Partendo dalla definizione di competitività, illustrare le varie etimologie del termine, e individuare come la competitività si colloca nell'ambito delle finalità imprenditoriali. Successivamente attraverso il modello dei sette drivers della competitività descrivere brevemente tutti gli elementi che a vario titolo interferiscono con gli obiettivi di competitività che un’impresa si pone nei mercati in cui opera. Il tema della competitività, per quanto assai suggestivo, rappresenta un costrutto concettuale multidimensionale e dunque un concetto che si basa su più dimensioni, per ciascuna dimensione può anche accadere che i parametri definitori risultino diversi e pertanto la valutazione si rende più complicata. Una vera e propria definizione di competitività sembra difficile trovarla, a causa del carattere etimologico del termine, infatti partendo da una breve ricerca su internet ne viene fuori una vasta gamma di significati, per esempio per il dizionario Garzanti la competitività è la capacita di competere con la concorrenza, per il Treccani rappresenta l'essere in grado di competere, affrontare la concorrenza, per Wikipedia la competitività è la base delle performance superiori registrate dall'impresa, solitamente in termini di profittabilità, rispetto alla media dei suoi concorrenti diretti nel settore di riferimento, in un arco temporale di medio-lungo termine. Da questo primo lavoro di ricerca sul significato etimologico del termine, si comprende che competitività ha prevalentemente, ma non esclusivamente, un significato economico. Il suo confine semantico, pertanto, rimane di natura economica, anche se di competitività si parla pure in senso sociale, ambientale e persino sportivo, infatti riguarda entità economiche ben definite, siano esse un Paese, un settore, un’impresa. Inoltre, è associata all’idea di competere, un verbo che, dal punto di vista etimologico, ha un significato leggermente diverso da quello comunemente attribuitogli di gareggiare, disputare, concorrere, “competere” significa “andare insieme e convergere ad un medesimo punto. Al concetto di competitività vengono associati vari termini, ad esempio: evocano un’idea o un’aspirazione di superiorità, di un risultato comunque migliore dei concorrenti e, dunque, di un vantaggio competitivo. Richiamano il termine competizione che, oltre a rappresentare il naturale contesto di applicazione, è la categoria concettuale da cui trae significato la competitività. Riguardano livelli di analisi differenti, a seconda delle entità economiche osservate: il sistemaPaese, un ambito territoriale più ristretto (ad esempio, distretti e cluster) un comparto, un settore, un gruppo di imprese, un’impresa, o addirittura ambiti interni all’impresa (divisioni, funzioni, reparti..) un prodotto o una famiglia di prodotti. Si riferiscono a capacità ed abilità, a processi, nonché a risultati delle attività di individui, gruppi ed imprese. Non sono avulsi dalle due dimensioni dello spazio e del tempo, nel senso che un’entità economica, di cui si voglia valutare il livello di competitività, va considerata sempre in relazione allo spazio (ad esempio, un settore o un mercato) e al tempo (orizzonte temporale di breve o di medio-lungo termine). A questo punto dopo aver illustrato le varie etimologie del termine competitività, si sposta l'analisi su come s'interseca la competitività nell'ambito delle finalità imprenditoriali, e soprattutto con gli obiettivi del massimo profitto e della creazione del valore. Partendo dal presupposto che il fine dell'impresa sarebbe non tanto il massimo profitto, quanto la creazione di valore per uno spettro molto ampio di stakeholders, cioè di portatori di interesse, gli azionisti, i finanziatori, i fornitori e i clienti, con riferimento a questi ultimi, gli studi di marketing tendono ad associare la creazione di valore ai contenuti della cosiddetta value proposition, cioè la proposizione di valore che caratterizza l’offerta di prodotti e servizi che un’impresa rivolge al mercato. Quindi per vedere come si colloca la competitività nell'ambito delle finalità imprenditoriali bisogna ritornare al significato che si vuole attribuire al termine competitività, competitività di risultato, potenziale e di processo. Se la competitività è interpretata quale risultato, non v’è dubbio che essa appare un obiettivo economico dalla portata più ampia di quelli precedentemente menzionati, trattandosi poi di un obiettivo continuo nel tempo, e diversamente graduato in un intervallo di valore. Profitto e creazione di valore, in tal senso, diventano due fra i tanti indicatori delle performance aziendali raggiunte o raggiungibili. Se la competitività è potenziale, trattandosi di capacità ed abilità dell’impresa nell’affrontare la competizione, essa costituisce una condizione e un pre-requisito necessario, anche se spesso non sufficienti, per conseguire obiettivi di profittabilità e di creazione del valore. In base ad un ragionamento logico-deduttivo, se un’impresa non sviluppa al suo interno le capacità ed abilità imprenditoriali e manageriali fondamentali per sostenere la concorrenza nei mercati, è molto difficile che sarà profittevole e riuscirà a creare valore per una ampia pluralità di se, invece, è intesa quale competitività di processo, osservando l’insieme di politiche attraverso cui l’impresa, in un dato orizzonte temporale, si sforza di affrontare i mercati e la competizione, essa diventa lo strumento con cui le aziende riescono ad essere profittevoli e capaci di creare valore, soprattutto per la clientela. Le considerazioni qui esposte vanno comunque inquadrate più correttamente nel tema dei fini e delle funzioni d’impresa, infatti, un’impresa è sempre uno strumento delle attività umane con cui l’imprenditore si propone di realizzare uno o più obiettivi, la connotazione di tali obiettivi non sempre, tuttavia, è strettamente di tipo economico, ad esempio, un’impresa di piccole e piccolissime dimensioni è pur sempre uno strumento di auto-impiego per l’imprenditore che l’ha creata, più per necessità che per opportunità, in questo caso, le finalità del massimo profitto, della creazione del valore o della competitività possono risultare più sfumate, perché la funzione dell’impresa è di tipo sociale. Per studiare le determinanti della competitività, ovvero i fattori e le condizioni da cui essa si origina, bisogna ripercorrere le principali categorie concettuali dell’economia e del management. La competitività, infatti, dipende dalle capacità e dalla qualità di tutti i processi che si realizzano in azienda. Tuttavia, poiché l’impresa, per definizione, è un sistema aperto, o quasi aperto, fortemente esposto all’azione di fattori esterni, occorre ampliare la prospettiva di osservazione ed includere nell’analisi ulteriori elementi, anche ove non dovessero risultare direttamente governabili dall’impresa, Se l’impresa esercita alcune funzioni (di tipo sociale, economico e patrimoniale), è pur vero che, da un lato, essa è un attore più o meno influente della società, ma, dall’altro, risente proprio delle caratteristiche del contesto in cui opera, dalle quali non può né deve rimanere isolata. Per tali motivi, si propone e si estende la valenza interpretativa del modello cosiddetto dei “sette drivers della competitività”, in modo da prendere in considerazione, tutti gli elementi che a vario titolo interferiscono con gli obiettivi di competitività che un’impresa si pone nei mercati in cui opera. I sette drivers sono i seguenti: • Un primo driver, denominato management e governance, si riferisce alle condizioni interne di governo (formale e sostanziale) direttamente presidiabili dall’impresa e sicuramente collegate alla qualità dei suoi processi interni. • Un secondo driver, denominato infrastrutture e logistica, si riferisce invece ad un ampio spettro di fattori infrastrutturali esterni all’impresa che, in condizioni di parità rispetto a tutti gli altri elementi, rappresentano fattori ostativi o, viceversa, facilitativi dello sviluppo e della competitività aziendali. • Il terzo driver è denominato lavoro ed etica professionale e fa indubbiamente riferimento alla qualità delle risorse umane. La sua inclusione in un modello di analisi del grado di competitività delle imprese è fondamentale pertanto, richiamarne la sua importanza è cruciale ed attualissimo. • Il quarto driver è il territorio, c’è un nesso di causalità fra il livello di competitività e di attrattività di un territorio e il grado di competitività delle imprese, come evidenziato nei più recenti contributi di marketing territoriale, ma anche negli studi di Economia industriale sui distretti. . • Il quinto driver attiene alle progettualità pubbliche. E’ una condizione che può essere decontestualizzata, poiché si riferisce alle risorse, specifiche e dedicate, messe a disposizione delle imprese dal soggetto pubblico, a tutti i livelli: comunitario, nazionale, regionale e locale. • Il sesto driver è l’internazionalizzazione. Si tratta di un fattore di competitività delle imprese che possiamo considerare “sui generis”. Il grado di internazionalizzazione è infatti una qualificazione di un oggetto di riferimento, più che una condizione determinante. • Il settimo driver sono le risorse critiche, facciamo riferimento in questo caso ad un ampio spettro di risorse, non interne all’impresa ma “internalizzate” in vari modi (acquisite o condivise) rappresentate da servizi di consulenza, di orientamento, di tutorato e di formazione ai quali provvedono Università, laboratori e centri di ricerca. Il modello dei sette drivers, senza pretese di esaustività, intende porre l’attenzione sulla rilevanza che fattori endogeni ed esogeni hanno sulla capacità delle imprese di sostenere la competizione, in un contesto che ormai è internazionalizzato in molti settori di attività economica.