1. I principi ispiratori e le tappe storiche dell`ammini strazione di

I principi ispiratori e le tappe storiche dell’amministrazione di sostegno
1. I principi ispiratori e le tappe storiche dell’ammini­
strazione di sostegno. Elementi di diritto comparato.
1.1. Una rivoluzione copernicana.
La legge 6/2004 ha espresso una rivoluzione che non è esagerato defi­
nire “copernicana”, avendo messo la persona – e non più la malattia – al
centro dell’Universo della disabilità, della vecchiaia, della depressione e
di tutte le altre forme e manifestazioni del disagio umano. E come sul­
la concezione copernicana hanno influito anche suggestioni umanistiche
imperniate sulla concezione dell’uomo e della sua dignità ed elevazione
spirituale, così l’emanazione della legge 6/2004 è stata il frutto della fi­
nalmente riconosciuta importanza del tenere in conto le – a volte anche
limitatissime – capacità del beneficiario, seguendone le inclinazioni perso­
nali, rispettandone le scelte esistenziali, tutelandone i diritti fondamentali
ed assicurandogli una misura di protezione adeguata alle concrete esigenze
di tutela della persona.
I principi di civiltà giuridica che hanno ispirato la scelta del legislatore
del 2004 costituiscono il frutto di un iter legislativo che ha preso le mosse
nella seconda metà degli anni Ottanta, sorretto da un lato da una nuova
consapevolezza che la menomazione fisica o psichica non possa e non
debba costituire causa di emarginazione della persona dall’ambiente fami­
liare e sociale e di impedimento all’esercizio dei suoi diritti fondamentali
e finalizzato, dall’altro, a superare le rigide norme previste dal legislatore
codicistico per la protezione dei sofferenti psichici [C.M.Bianca, Diritto civile, I, Milano, 2002, 251].
Ha sicuramente rivestito una grande importanza nell’indicare questa L’importanza della
nuova strada di trasformazione culturale, la L. 13 maggio 1978, n.180 (cd. Legge “Basaglia”
“legge Basaglia”, poi confluita nella L. 23 dicembre 1978, n. 833), irrinun­
ciabile conquista della nostra civiltà giuridica, che, al di là delle critiche,
anche giustificate, ad essa talvolta mosse, ha proposto un nuovo modo di
intendere la patologia psichica, reinserendo i malati di mente nel loro am­
biente e liberandoli dai manicomi, nei quali la persona perdeva i rappor­
ti con il resto del mondo. Mirabile risulta ancor oggi la descrizione della
persona affetta da patologia psichica come soggetto perduto nel suo corpo,
alienato, ristretto nelle sue strutture temporali, impedito di ogni coscienza
intenzionale, che si sente posseduto nel silenzio degli sguardi e non ha più
in sé alcun intervallo [F.Basaglia, Corpo, sguardo e silenzio, nel vol. Scritti,
1965]. In Italia, grazie alla riforma Basaglia, è stato possibile chiudere tutti
i manicomi, nei quali erano internate quasi centomila persone, il che ha
consentito all’assistenza psichiatrica di sviluppare rilevanti progressi, attra­
verso la realizzazione di una rete di servizi pubblici ispirati alla psichiatria
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L’amministrazione di sostegno nell’INTERPRETAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA
di comunità ed integrati nelle strutture del servizio sanitario nazionale.
La L. 180/1978, fra l’altro, ha anche abrogato l’art. 420 c.c., che sanci­
va l’automatismo fra il ricovero in manicomio e l’avvio del procedimento
di interdizione. Il problema è che, entrata in vigore la L. 180/1978, per
le persone reintegrate nel contesto sociale o mantenute nel loro ambien­
te, un’applicazione rigida delle misure all’epoca disponibili (interdizione
e inabilitazione) determinava una sorta di passaggio delle consegne dalla
struttura manicomiale restrittiva alla segregazione civile, ugualmente emar­
ginante [G.Ausili, Incapacità naturale e tutela degli interdetti, in Dir. fam. e
persone, 1992, 52].
La protezione dei soggetti non in grado di provvedere alla cura dei
propri interessi è sempre stato un ambito molto importante e delicato da
regolamentare, da un lato investendo aspetti personali e sociali delle per­
sone interessate e, dall’altro, coinvolgendo le strutture giudiziarie ed am­
ministrative, chiamate ad operare con efficienza e rapidità [M.C.Antonica,
L’amministrazione di sostegno: un’alternativa all’interdizione e all’inabilitazione, in Fam. e diritto, 2004, 528].
Rispetto
L’amministrazione di sostegno è nata, quindi, sulla spinta della neces­
del beneficiario sità di operare una modifica legislativa che tenesse il più possibile in conto
e delle sue scelte le - a volte anche limitate - capacità del beneficiario, seguendone le incli­
esistenziali
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nazioni personali, rispettandone le scelte esistenziali ed assicurandogli una
misura di protezione adeguata e meno invasiva e, soprattutto, commisurata
alle concrete esigenze di tutela della persona. L’istituto in questione, inol­
tre, ha trovato terreno fertile nell’esigenza di limitare le gravi conseguenze
derivanti dall’applicazione dell’interdizione e dell’inabilitazione, che, nel
perseguire l’intento protettivo, provocavano la totale esclusione del sog­
getto dal traffico giuridico, così precludendogli anche l’esercizio di diritti
personalissimi, vale a dire il compimento di atti strettamente legati alla rea­
lizzazione della persona [M.N.Bugetti, Commento all’art. 404 c.c., nel vol.
Codice della famiglia, a cura di M.Sesta, III, Milano, 2009, 1660 e 1661].
Per dirla con il Tribunale di Venezia, sentenza del 4.12.2006 (in www.
personaedanno.it, 12/2006, ads/interdizione, inabilitazione), la riforma “ha
adeguato ai principi costituzionali degli artt. 2, 3, e 32 Cost. e, in partico­
lare, a quelli del personalismo e del solidarismo, le disposizioni già dettate
dal Codice Civile in relazione all’infermità mentale abituale, inserendole
in un unitario contesto di possibilità di protezione attiva e passiva a favore
di ogni persona per qualsiasi causa non autonoma”. Ancora, per il Tribunale
di Reggio Emilia 13.9.2006 (in www.personaedanno.it, 9/2006, ads/bene­
ficiario, poteri e diritti) “rilevatrice dell’intenzione del legislatore appare
l’intervenuta variazione della rubrica del titolo XII del codice civile, che in
precedenza recitava «Dell’infermità di mente, dell’interdizione e dell’ina­
bilitazione» e che attualmente, per effetto della riforma, si intitola invece
I principi ispiratori e le tappe storiche dell’amministrazione di sostegno
«Delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autono­
mia», ciò che evidenzia quanto sia mutata l’immagine sociale – e, quindi,
la considerazione giuridica – delle persone con disabilità”. Il Tribunale di
Trieste, 29.9.2006 (in www.personaedanno.it, 9/2006, finalità della legge,
destinatari), ha equiparato l’introduzione dell’amministrazione di sostegno
nel nostro ordinamento ad “una sorta di rivoluzione, imponendo di consi­
derare che la capacità di agire, pur in alcuni casi di ridotta autonomia, resti
la «regola» cui fa eccezione ogni limitazione, necessitata dalla esigenza di
protezione del soggetto debole”. Per il Tribunale di Cassino 17.12.2007 [in
www.leggiditaliaprofessionale.it, pag. Corti di merito, voce tutela e cura­
tela] siamo di fronte ad “una nuova forma di protezione ad ampio spettro
del disabile, con la quale viene finalmente rifiutata la logica ghettizzante
dell’infermità mentale tipica dell’interdizione …si inquadra in un progetto
di sostegno esistenziale in cui rientra sì anche la problematica patrimoniale
.. ma solo come aspetto possibile e talora necessario (ma non assorbente)
dell’esistenza umana .. Trattasi di una evidente attivazione normativa degli
importanti principi costituzionali del “personalismo” e del “solidarismo”…
nonchè del riconoscimento della pari dignità”.
Se l’obiettivo della nuova legge è quello della maggiore inclusione
sociale possibile delle persone bisognose di protezione, ne discende allora
che il sostegno non è limitato al solo ambito patrimoniale ma si esten­
de anche e soprattutto alla sfera personale, ai bisogni e alle aspirazio­
ni dell’interessato, in una parola alle forme di manifestazione dell’essere
umano nella sua complessità: quali, per esempio, il diritto ad un’abita­
zione (o perlomeno ad una sistemazione) adeguata, alla cura della salute,
alla vita di relazione, alle esigenze culturali, di svago, ricreative, alla ma­
nifestazione di consensi o di dissensi di varia natura (trattamenti medici,
dati personali, uso dell’immagine). Di contro, i mezzi di tutela previsti dal
Codice Civile del 1942 riservavano ben poca attenzione alla persona e ai
suoi diritti fondamentali (dignità, uguaglianza, diritto alla salute), essendo
finalizzati alla sola tutela del patrimonio dell’incapace; del resto, lo stes­
so Codice Civile era prevalentemente rivolto in generale alla salvaguardia
della produzione e della circolazione della ricchezza. Peraltro l’annien­
tamento della capacità di agire derivante dall’interdizione, che andava a
precludere anche quelle attività che la persona avrebbe potuto continuare
a svolgere, non andava di pari passo con la nuova cultura e filosofia curati­
va, che invece mirava al recupero del malato di mente; sull’altro versante,
l’inabilitazione trovava scarsa applicazione. Per di più tali misure venivano
viste e sofferte dalle famiglie alla stregua di un’etichetta infamante, che in
qualche modo ricadeva anche su loro e, per questo, il più delle volte ve­
nivano rifiutate [P.C.PAZÈ, L’amministrazione di sostegno, in www.altalex.
com, 8.12.2004].
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L’amministrazione di sostegno nell’INTERPRETAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA
Figura di tipo
La L. 6/2004, emanata a conclusione dell’Anno Europeo per le persone
vicariale disabili, è il prodotto di un dibattito promosso a partire dal basso, dal mondo
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delle reti familiari e delle associazioni, nel rispetto del citato fondamentale
principio del “nulla su di noi senza di noi”. Se la logica sottesa agli istituti
dell’interdizione e dell’inabilitazione era (rectius, è, stante la loro, sia pure
residuale, sopravvivenza) che la persona disabile non doveva (non deve)
nuocere a sé stessa e, soprattutto, agli equilibri sociali, con l’istituzione
dell’amministratore di sostegno si è voluta creare una figura che si affianchi
al beneficiario, senza sostituirsi a quest’ultimo e senza sottrargli la capacità
di agire: una figura, dunque, di tipo vicariale e non incapacitante, perché
tende a non privare il beneficiario dei propri diritti. Si nota fin da ora la
distanza “anni luce” dalle misure “totalizzanti” dell’interdizione e dell’ina­
bilitazione, spesso sproporzionate rispetto alle reali esigenze della persona
e altrettanto sovente inapplicabili. Basti pensare, da un lato, che per far
luogo all’interdizione occorreva (occorre) un’infermità di mente abituale
tale da rendere il soggetto incapace di provvedere ai propri interessi (art.
414 c.c.) e, dall’altro, all’eccezionalità delle fattispecie applicative dell’ina­
bilitazione (prodigalità, sordomutismo o cecità dalla nascita o dalla prima
infanzia, questi ultimi se non contemperati da adeguata cura, educazione
ed assistenza). Da ciò si evince che la scelta dell’una o dell’altra misura può
incidere in maniera alquanto diversa sulla vita e sulla dignità delle persone
da proteggere: infatti, a parità di infermità anche grave ed invalidante, l’am­
ministrazione di sostegno offre la possibilità di modulare una protezione
mirata, calibrata sulle specifiche esigenze della persona, di cui rispetta la
dignità e i bisogni [G.Carlesso, Amministrazione di sostegno, interdizione
e inabilitazione: confronto dal punto di vista dei beneficiari, in www.perso­
naedanno.it, 2/2008, ads/finalità della legge, destinatari]. Dignità da inten­
dere come valore costituzionalmente garantito e il cui rispetto si colloca su
un piano trasversale tra la cura della persona e la cura del patrimonio [A.Di
Sapio, A proposito di tre ordinanze della Corte Costituzionale e dei rapporti
tra amministrazione di sostegno, interdizione e inabilitazione, in Dir. fam. e
persone, 2008, 45 e 46].
L’amministrazione di sostegno rappresenta un momento importante di
un più ampio processo volto a garantire, attraverso il rifiuto dei concetti di
alienazione, di incapacità e di pericolosità sociale, la piena protezione temporanea o permanente - dei diritti dei soggetti deboli e il loro recupero
nella vita di relazione; e ciò mediante la valorizzazione dei residui spazi di
autonomia della persona, alla quale viene consentito di esprimere al mas­
simo le possibilità di autodeterminazione, grazie anche all’allargamento
dell’ambito di potenziali beneficiari dell’applicazione della nuova legge,
assai più esteso di quello a cui “attingevano” l’interdizione e l’inabilita­
zione. In sostanza, si è passati dalla privazione dei diritti e dall’”ingabbia­
mento” giuridico della persona (al punto da trasformarla in “non persona”),
I principi ispiratori e le tappe storiche dell’amministrazione di sostegno
all’attribuzione a questa di un sostegno alla sua disabilità, attraverso il rico­
noscimento legale della sue capacità residue.
In particolare, la L. 6/2004 va ad illuminare quelle zone d’ombra nelle
quali prima si trovavano le persone che non soffrivano di patologie a tal
punto gravi da giustificare una declaratoria di loro interdizione o inabilita­
zione, ma che neppure godevano di una così buona salute psicofisica da
potersela cavare da sole: oltre ai soggetti affetti da disabilità psichica e/o
motoria, rientrano nell’ambito di applicazione della nuova misura i carce­
rati, gli alcoolisti, i tossicodipendenti, le persone anoressiche o bulimiche,
i lungodegenti, gli anziani con patologie di tipo degenerativo, i depressi,
ecc.. Questo anche perché al legislatore del 1942 erano sconosciuti alcu­
ni fenomeni sociali, che successivamente hanno favorito la formazione di
un’ampia area di degrado e di emarginazione, quali le tossicodipendenze,
l’aumento della popolazione anziana, le nuove povertà, la legge Basaglia.
Con la nuova legge si è voluto introdurre un sistema di protezione più
elastico e flessibile, proporzionato alle condizioni del beneficiario e ido­
neo a rispondere alle diverse richieste derivanti dalla varietà delle situazioni
di debolezza e di fragilità; l’amministrazione di sostegno è stata pensata
come un “vestito su misura”, tagliato per soddisfare le richieste individuali
di cura della persona e del patrimonio del soggetto bisognoso di protezio­
ne. E proprio lo stretto collegamento tra amministrazione del patrimonio e
cura della persona fa sì che il soggetto che necessita di protezione possa
vivere la miglior vita possibile. Per Trib. Varese, 25.11.2009 (in www.perso­
naedanno.it, 11/2009, ads/amministratore, poteri, doveri) “più che di una
riforma si è trattato di una vera e propria rivoluzione istituzionale”.
In conclusione, “la legge sull’amministrazione di sostegno è stata fatta
per avvicinare il cittadino debole e sofferente alla giustizia (…), una leg­
ge al servizio della persona (…), uno sforzo legislativo per comprendere e
regolare in maniera più umana esperienze di sofferenza ed emarginazione
che in precedenza non trovavano risposte adeguate in termini di giustizia”
(App. Venezia, III Sez. Civ., 16.1.2006, in Giur. Merito, 2006, 1126). Si trat­
ta, insomma, “di una sostanziale inversione di tendenza, di una completa
inversione di rotta rispetto al passato, di una rottura molto forte, incentrata
sul porre in rilievo la valorizzazione dell’individuo, della sua personalità
in quanto tale, anche se disabile, e della sua volontà, anche se espressione
di un soggetto in difficoltà e, quindi, bisognoso di protezione e non di una
generale limitazione” (Trib. Modena, sent. 26.10.2007 n. 1895, in www.
personaedanno.it, 10/2007, ads/amministratore, poteri, doveri).
Andando a concludere, non si può non rilevare che il successo della Interventi
riforma è legato alla realizzabilità di interventi di protezione “su misura” “su misura”
per i bisogni delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, all’opera­
to dei giudici tutelari e di tutti gli altri soggetti a cui la legge attribuisce un
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L’amministrazione di sostegno nell’INTERPRETAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA
ruolo nell’attivazione e nell’applicazione del rimedio, alle risorse, finanzia­
rie ed umane, che verranno riservate alla protezione dei soggetti “deboli”
[A.Venchiarutti, Amministrazione di sostegno, interdizione e inabilitazione
dopo la L. 6/2004, in www.altalex n. 862 del 22.11.2004 e, in prospettiva
futura, all’individuazione di un “dovere” di protezione dello Stato in favore
di quei soggetti che “non ce la fanno” da soli (dovere attualmente ricavabile
solo dall’art. 406, comma terzo, c.c. ma che troverebbe il suo riscontro prin­
cipale nei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale
previsti dall’art. 2 Cost.”: R.Masoni, Amministrazione di sostegno ed interdizione: dal diritto al dovere di sostegno?, in Giur. Merito, 2007, 38 e ss.). A
fronte dell’individuazione di un siffatto dovere a carico dello Stato, sarebbe
identificabile un contrapposto “diritto al sostegno”, la cui violazione deter­
minerebbe una responsabilità di tipo risarcitorio ex art. 2043 c.c. a carico di
chi, tenuto all’osservanza di questo dovere, non vi adempia [P.Cendon, Un
altro diritto per i soggetti deboli: l’amministratore di sostegno e la vita di tutti
i giorni, nel vol. L’amministrazione di sostegno, Milano, 2005, 50]: dal che
potrebbe profilarsi il riconoscimento di un danno non patrimoniale, essen­
do indubitabile che l’omessa attivazione della misura determini un peggio­
ramento della qualità della vita della persona bisognosa o, quanto meno,
la sua mancata realizzazione personale, ostacolata dal contegno omissivo
della P.A., in spregio dell’art. 3, comma secondo, Cost., che impone allo
Stato di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limi­
tando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei, cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana” [R.Masoni, Amministrazione di sostegno ed
interdizione: dal diritto al dovere di sostegno?, cit., 38 e ss.].
1.2. Come si è arrivati all’amministrazione di sostegno.
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La precedente legislazione era caratterizzata da una duplicità di pia­
ni: uno di natura pubblicistica, a tutela della cd. “società dei sani”, l’al­
tro di impronta civilistica, imperniato sull’incapacità di agire di dirit­
to privato [R.Masoni, Presupposti sostanziali della protezione, nel vol.
L’amministrazione di sostegno, a cura di R.Masoni, Rimini, 2009, 61]. In
particolare, questa filosofia della sovrapposizione di piani trovava riscontro
nell’abrogato art. 420 c.c., il cui titolo (“Internamento definitivo in manico­
mio”) già anticipava l’espressa previsione dell’automatismo fra la custodia
definitiva in manicomio e la nomina del tutore provvisorio. Fino agli anni
Settanta, quindi, il malato di mente, oltre a venire interdetto, poteva altresì
essere ricoverato in manicomio; in tal modo alla sua totale incapacità di
agire faceva seguito anche l’isolamento fisico, senza la possibilità di vivere
in un normale contesto sociale e di costruire o mantenere rapporti amiche­
voli o affettivi. In effetti, le norme rispondevano soprattutto all’esigenza di
protezione della cd. “parte sana” della società e di custodia delle persone
I principi ispiratori e le tappe storiche dell’amministrazione di sostegno
disturbate dal punto di vista psichico: a dire il vero, tuttavia, già con la
legge 18 marzo 1968, n. 431 venne introdotta la nozione di ricovero vo­
lontario, per fini di accertamento e di cura, così rendendo, almeno in parte,
al soggetto malato di mente i suoi diritti di individuo malato e di cittadino
[F.Eramo, L’amministrazione di sostegno, in Dir. famiglia, 2004, 534 e ss.].
Dai primi anni Ottanta, come già sottolineato, in seguito all’approva­
zione della L. 180/1978, si è diffusa nel nostro Paese una nuova sensibilità
nei rapporti tra infermità psichica e diritto privato, avendo siffatta normativa
segnato una svolta decisiva per una differente impostazione del problema
della cura del malato, in particolare di quello mentale, fondata sul princi­
pio di libera scelta degli accertamenti sanitari, in contrapposizione al vec­
chio sistema terapeutico, imperniato invece sull’esclusione della volontà
del malato e sulla prevalenza delle decisioni del personale medico. Peraltro
l’introduzione della L. 180/1978 è stata inizialmente avversata da gran par­
te del mondo medico, che eccepiva deficienze di carattere organizzativo e
segnatamente l’inidoneità delle strutture assistenziali che dovevano fare da
supporto all’applicazione della legge.
Riguardo alla L. 180/1978, va segnalata l’importanza del ruolo svolto
da Giovanna Visintini e da altri studiosi della scuola genovese, che hanno
prodotto rilevanti contributi sui diritti soggettivi dei disabili psichici “rimessi
in libertà” e segnatamente sul rapporto fra la nozione di capacità /incapaci­
tà di agire e l’infermità di mente.
Di grande pregio è stato anche l’apporto scientifico fornito agli stu­
di in corso da un convegno interdisciplinare, organizzato dal prof. Paolo
Cendon a Trieste nel giugno 1986, dal titolo “Un altro diritto per il malato
di mente. Esperienze e soggetti della trasformazione”, incentrato sui rap­
porti tra psichiatria e diritto privato e volto ad approfondire le prospettive
derivanti dall’abolizione dei manicomi prevista dalla L. 180/1978. Proprio
in seguito a tale convegno, gli studiosi coordinati dal prof. Cendon hanno
elaborato una proposta di riforma, che teneva conto sia delle indicazioni
scaturite dall’ampio dibattito in materia sia dei suggerimenti attinti dalle ri­
forme già allora varate da altri Paesi europei (segnatamente Austria, Francia
e Spagna). Nella cd. “Bozza Cendon” è stato evidenziato come il “grande
vuoto” dell’ordinamento italiano (che all’epoca era imperniato sulle misure
dell’interdizione e dell’inabilitazione e sull’annullabilità ex art. 428 c.c.
degli atti posti in essere dall’incapace naturale) derivasse dall’assenza di
un regime di protezione che garantisse una minima limitazione dei diritti
e della capacità della persona e che attribuisse a questa gli strumenti di
assistenza e/o di sostituzione necessari per far fronte ai suoi momenti di
crisi e di inerzia [I.Tricomi, Così uno strumento giuridico flessibile introduce una graduazione nelle misure, in Guida al dir., fasc. 5/2004, 26 e ss.].
Occorreva, insomma, una tutela globale della persona, in grado di dare
concreta attuazione anche al diritto alla salute. In particolare, l’interdizione
29
L’amministrazione di sostegno nell’INTERPRETAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA
veniva definita “una risposta eccessivamente severa, frutto di concezioni or­
mai superate in sede psichiatrica, funzionale prevalentemente agli interessi
dei familiari e dei terzi e che finisce per comprimere o per annullare alcuni
tra i diritti fondamentali della persona, risultando sicuramente sproporzio­
nata rispetto alle necessità di salvaguardia della grande maggioranza dei
sofferenti psichici” (“Bozza Cendon”, 1986).
Proprio per rovesciare la prospettiva di una tutela riservata ai soli disabi­
li gravi – in modo particolare quelli colpiti da serie patologie psichiche – ed
inaccessibile alla massa dei cd. borderline, condannati a scivolare, giorno
dopo giorno, nella precarietà e nel disagio, tra la metà degli anni ottanta
e i primi anni novanta è stato concepito il progetto sull’amministrazione
di sostegno, imperniato, fra l’altro, sul “no” alla dismissione sistematica
rispetto ai soggetti “deboli” e sulla lotta alle mezze finzioni di capacità
negoziale [P.Cendon, I beneficiari potenziali dell’ads, in www.personae­
danno.it, 7/2008, ads/finalità della legge, destinatari]. Tale proposta di ri­
forma (c.d. “Bozza Cendon”) è poi sfociata nel disegno di legge governa­
tivo n. 2571, presentato alla Camera il 23 aprile 1993 dal Presidente del
Consiglio dei Ministri e dal Ministro per gli Affari sociali di concerto con il
Ministro di Grazia e Giustizia e con il Ministro della Sanità e recante il titolo
“Istituzione dell’amministratore di sostegno a favore di persone impossibili­
tate a provvedere alla cura dei propri interessi” (cd. disegno Bompiani), che
prevedeva l’introduzione di un nuovo istituto, appunto “l’amministrazione
di sostegno”, per colmare una lacuna presente nell’ordinamento italiano:
l’assenza di un regime che fosse tale da estendere al massimo i diritti e le
possibilità di iniziativa dell’infermo mentale (e non solo) a fronte di una
speculare assistenza che potesse coprire i momenti più o meno lunghi di
crisi o di inerzia dello stesso.
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✒ Negli anni a seguire hanno visto la luce altri disegni di legge: il n. 448, presentato alla
Camera il 21 maggio 1994 (c.d. disegno Perlingieri), il n. 776, presentato alla Camera il 10
agosto 1994 (c.d. disegno Guidi), il n. 246, comunicato alla Presidenza del Senato il 10
maggio 1996 e quelli unificati n. 960, presentato alla Presidenza della Camera il 16 maggio
1996, (cd. disegno Giacco) e il n. 4040, presentato il 24 luglio 1987 (c.d. disegno Turco),
che prevedevano la facoltatività dell’interdizione, da applicarsi solo in casi estremi. Nella
presentazione del disegno n. 246, si afferma espressamente che: “vi è un nuovo istituto (l’am­
ministrazione di sostegno) che si pone come modello generale per la soluzione dei problemi
civilistico-patrimoniali della grande maggioranza delle persone disabili: infermi di mente, in­
nanzitutto, ma anche anziani, portatori di handicap fisici, alcoolisti, lungodegenti, carcerati,
tossicodipendenti e, in generale, chiunque abbia bisogno di essere protetto nel compimento
degli atti della vita civile. L’istituto dell’interdizione non viene bandito dal codice civile, ma
solamente ammorbidito. Si è ritenuto in definitiva che, per le situazioni di particolare gravità
e di sicura irrecuperabilità, fosse pur sempre opportuno mantenere la possibilità del ricorso
a uno strumento costruito intorno all’idea di una supplenza generale del malato di mente”. I
disegni n. 960 e n. 4040 sono poi confluiti nel 1998 nel testo Maggi, dal titolo “Disposizioni
in materia di funzioni del giudice tutelare e dell’amministrazione di sostegno”. Nella presen­
tazione delle due proposte unificate nn. 960 e 4040, il relatore Maggi, nell’evidenziare la ri­
levanza sociale del provvedimento, avente “lo scopo di limitare ai casi estremi il ricorso agli
istituti dell’inabilitazione e dell’interdizione”, affermava “la necessità che la remunerazione
I principi ispiratori e le tappe storiche dell’amministrazione di sostegno
dell’amministratore di sostegno sia proporzionale all’asse patrimoniale e posta a carico dello
stesso, in modo che non si determinino oneri a carico dello Stato”.
Purtroppo le numerose iniziative legislative non hanno visto conclu­
dersi in tempi brevi l’iter dell’approvazione soprattutto a causa dell’anti­
cipato scioglimento delle Camere, fenomeno piuttosto diffuso nelle legi­
slature degli anni novanta [per un interessante excursus storico, G.Lisella,
Amministrazione di sostegno e funzioni del giudice tutelare. Note su una
attesa innovazione legislativa, in Rass. dir. civ., 1999, 216 e ss.].
Infine, si è arrivati alla proposta di legge C 2189 (presentata al Senato il 3
luglio 2001), che ha assorbito durante la trattazione gli altri disegni di legge e
che, a seguito di un iter parlamentare piuttosto lungo e conflittuale (dopo una
tribolata parentesi alla Camera, ove è rimasta ferma per diciotto mesi, è stata
ivi approvata il 15 ottobre 2003 con dieci emendamenti e successivamente
è stata votata all’unanimità al Senato il 22 dicembre 2003), è stata definiti­
vamente approvata con la L. 9 gennaio 2004, n. 6 (pubblicata sulla G.U. del
19.1.2004 n. 14 ed entrata in vigore sessanta giorni dopo la sua pubblicazio­
ne, ossia il 19.3.2004), concernente la “Introduzione nel libro primo, titolo
XII, del codice civile, del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione
di sostegno e modifica degli articoli 338, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429
del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonché relative
norme di attuazione, di coordinamento e finali”.
1.3. Gli ordinamenti stranieri.
La riforma attuata dalla legge 6/2004 si è ispirata agli esempi seguiti da
altri ordinamenti europei, nei quali già da tempo era stato travolto il vecchio
sistema fondato sulla logica della custodia e su un regime di protezione fi­
nalizzato a tutelare la società dall’incapace e l’incapace da sé stesso; tale si­
stema è stato sostituito da quello più liberale ispirato ai principi della libertà
e della dignità della persona inferma o disabile e del suo recupero alla vita
di relazione. Le riforme degli altri paesi europei, a seconda dei casi, hanno
privilegiato la tecnica delle modifiche alla normativa previgente (Francia,
Spagna, Svizzera, Belgio) oppure la strada della riforma radicale, con un
netto taglio al vecchio sistema di protezione e la realizzazione di un nuovo
istituto (Austria, Germania).
Tra i nuovi istituti che hanno preceduto la nascita dell’amministrazio­
ne di sostegno, troviamo la Sachwalterschaft austriaca, la Sauvegarde de
justice francese, la Betreung tedesca e l’Incapacitaciòn spagnola (che fissa
l’estensione ed i limiti dell’incapacità del soggetto in modo da rendere la
condizione giuridica dell’incapace “proporzionata all’attitudine a provve­
dere a sé medesimo”). Addirittura in Germania e in Austria è stato comple­
tamente eliminato il vetusto istituto dell’interdizione, prevedendo un unico
strumento di protezione, mentre Francia e Spagna hanno optato, come l’Ita­
31
L’amministrazione di sostegno nell’INTERPRETAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA
lia, per la soluzione imperniata sulla pluralità di strumenti.
Passiamo sinteticamente in rassegna la disciplina contenuta in alcuni di
questi ordinamenti.
Austria
32
La legge austriaca n. 136 del 2 febbraio 1983 a tutela degli incapa­
ci (Bundesgesetz 2 Febr. 1983 über die Sachwalterschaft für behinderte
Personen), entrata in vigore il 1° luglio 1984, ha inteso rompere del tut­
to con il vecchio sistema tradizionale della loro protezione attraverso gli
istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, che sono stati completamente
cancellati, dando vita ad un sistema assolutamente nuovo nella tradizio­
ne giuridica occidentale [P.M.Vecchi, La riforma austriaca della tutela degli
incapaci, in Riv. dir. civ., 1987, 37 e ss.]. Tale sistema è imperniato sulla
figura di un curatore (Sachwalter), i cui compiti vengono stabiliti di volta in
volta dal giudice della corte nel cui distretto risiede il soggetto bisognoso
di sostegno in base alle esigenze del caso concreto e segnatamente in ra­
gione del grado di infermità della persona e della natura e quantità di atti
da compiere.
A differenza della nostra amministrazione di sostegno, la Sachwal­
terschaft non si applica ai disabili motorî, ma solo a chi soffra di una pa­
tologia di natura psichica – e non possa essere assistito nell’ambito della
propria famiglia o da istituti specializzati – quando la misura sia reputata
necessaria per evitare alla persona il pregiudizio, in tutto o in parte, dei pro­
pri affari, compresi quelli personali, fra i quali il matrimonio [P.M.Vecchi,
cit., 39]. La nomina può avvenire solo dietro richiesta dell’interessato o
d’ufficio e il relativo provvedimento può contenere l’autorizzazione alla
persona protetta a disporre, senza l’intervento del Sachwalter, di cose deter­
minate o di parti del reddito. In assenza di tale autorizzazione, il soggetto
può disporre o assumere obbligazioni solo con il consenso, espresso o ta­
cito, del Sachwalter.
Chi è assoggettato alla Sachwalterschaft non perde la propria capaci­
tà, quindi può contrarre matrimonio, sempre che sia capace di intendere
e di volere, qualora vi sia l’assenso del Sachwalter e può anche testare,
purché capace di intendere e di volere e davanti ad un pubblico ufficia­
le. Insomma, le limitazioni alla capacità di agire non sono predeterminate
dalla legge, ma sono di volta in volta stabilite dal giudice, sulla base delle
possibilità del disabile, fissando in maniera analitica l’ambito della compe­
tenza del curatore.
Con la legge del 31 marzo 1990 è stata creata un’apposita struttura (l’as­
sociazione degli amministratori), che ha il compito della formazione profes­
sionale di questa nuova categoria di curatori [R.Lenzi, L’amministratore di
sostegno: un profilo comparatistico, nel vol. L’am­mi­ni­strazione di sostegno.
Applicazioni pratiche e giurisprudenza, a cura di A.Bortoluzzi, Torino,
2005, 74].
I principi ispiratori e le tappe storiche dell’amministrazione di sostegno
Siamo sicuramente di fronte ad un sistema molto flessibile, che crea
le condizioni più idonee per il recupero sociale dell’interessato attraver­
so la conservazione della sua piena capacità di agire nell’ambito rimasto
estraneo alla misura e che pone l’ordinamento austriaco (insieme a quello
tedesco, a cui accenneremo infra) in una situazione più avanzata di quella
francese [K.Klement, Sintesi del sistema austriaco dell’amministrazione di
sostegno (Sachwalterschaft), nel vol. La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, Atti del convegno di studi su “Capacità ed autonomia della persona”, Roma 20.6.2002, a cura di S.Patti, Milano, 2002, 79 e ss.; E.Calò,
Amministrazione di sostegno, Milano, 2004, 23 e ss.].
Con l’introduzione della Sachwaltershaft si è realizzata una più com­
pleta tutela dei diritti fondamentali della persona, che acquisisce una po­
sizione centrale e primaria, non più subordinata alle esigenze del traffico
economico e giuridico [P.M.Vecchi, cit., 51].
La Francia per prima ha rivoluzionato in maniera radicale la materia, Francia
riconoscendo agli incapaci pari dignità giuridica e sociale con la Legge
68-5 del 3 gennaio 1968 (c.d. riforma Carbonnier, “Du droit des incapables
majeurs”), che, attraverso la riformulazione per intero del titolo XI del libro I
del code civil (intitolato “De la majoritè et des majeurs qui sont protègès par
la loi”), ha istituito i tre regimi di protezione ancora oggi vigenti nell’ordina­
mento francese, vale a dire la tutela, la curatela e la sauvegarde de justice.
In precedenza, la disciplina prevedeva l’interdizione (che si applicava
alle ipotesi di “imbécillité, démence ou fureur” e determinava l’incapacità
generale del soggetto e l’apertura della tutela) e il Conseil Judiciaire (per le
fattispecie di “faiblesse d’esprit, prodigalité….”). Dell’interdizione si cen­
surava, oltre che il taglio improntato alla custodia, l’impiego di una termi­
nologia dura per designarne i presupposti (imbecillità, demenza e furore) e
il suo avvio a seguito del parere del conseil de famille, formato da membri
nominati dal giudice tutelare e scelti fra i parenti e gli affini. Del Conseil
Judiciaire si criticava, in particolare, il ricorso all’espressione “debole di
spirito” e il ruolo svolto dalla famiglia.
La disciplina francese del 1968 – che lascia solo sullo sfondo, e quale
mera misura residuale, il regime più severo, quello della tutela [G.Autorino
Stanzione, Le amministrazioni di sostegno nelle esperienze europee, nel
vol. l’Amministrazione di sostegno, a cura di G.Ferrando, Milano, 2005,
90] - privilegia, quale regola, la capacità della persona, che conserva in
linea generale il diritto di compiere tutti gli atti della vita civile, compresa
la vendita e la donazione dei propri beni. É altresì privilegiata la conserva­
zione dell’alloggio della persona protetta e dell’arredamento a sua disposi­
zione per il maggior tempo possibile, all’evidente scopo di garantire i diritti
fondamentali dell’infermo.
Delle attuali misure, la tutela rende necessaria la rappresentanza del
33
L’amministrazione di sostegno nell’INTERPRETAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA
34
soggetto negli atti della vita civile e determina l’invalidità degli atti da lui
compiuti. Il testamento fatto dopo l’assoggettamento alla tutela è nullo; il
matrimonio del maggiore sotto tutela richiede un parere medico e il con­
senso del conseil de famille.
La curatela investe invece i soli atti di straordinaria amministrazione,
per il compimento dei quali occorre il consenso del curatore, necessario
anche per il matrimonio.
La tutela e la curatela vengono adottate laddove le esigenze di protezio­
ne della persona derivino da alterazioni continuative e prolungate nel tem­
po e ciò ad asserita migliore garanzia della cura del patrimonio del disabile
e della posizione dei terzi [G.Autorino Stanzione, La protezione civilistica
del disabile per infermità mentale nell’ordinamento francese, in Riv. dir. civ.,
1991, I, 523 e ss.].
L’istituto della sauvegarde de justice (che costituisce un’assoluta novità
introdotta dal legislatore francese del 1968) si applica ai maggiorenni le
cui facoltà sono leggermente limitate dal punto di vista psichico o anche
fisico, purchè in quest’ultima ipotesi vi sia incidenza sulla capacità menta­
le o quantomeno sulla possibilità di manifestazione esterna della volontà
[G.Autorino Stanzione, La protezione civilistica del disabile…., cit., 560],
ma non al punto da rendere necessario un regime di assistenza o di rap­
presentanza. La legge stabilisce espressamente che il controllo degli atti
compiuti dalla persona sottoposta a tale misura venga svolto solo succes­
sivamente alla loro realizzazione, anche se il giudice può nominare un
mandatario speciale per un atto determinato oppure per una serie di atti
di uguale natura, ai sensi dell’art. 491-5 c.c. L’istituto in questione, che ha
il vantaggio della snellezza e della semplicità, presuppone una capacità di
discernimento che consente di condurre una vita sociale quasi normale,
pur con il rischio del compimento di atti pregiudizievoli [M.Abbate, Profili
della protezione giuridica degli incapaci maggiorenni in Francia, nel vol.
Gli incapaci maggiorenni, a cura di E.V.Napoli, Milano, 2005, 129 e ss.]
e garantisce la partecipazione della persona inferma alla vita di relazione
socio-giuridica.
La sauvegarde de justice è una misura temporanea, che può essere di­
sposta tanto nel corso di un procedimento per tutela o curatela quanto nel
caso in cui le facoltà mentali del soggetto siano temporaneamente alterate.
Esistono due procedure di sauvegarde de justice: una giudiziaria (che sfocia
nella pronuncia del giudice tutelare del luogo di residenza del beneficiario)
e una medica (richiesta dal medico curante al Procuratore della Repubblica
del luogo in cui è in corso il trattamento medico). Quest’ultima, in partico­
lare, ha una durata di due mesi eventualmente rinnovabili, anche più volte,
per periodi di sei mesi [M.Cipolletti, La legislazione italiana e la legislazione europea: confronto tra le figure tutelari previste nei diversi ordinamenti,
nel vol. Amministrazione di sostegno, a cura di L. Maravita, edizioni V. e
I principi ispiratori e le tappe storiche dell’amministrazione di sostegno
P., Milano, 2005, 121 e ss.]. La misura di protezione in questione consente
di conciliare svariate esigenze, tra le quali spiccano quella di non subire re­
strizioni alla capacità di agire, mantenendo inalterata la facoltà di esercitare
i propri diritti, e quella di non subire pregiudizio nella stipula dei contratti.
La materia è stata parzialmente riformata dalla legge n. 308 del 5 mar­
zo 2007, che ha introdotto una serie di novità nel code civil, rispetto alla
previgente normativa del 1968, favorendo sostanzialmente lo spostamento
da una tutela dell’individuo attraverso la privazione della libertà ad una
protezione attraverso l’aiuto sociale (protèger le faible sans jamais le di­
minuer). Anche il linguaggio è stato reso più dolce, venendo in rilievo “le
monde des personnes vulnèrables,” ed essendo stato soppresso il “voca­
bolario tradizionale” (incapacitè, controle, gouvernement de la personne):
v. E.V.Napoli, La prodigalità nell’inabilitazione, in Giust. Civ., 2008, 3031.
In particolare, condizione per la sottoposizione a tutela è una grave altera­
zione delle facoltà mentali o fisiche della persona, mentre la curatela, può
essere disposta quando la persona conserva integri i suoi diritti, dovendo
solo farsi consigliare e controllare da un curatore. Nel corso della tutela la
persona può, compatibilmente con le sue possibilità mentali, prendere de­
cisioni in materia di salute, può compiere da sola gli atti “strettamente per­
sonali” e, su autorizzazione del giudice, può stipulare assicurazioni sulla
vita, redigere un testamento o esercitare il voto. La nuova legge ha istituito
inoltre un mandat de protection future, sulla falsariga dell’atto di designa­
zione fatto dal beneficiario in vista della propria eventuale futura incapacità
ex art. 408, comma primo, c.c.. Si tratta di una nuova figura giuridica che
si inquadra nel superamento delle misure tradizionali di protezione, valo­
rizzando la volontà della persona, a cui è consentito di “dire la sua” nella
predisposizione di un’assistenza per la propria protezione futura, per il caso
in cui sia necessario [E.V.Napoli, op. ult. cit., 3031]. Infine, la citata riforma
del 2007 ha eliminato la prodigalità quale causa di curatelle.
Anche l’ordinamento tedesco ha introdotto da anni nuovi istituti più Germania
flessibili in favore delle esigenze del disabile. In particolare, con la legge 12
settembre 1990, n. 48, entrata in vigore il 1° gennaio 1992, le vecchie misu­
re della Entmündigung (interdizione), della Vormundschaft über Volljährige
(tutela dei maggiorenni) e della Gebrechlikeitspflegschaft (curatela) sono
state radicalmente sostituite dalla Betreuung (assistenza), istituita a seguito
delle numerose e crescenti critiche rivolte dalla dottrina e dagli utenti alla
disciplina previgente.
La ratio di questa legge è da ricercare nel miglioramento della posizione
giuridica della persona bisognosa di protezione e nella salvaguardia dei
suoi diritti personali e patrimoniali attraverso un’ampia autonomia decisio­
nale [E.Caruso, L’assistenza nell’ordinamento tedesco, nel. vol. Gli incapaci maggiorenni, a cura di E.V. Napoli, cit., 173 e ss.].
35
L’amministrazione di sostegno nell’INTERPRETAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA
La riforma ha inciso proprio su quegli aspetti della vecchia disciplina
che avevano raccolto i maggiori dissensi: vale a dire la prevalenza della
volontà del tutore e del curatore su quella della persona protetta e il favor
verso l’amministrazione dei beni dell’incapace piuttosto che verso la cura
della sua persona.
La normativa tedesca – che ha realizzato la riforma più radicale e tecni­
camente più compiuta del settore in questione [G.Cian, L’ammini­stra­zione
di sostegno nel quadro delle esperienze giuridiche europee, in Riv. dir. civ.,
2004, II, 481 e ss.] – ha preso lo spunto dalla Sachwalterschaft austriaca,
la quale pure aveva già precedentemente sostituito la figura del tutore. La
Betreuung non determina l’automatico venir meno della capacità di agire,
potendo la persona assistita compiere da sola gli atti giuridici, ivi compresi
matrimonio, testamento e acquisti, salvo che il provvedimento di nomina
del Betreuur, anziché limitarsi ad istituire un’assistenza aggiuntiva, non di­
sponga l’obbligo del consenso di quest’ultimo.
Quale presupposto, non è richiesto alcun particolare stato patologico,
rilevando solo gli eventuali effetti di tale condizione sul piano del bisogno di
protezione del soggetto [E.V.Napoli, La Betreuungsgesetz. Dagli status alla
flessibilità nel sistema di protezione degli incapaci nella Repubblica Federale
di Germania, in Riv. dir. civ., 1995, I, 539 e ss.]. In linea generale, se un
maggiorenne non sia capace, a causa di impedimenti fisici o psichici, anche
gravi, di amministrare in tutto o in parte i suoi affari e non possa essergli
fornita adeguata assistenza con il supporto di familiari, parenti, amici, cono­
scenti o dei servizi ambulatoriali, il giudice, su sua istanza o d’ufficio, gli no­
mina un Betreuur [E.Calò, cit., 31], il quale diviene il rappresentante legale
dell’assistito nei limiti delle funzioni assegnategli dal giudice e ha l’obbligo
di seguire il più possibile le richieste e i bisogni del beneficiario, sempre che
non siano per lui pregiudizievoli [M.Cipolletti, cit., 126]. L’istituto in esame
non coinvolge la capacità di agire del soggetto in difficoltà, posto che la
nomina del Betreuur per lo svolgimento dell’attività negoziale del beneficia­
rio della Betreuung conduce ad una riserva di consenso all’atto compiuto
dall’assistito. Nel caso di handicap fisico, la richiesta di sostegno può essere
presentata soltanto da parte dell’interessato. Tuttavia, nell’ipotesi di meno­
mazioni fisiche che possono incidere sulla formazione di una libera capacità
di autodeterminazione (per esempio, cecità dalla nascita), il Betreuur può
anche essere nominato contro la volontà dell’interessato: a questo riguardo
la volontà non può considerarsi libera quando la persona non sia in grado di
percepire i vantaggi che deriverebbero dalla Betreuung.
Grecia
36
Il codice civile greco disciplina la capacità di agire negli articoli da 127
a 137.
La regola generale, sancita dall’art. 127 c.c., della piena capacità di
agire con il raggiungimento della maggiore età, soffre due tipi di eccezio­
I principi ispiratori e le tappe storiche dell’amministrazione di sostegno
ni: i) quella della limitata capacità (inabilitazione), riguardante le persone
di maggiore età che, a causa delle loro condizioni psicofisiche (malattia
mentale, infermità fisica, sordità, mutismo, cecità, prodigalità, alcoolismo,
tossicodipendenza), non sono del tutto in grado di attendere alla cura della
propria persona e dei propri interessi patrimoniali, ii) quella dell’incapacità
di agire (interdizione), che colpisce i maggiorenni che, a causa di una loro
grave patologia mentale o infermità somatica, sono del tutto impossibilitati
a curare sè stessi e il loro patrimonio e vedono così interamente soppressa
la loro libertà negoziale. Conseguentemente, l’atto compiuto dall’interdet­
to, anche se in un momento di rara lucidità, è sempre nullo.
Analogamente a quanto stabilito dal nostro codice civile, anche quel­
lo greco non detta una definizione di infermità mentale che conduca alla
dichiarazione di interdizione, lasciando alla scienza medica il compito di
delinearne le caratteristiche. La legge si limita solo a precisare che deve trat­
tarsi di malattia cronica (non necessariamente incurabile) di tale gravità da
impedire alla persona l’uso della ragione e da determinarne l’incapacità di
prendersi cura di sè stessi e del proprio patrimonio. Analogo discorso vale
per la menomazione fisica [V.Perifanaki Rotolo, Capacità e incapacità
d’agire nell’ordinamento greco, nel vol. Gli incapaci maggiorenni, a cura di
E.V.Napoli, cit., 203 e ss.].
Ad evitare una pioggia di domande di interdizione, la legge richiede: i)
che all’istanza venga allegato un parere del consiglio di famiglia (convocato
ad hoc dal giudice di pace su richiesta dell’istante); ii) che dalla delibera
e dalla formulazione del parere venga escluso il familiare che presenti la
richiesta di interdizione.
Infine, nell’ipotesi di incapacità naturale (o di fatto), la rigida regola (da
applicare con prudenza e caso per caso) della nullità della dichiarazione di
volontà resa da persona che non aveva in quel momento coscienza dei suoi
atti o che era priva dell’uso della ragione a causa di malattia mentale, trova
un temperamento nella previsione di un risarcimento del danno in favore
di chi, in buona fede, ha intrattenuto rapporti giuridici con un incapace
naturale. Tale risarcimento viene posto a carico di quest’ultimo e consiste
in un ristoro pecuniario per l’atto improduttivo di effetti perché colpito da
nullità, sempre che i danni non siano diversamente riparabili [V.Perifanaki
Rotolo, cit., 217 e 218].
In Inghilterra, sulla scorta del Mental Health Act del 1983, esistono due Inghilterra
distinte figure, il receiver per l’amministrazione del patrimonio dell’inca­
pace e il guardian per la cura della sua persona, nominati entrambi dalla
Court of Protection. Parallelamente vi è anche un’articolata disciplina della
rappresentanza volontaria dell’incapace, che è venuta formandosi progres­
sivamente nel tempo con l’Enduring Powers of Attorney Act 1985 (Legge
del 1985 sui poteri persistenti del procuratore), con la Court of Protection
37
L’amministrazione di sostegno nell’INTERPRETAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA
(Enduring Power of Attorney Rules 1986) (Legge del 1986 sulle regole della
Corte di Protezione in tema di poteri persistenti del procuratore) e con l’En­
during Powers of Attorney (Prescribed Forms) Regulations 1990 (Legge del
1990 regolatrice delle forme stabilite per l’esercizio dei poteri persistenti
del procuratore).
In particolare, l’Enduring Powers of Attorney Act 1985 (i cui effetti sono
limitati alla cura del patrimonio e non anche della persona del rappresenta­
to) consente il rilascio di una procura in previsione di una eventuale futura
incapacità, che tuttavia non conferisce automaticamente al rappresentante
il potere di agire a seguito dell’intervenuta incapacità del rappresentato,
producendo invece efficacia solo a seguito della sua registrazione presso la
Court of Protection. Da tale momento il rappresentato non potrà revocare,
né estendere o restringere i poteri attribuiti nella procura.
Eventuali questioni interpretative della portata e degli effetti della
procura vengono risolte dalla Corte, che può altresì dare istruzioni circa
l’amministrazione e il rendiconto, fissare il compenso del procuratore e
revocare la procura, fra l’altro, nell’ipotesi in cui il rappresentato riacquisti
la capacità di agire o il procuratore non sia in grado di svolgere i compiti
inerenti l’ufficio [E.Calò, Amministrazione di sostegno, cit., 38 e 39].
Spagna
38
Nell’ordinamento spagnolo già la legge n. 13 del 24 ottobre 1983 (suc­
cessivamente integrata dalla legge n. 1/2000), sulla base del principio che
la condizione giuridica dell’incapace deve essere proporzionata alla sua
idoneità a provvedere a se stesso, ha stabilito che nella sentenza dichia­
rativa dell’incapacità devono esserne fissati estensione e limiti [G.Lisella,
Fondamento e limiti dell’incapacitaciòn nel diritto spagnolo, in Rass. Dir.
Civ., 1985, II, 771 e ss.]. E questo vale anche per gli atti c.d. personalissimi,
quali il matrimonio, il riconoscimento del figlio naturale e il testamento.
Tuttavia la dichiarazione di incapacità ha quale fine la protezione degli
interessi della persona e trova la propria giustificazione solo se l’infermità
fisica o psichica rappresenta un impedimento reale alla sua partecipazione
alla vita sociale, lavorativa, politica e culturale. Vale a dire che la dichiara­
zione deve costituire solo una misura di protezione e non un ostacolo alla
piena realizzazione della persona.
La riforma prende le mosse dall’adeguamento della normativa alle muta­
te condizioni sociali della Nazione e ai principi contenuti nella Costituzione
del 1978.
L’incapacitaciòn si applica alle ipotesi di infermità fisica o psichica,
congenita o acquisita, che rivesta il carattere dell’attualità, dell’abitualità e
della durevolezza. La sua applicabilità presuppone non soltanto lo stato di
malattia della persona, ma anche l’accertata condizione di incapacità del
malato ad aver cura della propria persona. É stata così abbandonata una
certa visione economica e strettamente patrimonialistica dell’istituto, per
I principi ispiratori e le tappe storiche dell’amministrazione di sostegno
far spazio alla considerazione della personalità dell’individuo [F.D’innella,
Interdizione e inabilitazione: loro attuale significato e prospettive di riforma
per una protezione globale dell’incapace, in Giur. It., 1987, I, 1113 e ss.].
La dichiarazione di incapacità non può avere la funzione di impedire lo svi­
luppo della personalità del soggetto, ma deve invece favorire, nei limiti del
possibile, il godimento dei diritti fondamentali, riconosciuti a tutti i cittadini
[R.Lenzi, nel vol. L’amministrazione di sostegno. Applicazioni pratiche e giurisprudenza, cit., 74]. Neppure il provvedimento che pronuncia l’incapaci­
tà assoluta può incidere su tutta la sfera giuridica della persona, atteso che,
in forza dell’art. 267 del codigo civil, vi sono atti che questa potrà compiere
comunque autonomamente, per esplicita previsione normativa.
Diverse sono le figure di protezione a cui poter ricorrere: la tutela (è
la misura più grave, può riguardare anche la cura della persona, può essere
richiesta da parenti, P.M. e da chiunque sia a conoscenza dello stato della
persona, deve avere come fine il massimo beneficio e interesse del soggetto
e, se possibile, il recupero delle sue capacità e il suo reinserimento sociale),
la curatela (si applica prevalentemente ai prodighi e non comporta la rap­
presentanza legale della persona, limitandosi il curatore ad integrare le sue
capacità ), il difensore giudiziale (figura nominata in caso di conflittualità
fra tutore/curatore e beneficiario o di inadempienza dei primi), la proroga
della potestà (conseguente alla declaratoria giudiziale di incapacità del fi­
glio minore) [M.Cipolletti, cit., 127 e ss.].
Di recente la legge 18 novembre 2003, n. 41 ha disposto, in sintonia
con quanto di lì a poco stabilito in Italia per l’amministratore di sostegno
dalla L. 6/2004, che un soggetto possa, in previsione di una sua eventuale
futura incapacità, manifestare, con atto pubblico notarile, la sua volontà
circa la gestione personale e del proprio patrimonio ed anche designare il
nominativo del tutore. Tale atto deve essere comunicato all’Ufficiale dello
Stato Civile e da questi annotato a margine dell’atto di nascita.
Anche in Spagna, come in Italia, il giudice può, con provvedimento
motivato, discostarsi dalla designazione effettuata dall’interessato, nomi­
nando altra persona, ove le circostanze lo rendano opportuno.
Si tratta di una disciplina che non ingabbia il regime di protezione in
uno schema rigido e predeterminato ma che anzi, partendo dalla presun­
zione di capacità del soggetto, arriva ad affermare l’esclusione dell’auto­
matismo tra le deficienze fisiche e psichiche e l’incapacitaciòn, laddove la
patologia non sia tale da impedire al soggetto la conoscenza della realtà
o la sua capacità volitiva [G.Autorino Stanzione, Le amministrazioni di
sostegno nelle esperienze europee, cit., 98].
Dal sintetico esame delle discipline adottate più o meno di recente dai Conclusioni
vari ordinamenti europei possiamo dire che in generale la tendenza co­
mune è quella di rinnegare l’equazione “malattia uguale incapacità ”, con
39
L’amministrazione di sostegno nell’INTERPRETAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA
ciò mostrando un maggiore equilibrio e una più spiccata sensibilità rispetto
al passato.
Siffatta conclusione si evince dalla previsione del restringimento delle
ipotesi di incapacità legale (riservate ai soli casi di assoluta indispensabili­
tà) e, di contro, dalla elasticità e flessibilità delle misure di protezione, da
valutarsi e applicarsi caso per caso. Oggi, di conseguenza, è venuto meno
l’automatismo fra l’applicazione di tali misure e la previa o contestuale
declaratoria di incapacità del soggetto [A.Venchiarutti, Incapaci in diritto comparato, in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. Civile, vol. IX,
Torino, 1993, 384 e ss.].
Al contrario, viene in rilievo la volontà della persona, che assume un
ruolo centrale e una dimensione vitale con l’attribuzione di un ambito più
o meno esteso di autonomia decisionale, per valorizzare le sue residue at­
titudini intellettive, in particolare per quanto riguarda il compimento degli
atti strettamente personali.
In breve, anche quando il soggetto sia legalmente incapace, la sua ido­
neità al singolo atto viene tendenzialmente valutata caso per caso.
Anche il nostro ordinamento, con l’entrata in vigore della legge 6/2004,
si è incanalato in questa direzione (si veda la solenne finalità, dichiarata
nell’art. 1, di garantire le persone prive di autonomia “con la minore limi­
tazione possibile della capacità di agire”), pur con sostanziali differenze
rispetto alle altre discipline europee, anche laddove sembrano profilarsi al­
cuni punti di contatto.
Austria e Germania hanno espressamente abolito l’interdizione e l’ina­
bilitazione, mentre la nostra legge non ha riformato l’intero previgente si­
stema. La normativa spagnola e soprattutto quella francese, poi, pur met­
tendo in discussione la capacità di agire della persona priva di autonomia,
sono orientate ad evitarle una sottrazione della capacità (si vedano le leggi
del 1983, del 2000 e del 2003 per la Spagna e la Sauvegarde de Justice fran­
cese), quando invece il nostro ordinamento ha previsto, anche per il nuovo
istituto, il mantenimento delle tradizionali misure della rappresentanza e
dell’assistenza.
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