esempi 117 . 1. La coppia E1 , exp dà un rivestimento di S1 . Infatti, ogni punto di S1 è della forma e2πix per qualche numero reale x e il suo intorno Ue2πit ottenuto privando S1 di −e2πit è ben ricoperto da exp avendosi S exp−1 Ue2πit = z ∈ Z t + z − 21 , t + z + 21 ed exp, funzione continua ed aperta, si restringe ad un omeomorfismo x+z− 12 , x+z+ 12 Ue2πix per ciascun intero z. 88 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA 2. Ricordando che lo spazio proiettivo RPn può essere concepito identificando sulla sfera Sn punti diametralmente opposti, la coppia Sn , π: x 7→ {±x} dà un rivestimento di RPn . Infatti, se Ux è un intorno del punto x di Sn che non interseca l’intorno −Ux di −x, l’intorno π(Ux ) del generico punto π(x) di RPn è ben ricoperto avendo per pre-immagine in π la coppia di aperti Ux e −Ux su ciascuno dei quali π si restringe ad una biiezione che è un omeomorfismo 13 . Proposizione 118 . Se (X, ρ) è un rivestimento dello spazio topologico Y la fibra sopra un punto y ∈ Y, cioè la pre-immagine ρ−1 {y}, sostiene un sottospazio discreto di X e, se Y è connesso e localmente connesso, la sua cardinalità è indipendente da y 14 . Dimostrazione. Se Uy è un intorno ben ricoperto di y, ciascun punto x della ”fibra ρ−1 {y} sopra y” ha un intorno Vx che ρ applica omeomorficamente a Uy cosicché non può contenere altri elementi di ρ−1 {y} oltre x, cioè, x è aperto nel sottospazio che ha sostegno nella fibra ρ−1 {y} e vediamo che questo sottospazio è discreto. Si assuma che Y sia connesso e localmente connesso e si indichi con Zy l’insieme dei punti di Y la cui fibra ha la stessa cardinalità di ρ−1 {y}. Siano z ∈ Zy e Uz un intorno ben ricoperto di z, che non è restrittivo assumere connesso vista la locale connessione di Y : le componenti connesse di ρ−1 Uz sono allora in corrispondenza biunivoca con la fibra ρ−1 {z}, tenuto conto che ρ stabilisce una biiezione tra ciascuna componente e Uz . Poiché Uz risulta un intorno ben ricoperto per ciascuno dei suoi punti, vediamo che tutte le fibre relative ai punti di Uz hanno la stessa cardinalità, cioè Uz ⊆ Zy , quindi Zy è un aperto di Y essendo ogni suo punto interno. Sia w ∈ Z y e sia Uw un intorno ben ricoperto di w che possiamo assumere connesso. Poiché w è di aderenza per Zy , Uw contiene certamente qualche punto v ∈ Zy e, ragionando come prima, possiamo concludere che la fibra relativa a w ha la stessa cardinalità delle fibre relative ai punti di Zy , cioè w ∈ Zy . Dunque Z y = Zy , cioè Zy è un insieme non vuoto di punti dello spazio connesso Y che risulta simultaneamente aperto e chiuso: deve necessariamente essere Zy = Y . 2 13 π è una proiezione con dominio compatto e codominio di Hausdorff. cardinalità, se finita, viene detta il grado del rivestimento. Quindi Sn , π| Sn è un n rivestimento di grado 2 di RP . 14 Questa 89 Definizione 119 . Per un dato rivestimento (X, ρ) di uno spazio topologico Y , un sollevamento di una funzione continua f : Z → Y è una funzione continua fe : Z → X tale che ρ ◦ fe = f Z fe − → X ↓ρ f& Y La proposizione che segue ci dice che un sollevamento, se esiste, è determinato dall’azione su un punto di una singola fibra della funzione di rivestimento. Proposizione 120 . Siano (X, ρ) un rivestimento di uno spazio topologico Y, f : Z → Y una funzione continua con dominio connesso e, per un dato punto y0 di Y , si scelgano x0 e z0 nelle fibre ρ−1 {y0 } e f −1 {y0 }. Allora c’è al più un sollevamento g di f tale che g(z0 ) = x0 . Dimostrazione. Siano fe1 e fe2 sollevamenti di f tali che fe1 (z0 ) = fe2 (z0 ) = x0 . Si ponga A := {z ∈ Z : fe1 (z) = fe2 (z)}, B := {z ∈ Z : fe1 (z) 6= fe2 (z)} : chiaramente Z = A ∪ B e A ∩ B = ∅ per cui se dimostriamo che A e B sono ambedue aperti in Z deve essere A = Z, visto che Z è connesso e A non è vuoto perché contiene z0 . Sia z ∈ Z e sia Uf (z) un intorno ben ricoperto di f (z) e si supponga dapprima z ∈ A. Allora x := fe1 (z) = fe2 (z) ha un intorno Vx omeomorfo via ρ a Uf (z) . Ogni punto dell’intorno fe1−1 Vx ∩ fe2−1 Vx di z viene mandato da fe1 e fe2 in uno stesso punto e−1 e−1 di Vx perché fe1 = fe2 = ρ−1 |Uz ◦ f su quell’intersezione, cioè f1 Vx ∩ f2 Vx ⊆ A e troviamo che z è interno ad A. Sia z ∈ B. Allora x1 := fe1 (z) e x2 := fe2 (z) sono punti distinti della fibra ρ−1 {f (z)}, quindi separabili con due intorni disgiunti Vx1 e Vx2 che ρ applica omeomorficamente a Uf (z) . Ne consegue che ogni punto dell’intorno fe1−1 Vx1 ∩ fe2−1 Vx2 di z viene mandato da fe1 in un punto distinto da quello in cui lo manda fe2 , cioè fe−1 Vx ∩ fe−1 Vx ⊆ B e troviamo che z è interno a B. 2 1 1 2 2 90 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA La Proposizione 120 non dice nulla sull’esistenza dei sollevamenti nella situazione più generale, un argomento che sarà trattato più avanti. Tuttavia possiamo sempre sollevare un cammino nel senso specificato dalla seguente Proposizione 121 Sia (X, ρ) un rivestimento di uno spazio topologico Y e sia α : I → Y un cammino su Y di punto iniziale y0 . Allora, per ciascun punto x0 nella fibra ρ−1 {y0 }, esiste un unico cammino α ex0 su X di punto iniziale x0 che solleva α, cioè tale che ρ ◦ α ex0 = α. Dimostrazione. Ovviamente se α ex0 esiste è unico in virtù della Proposizione 120. Costruiremo α e a pezzi che possono essere incollati. Gli aperti ben ricoperti di Y formano un ricoprimento dello spazio, in particolare ne bastano un numero finito per ricoprire il sottospazio compatto che ha sostegno nell’insieme α[0, 1] dei punti del cammino: ciò significa che possiamo individuare nell’intervallo [0, 1] un numero finito di punti t0 = 0 < t1 < . . . < tn < tn+1 = 1 in modo che, per i = 0, . . . , n, il pezzo di cammino α[ti , ti+1 ] sia contenuto in un aperto ben ricoperto Ui di Y . Sia V0 l’ aperto di X contenente x0 su cui ρ si restringe ad un omeomorfismo V0 U0 ; si ponga α e1 := ρ|V−1 ◦ α|[0, t1 ] . Allora 0 α e1 : [0, t1 ] → V0 ⊆ X è tale che ρ ◦ α e1 = α|[0,t1 ] con α e1 (0) = ρ|V−1 ◦ α(0) = ρ|V−1 (y0 ) = x0 . 0 0 Procedendo per induzione su i si assuma che, per i > 0, sia stata definita una funzione continua α ei : [0, ti ] → X tale che ρ◦α ei = α|[0,ti ] (3.5) con α ei (0) = x0 . Sia Vi l’ aperto di X contenente α ei (ti ) su cui ρ si restringe ad un omeomorfismo Vi Ui . Poiché [ti , ti+1 ] ⊂ Ui , ponendo βi := ρ|V−1 ◦ α|[ti, ti+1 ] si i ottiene una funzione continua [ti , ti+1 ] → X tale che βi (ti ) = ρ|V−1 α(ti ) = ρ|V−1 ◦ (ρ ◦ α ei )(ti ) = α ei (ti ), i i ove si tenga conto della (3.5). Pertanto α ei e βi possono essere incollate in ti per ottenere una funzione continua α ei+1 : [0, ti+1 ] → X tale che α ei+1 (0) = x0 e ρ◦α ei+1 = α|[0, ti+1 ]. 2 91 Osservazione 122 . Se α è un cappio di Y di punto base y0 , allora ciascun suo sollevamento α ex0 non deve essere necessariamente un cappio di X, si può solo dire che il suo punto finale α ex0 (1) deve stare nella fibra di y0 . Non solo i cammini possono essere sollevati ma anche le omotopie; più pecisamente, Proposizione 123 . Siano (X, ρ) un rivestimento di uno spazio topologico Y e F : I × I → Y un’omotopia. Posto y0 := F (0, 0), per ciascun punto x0 nella fibra ρ−1 {y0 }, esiste un’unica omotopia Fex0 : I × I → X con Fex0 (0, 0) = x0 che solleva F , cioè tale che ρ ◦ Fex0 = F . Dimostrazione. Se l’omotopia Fex0 esiste è unica per la Proposizione 120. Come nel caso dei cammini costruiremo Fex0 a pezzi che possono essere incollati. Vista la sua compattezza, F (I × I) può essere ricoperto con un numero finito di intorni ben ricoperti: ciò significa che possiamo individuare nell’intervallo [0, 1] un numero finito di punti s0 = 0 < s1 < . . . < sm < sm+1 = 1 e t0 = 0 < t1 < . . . < tn < tn+1 = 1 in modo che, per i = 0, . . . , m e j = 0, . . . , n, l’immagine in F del rettangolo [si , si+1 ] × [tj , tj+1 ] sia contenuto in un aperto ben ricoperto U(i,j) di Y . 92 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA Sia V(0,0) l’aperto di X contenente x0 su cui ρ si restringe ad un omeomorfismo V(0,0) U(0,0) ; si ponga Fe(s1 , t1 ) := ρ|V−1 ◦ F |[0, s1 ]× [0, t1 ] . (0,0) Allora Fe(s1 , t1 ) : [0, s1 ] × [0, t1 ] → V0 ⊆ X è tale che ρ ◦ Fe(s1 , t1 ) = F |[0, s1 ]× [0, t1 ] con Fe(s1 , t1 ) (0, 0) = ρ|V−1 ◦ F (0, 0) = ρ|V−1 (y0 ) = x0 . (0,0) (0, 0) Procedendo per induzione sulla coppia d’indici (i, j) si assuma che sia stata definita una funzione Fe(si, tj ) : [0, si ] × [0, tj ] → X tale che ρ ◦ Fe(si , tj ) = F |[0, si ]× [0, tj ] (3.6) con Fe(si , tj ) (0, 0) = x0 . Sia V(si , 0) l’aperto di X contenente Fe(si , tj ) (si , 0) su cui ρ si restringe ad un omeomorfismo V(si , 0) U(si , 0) . Poiché l’immagine in F del rettangolo [si , si+1 ] × [0, t1 ] è contenuta in U(si , 0) , ponendo G(si+1 , t1 ) := ρ|V−1 ◦ F |[si , si+1 ]× [0, t1 ] (s , 0) (3.7) i si ottiene una funzione [si , si+1 ] × [0, t1 ] → X che, in virtù della (3.7) e della (3.6), per ciascun t dell’intervallo [0, t1 ] ci permette di scrivere G(si+1 , t1 ) (si , t) = ρ|V−1 F (si , t) = ρ|V−1 ◦ (ρ ◦ Fe(si , tj ) )(si , t) = Fe(si , tj ) (si , t). (s , 0) (s , 0) i i Pertanto Fe(si , tj ) e G(si+1 , t1 ) possono essere incollate lungo il chiuso {si } × [0, t1 ] di I × I per ottenere una funzione Fe(si+1 , t1 ) : [0, si+1 ] × [0, t1 ] → X tale che Fe(si+1 , t1 ) (0, 0) = x0 e ρ ◦ Fe(si+1 , t1 ) = F |[0, si+1 ]× [0, t1 ] . 93 Procedendo per induzione si assuma che per ogni intero positivo k < j esista una funzione Fe(si+1 , tk ) con dominio la striscia [0, si+1 ] × [0, tk ] e codominio X per cui si ha Fe(si+1 , tk ) (0, 0) = x0 e ρ ◦ Fe(si+1 , tk ) = F |[0, si+1 ]× [0, tk ] . (3.8) Sia V(si , tk ) l’aperto di X contenente Fe(si+1 , tk ) (si+1 , tk ) su cui ρ si restringe ad un omeomorfismo V(si , tk ) U(si , tk ) . Poiché il rettangolo [si , si+1 ] × [tk , tk+1 ] è contnuto in U(si , tk ) , ponendo G(si+1 , tk+1 ) := ρ|V−1 ◦ F |[si , si+1 ]× [tk , tk+1 ] (s , t ) i k si ottiene una funzione [si , si+1 ] × [tk , tk+1 ] → X che, per la (3.6), ci permette di scrivere G(s , t ) (si , t) = ρ| −1 F (si , t) = ρ| −1 ◦ (ρ ◦ Fe(s , t ) )(si , t) i+1 k+1 V(si , tk ) V(si , tk ) i j = Fe(si , tj ) (si , t) per ciascun t dell’intervallo [tk , tk+1 ] e, per la (3.8), G(si+1 , tk+1 ) (s, tk ) = ρ|V−1 F (s, tk ) = ρ|V−1 ◦ (ρ ◦ Fe(si+1 , tk ) )(s, tk ) (si , tk ) (si , tk ) = Fe(s , t ) (s, tk ) i+1 k per ciascun s dell’intervallo [si , si+1 ]. Pertanto possiamo incollare G(si+1 , tk+1 ) a Fe(si , tj ) ) e Fe(si+1 , tk ) ottenendo una funzione Fe(si+1 , tk+1 ) con Fe(si+1 , tk+1 ) (0, 0) = x0 e ρ ◦ Fe(si+1 , tk+1 ) = F |[0, si+1 ]× [0, tk+1 ] : per induzione si può allora assumere che ciò vale anche per k + 1 = j. Con un processo induttivo analogo si può estendere adesso il già definito sollevamento Fe(si+1 ,tj ) di F |[0,si+1 ]×[0,tj ] ad un sollevamento Fe(si+1 ,tj+1 ) di F |[0,si+1 ]×[0,tj+1 ] e ottenere l’omotopia richiesta iterando il procedimento. 2 94 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA Corollario 124 . Sia (X, ρ) un rivestimento di uno spazio topologico Y e siano α e β cammini su Y di punto iniziale y0 , omotopi relativamente a {0, 1}. Allora, per ciascun x0 ∈ ρ−1 {y0 }, i cammini α ex0 e βex0 sono anch’essi omotopi relativamente e a {0, 1}; in particolare, α ex0 (1) = βx0 (1). Dimostrazione. Sia F : I × I → Y un’omotopia relativamente a {0, 1} tale che F (s, 0) = α(s) e F (s, 1) = β(s). La Proposizione 123 garantisce l’esistenza di un sollevamento Fe : I × I → X di F tale che Fe(s, 0) = α ex0 (s) ∀s ∈ I. Inoltre Fe(0, t) = α ex0 (0) = x0 e Fe(1, t) = α ex0 (1) ∀t ∈ I perché t 7→ Fe(0, t) e t 7→ Fe(1, t) sollevano i cammini costanti t 7→ α(0) = β(0) = y0 e t 7→ α(1) = β(1) 15 , visto che F è un’omotopia relativa a {0, 1}. Poiché ρ◦ Fe(s, 1) = F (s, 1) = β(s), s 7→ Fe(s, 1) è il cammino che solleva β di punto iniziale Fe(0, 1) = x0 , cioè Fe(s, 1) = βex0 . 2 Azione di monodromia. L’Osservazione 122 ci dice che in presenza di un rivestimento (X, ρ) di uno spazio topologico Y , per ciascun punto y ∈ Y, l’applicazione x, [α]y 7→ α ex (1) (3.9) definisce un’azione (destra) del gruppo fondamentale G := π1 (Y, y) sulla fibra Ω := ρ−1 {y} sopra y, cioè un’applicazione Ω × G → Ω che associa ad una coppia (x, g) ∈ Ω × G un elemento di Ω, usualmente indicato con xg , e soddisfa le condizioni a) xidG = x; h b) (xg ) = xgh ∀g, h ∈ G. (3.10) Infatti, la (3.10.a) è palesemente soddisfatta perché idG = [cy ]y e il sollevamento del cappio costante cy di punto iniziale x è il cammino costante cx (il cui punto 15 Il sollevamento di un cammino costante, dovendo essere contenuto in una fibra, cioè in uno spazio discreto, non può che essere anch’esso costante. 95 finale è ovviamente ancora x), mentre la (3.10.b) richiede qualche riflessione in più: se g = [α]y e h = [β]y il primo membro della (3.10.b) restituisce il punto βeαex (1) (1) mentre il secondo dà (α] ∗ β)x (1) = α ex ∗ βeαex (1) (1) 16 , ma i cammini βeαex (1) e α ex ∗ βeαex (1) hanno lo stesso punto finale. Definizione 125 . L’azione (3.9) viene detta azione di monodromia del gruppo fondamentale π1 (Y, y) sulla fibra sopra y (indotta dal rivestimento (X, ρ)). I risultati finora ottenuti ci permettono di determinare il gruppo fondamentale π1 (S1 , 1C ) delle classi d’omotopia dei cappi di S1 di punto base l’unità complessa 1C = (1, 0). La fibra Ω := exp−1 {1C } sopra 1C relativamente al rivestimento (E1 , exp) di S1 è costituita dall’insieme Z dei numeri interi e possono essere fatte le seguenti considerazioni: • per ciascun intero z, il cammino γz : t 7→ zt è il sollevamento del cappio t 7→ exp(zt) = e2πizt di S1 di punto base 1C ; γz ha punto iniziale 0 e punto finale z cioè, con la notazione consolidata mediante la Proposizione 121, ^ = γz ; exp(zt) 0 • essendo E1 contraibile, quindi semplicemente connesso, ogni cammino di E1 di punto iniziale 0 e punto finale z ∈ Z è omotopo (relativamente a {0, 1}) a γz 17 ; • ogni cappio di S1 di punto base 1C è omotopo a t 7→ exp(tz) per qualche intero z 18 . Queste considerazioni permettono di concludere che ogni elemento del gruppo fondamentale π1 (S1 , 1C ) è del tipo [exp(zt)]1C per qualche intero z e questo elemento ”muove” 0 in z = γz (1) nell’azione di monodromia. Ciò produce l’applicazione δ : [exp(zt)]1C 7→ z che definisce un omomorfismo di gruppi π1 (S1 , 1C ) → Z. Infatti, per ciascuna 16 Il ρ sollevamento di α ∗ β di punto iniziale x è il prodotto α ex ∗ βeα e x (1) avendosi ( ( ( α ex (2s), se s ∈ 0, 12 ρ◦α ex (2s), se s ∈ 0, 12 α(2s), se s ∈ 0, 12 1 1 = 1 = β(2s − 1), se s ∈ 2 , 1 βeα ρ ◦ βeα e x (1) (2s − 1), se s ∈ 2 , 1 e x (1) (2s − 1), se s ∈ 2 , 1 = α ∗ β(s) eα ex ∗ βeα ex (0) = x. e x (1) (0) = α 17 Infatti, se γ è un cammino di E1 di punto iniziale 0 e punto finale z, il prodotto γ̂ ∗ γ è un z cappio di E1 di punto base z cosicché γ̂ ∗ γz '{0,1} cz ⇒ γz '{0,1} γ ∗ cz '{0,1} γ. 18 Segue dal fatto generale che se α ex e βex sono sollevamenti omotopi relativamente ad un rivestimento (X, ρ) di punto iniziale x ∈ X di cappi α e β di uno spazio topologico Y di punto base y ∈ Y , allora anche α e β devono essere omotopi (tutto relativamente a {0, 1}); infatti, se G è un’omotopia I × I → X tale che G(s, 0) = α ex (s) e G(s, 1) = βex (s), allora ρ ◦G è un’omotopia I × I → Y tale che ρ ◦ G(s, 0) = α(s) e ρ ◦ G(s, 1) = β(s). 96 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA coppia di elementi [exp(z1 t)]1C e [exp(z2 t)]1C di π1 (S1 , 1C ), l’intero δ [exp(z1 t)]1C [exp(z2 t)]1C = δ[exp(z1 t) ∗ exp(z2 t)]1C ^ è il punto finale del sollevamento exp(z1 t) ∗ exp(z2 t)0 che è dato dal prodotto ^ ^ exp(z 1 t)0 ∗ exp(z2 t)exp(z ^t) 1 0 (1) ^ = γz1 (t) ∗ exp(z 2 t)z1 (cfr. nota 16 a piè’ di pagina) ed ha come punto finale quello del secondo fattore ^ exp(z 2 t) : dunque z1 ^ δ [exp(z1 t)]1C [exp(z2 t)]1C = exp(z 2 t)z1 (1). (3.11) Poiché la funzione esponenziale trasforma la somma a + b di due numeri reali nel prodotto exp(a) exp(b) in S1 , si ha exp (z1 + z2 t) = exp(z1 ) exp(z2 t) = exp(z2 t), cioè z1 + z2 t è un sollevamento di exp(z2 t), precisamente quello di punto iniziale ^ z1 , ovvero è exp(z 2 t) . Pertanto la (3.11) dà z1 δ [exp(z1 t)]1C [exp(z2 t)]1C = z1 + z2 = δ[exp(z1 t)]1C + δ[exp(z2 t)]1C , (3.12) cioè δ : π1 (S1 , 1C ) → Z è un omomorfismo di gruppi, anzi un isomorfismo ove si tenga conto che δ è suriettiva avendosi z = δ[exp(zt)]1C per ciascun intero z e, se δ[exp(zt)]1C = 0, cioè γz (1) = 0, deve essere necessariamente z = 0. Una funzione di rivestimento ρ : X → Y induce, come tutte le funzioni continue, un omomorfismo di gruppi ρ∗ : π1 (X, x0 ) → π1 (Y, y0 ), se x0 ∈ ρ−1 {y0 }. Guardando la Proposizione 121 non si può non notare che vale l’identità ρ∗ [e αx0 ]x0 = [α]y0 , ove si tenga conto che ρ∗ [e αx0 ]x0 = [ρ ◦ α ex0 ]y0 . Poiché il sollevamento di un cammino costante deve essere anch’esso costante (cfr. nota 15 a piè di pagina), vediamo che il nucleo di ρ∗ è banale, cioè Teorema 126 . Se ρ : X → Y è una funzione di rivestimento, l’omomorfismo di gruppi ρ∗ : π1 (X, x0 ) → π1 (Y, y0 ) è iniettivo per ogni coppia di punti base y0 ∈ Y e x0 ∈ ρ−1 {y0 }. 2 97 Un elemento [α]y0 ∈ π1 (Y, y0 ) lascia fisso un punto x0 della fibra sopra y0 se, e solamente se, il sollevamento α ex0 ha x0 , oltre che come punto iniziale, anche come punto finale, cioè è un cappio di punto base x0 , e questo equivale a [e αx0 ]x0 ∈ π1 (X, x0 ). Poiché ρ∗ [e αx0 ]x0 = [ρ ◦ α ex0 ]y0 = [α]y0 , si ha Proposizione 127 . Per un dato rivestimento (X, ρ) di uno spazio topologico Y e per dati punti y0 ∈ Y e x0 ∈ ρ−1 {y0 }, l’immagine ρ∗ π1 (X, x0 ) nell’omomorfismo di gruppi ρ∗ : [e αx0 ]x0 7→ [α]y0 è il sottogruppo di π1 (Y, y0 ) che lascia fisso x0 nell’azione di monodromia indotta dal rivestimento (X, ρ) (il cosiddetto stabilizzante, o stabilizzatore, di x0 ). 2 Nel caso in cui la fibra sopra y0 è contenuta in una componente connessa per cammini di X e x1 , x2 sono punti della fibra, un cammino γ in X di punto iniziale x1 e punto finale x2 è della forma α ex1 per qualche cappio α di punto base y0 , precisamente α := ρ ◦ γ. Ciò significa che in tal caso l’azione di monodromia del gruppo fondamentale π1 (Y, y0 ) sulla fibra sopra y0 è come si suol dire transitiva, cioè il gruppo muove due qualsiasi punti l’uno sull’altro. La seguente proposizione ribadisce questo fatto. Proposizione 128 . Se (X, ρ) è un rivestimento dello spazio topologico Y avente una fibra ρ−1 {y0 } contenuta in una componente connessa per cammini, allora l’azione di monodromia del gruppo fondamentale π1 (Y, y0 ) su tale fibra è transitiva. 2 Si assuma adesso che lo spazio di rivestimento X sia connesso per cammini (e quindi tale deve essere anche Y in quanto sua immagine continua), allora la Proposizione 128 ci assicura che l’azione di monodromia del gruppo fondamentale π1 (Y, y0 ) sulla fibra ρ−1 {y0 } è transitiva qualunque sia il punto base y0 . La transitività ha come conseguenza che la cardinalità della fibra ρ−1 {y0 } è pari all’indice dello stabilizzante ρ∗ π1 (X, x0 ) in π1 (Y, y0 ) 19 , cioè vale l’identità |ρ−1 {y0 }| = |π1 (Y, y0 )| , |π1 (X, x0 )| (3.13) ove si tenga conto che ρ∗ è iniettiva. Poiché gruppi fondamentali con punto base nella stessa componente connessa per cammini sono isomorfi (cfr. Proposizione 108), l’espressione della cardinalità di una fibra data dalla (3.13) è indipendente dai particolari punti base, cioè le fibre relative ad una funzione di rivestimento hanno tutte la stessa cardinalità 20 . Riassumendo Teorema 129 . Se (X, ρ) è un rivestimento di uno spazio topologico Y con X connesso per cammini, allora tutte le fibre relative a ρ hanno la stessa cardinalità. Quando è finita, questa cardinalità (il cosiddetto grado del rivestimento) è l’indice del sottogruppo ρ∗ π1 (X, x0 ) in π1 (Y, y0 ) per ciascun y0 ∈ Y e x0 ∈ ρ−1 {y0 }. 2 19 Questo è un fatto generale che prescinde dall’azione di monodromia: se un gruppo G ha un’azione transitiva su un insieme Ω, allora per ogni p ∈ Ω, denotati con Gp lo stabilizzante di p in G e con gx un elemento di G che muove p su un generico punto x ∈ Ω, l’applicazione x 7→ Gp gx è una ben definita corrispondenza biunivoca tra l’insieme Ω e l’insieme delle classi laterali di G modulo lo stabilizzante Gp . 20 Ricordiamo che questo già succede quando lo spazio topologico Y è connesso e localmente connesso (cfr. Proposizione 118). 98 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA Un’applicazione immediata del Teorema 129 al rivestimento (Sn , π|Sn ) dello spazio proiettivo RPn , un rivestimento di grado 2 (cfr. nota 14 a piè’ di pagina), ci dice che, per n > 1, il gruppo fondamentale di RPn 21 è isomorfo a Z2 perché Sn è uno spazio semplicemente connesso. Quest’ultima affermazione è conseguenza del successivo Teorema 130. Tale conclusione non deve sorprendere perché per un data fibra {p, −p} vi sono solo due possibilità per un cammino di Sn avente punto iniziale e punto finale sulla fibra: o il cammino è un cappio, oppure è un cammino che congiunge p e −p e ovviamente questi due tipi di cammino non sono omotopi. Teorema 130 . Sia X uno spazio topologico il cui sostegno è unione di due aperti U e V ciascuno dei quali sostiene un sottospazio semplicemente connesso. Se l’intersezione U ∩ V sostiene un sottospazio connesso per cammini, allora X è semplicemente connesso. Dimostrazione. Ovviamente bisogna solo controllare che ogni cappio α in X che non sia interamente contenuto né in U , né in V , è omotopo ad un cappio interamente contenuto in U , oppure in V . Poiché le ipotesi poste richiedono che X sia connesso per cammini, il Teorema 110 assicura che, per i nostri fini, non è restrittivo assumere come punto base del cappio un qualunque punto di X: sia x0 := α(0) = α(1) ∈ U ∩ V. L’aperto α−1 U è unione disgiunta d’intervalli di [0, 1] e lo stesso vale per α−1 V . Questi intervalli sono aperti di I che messi assieme ricoprono I e ciascuno di essi è indispensabile al ricoprimento: vista la compattezza di I, questi intervalli devono essere in numero finito. Il fatto che I è connesso richiede allora l’esistenza di punti t0 = 0 < t1 < . . . < tn < tn+1 = 1 in α−1 (U ∩ V ) per cui si abbia α[ti , ti+1 ] ⊆ U oppure α[ti , ti+1 ] ⊆ V (i = 0, 1, . . . , n). Si ponga αi := α|[ti, ti+1 ] . Chiaramente non è restrittivo assumere α0 ⊆ U e, conseguentemente, α1 ⊆ V . 21 Non occorre precisare il punto base del gruppo fondamentale perché RPn è connesso per cammini. Si osservi che se uno spazio topologico Y ha uno spazio di rivestimento connesso per cammini, allora anche Y deve essere connesso per cammini in quanto immagine continua di uno spazio con tale proprietà. 99 Sia γ un cammino di punto iniziale α(t1 ) e punto finale α(t2 ) interamente contenuto in U ∩ V la cui esistenza è assicurata da una ipotesi. Allora α1 ∗ γ b è un cappio di punto base α(t1 ) interamente contenuto in V ed è quindi omotopo al cammino costante cα(t1 ) , cioè α1 '{0,1} γ, e vediamo che α = α0 ∗ α1 ∗ . . . ∗ αn '{0,1} α0 ∗ γ ∗ . . . ∗ αn . Adesso si può iterare il procedimento per giungere alla fine ad un cappio interamente contenuto in U . 2 Corollario 131 . Per n > 1 la sfera Sn è semplicemente connessa. Dimostrazione. I punti di Sn diversi dal polo nord e quelli diversi dal polo sud formano aperti U e V di Sn che sostengono sottospazı̂ di Sn omeomorfi a En , quindi semplicemente connessi. Poiché l’intersezione U ∩V sostiene un sottospazio omeomorfo a En ∗, un sottospazio connesso per cammini, vediamo che l’assunto è immediata conseguenza del Teorema 130. 2 Rivestimenti universali. Quando uno spazio di rivestimento di uno spazio topologico è semplicemente connesso il rivestimento viene detto universale. In base al Teorema 129 la cardinalità del gruppo fondamentale di uno spazio topologico che ammette un rivestimento universale è quella di una fibra della funzione di rivestimento per cui è di un certo rilievo sapere se uno spazio topologico ha un rivestimento universale oppure no e, in caso affermativo, conoscerne la struttura. 100 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA Osservazione 132 . È il caso di puntualizzare che non ci si può aspettare che ogni spazio topologico connesso per cammini abbia un rivestimento universale 22 . Per esempio, per il sottospazio connesso per cammini Y di E2 che si appoggia sull’insieme di punti S 1 1 2 2 + y − , V x − ∗ 2 n∈N n n ottenuto al variare di n tra gli interi positivi, le circonferenze di centro unendo, 1 1 , 0 e raggio , non può esistere un rivestimento universale. Infatti, se esistesse, n n in Y un intorno ben ricoperto U di (0, 0) ogni cappio di punto base (0, 0) dovrebbe essere omotopo ad un cammino costante perché questo è quello che succede in ogni aperto dello spazio di rivestimento, se tale spazio è semplicemente connesso. Ma piccolo possa essere U , sono sempre contenute in U circonferenze per quanto 1 2 V x − n + y 2 − n12 per n sufficientemente grande e su tali circonferenze possono essere realizzati cappi che non sono omotopi a cammini costanti, cosı̀ come già visto con S1 . L’esempio esibito nell’Osservazione 132 mostra che una condizione necessaria affinché uno spazio topologico connesso per cammini Y ammetta un rivestimento universale è che Y sia localmente semplicemente connesso, ovvero abbia un sistema fondamentale d’intorni che sostengono sottospazı̂ semplicemente connessi 23 . In 22 Uno spazio topologico che ha un rivestimento universale deve necessariamente essere connesso per cammini in quanto immagine continua dello spazio di rivestimento che ha quella proprietà. 23 Quindi, in particolare, connessi per cammini. 101 realtà questa condizione permette di costruire un rivestimento universale (X, ρ) nel modo che andiamo illustrare. Il sostegno di X . Consiste delle classi d’omotopia [α], relativamente a {0, 1}, dei cammini di Y di punto iniziale un fissato punto y0 ∈ Y . La topologia di X . È quella generata dalla famiglia di sottoinsiemi di X B [α], A := [α ∗ β] : β è un cammino in A di punto iniziale α(1) 24 (3.14) ottenuti al variare di A tra gli aperti di Y e α tra i cammini in Y di punto iniziale y0 e punto finale in A 25 . La connessione per cammini di X . Per ogni [α] ∈ X e per ogni s ∈ I, denotato con αs il cammino t 7→ α(st) in Y , l’applicazione φα : s 7→ [αs ] definisce un cammino in X di punto iniziale [cy0 ] e punto finale [α] 26 . 24 Si osservi che se [γ] ∈ B [α], A , quindi [γ] = [α ∗ β] per qualche cammino β in V di punto iniziale α(1), allora [α] = [γ ∗ βb ] ∈ B [γ], A perché βb è un cammino in A di punto iniziale γ(1). 25 I sottoinsiemi (3.14) soddisfano gli assiomi a cui devono sottostare i membri di una base (cfr. la nota 10 a piè di pagina del Capitolo 2): i) ogni elemento [α] di X appartiene a ciascun sottoinsieme B [α], A (basta prendere β = cα(1) ) cosicché i sottoinsiemi (3.8) ricoprono X; ii) se [γ] ∈ B [α1 ], A1 ∩B [α2 ], A2 allora, per i = 1, 2, γ '{0,1} αi ∗βi per qualche cammino βi in Ai di punto iniziale αi (1) e punto finale in A1 ∩ A2 , e si ha [γ] ∈ B [γ], A1 ∩ A2 ⊆ B [αi ], Ai . 26 L’applicazione φα definisce realmente un cammino su X, cioè una funzione continua I → X, perché la pre-immagine in φα di un aperto di X che interseca φα (I) è un aperto di I: infatti, 102 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA La funzione di rivestimento ρ. L’applicazione ρ : [α] 7→ α(1) è ben definita (perché l’omotopia è relativa a {0, 1}), continua (perché se U è un aperto di Y , ρ−1 U è aperto in X 27 ), aperta (perché l’immagine in ρ di un membro B [α], V della base che genera la topologia di X determina la componente connessa per cammini di α(1) in V , componente che ha sostegno in un aperto di Y per la locale semplice connessione di Y 28 ) e, per ogni y ∈ Y , si restringe ad un omeomorfismo B [α], Uy Uy se Uy è un intorno semplicemente connesso di y ed α è un cammino in Y di punto iniziale y0 e punto finale y 29 . La semplice connessione di X . Sia γ : I → X un cappio in X di punto base [cy0 ]: come sempre γ è il sollevamento del cappio α := ρ ◦ γ di Y , cioè γ = α e[cy0 ]' usando una notazione già consolidata. Ma è anche φα (0) = [α0 ] = [cy0 ] e ρ ◦ φα (s) = ρ[αs ] = α(s) ∀s ∈ I, potendo limitare la verifica agli aperti della base (3.14), se s ∈ φ−1 α B [γ], A , dunque [αs ] ∈ B [γ], A = B [αs ], A (cfr. nota 24), per la continuità di α si può scegliere un numero reale positivo r in modo che ] s−r, s+r [ ⊆ α−1 A, cioè α]s − r, s + r[ ⊆ A ovviamente se s = 0 (risp. s = 1) l’intervallo da considerare è [0, r[ risp. ]1−r, 1] , e per un tale r è anche ]s − r, s + r[ ⊆ φ−1 α B [γ], A perché, per ciascun numero reale c ∈ ]s − r, s + r[, αc si può ottenere prolungando αs o con un pezzo del cammino α|]s−r, s+r[ o con un pezzo di α̂|]s−r, s+r[ secondo che c ≥ s oppure c ≤ s. 27 Se [α] ∈ ρ−1 U , allora B [α], U ⊆ ρ−1 U e si vede che [α], elemento dell’aperto B [α], U , è interno a ρ−1 U . 28 In generale non è vero che le componenti connesse per cammini si sostengono su aperti, ma la condizione posta che Y sia localmente semplicemente connesso richiede che ogni punto di Y abbia un sistema fondamentale d’intorni ciascuno dei quali sostiene un sottospazio semplicemente connesso, quindi connesso per cammini. 29 La biiettività è garantita dal fatto che U è semplicemente connesso cosicché non possono y esistere in U due cammini non omotopi aventi lo stesso punto finale. 103 cioè γ = φα per l’unicità del sollevamento α e[cy0 ]' . Poiché γ è un cappio, si ha γ(1) = [cy0 ] e possiamo scrivere [cy0 ] = γ(1) = φα (1) = [α1 ] = [α], cioè [cy0 ]y0 e [α]y0 sono lo stesso elemento del gruppo fondamentale π1 (Y, y0 ) e conseguentemente la classe d’omotopia del sollevamento γ deve essere l’elemento neutro del gruppo fondamentale π1 X, [cy0 ] per l’iniettività di ρ∗ , cioè il cappio γ è omotopicamente equivalente in X al cammino costante c[cy0 ] . 2 Corollario 133 . Ogni varietà topologica connessa possiede un rivestimento universale. Dimostrazione. In virtù del Teorema 99 una varietà topologica connessa è anche connessa per cammini. Se n è la dimensione della varietà ogni suo punto ha un intorno topologicamente equivalente ad un aperto di En cosicché il punto ha anche intorni piccoli a piacere semplicemente connessi essendo En localmente semplicemente connesso. 2 La costruzione del rivestimento universale che abbiamo descritto è essenzialmente unica, nel senso che ogni altro rivestimento universale di Y si sostiene su uno spazio topologico omeomorfo a quello che abbiamo costruito. Per dimostrare questa unicità dobbiamo prima stabilire un risultato che ha un suo valore indipendente. Siano dati una funzione continua f : Z → Y , un rivestimento (X, ρ) di Y e punti z0 ∈ Z e x0 ∈ ρ−1 {f (z0 )}. Se esiste un sollevamento fe : Z → X di f tale che fe(z0 ) = x0 , si ha l’identità di omomorfismi di gruppi ρ∗ ◦ fe∗ = f∗ che, perché si verifichi, ha bisogno che l’immagine di f∗ sia contenuta nell’immagine di ρ∗ , ovvero f∗ π1 (Z, z0 ) ⊆ ρ∗ π1 (X, x0 ). (3.15) Possiamo dimostrare che la condizione (3.15) è anche sufficiente per l’esistenza del sollevamento fe purché si assuma che il dominio Z della funzione continua f sia uno spazio connesso per cammini e localmente connesso per cammini; infatti, in tal caso, fe può essere costruito come segue. Per ciascun z ∈ Z, sia α : I → Z un cammino in Z di punto iniziale z0 e punto finale z. Allora la composizione f ◦ α è un cammino in Y di punto iniziale f (z0 ) e punto finale f (z) e, in virtù della Proposizione 121, possiamo considerare il sollevamento f] ◦ αx0 di f ◦α di punto iniziale x0 : proveremo che la corrispondenza z 7→ f] ◦ αx0 (1) (3.16) è una ben definita applicazione Z → X, cioè è indipendente dal cammino α scelto. Se la (3.16) non fosse una ben definita applicazione, dovrebbe esistere un altro cammino β in Z di punto iniziale z0 e punto finale z per cui il sollevamento f] ◦ β x0 di f ◦ β di punto iniziale x0 dovrebbe avere punto finale f] ◦ β x0 (1) diverso ] da f ◦ αx (1), cioè 0 \ ] γ := f] ◦ α x0 ∗ f ◦ β x0 104 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA dovrebbe essere un cammino di punto iniziale e punto finale distinti. Poiché γ α ∗ β) 30 , che è è il sollevamento di punto iniziale f] ◦ αx0 (1) del cammino f ◦ (b un cappio passante per f (z0 ) perché α e β hanno lo stesso punto finale z, la condizione f∗ π1 (Z, z0 ) ⊆ ρ∗ π1 (X, x0 ) ci dice che questo sollevamento dovrebbe essere un cappio, una evidente contraddizione. Pertanto la (3.16) dà una ben posta funzione fe : Z → X tale che fe(z0 ) = x0 , ove si tenga conto che, se α è un cappio in Z di punto base z0 , f ◦ α è un cappio in Y di punto base f (z0 ) e, per l’ipotesi f∗ π1 (Z, z0 ) ⊆ ρ∗ π1 (X, x0 ), il suo sollevamento di punto iniziale x0 è un cappio in X di punto base x0 . Poiché ρ ◦ fe(z) = ρ f] ◦ αx0 (1) = f ◦ α(1) = f (z), possiamo concludere che fe è il sollevamento richiesto se riusciamo a dimostrarne la continuità. Sia A è un aperto di X, si deve dimostrare che fe−1 A è aperto in Z. Poiché ρ è una funzione di rivestimento, gli aperti di X su ciascuno dei quali ρ si restringe ad un omeomorfismo con la sua immagine generano la topologia di X cosicché non è restrittivo assumere che A sia un tale aperto. Si deve dimostrare che ogni punto p ∈ fe−1 A è interno a fe−1 A. La continuità di f richiede che f −1 ρ(A) sia un aperto di Z contenente p e, per la locale connessione per cammini di Z, c’è un intorno V di p connesso per cammini \ \ γ(0) = f] ◦ αx0 ∗ f] ◦ β x0 (0) = f] ◦ αx0 (0) = f] ◦ αx0 (1) e \ ρ ◦ f] ◦ αx0 (2t), se t ∈ 0, 21 ; \ ρ ◦ γ(t) = ρ ◦ f] ◦ αx0 ∗ f] ◦ β x0 (t) = ρ ◦ f] ◦ β x0 (2t − 1), se t ∈ 21 , 1 . ( ( ρ ◦ f] ◦ αx0 (1 − 2t), se t ∈ 0, 21 ; f ◦ α(1 − 2t), se t ∈ 0, 21 ; = 1 1 = f ◦ β(2t − 1), se t ∈ 2 , 1 . ρ ◦ f] ◦ β x0 (2t − 1), se t ∈ 2 , 1 . ( α b(2t), se t ∈ 0, 12 ; = f◦ αz ∗ β)(t). = f ◦ (b β(2t − 1), se t ∈ 21 , 1 . 30 Infatti, 105 contenuto in f −1 ρ(A): dimostreremo che fe(V ) ⊆ A, ovvero p ∈ V ⊆ fe−1 A, provando cosı̀ che p è interno a fe−1 A. Sia v un punto di V e si scelgano un cammino γ in Z di punto iniziale z0 e punto finale p e un cammino δ in V di punto iniziale p e punto finale v cosicché possiamo definire il prodotto γ ∗ δ , un cammino che ha punto iniziale z0 e punto finale v e permette di ottenere fe(v) attaverso la (3.16) prendendo α := γ ∗ δ. Si ha fe(v) = f ^ ◦ (γ ∗ δ)x0 (1) = f] ◦ γ x0 ∗ f] ◦ δ fe(p) (1) 31 = f] ◦ δ fe(p) (1). Poiché il cammino f ◦ δ è interamente contenuto in ρ(A), il suo sollevamento f] ◦ δ fe(p) è interamente contenuto nella componente di ρ−1 ρ(A) contenente il suo punto iniziale fe(p) che è A; quindi fe(v) = f] ◦ δ e (1) ∈ A. f (p) Riassumendo Proposizione 134 . Siano Z uno spazio connesso per cammini e localmente connesso per cammini, f : Z → Y una funzione continua, (X, ρ) un rivestimento di Y , z0 ∈ Z e x0 ∈ ρ−1 {f (z0 )}. Esiste un sollevamento fe : Z → X di f tale che fe(z0 ) = x0 se, e solamente se, f∗ π1 (Z, z0 ) ⊆ ρ∗ π1 (X, x0 ). 2 La condizione della precedente proposizione posta sulla funzione f affinché ammetta il sollevamento richiesto è palesemente verificata quando lo spazio topologico Z è semplicemente connesso. Pertanto 31 Infatti, si ha ρ f] ◦ γ x0 (2t), se t ∈ 0, 21 ; ρ f] ◦ γ x0 ∗ f] ◦ δ fe(p) (t) = ρ f] ◦ δ fe(p) (2t − 1), se t ∈ 21 , 1 ; ( ( f ◦ γ(2t), se t ∈ 0, 21 ; γ(2t), se t ∈ 0, 12 ; = 1 = f ◦ 1 f ◦ δ(2t − 1), se t ∈ 2 , 1 ; δ(2t − 1), se t ∈ 2 , 1 ; = f ◦ (γ ∗ δ)(t). 106 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA Corollario 135 . Con i dati della Proposizione 134, se lo spazio topologico Z è semplicemente connesso esiste sempre un sollevamento fe di f tale che fe(z0 ) = x0 . 2 Corollario 136 . Due spazı̂ di rivestimento semplicemente connessi di uno spazio topologico (connesso per cammini e localmente semplicemente connesso) sono omeomorfi. Dimostrazione. Siano (X, ρ) e (Z, σ) rivestimenti di uno spazio topologico Y con X e Z semplicemente connessi. Si fissi y0 ∈ Y , x0 ∈ ρ−1 {y0 } e z0 ∈ σ −1 {y0 }. Per il Corollario 135 ci sono sollevamenti σ e di σ, relativamente al rivestimento (X, ρ) Z σ e − → X ↓ρ , σ& Y e ρe di ρ, relativamente al rivestimento (Z, σ) X ρ e − → Z ↓σ , ρ& Y per cui si ha σ e(z0 ) = x0 e ρe(x0 ) = z0 . Conseguentemente ρe ◦ σ e(z0 ) = z0 e σ e ◦ ρe(x0 ) = x0 (3.17) e, tenuto conto delle condizioni ρ ◦ σ e = σ e σ ◦ ρe = ρ a cui i sollevamenti σ e e ρe devono sottostare, si hanno le identità funzionali σ ◦ (e ρ◦σ e) = σ e ρ ◦ (e σ ◦ ρe) = ρ. (3.18) Le (3.18) e le (3.17) dicono che ρe◦ σ e è il sollevamento di σ, relativamente al rivestimento (Z, σ), che applica z0 a z0 (risp. σ e ◦ ρe è il sollevamento di ρ, relativamente al rivestimento (X, ρ), che applica x0 a x0 ) σ e◦e ρ ρ e◦e σ Z −−→ Z X −−→ X ↓σ ↓ρ , ρ& σ& Y Y 107 ma un tale sollevamento è già l’identità di Z (risp. l’identità di X): la Proposizione 120 ci permette allora di concludere che ρe ◦ σ e = idZ e σ e ◦ ρe = idX . 2 Spazi di orbite. Siano dati uno spazio topologico X ed un gruppo G avente un’azione (sinistra) 32 θ : G × X → X. Identificando in un unico punto ciascuna orbita Ωp := {x ∈ X : x = g(p) := θ(g, p) per qualche g ∈ G}, si ottiene uno spazio topologico quoziente i cui elementi sono le singole orbite, il cosiddetto spazio delle orbite di G (in X), usualmente denotato con X/G. Definizione 137 . In presenza di un’azione θ : G × X → X di un gruppo G su uno spazio topologico X, diremo che X è uno G-spazio se per ciascun g ∈ G la funzione θg : p 7→ g(p) è continua 33 . Proposizione 138 . Se lo spazio topologico X è uno G-spazio per un’azione θ : G × X → X di un dato gruppo G, allora la proiezione canonica π : p 7→ Ωp nello spazio delle orbite è una funzione aperta. Dimostrazione. Si deve dimostrare che se A è un aperto di X allora π(A) è aperto in X/G, ovvero che π −1 π(A) è un aperto di X. Si ha π −1 π(A) = {x ∈ X : π(x) ∈ π(A)} = {x ∈ X : π(x) = π(a) per qualche a ∈ A} = {x ∈ X : x = θg (a) per qualche a ∈ A e g ∈ G} = {x ∈ X : x ∈ θg (A) per qualche g ∈ G} S = g∈G θg (A), da cui l’assunto essendo ciascuna funzione θg aperta (cfr. nota 33 a piè di pagina). 2 Definizione 139 . Un’azione θ : G × X → X di un gruppo G su uno spazio topologico X che rende X uno G-spazio viene detta propriamente discontinua se ogni punto p di X ha un intorno Up soddisfacente la condizione g1 (Up ) ∩ g2 (Up ) = ∅ 32 L’argomento ∀g1 , g2 ∈ G, g1 6= g2 34 . di questa sezione può essere tranquillamente riferito anche ad azioni destre. realtà è un omeomorfismo X X poiché si può controllare a vista che θg−1 = θg−1 . 34 Si osservi che un’azione propriamente discontinua è libera (da punti fissi), cioè solo l’elemento neutro di G può lasciare un punto fisso. 33 In 108 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA Un esempio di azione propriamente discontinua è l’azione del gruppo abeliano Z su E1 definita dall’applicazione (z, x) 7→ z + x 35 . (3.19) La coppia formata dallo spazio X e dalla proiezione canonica p 7→ Ωp forniscono un rivestimento per lo spazio delle orbite X/G; più precisamente si ha Proposizione 140 . Se G è un gruppo avente un’azione propriamente discontinua su uno G-spazio X, allora (X, π) è un rivestimento dello spazio delle orbite X/G, dove π : X → X/G denota la proiezione canonica p 7→ Ωp che associa ad ogni punto p ∈ X l’orbita Ωp a cui appartiene. Dimostrazione. L’immagine nella proiezione canonica π dell’intorno Up della Definizione 139 è un intorno ben ricoperto per il punto Ωp = π(p) avendosi (vedi dimostrazione della Proposizione 138 per A = Up ) S π −1 π(Up ) = g∈G θg (Up ). 2 Osservazione 141 . 1. Due numeri reali sono nella stessa orbita rispetto all’azione (3.19) di Z su E1 esattamente quando la loro differenza è un intero cosicché le orbite dell’azione sono le classi laterali di R modulo Z, cioè lo spazio delle orbite di quest’azione è omeomorfo a S1 (cfr Osservazione 97). Poiché E1 è semplicemente connesso, questo rivestimento di S1 è essenzialmente lo stesso di quello ottenuto con la funzione esponenziale (cfr. Esempio 117.1). 2. Il gruppo moltiplicativo con due elementi {±1} ' Z2 ha un’azione propriamente discontinua su Sn definità dall’applicazione (1, p) 7→ p, (−1, p) 7→ −p 36 . Le orbite di quest’azione sono ovviamente le coppie di punti antipodali, cioè lo spazio delle orbite è lo spazio proiettivo RPn e il rivestimento di RPn corrispondente a quest’azione è quello dell’Esempio 117.2. L’esempio dell’Osservazione 141.2 può essere esteso ad un qualunque gruppo finito; più precisamente si ha Proposizione 142 . Sia G un gruppo finito avente un’azione θ : G × X → X libera da punti fissi su uno spazio di Hausdorff X. Se l’azione θ rende X uno G-spazio, allora θ è propriamente discontinua. 35 L’intervallo 36 Quest’azione p 7→ p e p 7→ −p. x − 12 , x + 12 è l’intorno di x che soddisfa la condizione richiesta. n rende S uno Z2 -spazio perché sono palesemente ambedue continue le funzioni 109 Dimostrazione. Si denotino con g1 , g2 , . . . , gn gli elementi di G e sia g1 l’elemento neutro. Visto che θ è un’azione libera da punti fissi, per ciascun p ∈ X i punti p = g1 (p), g2 (p), . . . , gn (p) sono tutti distinti cosicché esistono intorni Ui di gi (p), i = 1, 2, . . . , n, per cui si ha U1 ∩ Uj = ∅ per j = 2, 3, . . . , n perché X è di Hausdorff. Allora l’aperto Tn (3.20) Up := i=1 gi−1 Ui ⊆ U1 è un intorno di p per il quale, per ogni coppia gk , gl di elementi distinti di G, si possono scrivere le identità (3.21) gk (Up ) ∩ gl (Up ) = gl gl−1 gk (Up ) ∩ Up = gl gm (Up ) ∩ Up avendo indicato con gm il prodotto gl−1 gk . Si ha Tn Tn gm (Up ) = gm i=1 gi−1 Ui = i=1 gm gi−1 Ui ⊆ Um (3.22) cosicché l’intersezione gm (Up ) ∩ Up è vuota per la (3.20) e la (3.22) e conseguentemente è vuota l’intersezione gk (Up ) ∩ gl (Up ) per la (3.21). 2 Teorema 143 Siano G un gruppo ed X uno G-spazio. Se l’azione di G su X è propriamente discontinua, allora per ciascun p ∈ X vi è un omomorfismo di gruppi π1 (X/G, Ωp ) → G 37 che è suriettivo se X è connesso per cammini, un isomorfismo se X è semplicemente connesso. Dimostrazione. Per la Proposizione 140, (X, π), dove π(x) dà il punto Ωx di X/G, è un rivestimento dello spazio delle orbite X/G. Si fissi un punto p ∈ X. Per l’azione di monodromia associata a questo rivestimento, ogni cappio α di X/G di punto base Ωp ha un unico sollevamento α ep di punto iniziale p il cui punto finale è un punto dell’orbita Ωp (cfr. nota 37) che non dipende dal particolare cappio che rappresenta la classe d’omotopia [α]: dunque esiste un unico elemento gα ∈ G tale che θgα (p) = α ep (1) 38 . 37 Ω va visto sia come un singolo punto nello spazio delle orbite X/G, sia come la fibra sopra p questo punto in X. 38 g α è unico perché θ è un’azione libera da punti fissi: se ce ne fossero due il primo per l’inverso del secondo fisserebbe p. 110 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA Abbiamo cosı̀ una ben posta applicazione ϕ : [α] 7→ gα che dimostreremo essere un omomorfismo π1 (X/G, Ωp ) → G di gruppi. Per due dati cappi α e β di X/G di punto base Ωp il sollevamento α] ∗ β p di punto iniziale p del prodotto α ∗ β è il prodotto α ep ∗ βeαep (1) = α ep ∗ βegα (p) (cf. nota 16 a piè di pagina). Inoltre il cammino θgα◦ βep solleva β 39 ed ha punto iniziale gα (p), cioè βegα (p) = θgα ◦ βep . Pertanto gα∗β (p) = α] ∗ β p (1) = α ep ∗ βegα (p) (1) = βegα (p) (1) = θgα ◦ βep (1) = θgα (gβ (p)) = gα gβ (p), ovvero gα∗β = gα gβ , visto che l’azione è senza punti fissi, e si può concludere che ϕ : π1 (X/G, Ωp ) → G è un omomorfismo di gruppi: ϕ [α][β] = ϕ([α ∗ β]) = gα∗ β = gα gβ = ϕ [α] ϕ [β] . Sia X connesso per cammini e sia g un arbitrario elemento di G. Allora vi è un cammino αg di punto iniziale p e punto finale g(p) e π◦ αg è un cappio di X/G di punto base Ωp di cui αg è il sollevamento di punto iniziale p. Dunque ϕ[π ◦ αg ] = g avendosi αg (1) = g(p) e si vede che ϕ è omomorfismo suriettivo. L’iniettività nel caso in cui X sia semplicemente connesso segue dalla Proposizione 127. 2 Applicazioni della Topologia algebrica. Vogliamo concludere con delle applicazioni di questo terzo capitolo per ottenere risultati ben noti qual è per esempio il fatto che ogni polinomio f ∈ C[z] di grado positivo ha almeno una radice (Teorema fondamentale dell’Algebra). Ovviamente non è restrittivo assumere che f sia monico, dunque Pn f (z) = z n+1 + k=0 ak z k . 39 Perché π ◦ βep = β. θgα muove ogni punto di X in un punto della sua orbita cosicché π ◦ θgα ◦ βep = 111 Se per assurdo f fosse priva di radici, denotato con X il sottospazio della retta euclidea che ha sostegno nella semiretta [0, ∞), potremmo definire una funzione continua G : I × X → S1 ed un’omotopia, relativa a {0, 1}, F : I × I → S1 ponendo f (x exp(s)) (x) G(s, x) := f (xfexp(s)) f (x) ; ( t G s, 1−t , se t ∈ [0, 1[ ; F (s, t) := exp(s(n + 1)), se t = 1. 40 Risulterebbero pertanto omotopi (relativamente a {0, 1}) in S1 il cammino costante s 7→ F (s, 0) = G(s, 0) = 1C ed il cappio s 7→ F (s, 1) = exp(s(n + 1)), cappi che rappresentano invece elementi distinti del gruppo fondamentale di S1 . 2 Un altro risultato classico che si può ottenere utilizzando la Topologia algebrica è il Teorema del punto fisso di Brouwer (in dimensione 2), che afferma che ogni funzione con dominio e codominio il disco Dn ha almeno un punto fisso. La dimostrazione in dimensione > 2 richiede strumenti superiori a quelli in nostro possesso, ma per n = 2 i risultati di Topologia algebrica ottenuti sono sufficienti. Si assuma per assurdo che esista una funzione f : D2 → D2 tale che f (p) 6= p ∀p ∈ D2 . Allora per ciascun p ∈ D2 è possibile definire l’intersezione tra la semiretta di origine f (p) contenente p e la frontiera di D2 . Ciò darebbe una funzione continua ϕ : D2 → S1 41 la cui composizione con l’inclusione i : S1 ,→ D2 restituisce l’identità di S1 : ϕ ◦ i = idS1 . Avremmo quindi il diagramma commutativo 40 F è continua anche per t = 1 avendosi limt→1 F (s, t) = limt→1 G s, t 1−t = limx→∞ G(s, x) = exp(s)n+1 = exp(s(n + 1)). 41 ϕ(p) è il punto della semiretta tp + (1 − t)f (p), t ∈ [0, +∞) corrispondente al valore del parametro (non negativo) t per cui si ha ||tp + (1 − t)f (p)|| = 1. Tale valore si desume risolvendo un’equazione quadratica, quindi è un’espressione continua delle coordinate di p. Ne consegue che le coordinate di ϕ(p) sono funzioni continue delle coordinate di p. 112 CAPITOLO 3. TOPOLOGIA ALGEBRICA e quindi il corrispondente diagramma per i gruppi fondamentali che palesemente non può sussistere essendo D2 contraibile, mentre π1 (S1 ) è isomorfo a Z. 2