IL CONCETTO DI CONFLITTO 1) Il conflitto è definibile come un rapporto di opposizione più o meno cosciente tra due o più attori sociali, individuali o collettivi (gruppi di interesse), che perseguono scopi tanto diversi da risultare reciprocamente incompatibili e perciò tali da spingere ciascuno ad azioni (di potere) volte a modificare la natura del rapporto che li lega e/o del sistema di rapporti in cui sono inseriti, perlopiù tramite il perseguimento a proprio vantaggio di una diversa distribuzione di qualche tipo di risorsa scarsa dagli stessi considerata rilevante. 2) Il conflitto rimanda all’idea di un rapporto di forza, di potere. 3) Weber distingue tra potere (macht) e autorità (herrschaft). Con il primo si fa riferimento alla capacità 1 generica di ottenere obbedienza ad un comando, con il secondo, invece, alla possibilità di essere obbediti ad un preciso comando, in virtù di un ruolo, le cui funzioni sono supportate da una struttura razionale-legale, che giustifica una definita linea di comando. 4) Per quanto riguarda il potere inteso in senso più specificamente relazionale, quindi, con esso si intende la possibilità e la capacità di condizionare l’agire di Alter. Se ci si riferisce alla possibilità si parla di autorità, se, invece, alla capacità si parla di autorevolezza. 5) Condizioni essenziali all’emergere del potere: a) la presenza di una situazione relazionale; b) una distribuzione diversificata e non equa delle risorse; c) La convinzione del subordinato che il superiore possa incidere sul suo benessere futuro. 2 6) Questa differenza di risorse rimanda all’idea di diseguaglianza. Questa è l’effetto delle differenze di status. 7) Lo status è la “parte allocativa del ruolo” (azioni corrispondenti alla Posizione Sociale in una rete relazionale). Per Status intendiamo: l’insieme delle retribuzioni che la società fornisce ad un individuo in virtù di un ruolo “ben svolto”; svolto, cioè, rispettando e soddisfacendo le aspettative sociali connesse al ruolo acquisito (status acquisito), oppure quelle connesse al ruolo ascritto (status ascritto). 8) Queste retribuzioni si distinguono in: ricchezza, prestigio e potere. 9) Ciascuna di queste dimensioni da luogo ad una distribuzione diversa della diseguaglianza che, quando si cristallizza, diviene Stratificazione sociale. 3 10) La stratificazione sociale da luogo a una organizzazione piramidale della società. Esistono tante diverse stratificazioni a seconda della variabile che utilizziamo per “ordinare” gli attori sociali: ceti, classi o partiti. 11) Alcune società non consentono il passaggio da uno strato all’altro – per esempio il sistema castale indiano, oppure il sistema feudale – mentre in altre società la mobilità sociale – orizzontale o verticale – è un fenomeno sociologico fondamentale. 12) Ogni stratificazione sociale ha un suo vertice, chi ne fa parte viene definita l’élite. 13) I più importanti teorici delle élite sono stati italiani. Per Mosca esiste una “legge universale” del potere che consiste nel fatto che minoranze (più competenti, e in genere più ricche e con più prestigio, e meglio 4 organizzate) dominano su maggioranze meno competente e disorganizzate. Michels ribadisce tali asserzioni teorizzando l’esistenza di una “legge ferrea dell’oligarchia”, secondo la quale inevitabilmente, ogni organizzazione produce un apparato di vertice (burocratizzazione del carisma). Infine, per Pareto, poiché gli uomini sono diversi per abilità e doti, la diseguaglianza è inevitabile, e ciò produce una classe eletta che si distingue in classe eletta di governo e classe eletta di non governo (teoria della circolazione delle élite); 14) Queste tesi saranno riprese da C. Wright Mills che, dimostra come gli Stati Uniti degli anni ‘50 siano dominati da una ristretta élite del potere composta da coloro che occupano le posizioni chiave nei tre settori dell'economia, dell'esercito e della politica. A differenza di Pareto, il sociologo americano ritiene infatti che la composizione di 5 un'élite non possa essere definita in termini di successo o di capacità dei suoi membri, ma debba invece essere analizzata nel contesto della struttura economica e sociale. Le posizioni di potere non sono legate tanto alle qualità degli individui, quanto ai ruoli che essi svolgono nelle grandi istituzioni (Herrschaft) in cui si articola la società. Certe Istituzioni occupano posizioni strategiche nella struttura sociale. I massimi livelli della gerarchia di queste istituzioni corrispondono alle posizioni-chiave del potere, dal momento che assumono decisioni di portata almeno nazionale. 15) Il concetto di Conflitto è diverso dal concetto di Competizione: questa si ha quando due o più attori sociali perseguono lo stesso fine in presenza di risorse scarse; i competitori vogliono tutti ottenere per sé, sottraendola necessariamente agli altri, la quota più alta possibile della 6 stessa o delle stesse risorse (risorse riconducibili a reddito, potere o prestigio). Si ha una condivisione culturale: si partecipa alla competizione riconoscendo come valide le stesse regole. 16) Quando le risorse (scarse) sono, invece, desiderate per fini intrinsecamente diversi, si è in una situazione di conflitto. In questo caso, Gli attori sociali sono portatori di una cultura differente: differente visione del mondo, differenti valori e differenti regole. Questa diversità rimanda all’idea di Relativismo Culturale. Questa idea è importante per spiegare la devianza, la cultura della povertà. 17) La posizione della teoria del conflitto è, quindi, diversa da quella funzionalista. In particolare, per i teorici del conflitto: 7 a) Gli attori sociali (individui o gruppi) non condividono necessariamente gli stessi valori e gli stessi scopi. b) Talvolta gli scopi di un attore sociale sono incompatibili con quelli di una altro attore sociale. c) Se non si riesce a trovare un compromesso il conflitto diviene inevitabile. d) Chi ottiene il predominio trasforma i propri valori nel Valori (la storia la scrivono i vincitori). 18) La società è rappresentata non come un organismo ma come una arena in cui gruppi di interesse si confrontano tra loro. Con gruppi di interesse si intende ogni collettivo di persone che sono unite da interessi condivisi. Questi interessi costituiscono parte dell’identità individuale. 19) Esistono vari tipi di conflitto sociale: 8 a) Organizzativi: quando soggetti inseriti in questi sistemi di ruolo e mossi da interessi e volontà contrari agiscono per modificare, sotto qualche aspetto, una o più regole di funzionamento (posizioni, ruoli, processi di mobilità sociale) e/o di distribuzione delle risorse (status); relazioni industriali, rivendicazioni salariali, diritto allo studio o alla rappresentatività studentesca, etc. Si tratta di conflitti che non mettono in questione né il sistema politico né i modelli culturali. b) Politici: a essere investiti dal conflitto sono le regole e i processi decisionali, cioè elementi del sistema politico (analitico). In altri termini, vi è un processo politico di ridefinizione di norme e rapporti politici che regolano il controllo della diversità/varietà sociale. I conflitti politici possono riguardare: 9 1) il grado di autonomia decisionale concessa alla posizione e alla gestione dei ruoli; 2) il controllo dei processi decisionali mediante la definizione delle regole procedurali; 3) il controllo dell’accesso alle posizioni sociali. Questo avviene mediante la mobilitazione politica (l'ingresso nell'arena politica di gruppi o collettività con un'identità politica prima assente o non riconosciuta loro, e/o con una capacità d'azione superiore a quella di cui disponevano in precedenza), che può avvenire dal basso (preceduta dalla mobilità sociale e tipica dei regimi democratici, esplicitando la partecipazione politica – diritti politici attivi e passivi) o dall’alto (regimi autoritari); 1) Culturali: il conflitto riguarda i valori e i codici morali e cognitivi alla base del funzionamento della società 10 e della convivenza. Protagonisti diventano i movimenti sociali (l'azione collettiva che, condotta oltre i confini definiti dalle regole proprie dei sistemi politico e organizzazionale, è tesa ad affermare – di là dalla pura difesa dell'identità comunitaria – valori non negoziabili quali criteri normativi capaci di orientare la strutturazione dei rapporti sociali e dei modi della destinazione delle risorse collettive proprie di una società). 20) In una società democratica i conflitti organizzazionali e quelli politici hanno modo di manifestarsi e di essere risolti per via legislativa o tramite negoziazioni. Essi vengono cioè riconosciuti e regolati: si ha l'istituzionalizzazione del conflitto. 11 21) Risulta falsificato l'assunto ideologico, divenuto luogo comune, secondo cui al crescere dell'oppressione e dello sfruttamento – cioè del dominio – cresce la spinta conflittuale e la capacità innovativa: al contrario, il collettivo si mobilita non perché vi è stata una riduzione del suo campo d'azione, ma perché vi è stata un'apertura, sia pure iniziale, dello stesso (femminismo, diritti etnici etc.). 22) Lo stesso può dirsi per tutti i movimenti rivendicativi, sindacali o socialisti, tesi a introdurre una maggiore giustizia sociale: la forza e la legittimità della loro azione si spiegano non con l'aumento della disuguaglianza, ma, al contrario, con la riduzione (parziale) della stessa. 23) Il conflitto è sempre presente nelle società, in forme e gradi diversi (dalla semplice diversità di opinioni alla 12 violenza bruta), determinando piccoli (diffusi) o grandi (rari) cambiamenti nell’ordine sociale. 24) Si può dire che nelle società contemporanee l'ordine è ordine nel cambiamento. Un ordine politico e sociale ha maggiori possibilità di durare se permette, entro certi limiti, che al suo interno il dissenso e la protesta possano manifestarsi. I conflitti e la loro regolazione sono, perciò, condizioni fondamentali dell'ordine stesso, oltre che del cambiamento. 25) Il conflitto è uno dei meccanismi al centro dei processi di Mutamento Sociale (di disordine sociale che porta al cambiamento da un ordine sociale a un altro). Gli altri meccanismi sono: la devianza (violazione delle regole e utilizzo di prassi comportamentali ritenute scorrette: anomia) e l’innovazione (violazione delle 13 procedure tradizionali e introduzione di comportamenti – cognitivi, verbali, operativi – ritenuti nuovi). 14