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G It Diabetol Metab 2012;32:116-120
Rassegna
Il paziente diabetico
con fibrillazione atriale
RIASSUNTO
La frequente associazione fra diabete e fibrillazione atriale non è
spiegabile solo con l’elevata prevalenza di entrambe le condizioni nella popolazione generale, ma anche con la presenza di
comuni meccanismi fisiopatologici. Recenti studi epidemiologici
suggeriscono che i pazienti diabetici presentino un rischio di sviluppare fibrillazione atriale del 30-40% superiore rispetto alla
popolazione generale. Tale rischio è influenzato dal tipo di diabete, dalla durata dello stesso e dal compenso metabolico.
Insulino-resistenza, infiammazione cronica, neuropatia autonomica, modificazioni istopatologiche del miocardio atriale sono
stati presi in considerazione come condizioni pro-aritmiche nel
diabete. Quest’ultimo, inoltre, rappresenta un fattore aggravante il rischio di stroke nel paziente fibrillante. La presenza di diabete deve suggerire un atteggiamento più aggressivo nella terapia anti-tromboembolica, indirizzando a un maggiore ricorso alla
terapia anticoagulante. È possibile che il miglioramento del compenso metabolico e l’utilizzazione di alcuni farmaci, come gli
antagonisti del recettore dell’angiotensina II, possano prevenire
l’insorgenza di fibrillazione atriale nel paziente diabetico.
SUMMARY
Atrial fibrillation in the diabetic patient
The frequent association of diabetes with atrial fibrillation cannot be
explained only by the high prevalence of both conditions in the
general population, and there are also common pathophysiological
mechanisms. Recent epidemiological studies suggest that diabetic patients have a risk of developing atrial fibrillation 30-40% higher
than the general population. This risk is influenced by type, duration and metabolic control of the diabetes. Insulin resistance,
chronic inflammation, autonomic neuropathy, histopathological
changes of the atrial myocardium are all considered pro-arrhythmic
conditions. Moreover diabetes can increase the risk of stroke in
subjects with atrial fibrillation. The presence of diabetes should
prompt a more aggressive anti-thromboembolic treatment, with
wider use of anti-coagulant therapy. Improved metabolic control
and the use of drugs such as angiotensin II receptor antagonists,
may possibly prevent atrial fibrillation in diabetic patients.
R. Quadri, G. Corneli, M. Traversa
SC Medicina Interna, Ospedale di Ciriè, ASL Torino 4,
Ciriè (TO)
Corrispondenza: dott. Roberto Quadri,
strada degli Alberoni 18/5, 10133 Torino
e-mail: [email protected]
G It Diabetol Metab 2012;32:116-120
Pervenuto in Redazione il 18-02-2012
Accettato per la pubblicazione il 16-04-2012
Parole chiave: diabete mellito, fibrillazione atriale,
rischio cardiovascolare, terapia anticoagulante
Key words: diabetes mellitus, atrial fibrillation,
cardiovascular risk, anticoagulant treatment
Il paziente diabetico con fibrillazione atriale
Diabete e fibrillazione atriale:
un’associazione casuale?
Età avanzata, insufficienza cardiaca, cardiopatie valvolari,
ipertiroidismo, ipertensione, obesità e fumo di sigaretta sono
considerati sicuri fattori di rischio per fibrillazione atriale,
mentre esistono ancora delle incertezze per quanto riguarda
la malattia diabetica1. In effetti, diabete e fibrillazione atriale
sono due condizioni spesso associate nello stesso paziente.
Ciò è in parte dovuto all’elevata prevalenza di entrambe le
patologie nella popolazione generale che, inoltre, tende ad
aumentare con l’avanzare dell’età. Dati dell’Istituto Superiore
di Sanità indicano che, nella popolazione italiana nella fascia
di età fra 65 e 74 anni, la prevalenza di diabete mellito è di
circa il 13% e quella di fibrillazione atriale è compresa fra il
2% e il 3%2.
Una serie di studi epidemiologici fa ritenere che l’associazione delle due condizioni non sia solo casuale, ma possa
avere un nesso fisiopatologico. Già nel 1994 un’analisi dei
dati del Framingham Heart Study aveva riconosciuto il diabete come un fattore di rischio indipendente per fibrillazione
atriale, con una probabilità di sviluppare l’aritmia superiore di
circa il 50% nella popolazione diabetica rispetto a quella
generale3. Una recente metanalisi che ha preso in considerazione 7 studi prospettici di coorte e 4 studi caso/controllo
che comprendevano 108.703 casi di fibrillazione atriale ha
dimostrato che la presenza di diabete comportava un rischio
relativo di 1,34 di sviluppare l’aritmia4. Dublin et al., in uno
studio condotto su 1410 pazienti con fibrillazione atriale di
nuova insorgenza, non solo hanno confermato l’elevata prevalenza del diabete, ma hanno anche dimostrato come maggiore durata e gravità della malattia metabolica incrementassero il rischio di comparsa dell’aritmia5: infatti, questi autori
hanno osservato come il rischio di fibrillazione atriale aumentasse del 3% per ogni anno di durata del diabete e come il
rischio relativo passasse da 1,06 nei soggetti con buon compenso glicemico a 1,96 in quelli con HbA1c superiore al 9%.
Un altro studio che, in una popolazione geriatrica, ha portato nuove conoscenze sui rapporti fra alterazioni del metabolismo glucidico e aritmia ha preso in considerazione
46 pazienti di età superiore a 75 anni che avevano presentato fibrillazione atriale per un periodo medio di cinque anni e
che non avevano una storia nota di anomalie glicemiche6;
questi soggetti sono stati sottoposti al test da carico glucidico che ha permesso di identificare la presenza di diabete nel
13% degli stessi. Inoltre, gli autori hanno osservato come
l’assetto metabolico dei pazienti fosse significativamente
correlato alla durata dell’aritmia; mentre il 75% dei soggetti
con fibrillazione di durata inferiore ai 5 anni presentava ancora un metabolismo glucidico normale, tale percentuale scendeva al 39% quando venivano presi in considerazioni i
pazienti che soffrivano di fibrillazione atriale da un periodo più
lungo. Un’interpretazione di questa osservazione potrebbe
essere quella secondo cui dal momento dell’insorgenza dell’aritmia i soggetti tenderebbero, più o meno consapevolmente, a ridurre il livello di attività fisica e, come conseguenza, a influenzare negativamente il proprio assetto metaboli-
117
co. Inoltre, sono stati descritti casi aneddotici di pazienti diabetici in cui l’insorgenza di fibrillazione atriale determinava un
significativo peggioramento del controllo glicemico, con
incremento del fabbisogno insulinico; il compenso metabolico ritornava soddisfacente dopo la cardioversione con ripristino del ritmo sinusale7.
Collegamenti fisiopatologici
I dati della letteratura suggeriscono che sia soprattutto il diabete di tipo 2 a rappresentare un fattore di rischio per fibrillazione atriale, mentre non esistono dimostrazioni per quanto riguarda il diabete insulino-dipendente; è possibile che sia
l’insulino-resistenza piuttosto che l’iperglicemia di per sé a
possedere un’attività pro-aritmica4,8. D’altra parte, l’insulinoresistenza è una condizione comune ad altri fattori di rischio
per fibrillazione atriale, come l’ipertensione e l’obesità; inoltre, in uno studio condotto in Svezia da Ostgren et al. è stato
osservato che i pazienti diabetici ipertesi presentavano una
prevalenza di aritmia tre volte superiore a quella dei diabetici
normotesi9.
La cardiopatia ischemica rappresenta senza dubbio una
delle manifestazioni più importanti della macroangiopatia
diabetica, tanto che il rischio di sviluppare un evento cardiovascolare acuto nei pazienti diabetici è doppio rispetto a
quello della popolazione generale10. Considerando che una
patologia coronarica è presente in più del 20% dei soggetti
con fibrillazione atriale, è evidente come l’aritmia che insorge
in un paziente diabetico possa essere in molti casi attribuibile a una condizione di ischemia miocardia su base macroangiopatica.
Un possibile collegamento fisiopatologico fra diabete e fibrillazione atriale è rappresentato dall’infiammazione. Numerosi
studi hanno dimostrato che i livelli plasmatici di marker di flogosi, come la proteina C reattiva e l’interleuchina-6, sono
significativamente superiori sia nei pazienti diabetici sia in
quelli con fibrillazione atriale rispetto ai soggetti sani di controllo11-13. L’attivazione delle diverse pathway dell’infiammazione che si verifica nei pazienti diabetici, in particolare in
quelli di tipo 2 scompensati, potrebbe dunque favorire la
comparsa dell’aritmia.
Alcuni studi, condotti sia nell’animale da esperimento sia su
reperti bioptici nell’uomo, hanno cercato di identificare un
substrato istopatologico a livello del miocardio atriale che
potesse predisporre all’insorgenza dell’aritmia. Già nel 1997
Frustaci et al. avevano riscontrato segni di flogosi in due terzi
dei preparati istologici ottenuti da biopsie endomiocardiche
del setto interatriale in pazienti con fibrillazione atriale pura,
cioè senza altre evidenze di cardiopatia14. Altri autori hanno
sottoposto ratti geneticamente diabetici a studi elettrofisiologici e istologici, documentando che questi animali presentavano, rispetto a quelli non diabetici, un’aumentata aritmogenicità, con alterazioni della conduzione intra-atriale, a cui corrispondeva istologicamente un significativo incremento di
fibrosi del miocardio atriale15.
La comparsa di fibrillazione atriale nel diabete può essere
118
R. Quadri et al.
sicuramente condizionata da variazioni dell’attività simpatovagale, che a loro volta possono essere fisiologiche (come
nel caso dell’attivazione simpatica in risposta all’ipoglicemia)
o patologiche, nel contesto di una neuropatia autonomica
più o meno clinicamente manifesta. La prima evenienza è
documentata dalla descrizione nel 1987 da parte di Collier
et al. di due casi di fibrillazione atriale parossistica precipitata da crisi ipoglicemiche16; in entrambe le pazienti la normalizzazione dei livelli glicemici dopo infusione di glucosio aveva
determinato un immediato ripristino del ritmo sinusale.
Peraltro, il ruolo pro-aritmico dell’ipoglicemia è stato anche
dimostrato da studi sperimentali; per esempio, Vardas et al.
hanno osservato che la suscettibilità alla fibrillazione atriale
indotta da stimoli elettrici in cani da esperimento è significativamente maggiore in condizioni di ipoglicemia piuttosto che
in presenza di valori glicemici normali o elevati17.
La neuropatia autonomica potrebbe essere responsabile di
una eterogenea denervazione del miocardio atriale tale da
predisporre all’insorgenza e al mantenimento dell’aritmia;
questa ipotesi è stata studiata nell’animale da esperimento18,19, ma non esistono sicure dimostrazioni nell’uomo.
I rapporti fra neuropatia diabetica e fibrillazione atriale hanno
anche altre possibili conseguenze: da un lato, è stato segnalato che la presenza della complicanza possa mascherare i
sintomi della fibrillazione atriale, soprattutto nelle forme parossistiche, analogamente a quanto accade per i sintomi di cardiopatia ischemica20. D’altro canto, la presenza di fibrillazione
atriale rende problematica l’interpretazione dei test cardiovascolari di funzionalità nervosa vegetativa che valutano le variazioni della frequenza cardiaca: di fatto, sia il deep breathing
sia il lying to standing sia il test di Valsalva, tutti basati sull’analisi della durata dell’intervallo RR del tracciato elettrocardiografico, non sono attendibili nei pazienti aritmici21.
Un’altra complicanza cronica del diabete che può predisporre all’insorgenza di fibrillazione atriale è la nefropatia. Un
recente studio condotto su oltre 3000 pazienti con insufficienza renale cronica non ancora in trattamento dialitico, di
cui il 45% era costituito da diabetici, ha documentato una
prevalenza di fibrillazione atriale del 18%22; tuttavia, in questa
popolazione l’analisi multivariata non ha permesso di dimostrare che il diabete rappresentasse un fattore di rischio indipendente per l’aritmia, al contrario di età avanzata, sesso
femminile, fumo e storia di malattia cardiovascolare.
Un aspetto interessante dal punto di vista fisiopatologico è
l’influenza del diabete sulla dispersione dell’onda P23; quest’ultima, che è considerata una misura di eterogeneità della
refrattarietà atriale, viene calcolata come la differenza fra
durata massima e minima dell’onda P nelle 12 derivazioni
standard dell’elettrocardiogramma. La dispersione dell’onda
P è riconosciuta come un fattore di rischio indipendente per
lo sviluppo di fibrillazione atriale24 e nello studio di Yazici et al.
è stato osservato che in un gruppo di 76 pazienti diabetici
questo parametro era significativamente superiore rispetto ai
soggetti di controllo23. Altrettanto interessante è la segnalazione secondo cui l’aumento della dispersione dell’onda P si
verificherebbe non solo nel diabete conclamato, ma anche in
soggetti con intolleranza glucidica25; in altre parole, si configurerebbe una situazione di pre-fibrillazione atriale nel pre-
diabete. Infine, uno studio di recente pubblicazione ha dimostrato che la presenza di neuropatia autonomica può determinare un incremento della durata e della dispersione dell’onda P, contribuendo così ad aumentare il rischio di fibrillazione atriale nei diabetici neuropatici26.
Aspetti prognostici e terapeutici
L’associazione diabete-fibrillazione atriale presenta anche
degli importanti aspetti prognostici: per esempio, sia l’una
che l’altra patologia rappresentano individualmente un fattore di rischio per stroke, ma la presenza di entrambe nello
stesso paziente incrementa tale rischio in misura esponenziale27; questa osservazione ha probabilmente condizionato
le società scientifiche a raccomandare un atteggiamento
particolarmente aggressivo nella prevenzione del rischio
tromboembolico nel paziente diabetico aritmico.
La terapia della fibrillazione atriale presenta due componenti
principali: da un lato, l’intervento cardiologico per normalizzare il ritmo o ridurre la frequenza ventricolare; dall’altro, la
necessità di ridurre il rischio tromboembolico tramite farmaci
attivi sulla coagulazione. Le linee guida dell’European
Society of Cardiology (ESC) sul trattamento della fibrillazione
atriale prendono specificamente in considerazione il problema dell’associazione con il diabete28. La raccomandazione
generale degli esperti è che i pazienti diabetici con fibrillazione atriale debbano essere sottoposti a una valutazione completa e al trattamento rigoroso di tutti i fattori di rischio cardiovascolare, con particolare riguardo a ipertensione e dislipidemia. Ma le linee guida dell’ESC si soffermano soprattutto sull’obiettivo di ridurre il rischio tromboembolico, considerando che quest’ultimo è incrementato nel paziente diabetico; Varughese et al. hanno infatti dimostrato come il diabete
favorisca danno e disfunzione endoteliale nei soggetti con
fibrillazione atriale, indipendentemente dalla presenza di altre
condizioni quali obesità e scompenso cardiaco29. Il recente
sistema di score per il rischio di stroke nella fibrillazione atriale su cui si basa la decisione di instaurare o meno la terapia
anticoagulante (CHA2DS2-VASc) considera tre fattori di
rischio “maggiori” (precedente stroke, precedente TIA o altra
manifestazione di embolismo sistemico, età uguale o superiore a 75 anni) e sei fattori definiti “non maggiori, ma clinicamente rilevanti”, che comprendono diabete, insufficienza
cardiaca, ipertensione, età compresa fra 65 e 74 anni, sesso
femminile e arteriopatia (Tab. 1). Nella decisione terapeutica
è sufficiente la presenza, oltre al diabete, anche di un solo
altro fattore di rischio, sia “maggiore” che “non maggiore”,
per indicare l’opportunità di iniziare il trattamento anticoagulante orale (Tab. 2).
Le modalità di attuazione della terapia anticoagulante orale
non presentano aspetti particolari nel soggetto diabetico;
in particolare, non esistono segnalazioni per cui il diabete di
per sé possa modificare l’attività degli antagonisti della vitamina K comunemente utilizzati (warfarin e acenocumarolo).
Occorre tuttavia prestare attenzione alle possibili interazioni
fra anticoagulanti e ipoglicemizzanti; in particolare, le sulfoniluree possono influenzare l’attività dei cumarinici (vengono
Il paziente diabetico con fibrillazione atriale
119
Tabella 1 Fattori di rischio per stroke e tromboembolismo nella fibrillazione atriale non valvolare (linee guida
dell’European Society of Cardiology28).
Fattori di rischio “maggiori”
Fattori di rischio clinicamente rilevanti “non maggiori”
• Precedente stroke
• Scompenso cardiaco, disfunzione sistolica ventricolare sinistra
• TIA o embolismo sistemico
• Ipertensione
• Età ≥ 75 anni
• Età 65-74 anni
• Diabete mellito
• Sesso femminile
• Vasculopatia
Tabella 2 Approccio alla profilassi anti-tromboembolica nella fibrillazione atriale (linee guida dell’European
Society of Cardiology28).
Categoria di rischio
CHA2DS2-VASc score
Terapia raccomandata
Un fattore di rischio “maggiore”
o ≥ 2 fattori di rischio “clinicamente
≥2
Anticoagulante orale
rilevanti non maggiori”
Un fattore di rischio “clinicamente
Anticoagulante orale o aspirina
1
rilevante non maggiore”
(preferibile anticoagulante orale)
Aspirina o nessuna terapia antitrombotica
Assenza di fattori di rischio
0
(preferibile nessuna terapia antitrombotica)
segnalati sia aumenti sia riduzioni dell’INR), mentre è possibile che questi ultimi potenzino l’attività ipoglicemizzante,
favorendo la comparsa di ipoglicemie.
La decisione di instaurare la terapia anticoagulante deve
basarsi non solo sul rischio tromboembolico, ma anche su
quello emorragico. Ragione di preoccupazione in questo
senso è rappresentata dal rischio di peggioramento della
situazione oculare in pazienti con retinopatia emorragica. In
realtà, la presenza di tale complicanza non costituisce una
controindicazione alla terapia anticoagulante di un diabetico
con fibrillazione atriale30, anche se è opportuno agire con
prudenza in casi particolari come in presenza di emovitreo o
quando siano necessarie procedure invasive come le iniezioni intravitreali.
Per quanto riguarda l’influenza della terapia farmacologica
antidiabetica sul ritmo cardiaco, è già stato ricordato come
l’ipoglicemia possa innescare episodi di fibrillazione atriale
parossistica. Al contrario, alcuni studi dimostrano come i tiazolidinedioni posseggano un’attività protettiva nei confronti
dell’aritmia, probabilmente attraverso le loro proprietà antiossidanti collegate al meccanismo di modulazione del
PPARgamma31,32. Anche altri farmaci comunemente utilizzati dai pazienti diabetici, come per esempio gli ACE-inibitori e
gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II, sembrano
ridurre il rischio di fibrillazione atriale; per esempio, tale effetto favorevole è stato descritto in un lavoro che ha confrontato perindopril e placebo in un gruppo di pazienti con recente infarto del miocardio33 e anche dallo studio LIFE che ha
dimostrato la superiorità del losartan rispetto all’atenololo nel
ridurre l’incidenza non solo dell’aritmia, ma anche dello stroke in corso di terapia antipertensiva indipendentemente dall’entità della riduzione dei valori pressori34.
Conclusioni
Lo specialista diabetologo deve conoscere l’aumentato
rischio per i propri pazienti di sviluppare fibrillazione atriale e
le conseguenze tromboemboliche potenzialmente devastanti di quest’ultima. È pertanto opportuno che nella gestione
del soggetto diabetico aritmico il medico sia determinato nel
combattere tutti gli altri fattori di rischio cardiovascolare e
che adotti una corretta terapia antitrombotica. Inoltre, è verosimile che l’ottimizzazione del trattamento del diabete possa
rappresentare un’opportunità per la prevenzione della fibrillazione atriale, un obiettivo finora poco perseguito nonostante
sia autorevolmente auspicato dalla comunità cardiologica
internazionale35.
Conflitto di interessi
Nessuno.
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