Famiglia e vita sociale IV CDSC 246-253

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II giorno: famiglia, società, politica
Famiglia e vita sociale IV CDSC 246-253
Il discorso sulla famiglia, come abbiamo visto, non può essere tenuto distante dalla
dimensione e dalla vita sociale. È chiaro, evidente che l’uomo è un animale sociale e
la famiglia è la cellula vitale della società.
Il compendio dedica pochi numeri al rapporto tra famiglia e vita sociale, ma ogni
numero ha una densità e importanza capitale. Vi invito a leggerli.
È vero che la famiglia è o dovrebbe essere protagonista della vita sociale? Lo è nella
realtà? Alcuni spunti.
Iniziamo dal legame tra famiglia ed economia. Il magistero affronta spesso il tema
della famiglia a partire dalla base economica della vita della famiglia come comunità
di solidarietà. È attuale e in certi casi drammaticamente attuale: quante famiglie
vanno in crisi perché non riescono ad arrivare alla fine del mese?
Sembra che oggi l’economia domini su tutto e tutti. E un po’ di verità c’è in questa
affermazione. In base a ciò che “dice” il mercato noi agiamo e ci muoviamo. Sembra
che l’economia, o meglio la finanza, continui a dettare l’agenda dei vari paesi,
continui a dire ciò che è il bene comune, continui a dire ciò che deve fare la politica.
Continui a dire cosa deve fare la famiglia; come deve pensare la famiglia. E
certamente tutto questo ha delle conseguenze concrete sulla vita familiare.
La Dottrina Sociale non tende a fare discorsi teorici, ideali, ma cerca di dare dei
principi, dei criteri di giudizi per prendere decisioni.
La famiglia nasce e si sviluppa sull’amore, ma c’è altro: questo amore si trova a
vivere in relazioni sociali, economiche, lavorative e politiche.
La parola economia deriva dall'unione delle parole greche οἴκος (oikos), “casa”
e νόμος (nomos), “norma” o “legge”, letteralmente significa quindi “gestione della
casa”. Il principio base della scienza economica è proprio il soddisfacimento dei
bisogni dei membri della collettività attraverso l'utilizzo di tutti quei beni utili a
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questo scopo, ma non liberamente reperibili, detti appunto “beni economici”. È l’arte
di reggere nel modo migliore i beni della casa e dello Stato.
L’economia nasce quindi dal lavoro domestico. La casa è stata, a volte ancora, il
punto di partenza dell’attività economica. Di produzione. Pensate al passato, alla
società agricola. All’apertura con altre famiglie, secondo i bisogni, allo scambio. E
anche oggi, nella maggiore complessità della nostra società è ancora così: la famiglia
è protagonista della vita economica non orientata alla logica di mercato, ma a quella
della condivisione, della solidarietà.
La famiglia è unità economica, incide sull’economia attraverso la soddisfazione dei
propri bisogni; è banalissimo: attraverso il fare la spesa, l’investire i risparmi.
Giovanni XXIII parla di famiglia come “unità produttiva”, a imprese a conduzione
familiare. Ciò era diffuso nelle società agricole, nella società post-industriale è calato
il fenomeno.
Pensiamo al passato, ma anche ad oggi, alle azienda familiari. Ai valori che, almeno
nel passato, le guidavano.
Giovanni Paolo II dice che “la famiglia si qualifica come comunità di lavoro e di
solidarietà”. È importante a questo proposito la dimensione educativa che fa sì che la
famiglia diventi un “capitale” fondamentale per la società e per i valori morali.
Fukuyama, politologo americano, sottolinea che l’indebolimento della famiglia
tradizionale (famiglia monoparentale, nascite fuori del matrimonio … ) produce
disfunzioni nel capitale sociale: delinquenza, disagio giovanile, rischio di povertà,
deterioramento delle capacità lavorative1.
La famiglia, ci dice il CDSC al n.248:
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Cf F. FUKUYAMA, La grande distruzione. La natura umana e la ricostruzione di un nuovo ordine sociale, Baldini e
Castoldi, Milano 1999, capitolo VI.
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va considerata, a buon diritto, come una protagonista essenziale della vita
economica, orientata non dalla logica del mercato, ma da quella della condivisione
e della solidarietà tra le generazioni.
Siamo un po’ lontani da questo. Va recuperata la dimensione di condivisione, di
solidarietà; il mercato sembra l’unica strada. Ma la Chiesa ci indica la direzione nel
mettere l’uomo al centro.
Il discorso è intrigante e complesso: spesso ci dimentichiamo dell’importanza attiva
della famiglia e la riduciamo alla dimensione domestica, della casa, appunto. Ma ha
un ruolo attivo.
La famiglia ha un suo ruolo anche nella distribuzione equa del reddito; investe nel
“capitale umano”. Questo ci mette in relazione della famiglia con un altro tema caro,
importantissimo per la DSC e la Chiesa, oggi più che mai visto il periodo che
viviamo: il lavoro. Dice GPII nella Laborem exercens al n.10:
“Il lavoro è il fondamento su cui si forma la vita familiare, la quale è un diritto
naturale ed una vocazione dell'uomo. Questi due cerchi di valori - uno congiunto al
lavoro, l'altro conseguente al carattere familiare della vita umana - devono unirsi
tra sé correttamente, e correttamente permearsi. Il lavoro è, in un certo modo, la
condizione per rendere possibile la fondazione di una famiglia, poiché questa esige
i mezzi di sussistenza, che in via normale l'uomo acquista mediante il lavoro.
Lavoro e laboriosità condizionano anche tutto il processo di educazione nella
famiglia, proprio per la ragione che ognuno «diventa uomo», fra l'altro, mediante il
lavoro, e quel diventare uomo esprime appunto lo scopo principale di tutto il
processo educativo. Evidentemente qui entrano in gioco, in un certo senso, due
aspetti del lavoro: quello che consente la vita ed il mantenimento della famiglia, e
quello mediante il quale si realizzano gli scopi della famiglia stessa, soprattutto
l'educazione. Ciononostante, questi due aspetti del lavoro sono uniti tra di loro e si
completano in vari punti”.
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L’apporto della famiglia al lavoro è preziosissimo. È un contributo che si realizza sia
in termini economici che attraverso le risorse di solidarietà che la famiglia possiede e
che sono un appoggio importante per chi, per esempio, all’interno della famiglia si
trova senza lavoro. La relazione tra famiglia, lavoro e riposo è presente in moltissimi
testi del magistero sociale.
Nell'insieme si deve ricordare ed affermare che la famiglia costituisce uno dei più
importanti termini di riferimento, secondo i quali deve essere formato l'ordine socioetico del lavoro umano. La dottrina della Chiesa ha sempre dedicato una speciale
attenzione a questo problema”. La Quadragesimo anno, del 1931 parla di “salario
familiare”, un salario sufficiente a mantenere e far vivere dignitosamente il lavoratore
e la sua famiglia (71-72). Sempre LE n.19:
“ … giusta remunerazione per il lavoro che viene eseguito … Tale remunerazione
può realizzarsi sia per il tramite del cosiddetto salario familiare - cioè un salario
unico dato al capo-famiglia per il suo lavoro, e sufficiente per il bisogno della
famiglia, senza la necessità di far assumere un lavoro retributivo fuori casa alla
coniuge -, sia per il tramite di altri provvedimenti sociali, come assegni familiari o
contributi alla madre che si dedica esclusivamente alla famiglia, contributi che
devono corrispondere alle effettive necessità, cioè al numero delle persone a carico
per tutto il tempo che esse non siano in grado di assumersi degnamente la
responsabilità della propria vita”.
Questo è un argomento realistico, oggi difficile, ma che ci aiuta a capire che la Chiesa
non vive sulle nuvole, ma si è sempre preoccupata dei problemi reali degli uomini e i
testi sociali del Magistero si rendono conto della difficoltà di ottenere ciò che sembra
una esigenza elementare di giustizia sociale. Benedetto XVI svilupperà nella Caritas
in veritate del 2009 il significato del termine “dignitoso” applicato al lavoro:
un lavoro che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli,
senza che questi siano costretti essi stessi a lavorare … un lavoro che lasci uno spazio
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sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale
(CV, n. 63).
Si tratta quindi di un vero e proprio filo rosso che attraversa tutto il magistero sociale
della Chiesa.
CDSC 250-251:
“Per tutelare questo rapporto tra famiglia e lavoro, un elemento da apprezzare e
salvaguardare è il salario familiare, ossia un salario sufficiente a mantenere e a far
vivere dignitosamente la famiglia … che favorisca l'acquisizione di qualche forma
di proprietà, come garanzia di libertà ... Vari possono essere i modi per dare
concretezza al salario familiare. Concorrono a determinarlo alcuni importanti
provvedimenti sociali, quali gli assegni familiari e altri contributi per le persone a
carico, nonché la remunerazione del lavoro casalingo di uno dei due genitori.
251. Nel rapporto tra famiglia e lavoro, una speciale attenzione va riservata al
lavoro della donna in famiglia, il cosiddetto lavoro di cura, che chiama in causa
anche le responsabilità dell'uomo come marito e come padre. Il lavoro di cura, a
cominciare da quello della madre, proprio perché finalizzato e dedicato al servizio
della qualità della vita, costituisce un tipo di attività lavorativa eminentemente
personale e personalizzante, che deve essere socialmente riconosciuta e
valorizzata, anche mediante un corrispettivo economico almeno pari a quello di
altri lavori. Nello stesso tempo, occorre eliminare tutti gli ostacoli che impediscono
agli sposi di esercitare liberamente la loro responsabilità procreativa e, in
particolare, quelli che costringono la donna a non svolgere pienamente le sue
funzioni materne”.
Interessante il riferimento alla donna, al suo lavoro e, senza voler sminuire, anche
all’occupazione di casalinga con tutto quello che comporta. Si sottolinea anche
l’aspetto procreativo della famiglia. Spesso non si fanno figli perché la donna ha
paura di perdere il lavoro.
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La DSC insiste che il lavoro si svolga a condizioni tali da salvaguardare la vita di
famiglia. Da sempre la Chiesa ha rivendicato anche un tempo di riposo, del tempo
libero.
Che ne pensate?
Da tutto questo deriva la dimensione e rilevanza politica della famiglia. La Chiesa ha
sempre insistito e insiste anche oggi sulla necessità di una vera politica familiare; lo
Stato non può pensare di risolvere molti problemi, non può rispondere alle esigenze
delle persone senza avvalersi dell’aiuto e della mediazione della famiglia. La famiglia
è soggetto politico; le varie famiglie devono adoperarsi per prime perché le leggi e le
istituzioni dello stato sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della
famiglia. Devono essere promotrici. Capite l’importanza anche da questo della
riflessione antropologica sulla famiglia. E la Chiesa è attenta a certi aspetti. Sentite
cosa diceva l’INSTRUMENTUM LABORIS per il Sinodo al n. 70-71:
“ Nelle risposte è unanime il riferimento all’impatto dell’attività lavorativa
sugli equilibri familiari. In primo luogo, si registra la difficoltà di
organizzare la vita familiare comune nel contesto di una incidenza dominante
del lavoro, che esige dalla famiglia sempre più flessibilità. I ritmi di lavoro
sono intensi e in certi casi estenuanti; gli orari spesso troppo lunghi, talvolta
si estendono anche alla domenica: tutto questo ostacola la possibilità di stare
insieme. A causa di una vita sempre più convulsa, i momenti di pace ed
intimità familiare diventano rari. (In alcune aree geografiche, viene
evidenziato il prezzo pagato dalla famiglia alla crescita e allo sviluppo
economico, cui si aggiunge la ripercussione ben più vasta degli effetti
prodotti dalla crisi economica e dall’instabilità del mercato del lavoro). La
crescente precarietà lavorativa, unitamente alla crescita della disoccupazione
e alla conseguente necessità di spostamenti sempre più lunghi per lavorare,
hanno ricadute pesanti sulla vita familiare, producendo tra l’altro un
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allentamento delle relazioni, un progressivo isolamento delle persone con
conseguente crescita di ansia.
71. In dialogo con lo Stato e gli enti pubblici preposti, ci si aspetta da parte
della Chiesa un’azione di concreto sostegno per un dignitoso impiego, per
giusti salari, per una politica fiscale a favore della famiglia, così come
l’attivazione di un aiuto per le famiglie e per i figli. Si segnala, in proposito,
la frequente mancanza di leggi che tutelino la famiglia nell’ambito del lavoro
e, in particolare, la donna-madre lavoratrice. Si constata inoltre che l’area
del sostegno e dell’impegno civile a favore delle famiglie è un ambito in cui
l’azione comune, così come la creazione di reti con organizzazioni che
perseguono simili obiettivi, è consigliabile e fruttuosa”.
Abbiamo detto il rapporto stretto tra famiglia e politica, l’impegno delle famiglie per
una politica familiare, oggi, forse, un po’ assente. Per molti motivi.
Le famiglie non devono essere viste solo come oggetto di tali politiche familiari, ma
devono essere soggetto!
Ma soprattutto ora entriamo nel secondo aspetto portante della nostra riflessione: la
politica.
Oggi non c’è un’opinione molto positiva. Si tende a sottolineare le incapacità, le liti, i
privilegi della politica. Ma questa non è la politica. Potrà sembrare lieve la differenza,
ma queste sono le azioni dei politici! La Politica in sé non è buona né cattiva: è
l’uomo con il suo operato che la rende o buona o cattiva. Questo vale per molte realtà
della vita.
Iniziamo chiedendoci due cose: che cosa è la politica? E perché la politica?
Don Milani diceva: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio.
Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.
Forse, già solo questa frase sarebbe materiale di riflessione importante.
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Politica deriva da πόλις, polis, città.
In senso lato rappresenta ciò che riguarda la città nel suo insieme, in particolare la
vita pubblica della città, la vita associata, organizzata, affidata alla responsabilità di
un governo in grado di accogliere e indirizzare le decisioni comuni, che vengono dai
cittadini, al bene della città stessa. Già da questo si arriva a sottolineare due
importanti significati di politica:
- in generale, l’attività di tutti i cittadini in quanto membri di una medesima realtà
sociale organizzata (la polis);
- nello specifico, l’esercizio del potere che coordina gli sforzi e le energie, ne orienta
gli sviluppi verso il bene della città intera e n struttura la vita comune.
Questo aspetto che ci parla del POTERE, della politica come potere di influsso e di
orientamento sulla vita e le scelte dei cittadini ci deve fare un po’ riflettere: che
significa potere? Potere deriva dal verbo latino posse e significa essere possibile,
indica in senso vasto una possibilità. Quali sono i due aspetti che derivano da una
riflessione del genere? Effettivamente c’è un’ambivalenza.
- Da un lato la politica è potenzialità forte che ha come significato quello di essere
posta al servizio del progresso della civiltà. Pensiamo ai progressi e finalità sociali
raggiunti, ha saputo diffondere molti beni e servizi a molte persone, mentre un tempo
disponibili a pochi; ha fatto crescere la partecipazione, la dignità, i diritti di cittadini
di molte popolazioni, favorito la cultura.
- D’altro lato, dalla politica sono derivati, e purtroppo ancora accade, guerre,
distruzioni, genocidi, regimi oppressivi e totalitari.
La forza della politica risiede nel fatto che deriva e attinge ad un potere che proviene
da molti e interagisce con moltissime altre persone. Le scelte politiche riguardano
sempre la totalità di una società. Già questo ci dice che la politica mi riguarda! Sono
scelte che hanno un influsso notevole e una durata molto superiore al momento in cui
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sono prese. Esempio: un regime ingiusto o dittatoriale farà sentire i suoi effetti
negativi sulla società, sulla politica internazionale e estera.
Allora ecco un’altra definizione di politica: la politica rappresenta il potere sociale
(nel senso che concerne e riguarda molti, in quanto proviene da molti ed è esercitato
su molti) nella sua massima espressione. Allora è vero quello che si dice: la prima
forma di attività politica è il voto. La domanda che vi faccio e mi faccio è: pensando
all’Italia, dove sempre più è l’astensionismo, come fare per esercitare i diritti politici,
e soprattutto vi sentite rappresentati dai nostri politici? Ricordiamo sempre che siamo
noi a metterli lì. Ricordiamo che il voto è lo strumento più grande, più immediato che
ciascuno di noi ha per esprimere il proprio parere. Se non lo usiamo come possiamo
lamentarci? E, guardando da un’altra prospettiva, perché non lo usiamo? C’è un
malessere, un sentirci non rappresentati, quasi impotenti.
Anche oggi il nostro intendere la politica è caratterizzato fondamentalmente da due
atteggiamenti:
- massimalista. È il tutto della vita di una società. Dovrebbe dare risposta a tutte le
domande che vengono dal vivere civile, escluse solo quelle riservate alla sfera delle
decisioni del singolo soggetto. Da questa visione sono derivati, soprattutto nel XX
secolo, i regimi totalitari. Più volte la DSC si è espressa contro tali regimi. Pensiamo
a Pio XI e tutta una serie di encicliche. Non abbiamo bisogno, Mit Brennender
Sorge, Divini Redemptoris, Firmissimam Constantiam.
In questa visione la politica decideva i più grandi significati del vivere e diceva come
vivere (pensiamo ai regimi che impedivano la vita religiosa, orientavano le scelte
riguardanti la famiglia … ).
La politica non può decidere tutto: certo, ha grandi finalità (favorire il bene, lo
sviluppo), ma l’assolutezza compete solo ai valori morali, ai valori veri dell’uomo. È
l’uomo, sulla base di questi valori, che indirizza la politica e non viceversa.
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- l’altro atteggiamento è vedere la politica come meramente strumentale, rivolta a
fornire alcuni beni e servizi, soprattutto quelli che il singolo da sé non potrebbe
procurarsi. Politica quindi caratterizzata da una logica commerciale: il cittadino è una
specie di cliente, disposto ad acquisire quei beni che l’attività pubblica decide di
fornirgli. In questa ottica la politica non è vista, da chi detiene la responsabilità di
governo, non come una modalità per raggiungere insieme a molti, soprattutto i più
deboli, determinate finalità, ma è vista come un’organizzazione produttiva a cui è
richiesta l’efficienza più della solidarietà. Il problema è che oggi mancano entrambe.
Ripeto: certo per colpa dei politica, ma anche di chi, e ci siamo anche noi?, vede la
politica come qualcosa di strumentale.
Questa seconda visione fa sì che si arrivi a vedere la politica come attività solamente
inerente al “palazzo”. E il problema è che diverrebbe estranea a preoccupazioni o
valutazioni di carattere etico.
Le decisioni della politica riguardano non solo beni e servizi da destinare, ma la
politica deve fare scelte che riguardano la promozione delle persone e della famiglia,
la giustizia, l’equità, la redistribuzione delle risorse, la sicurezza sociale.
La politica non può tutto, ma non è sbagliato affermare che quanto le è affidato è in
grado di far sì che un’intera società possa ottenere una obiettiva crescita. O in caso di
eccessi, come abbiamo sottolineato, di ostacolare lo sviluppo. La politica ci riguarda.
Ma spesso, oggi in modo forte, non ci vogliamo avere a che fare.
Da un lato perché sembra impossibile entrare in questo “mondo” e i giovani che ci
entrano non ci piacciono, non ci troviamo d’accordo. Dall’altro lato per una delusione
di fondo che rischia di farci vedere tutto ciò che riguarda la politica come negativo,
corrotto, insano. Pensate con la vostra testa, ragazzi. La DSC vuole dare delle
indicazioni su come dovrebbe essere la politica e su come ciascuno dovrebbe viverla.
Non ci dice per chi votare.
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La DSC ci parla del sociale alla luce del Vangelo! Gesù si è confrontato e scontrato
con la politica.
Sottolineiamo ora brevemente i livelli dell’impegno politico. Sono 3:
1. Un livello personale che corrisponde all’essere cittadini, membri della
comunità civile. Il contributo consiste nello svolgere correttamente il proprio
ruolo professionale, la ricerca del bene e della giustizia nelle relazioni sociali,
l’osservanza delle leggi. A questo livello vi è la partecipazione (CDSC 191 e
seguenti) alla vita sociale e politica. A questo corrisponde un dovere
dell’istituzione pubblica di tutelare il primato assoluto della persona e i diritti
umani come inviolabili e imprescrittibili;
2. Un livello associato che riguarda le varie forme di partecipazione associata alla
vita sociale: forme di volontariato, di carità, a scopo culturale. A questo livello
rientrano i partiti politici (associazioni di cittadini che riflettano una visione di
uomo, società, economia);
3. Livello istituzionale. Riguarda i rapporti mediati dalle istituzioni sociopolitiche. Amministrazioni locali, statali, internazionali.
Sono tre livelli che devono andare insieme senza mai dimenticare che la vita politica
scaturisce sempre dalla comunità costituita dai cittadini. E che la politica, come la
intendiamo come istituzioni pubbliche, riceve dal basso la sua autorizzazione.
Abbiamo provato a rispondere alla domanda che cos’è la politica.
Ecco ora il secondo aspetto: perché la politica?
Il suo ruolo è quello di essere di servizio alla crescita della società, all’edificarsi
corretto delle istituzioni in vista delle loro finalità (la prima e più importante è il bene
comune).
Domani ci concentreremo sulla comunità politica, sottolineando ciò che dice la DSC
e il compendio.
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La cosa importante è che tutte queste “informazioni”, i commenti e le letture dei
documenti e della DSC provochino una riflessione critica alla luce di quella che è la
società di oggi. Senza avere paura di andare controcorrente. Siete giovani e come dice
Papa Francesco ci vuole coraggio.
Paradossalmente oggi andare controcorrente significa recuperare certi valori, certe
riflessioni. Andare controcorrente è tornare al Vangelo! E non aver paura delle
proprie opinioni. Andare controcorrente è credere nella famiglia fondata sul
matrimonio di un uomo e una donna aperta alla generazione della vita. Andare
controcorrente è credere e impegnarsi nella politica come servizio, come carità.
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