Governo forte e Stato debole

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Taccuino – n. 18 Governo forte e Stato debole.
In un articolo sul “Corriere della Sera” del 15.11.2014 (Paese da ricostruire con una tregua politica)
Carlo Trigilia, professore di sociologia all’ Università di Firenze e ministro nel governo Letta esprime idee e
giudizi sull’attuale situazione italiana che concordano molto con quanto ho scritto in questi taccuini negli
ultimi due anni. Nella crisi del nostro Paese, scrive Trigilia, non ci si rende ancora conto che “le radici delle
nostre difficoltà riguardano la tenuta morale della società prima ancora dell’economia”. Lo sforzo che oggi
dobbiamo affrontare per superare la crisi “è immane, paragonabile solo ai problemi di ricostruzione dopo
una guerra”. A nulla valgono i messaggi di ottimismo se cresce “l’erosione del tessuto morale, storicamente
già fragile in Italia”. E se la politica “non è in grado di assicurare un adeguamento delle istituzioni agli
interessi generali” è perché “essa stessa è affetta da un’erosione morale e stenta a dare segnali non
demagogici di etica pubblica”. Piuttosto che gli interessi collettivi essa segue le “convenienze dei singoli
leader e dei loro seguaci, perseguite con opportunismo autoreferenziale”. Ne consegue “l’affermazione di
partiti personali che, soprattutto a sinistra, sono una vera novità in Europa. Abbiamo così partiti deboli
nelle mani di leader condizionati dai loro problemi a breve termine, di consenso o anche di difesa di
interessi privati”.
Va tutto bene, ma un importante corollario va qui aggiunto, a mio giudizio, e cioè che la debolezza
dei partiti, la loro incapacità di rappresentare, li ha spinti ancora di più a occupare lo Stato, facendosi forti
delle sue istituzioni, indebolendolo e indebolendosi. Lo Stato dovrebbe garantire sicurezza, opportunità,
giustizia, possibilità di crescita e sviluppo, protezione del cittadino. Ma uno Stato debole è incapace di
difendere i cittadini dai soprusi del potere e di difendere se stesso dalle mafie, dalla corruzione e dagli abusi
di ogni genere.
Venendo meno la rappresentanza politica e la difesa dell’etica civile da parte dei partiti, nei quali
pure prolifera corruzione e malversazione, i cittadini, per difendere i loro diritti, si affidano a intellettuali
(pochi), giornalisti, conduttori televisivi e movimenti populisti, contro i quali non si deve lottare ma cercare
di capire come e perché sono nati e come sia possibile superarli per evitare una esplosione giacobina. Al
contrario la vecchia classe politica pensa solo a come mantenersi al potere con unioni spurie e con
marchingegni elettorali sempre più raffinati. Per questo una politica che perde rappresentatività, che perde
la fiducia dei cittadini e si limita in affanno a gestire la contingenza è, come nota Trigilia, “troppo debole per
affrontare la gravità della crisi”, che richiede soluzioni radicali in cui il decisionismo politico miri alle radici
morali della coesistenza e alle necessarie limitazioni dei singoli interessi economici per indirizzarli di nuovo
verso finalità collettive. Sistemi elettorali che rafforzano una politica debole e discreditata servono solo a
moltiplicare i conflitti sociali. Un governo forte arroccato in difesa di una classe politica debole e incapace
serve solo a indebolire ulteriormente lo Stato strumentalizzando i suoi poteri “per interessi diretti e a breve
dei capi, come mostrano le vicende del noto ma oscuro Patto del Nazareno”. Trigilia coglie perfettamente il
senso di una crisi politica che si avvolge su se stessa e che non solo attiva populismi e episodi di violenza,
ma spinge l’insoddisfazione e l’effervescenza politica del Paese verso soluzioni giacobine.
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