Lezioni della settimane 9-10 dicembre e 15-17 dicembre ’08
(sostituiscono e integrano le ultime dispense datate “9-10 dicembre”)
1. Parsons e il sistema sociale
Secondo Parsons è possibile individuare e classificare a-priori i
prerequisiti funzionali, cioè i bisogni generali che devono essere soddisfatti perché un qualsiasi
sistema e quindi anche la società, sopravviva.
Questa capacità della scienza sociale di parlare della società muovendosi ad un alto grado di
astrazione è riconosciuta da tutti gli studiosi.
àPiuttosto, come si vedrà, molte critiche a Parsons si appunteranno sull’assunto parsonsiano per
cui è possibile individuare a priori non solo i prerequisiti funzionali, ma anche le istituzioni
specializzate e programmate per soddisfare tali prerequisiti ( vedi la critica di Merton al postulato
dell’indispensabilità funzionale).
1.1. Il concetto di sistema secondo Parsons , si può applicare non solo a livello di società nel suo
insieme ma a qualsiasi sistema di azione laddove siano ravvisabili i concetti di interdipendenza
e interrelazione delle parti,.di confini con l’ambiente, di equilibrio (come stato normale di
funzionamento del sistema. (Dunque un gruppo di lavoro, una famiglia, una squadra, un aereoporto,
un ospedale, possono essere analizzati come sistemi).
Il problema di Parsons è a questo punto quello di identificare a livello molto generale i fini o i
prerequisiti funzionali di qualsiasi sistema di azione (ivi compreso il sistema sociale)
Dall’osservazione sperimentale sulla leadership nei piccoli gruppi (l’esperimento era condotto
dall’amico e collega Bales) Parsons aveva derivato l’idea che l’azione di tali gruppi tipicamente si
organizzava cercando di risolvere una serie di fini o obiettivi generali (dunque requisiti funzionali)
che si potevano ridurre a quattro: l’acquisizione di risorse, la presa di decisioni, il coordinamento
degli sforzi e il controllo sulla conformità alle aspettative, il mantenimento della coesione del
gruppo.
I primi due obiettivi riguardano il rapporto o scambio con l’ambiente esterno, i secondi due i
rapporti interni.Di qui l’idea generale che il funzionamento di qualsiasi sistema richieda
investimenti sia sul fronte dello scambio con l’esterno sia sul fronte della gestione e del controllo
interno ( idea fatta propria da molti studi sulle organizzazioni che seguono la teoria sistemica).
I quattro obiettivi / requisiti entrano dunque nello schema parsonsiano in cui codifica il ruolo
essenziale ed esclusivo di ciascun requisito per IL FUNZIONAMENTO DI QUALSIASI SIsTEMA
DI AZIONE (A.G.I.L)
Secondo Parsons qualsiasi sistema di azione esiste se sono
soddisfatti quattro generali bisogni o requisiti funzionali:quello dell’adattamento A (acquisizione di
risorse,) del raggiungimento dei fini, G; dell’integrazione I, del mantenimento del modello latente
(o mantenimento del modello culturale) L.
Sull’argomento si veda lo schema e il commento sul testo di
Bagnasco (parte III: Valori, norme e istituzioni, paragrafo su Tipi di istituzioni).
1.2.Critiche e considerazioni dell’attualità del modello
àNon sempre l’agire delle istituzioni può rigidamente inquadrarsi in una e una sola casella (un
regime come quello cambogiano ai tempi della dittatura e molti altri simili a quello, non
distingue(va) tra istituzioni deputate alla gestione economica e quelle deputate alla gestione degli
affari politici. E possibile dunque che una istituzione eserciti di fatto più di una funzione
(multifunzionalità).
Il problema di un’eccessiva generalità e rigidità dello schema AGIL e più in generale del
funzionalismo parsonsiano, è trattato in maniera sistematica dall’allievo e collega di Parsons,
Robert Merton.
2. Le critiche di Merton al funzionalismo assoluto di Parsons
Merton, allievo e critico di Parsons, teorico del funzionalismo relativo, forte assertore di un
paradigma funzionalista che consenta di tabulare non solo concetti e teorie, ma anche risultati
di ricerca, teorico delle teorie di medio raggio ( vedi più sotto).
2.1. Nella sua opera più nota, Teoria e struttura sociale (1949), Merton sistematizza e codifica il suo
pensiero come paradigma del Funzionalismo relativo.
Secondo Merton il lavoro del sociologo è prima di tutto quello di descrivere con grande accuratezza
e dettaglio i vari contesti sociali che osserva, le componenti che lo costituiscono, le collocazioni
reciproche, le alternative presenti alla loro azione, e anche i significati che un elemento ha per i
membri di un gruppo o i partecipanti a una pratica sociale.
La analisi funzionale che deve dunque basarsi su attente descrizioni dei contesti analizzati, può
essere in generale codificata secondo alcuni principi:
-gli elementi cui le funzioni vengono imputate: tutti i dati sociologici possono essere soggetti
all’analisi funzionale. Perché ciò avvenga bisogna che l’elemento osservato sia standardizzato, cioè
tipico e ricorrente
-motivazioni o scopi. Occorre distinguere tra motivazioni date per
certe e motivazioni non scontate o problematiche, che quindi vanno attentamente studiate.
2.2. Un attento studio dei significati che le persone coinvolte in una pratica sociale attribuiscono a
tale pratica vi fa avanzare molto verso un’appropriata impostazione dell’analisi funzionale (
esempio del modello di consumo vistoso di Thorstein . Veblen (1928).
Secondo Veblen il consumo vistoso è quel consumo guidato non già dall’ intenzione di usare la più
elevata qualità del bene di lusso acquistato, ma dal fatto di segnalare attraverso il suo alto costo, la
collocazione sociale elevata di chi lo acquista.
-conseguenza oggettive. In taluni casi le conseguenze oggettive
convergono, in altri casi divergono rispetto alle motivazioni all’agire : nella realizzazione di
funzioni manifeste le conseguenze oggettive convergono con le motivazioni all’agire, nelle funzioni
latenti ( vedi più oltre il concetto di funzione latente)..
Altri termini chiave del modello di Merton, alcuni dei quali
spiegati più avanti in questo testo, sono costituiti dal concetto di
alternative funzionali, di disfunzione, di funzione latente di
meccanismi, di tensione strutturale
2.3 Critica ai postulati del funzionalismo assoluto
Base di partenza della teoria del funzionalismo relativo di Merton
è la critica ai postulati del funzionalismo (che definisce funzionalismo assoluto) di Parsons.
(in giallo, non detto a lezione ) àa- critica al postulato dell’unità funzionale (tutte le parti- ovvero
ogni forma sociale standardizzata- cooperano alla sopravvivenza del tutto)
Dice Mertonà Il presupposto dell’unità funzionale è pienamente ragionevole applicato a società
semplici come le società non letterate studiate dagli antropologi funzionalisti. Applicato a società
complesse, l’unità funzionale non può essere data per scontata. L’unità funzionale di una società è
una variabile empirica che cambia da periodo a periodo nella stessa società ed è diversa da una
società all’altra. Non tutte le società hanno quel grado di integrazione nel quale ogni pratica è
funzionale per la società stessa. Ad esempio la religione non è di per sé fattore di integrazione. Anzi
può diventare fattore di conflitto. Un elemento funzionale per una “zona del sistema sociale può non
esserlo per un’altra ( esempio della guerra). La conformità alle procedure burocratiche è funzionale
per certi aspetti,ma può diventare disfunzionale per altri ad esempio quando essa faccia perdere di
vista i fini dell’azione (Merton ne parlerà come una forma di devianza: vedi il ritualismo
burocratico di cui parla il manuale nel paragrafo perchè la burocrazia è inefficiente? ( capitolo sui
gruppi)
b-critica al postulato del funziona lismo universale ( tutte le parti ovvero ogni forma sociale
standardizzata ha una funzione positiva per l’adattamento del sistema).
Un sistema sociale sociale racchiude in sé forzature rappresentate dal mancato o cessato
adempimento da parte di certe strut ture, degli scopi o fini cui erano preposte.
Nella società esistono dunque forme sociali standardizzate che non hanno più alcuna funzione o
che addirittura sono disfunzionali.
Disfunzione. à*Un fatto, una pratica, una forma sociale standardizzata sono disfunzionali quando
producono conseguenze che riducono il grado di adattamento del sistema).
Non riconoscere, ad esempio, che molte forme sociali sono semplici sopravvivenze rispetto al
passato è, secondo Merton un errore che Parsons commette seguendo gli antropologi
funzionalisti. Per costoro la lotta all’idea evoluzionista passava appunto dal negare valore all’idea di
sopravvivenza per basarsi esclusivamente sull’idea che ciò che c’è esiste non già perché “proviene
dal passato” ma è richiesto dal contesto presente.
Merton propone il concetto di Equivalenti (o sostituti) funzionali:
con questo concetto si concentra a l’attenzione sulla gamma di variazioni possibili attraverso cui si
può soddisfare una certa funzione (il volontariato è un sostituto funzionale del welfare assistenziale
nelle attività di assistenza e cura di persone bisognose, ecc.).
Quindi, dato un certo bisogno o requisito da soddisfare è possibile individuare più di un elemento
che nel sistema è di fatto in grado di esercitare una data funzione anche se questa non è prevista o
programmata dal sistema.
c- critica al postulato dell’indispensabilità funzionale (per cui alcune istituzioni specializzate, quelle
e non altre, sono indispensabili a soddisfare certi requisiti di funzionamento del sistema).
Dice Merton àsi può dire che è indispensabile quella certa funzione, non si può dire a priori che
quella funzione sia svolta da quella sola indispensabile istituzione (vedi anche prossimamente: il
concetto di alternative funzionali e disfunzioni).
Indispensabilità della funzione e indispensabilità di una certa istituzione o struttura o pratica sociale
vanno quindi tenute analiticamente distinte
à Merton propone il concetto di Funzione latente come
contrapposto a quello di funzione manifesta. Le funzioni manifeste sono le funzioni intese e
riconosciute dal sistema in riferimento al soddisfacimento di un certo bisogno. Le funzioni latenti
sono quelle né intese né riconosciute dal sistema.
La distinzione tra manifesto e latente ha diverse funzioni; la più importante è quella di consentire al
sociologo di smarcarsi da giudizi meramente tecnici, politici o moralisti cerca la valutazione della
funzione di una data istituzione in quella società:
Le istituzioni preposte a far rispettare la legge devono ovviamente condannare e sanzionare tutta
una serie di comportamenti illegali. Il sociologo ha il compito di capire come questi
comportamenti si inseriscano nel tessuto della società.
Quando si valutano, ad esempio, le caratteristiche di illegalità di un’istituzione presente in un
sistema ( dal clientelismo politico al contrabbando, ad altre ancora) il sociologo deve interrogarsi, in
maniera differente dal politico o dal giudice, quali funzioni, diverse da quelle manifeste, esse di
fatto esercitano, dunque che cosa le possa tenere in piedi, in quel dato contesto sociale, al di là del
fatto la di infrangere la legge per scopi di appropriazione, di
potere, ecc.
Spesso si può scoprire che un’istituzione illegale è per certi versi necessaria a compensare deficit di
funzionamento della amministrazione pubblica o deficit di distribuzione delle risorse provenienti
dall’economia formale, o, ancora, a ridurre il grado di marginalità di una parte della popolazione,
ecc
Per capire a fondo il concetto di funzione latente bisogna tenere ben distinto il livello delle
motivazioni da quelle delle conseguenze oggettive.
La funzione latente si esercita in termini di conseguenze osservabili e prescinde dalle motivazioni
dei soggetti. Secondo Veblen (1928) il consumo vistoso è quel consumo guidato non già dall’
intenzione di usare la più elevata qualità del bene di lusso acquistato, ma dal fatto di segnalare
attraverso il suo alto costo, la
collocazione sociale elevata di chi lo acquista.
2.4.Altri concetti guida: tensione strutturale e meccanismi.
àil concetto di tensione strutturale: discontinuità o incoerenza tra opportunità fornite dalla
struttura sociale e fini o valori o mete indicati come e preferibili e desiderabili dal modello culturale
di questa società.
L’interdipendenza tra i vari elementi di un sistema sociale limita le effettive possibilità di
funzionamento oppure di cambiamento (cfr. la teoria della devianza secondo Merton, altrimenti
indicata come teoria della tensione strutturale -tra mete culturali indicate dal sistema e mezzi leciti
messi a disposizione dalla struttura-).
àIl concetto di meccanismi:
dispositivi, ricostruibili attraverso ipotesi sul concreto funzionamento di una determinata struttura
e accurate descrizioni empiriche . I meccanismi possono essere sociologici o anche psicologici (ad
esempio il meccanismo dell’attaccamento di cui parla la teoria del controllo sociale a proposito di
devianza: cfr. Bagnasco, Le teorie della criminalità )
3.La teoria di medio raggio di Merton.
È quella teoria che si situa tra le ipotesi che si formulano abbondantemente durante la routine
quotidiana della ricerca e le speculazioni onnicomprensive basate su uno schema concettuale
unificato e che mirano a spiegare tutte le uniformità empiricamente osservabili (la teoria di
Parsons).
Le teorie onnicomprensive o generali sono troppo remote da particolari categorie di comportamento
per poter fornire una adeguata descrizione e spiegazione a quanto viene osservato:
d’altro canto, dice Merton, l’alternativa non può consistere in una semplice descrizione di
particolari strutture e funzioni, se i risultati di questa descrizione -non possono essere generalizzati
ad altre strutture- funzioni simili.
-non producono concetti e relazioni tra concetti su una scala più generale e astratta del semplice
particolare empirico, cioè tale da consentire di accrescere la conoscenza “concettuale e teorica” che
si ha di un certo problema.
Dunque le teorie di medio raggio dovrebbero rappresentare la soluzione a questo dilemma in
quanto:
-utilizzano astrazioni abbastanza vicine ai dati da permetterne l’inclusione in proposizioni
empiricamente verificabili;
-parlano di aspetti circoscritti de i fenomeni sociali. Si parla di una teoria dei gruppi di riferimento
e della privazione relativa, o di una teoria della devianza, così come si parla in altre discipline di
una teoria dei prezzi , di una teoria della malattia infettiva, o di una teoria cinetica dei gas.
3.1.Applicazioni del medio raggio
La Teoria della privazione relativa e dei gruppi di riferimento ha inizio dalla semplice idea che gli
individui possano prendere come base di valutazione e giudizio di se stessi non già la loro propria
situazione, ma gli standard adottati dagli altri, secondo il loro significato.
Questa idea sembra palesemente in contrasto con il buon senso: il buon senso suggerirebbe ad
esempio che maggiori sono le perdite subite in un disastro generale da una famiglia, più acuto sarà
il senso di privazione. Questa opinione si basa sull’assunto non verificato che l’ampiezza della
perdita effettiva sia correlata in modo lineare con la valutazione soggettiva della perdita stessa e
che questa valutazione derivi direttamente dalla immediata esperienza individuale. Ma la teoria
della privazione relativa conduce a un’ipotesi diversa: l’autovalutazione dipende dal confronto che
gli individui fanno tra la propria situazione e quella di altre persone che si giudica siano
confrontabili con se stessi . Questa teoria può dunque ipotizzare che e famiglie che hanno accusato
gravi perdite sperimenteranno un senso di privazione minore di quelle che hanno avuto perdite
meno gravi, se si trovano in una situazione che le porta a confrontarsi con persone che hanno
sofferto perdite anche maggiori. Le ricerche empiriche hanno dimostrato la validità della teoria
della privazione relativa piuttosto che le supposizioni di buon senso.
Questo modello è rinforzato dalla tendenza irrinunciabile nelle comunicazioni pubbliche, di
concentrarsi su le vittime più colpite dal disastro, che tendono a diventare gruppi di riferimento con
cui possono favorevolmente confrontarsi anche altre vittime…” (da R. K. Merton, Teoria e struttura
sociale , 1° ed. 1949).
La teoria della devianza o teoria della tensione strutturale è un altro esempio di teoria di medio
raggio.
Per l’illustrazione della teoria si rimanda a Bagnasco ( teorie della criminalità).
Da ricordare comunque:
-il fatto che la teoria mertoniana della devianza suona come una critica della società che in
qualche modo “alleva” al suo interno i germi del comportamento deviante ( si veda soprattutto il
caso del comportamento cosiddetto innovatore
à il riferimento alla crisi dei valori o delle mete culturali come cause dell’anomia della società
moderna industriale ( Durkheim) deve essere integrato con il riferimento alla tensione strutturale e
dunque allo scompenso (o discontinuità) che esiste tra fini e mezzi che la società mette a
disposizione per conformarsi a quei determinati fini
“ se una società considera molto importante un alto tenore di vita generalizzato, ma nega a una parte
dei suoi componenti un uguale accesso ai mezzi socialmente approvati per diventare ricchi, stimola
il furto e altri reati di questo genere…”
La teoria della devianza di Merton, in quanto essa rimane pur sempre all’interno di un’ipotesi
per cui la produzione dei valori e delle norme è sempre di competenza della società nel suo
insieme, è stata a sua volta superata da altre teorie che hanno messo a fuoco altri aspetti importanti
dei meccanismi che producono obbligazione a seguire le norme, delle cause (non solo per via della
socializzazione, ma per contatto e frequentazione) di ciò che argina il comportamento deviante (il
controllo sociale esercitato da appartenenze e ruoli stabili) delle circostanze in cui il deviante è
localmente uno che rispetta le regole (ad esempio l’appartenente a una banda delinquente dotata di
propri ferrei codici di accesso e comportamento) dei luoghi sociali in cui può essere meglio
osservato, dei modi in cui nel tempo si costruisce e si etichetta socialmente un colpevole.
In proposito, la teoria dell’etichettamento è quella che più radicalmente sposta la prospettiva di
analisi, mettendo a fuoco non già il problema dell’infrazione delle norme, ma il problema della loro
produzione. ( Cfr. Bagnasco. Le teorie della criminalità)