LA FIBRILLAZIONE ATRIALE LA PIÙ COMUNE DELLE ARITMIE a cura di Marco Zanetta,, Direttore Cardiologia e UTIC (Terapia Intensiva Coronarica) dell’ASL n. 13 (nella foto) Aritmia significa disturbo del ritmo cardiaco (battito irregolare). Questa disfunzione comprende parecchi fenomeni più o meno gravi. La fibrillazione atriale è una delle aritmie più frequenti specie nelle persone anziane, nelle malattie cardiovascolari, coronariche, nell’ipertensione o nelle malattie della tiroide. Non è una aritmia grave e di regola non rappresenta un pericolo per la vita, ma rappresenta un rischio di embolie e può portare allo scompenso cardiaco specie se vi è una malattia di cuore alla base. I disturbi che può dare vanno dalla stanchezza, batticuore e capogiro, mancanza di fiato, dolore al petto o svenimento. Peraltro pur in presenza di fibrillazione atriale si può stare bene e condurre una vita normale aiutati dalle cure mediche. Questa aritmia può essere “parossistica”, cioè andare e venire indipendentemente dalle cure, o cronica cioè durare per mesi o anni. Per fare diagnosi talvolta basta la visita medica, una conferma si ha con l’elettrocardiogramma. Altri esami come Ecocardiogramma, Holter e funzionalità tiroidea aiutano a capire la causa dell’aritmia e quindi a scegliere la cura migliore. Come si può curare un paziente con la fibrillazione atriale? Si può tentare di ripristinare il ritmo sinusale (battito normale) con dei farmaci (cardioversione farmacologica) o con una cardioversione elettrica. Vi sono anche altri metodi “elettrici ”sofisticati come l’ablazione, che in particolari casi può dare buoni risultati. Peraltro quando non si riesce a ripristinare il ritmo sinusale si può vivere bene comunque in fibrillazione atriale controllando la frequenza cardiaca con i farmaci. Quando però persiste l’aritmia bisogna scongiurare il rischio di embolie utilizzando i farmaci anticoagulanti orali che rendono il sangue più fluido mantenendo l’INR tra 2 e 3. (L’ INR è un esame di laboratorio che misura la coagulazione). Cosa fare quando si prendono gli anticoagulanti? E’ importante che il paziente in terapia anticoagulante (TAO) informi il medico di riferimento circa interventi chirurgici da eseguire, al fine poter utilizzare appropriati protocolli di riduzione o sospensione della TAO, con eventuale sostituzione temporanea con eparina a seconda delle esigenze del caso. Si dovrà porre attenzione ad un possibile aggravamento della malattia, che può accompagnarsi a variazione della terapia, delle abitudini alimentari, e quindi anche della necessità di modificare le dosi dell’anticoagulante. Valutare la pericolosità di variazioni spontanee della dose : una dose eccessiva può aumentare il rischio emorragico, una troppo bassa, non riesce ad evitare l’insorgenza di trombosi e/o embolie. Va ricordato alle pazienti il rischio di iniziare una gravidanza mentre sono in trattamento: è opportuno comunicare preventivamente al Medico l’intenzione di avere una gravidanza e di accertare la presenza di un eventuale stato gravidico non appena ci sia un ritardo del ciclo mestruale. Se si è in terapia con gli anticoagulanti, è bene avere un diario da compilare, in cui annotare ogni cosa che viene suggerita dal medico e, soprattutto, la variazione del valore di INR, che può essere provocata anche dall’alimentazione. Infatti, poiché questi farmaci agiscono bloccando la coagulazione che dipende dalla vitamina K, se si mangiano cibi ricchi in vitamina K, i valori di INR possono cambiare anche di molto. Quali sono i cibi ricchi di vitamina k ? Asparagi, broccoli, cardi, cavolfiori, cavoli bianchi e verdi, cavoli di Bruxelles, fagioli, insalata in genere a foglie larghe ed ancora indivia, lenticchie, rape, soia, spinaci. Anche il fegato è ricco di vitamina K, mentre gli alcolici possono interferire sull’azione degli anticoagulanti (warfarin). Vi sono numerosi farmaci che possono interferire con gli anticoagulanti orali. Quelli di uso più comune quali gli antireumatici e gli antinfiammatori, possono aumentare la coagulazione esponendo a rischi di emorragie.