Prova 5 I conflitti religiosi A Il candidato svolga la seguente traccia, con riferimenti alle sue conoscenze in ambito sociologico, antropologico e pedagogico. «La tesi che intendiamo dimostrare è che le religioni entrano in guerra fra loro, o prendono parte ai molti conflitti etnici del tempo presente, quando esse diventano il linguaggio pubblico delle politiche d’identità, repertorio di simboli che attori sociali e politici diversi utilizzano per parlare d’altro e dell’altro: dell’identità minacciata e del volto del nemico che la minaccia. La religione può diventare allora, nell’azione collettiva, una risorsa di senso strategica all’ottenimento di obiettivi politici (pulizia etnica, definizione della coscienza nazionale, legittimazione dell’alleanza fra istituzioni religiose e ceto politico al potere in deficit di autorità, e così via), assumendo vesti e volti diversi, secondo le molteplici e variegate situazioni nelle quali essa si trova a essere coinvolta. Ciò spiega perché la religione nella società contemporanea non solo abbia recuperato una rilevante presenza nella sfera pubblica, ma abbia altresì dimostrato di essere un elemento importante nella definizione delle politiche d’identità. […] Solo se prendiamo in considerazione l’intreccio fra religione e politiche d’identità nel tempo presente, si può affrontare l’analisi della relazione fra religioni e guerra e del perché, oggi, esse siano trascinate in modo palese nel conflitto violento». E. Pace, Perché le religioni scendono in guerra?, Laterza, Roma-Bari, 2004 Il candidato illustri alcune definizioni teoriche del conflitto in ambito socio-antropologico e provi a delineare le caratteristiche e le ragioni più frequenti dei conflitti religiosi, riflettendo sul possibile contributo che una pedagogia della tolleranza e della non-violenza può offrire a una visione non ostile della differenza religiosa. B Il candidato risponda in modo chiaro e sintetico a tre dei seguenti quesiti. a. Quale definizione si può dare della religione nelle scienze sociali? b. Le principali teorie antropologiche della religione. c. Che cos’è il sincretismo religioso? d. L’educazione funzionale secondo Édouard Claparède. e. I cambiamenti nel mondo del lavoro prodotti dalla globalizzazione. f. La teoria del “villaggio globale” di Marshall McLuhan. Patrizia Scanu © Pearson Italia S.p.A. 1 A Analisi della traccia L’argomento della traccia è il rapporto fra politiche di identità e conflitti religiosi. La tesi espressa dall’autore è che i conflitti religiosi non abbiano origine dalle differenze fra le credenze religiose in sé, ma da ragioni contingenti di tipo politico, che utilizzano la religione come repertorio di simboli a cui attingere per definire l’identità culturale del gruppo, contrapposta strategicamente ad altre identità additate come ostili, ovvero come minacciose per la propria. L’idea è insomma che la religione venga usata come vessillo simbolico di una guerra che ha ragioni completamente diverse e a volte assai discutibili. La tesi ci porta all’interno di un dibattito attualissimo sul rapporto fra politica e religione nelle guerre religiose, che, dopo il bagno di sangue successivo alla diffusione della Riforma protestante in Europa (XVI-XVII secolo), hanno nuovamente insanguinato il mondo dopo la fine della guerra fredda fra USA e URSS (si può citare il caso emblematico dell’ex Yugoslavia, dove la religione è stata usata dai Serbi come bandiera propagandistica per sostenere aspirazioni egemoniche) e si stanno presentando come il nuovo motivo di angoscia del terzo millennio. Le scienze umane possono offrire spunti di analisi e indicazioni su come arginare la tendenza al conflitto violento in nome dell’identità religiosa. L’argomento è trasversale fra sociologia, antropologia e pedagogia. Le parole-chiave del brano sono identità, politiche di identità, teorie del conflitto, conflitto religioso, religione, pedagogia della tolleranza e della non-violenza, differenza. Le richieste della consegna sono le seguenti: 1. Esporre alcune teorie sociologiche e antropologiche del conflitto; 2. Analizzare le caratteristiche e argomentare le cause dei conflitti religiosi; 3. Argomentare una propria riflessione sul modo in cui una pedagogia della tolleranza e della non-violenza possa disinnescare il conflitto e promuovere una visione non ostile della differenza religiosa. Il tema ha perciò carattere espositivo-argomentativo. Patrizia Scanu © Pearson Italia S.p.A. 2 Brainstorming Patrizia Scanu © Pearson Italia S.p.A. 3 Suggerimenti per lo svolgimento L’argomento proposto è assai complesso e richiede, oltre a una buona conoscenza dei manuali della disciplina, anche un’adeguata capacità di analisi e di valutazione critica, magari rinforzata da letture personali su argomenti affini. D’altra parte, non si pretende certo che uno studente liceale sia in grado di produrre analisi esaurienti o particolarmente originali su un tema che mette in difficoltà anche gli esperti; soltanto, è bene essere consapevoli che il rischio di risultare superficiali potrebbe essere elevato e quindi occorre avere una cura particolare nella scelta dei riferimenti teorici e storici, per dare un valido supporto all’argomentazione. Sicuramente il punto di partenza è una ricapitolazione di alcune teorie sociologiche e antropologiche del conflitto (dal latino cum-fligo, scontrarsi, che rende l’idea dell’urtarsi con e implica una relazione fra soggetti). Non sarebbe fuori luogo nemmeno coinvolgere in questa sintesi la psicologia sociale, che su conflitto fra i gruppi e identità di gruppo ha molto da suggerire. Il conflitto è una relazione antagonistica fra individui o gruppi, che si scontrano per il possesso di determinati beni. Possono esserne causa le disparità di potere, di ricchezza, di valori, di status, di convinzioni ecc. Il conflitto tende spontaneamente all’escalation, se non viene disinnescato. In sociologia, le principali teorie del conflitto possono essere raggruppate su due diversi fronti, quello integrazionista, per il quale il conflitto è risultato di un difetto di integrazione del sistema, è una patologia sociale (funzionalismo, specie Parsons) e quello conflittualista, per il quale il conflitto è strutturale e quindi normale nella società (teorie marxiste e critiche). Alcuni autori, soprattutto di orientamento neoweberiano, hanno sottolineato che, se è vero che il conflitto nasce da divergenze di interesse, odio, frustrazione e altro ancora, è vero anche che ha la funzione di lasciar esprimere la tensione e di far ritrovare l’armonia, e quindi rappresenta un fattore positivo di dinamismo interpersonale e sociale (Simmel, Dahrendorf, Coser). In antropologia si ritrovano riflessioni analoghe, spesso sviluppate in ambito politico. Si potrebbero citare Max Gluckman, esponente della Scuola di Manchester, che parla di equilibrio dinamico e distingue fra competizione, lotta, conflitto, contraddizione e Marvin Harris, neoevoluzionista di orientamento materialista, che considera la guerra una mortale forma di competizione fra gruppi autonomi per contendersi risorse limitate. In psicologia sociale, Muzafer Sherif (esperimento del campeggio estivo) ha dimostrato che il conflitto fra gruppi nasce per il possesso di risorse scarse ma ambite (teoria del conflitto realistico). Quello che va spiegato attraverso le teorie è il fatto abbastanza sconcertante che le religioni, ovunque fondate su un ideale di pace e di armonia, possano diventare motivo di divisione e di guerra. Un primo elemento di risposta viene dall’antropologia: se è vero infatti che le guerre sono presenti in molte società umane, le guerre religiose sembrano essere una prerogativa delle società statali. Le teorie citate offrono qualche spunto di comprensione del fenomeno, e in particolare la teoria del conflitto realistico (Simmel, Coser): il conflitto è realistico quando è solo un mezzo per raggiungere un certo obiettivo, che potrebbe essere raggiunto anche in modo diverso; è irrealistico quando ha come fine quello di sfogare energie aggressive. Spesso il fine del conflitto religioso è soprattutto politico o economico. Poiché lo Stato può favorire con norme specifiche e maggiori tutele una religione rispetto alle altre, si potrebbe pensare che il potere statale sia una risorsa ambita che mette in competizione le diverse fedi religiose presenti nella società e che ciascuna cerchi di trarne vantaggio a discapito delle altre. Poi il conflitto, nato per una lotta di potere, può intensificarsi fino alla lotta violenta (esempio del conflitto fra indù e Sikh in Punjab). Il radicalismo religioso può incrementare il conflitto non-realistico, così come il desiderio di rivalsa per soprusi Patrizia Scanu © Pearson Italia S.p.A. 4 subiti in precedenza da un altro gruppo (è il caso del Sudan). Aspetti realistici e non-realistici tenderebbero perciò a coesistere e a rinforzarsi a vicenda. Un elemento fondamentale è però quello dell’identità: lo psicologo sociale Tajfel ha spiegato che l’identità di gruppo genera immediatamente un “noi” e un “voi” e favorisce il conflitto generando valorizzazione e chiusura del gruppo interno (ingroup) e svalutazione e discriminazione verso il gruppo esterno (outgroup), percepito come minaccioso. La chiusura verso l’esterno compatta il gruppo interno intorno ai propri leader. Più è violento il conflitto verso il nemico esterno, maggiore è la coesione identitaria del gruppo interno. Il filosofo della politica Carl Schmitt sostiene che il nemico viene creato in base alle esigenze di identità del gruppo. Se l’identità di gruppo è percepita come un dato di fatto, un’eredità che deve essere protetta dal diverso (si pensi al nazismo), allora il conflitto appare l’unica reazione possibile. Pareto ha mostrato come il potere politico possa usare in modo razionale (azioni logiche) le credenze irrazionali (residui e derivazioni) della gente; si potrebbe quindi pensare che possa usare il conflitto emotivo e irrealistico suscitato dalla paura del diverso e dalla minaccia all’identità come un’arma di persuasione per sostenere conflitti realistici che hanno scopi politici o economici o egemonici. I media possono avere un ruolo enorme nel diffondere il sentimento di ostilità al diverso, spesso al servizio del potere. In questa chiave di lettura, la miglior difesa contro la strumentalizzazione del sentimento religioso a fini politici è proprio l’educazione alla tolleranza e all’interculturalità, che vaccina da facili sentimenti di paura e di ostilità e consente di distinguere azioni strumentali e autentica fede religiosa. Patrizia Scanu © Pearson Italia S.p.A. 5 Scaletta 1 Le teorie del conflitto 2 Le caratteristiche dei conflitti religiosi 3 Le ragioni dei conflitti religiosi 4 La strumentalizzazione politica della religione 5 I possibili rimedi: educazione alla tolleranza e al confronto con la differenza teorie sociologiche: integrazioniste (funzionalismo), conflittualiste (teorie marxiste e critiche), neoweberiane (Coser, Dahrendorf), Simmel teorie antropologiche: Gluckman, Harris teorie psicologiche: Sherif, Tajfel contraddizione fra ideale di pace e tendenza alla conflittualità fanatismo e intolleranza estrema violenza dei conflitti religiosi alcuni esempi storici competizione per il potere statale radicalismo religioso storia di conflittualità precedente e di soprusi subiti conflitto realistico e irrealistico (Coser, Simmel) politiche di identità (per aumentare la coesione interna scatenando l’aggressività contro un nemico esterno); C. Schmitt religione come simbolo di identità etnica; valenza emotiva dei riti e dei simboli (Durkheim, coscienza collettiva e sentimento del legame) uso politico della religione per fini estranei (Pareto: azioni logiche e non-logiche); coinvolgimento emotivo delle masse i media come mezzo di propaganda e di influenzamento delle masse identità non come dato immodificabile e imposto, ma come progetto e costruzione interpersonale differenza non come minaccia, ma come ricchezza tolleranza non come indifferenza, ma come confronto e costruzione di valori condivisi (differenza fra multiculturalismo e interculturalità) attitudine a non assolutizzare i propri valori, pur aderendovi (universalismo relativistico di Giddens) rispetto dell’altro anche se diverso; senso di empatia religione non come simbolo di identità etnica, ma come esperienza personale e spirituale e apertura al mondo non-violenza come pratica quotidiana (Dolci, Gandhi) gestione dei conflitti come risorsa da apprendere a scuola e nella società senso critico come antidoto alla manipolazione dei media e alla paura dell’altro capacità di evitare le generalizzazioni e i pregiudizi etnici (distinguere le persone dal loro gruppo) Per approfondire Conflitto sociale (a cura di M. Magatti) in Enciclopedia Italiana Treccani - VII Appendice (2006) http://www.treccani.it/enciclopedia/conflitto-sociale_%28Enciclopedia-Italiana%29/ Conflitti etnici e religiosi (a cura di L. Caracciolo) in Enciclopedia del Novecento Treccani, III Supplemento (2004) http://www.treccani.it/enciclopedia/conflitti-etnici-e-religiosi_(Enciclopedia-delNovecento)/ A. Maalouf, L’identità, Bompiani, Milano 2005. Patrizia Scanu © Pearson Italia S.p.A. 6