Università degli Studi di Trieste Studio della risposta di un rivelatore

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Università degli Studi di Trieste
Dipartimento di fisica
Corso di Laurea Triennale in Fisica
Studio della risposta di un rivelatore monolitico
a pixel di silicio alla radiazione alfa proveniente
da una sorgente di 241Am
Laureando:
Giovanni Bassi
Relatore:
Prof. Paolo Camerini
Correlatore:
Miljenko ’ulji¢
ANNO ACCADEMICO 20152016
A Silvia.
1
INDICE
Indice
1 Introduzione
1.1
1.2
1.3
1.4
Obiettivi dell'esperimento . . . . . . . . .
Rivelatori di ALICE . . . . . . . . . . . .
ITS odierno e relative limitazioni . . . . .
Concetti fondamentali per l'aggiornamento
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di ITS .
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2
2
2
3
4
2 Interazione radiazione-materia
5
3 Semiconduttori e giunzioni
9
2.1
2.2
2.3
Formula di Bethe-Bloch . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Interazione tra fotoni e materia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sorgenti utilizzate e relativi processi di interazione . . . . . . . . . . . . . .
4 pALPIDE-1
4.1
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
4.7
Struttura della matrice . . . . . . .
Principio di operazione . . . . . . .
Circuito analogico . . . . . . . . .
Circuito digitale . . . . . . . . . . .
Lettura dei dati . . . . . . . . . . .
Hardware di supporto al chip . . .
Software di controllo e procedure di
5 Test del rivelatore
5.1
5.2
5.3
5.4
Risultati dei test preliminari . . . .
Rumore della risposta dei pixel . .
Cluster e algoritmo di ricostruzione
Misure con 55 Fe . . . . . . . . . . .
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Congurazione sperimentale . . . . . . .
Collimazione e centratura della sorgente
Determinazione della distanza minima .
Esecuzione delle misure . . . . . . . . .
Analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Misura sui fotoni emessi . . . . . . . . .
Confronto alfa-fotoni e taglio sui fotoni .
Determinazione delle incertezze . . . . .
Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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7 Conclusioni
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6 Misure con sorgente di 241 Am
6.1
6.2
6.3
6.4
6.5
6.6
6.7
6.8
6.9
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test preliminari .
5
6
7
14
14
14
15
16
17
17
18
20
20
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23
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26
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28
32
33
34
35
37
1
2
INTRODUZIONE
1 Introduzione
ALICE (A Large Ion Collider Experiment) è stato realizzato per studiare la sica della
materia sottoposta ad interazioni forti e in particolar modo per investigare il plasma di
quark e gluoni (QGP); uno stato della materia in cui temperatura e pressione sono tali da
permettere a quark e gluoni di muoversi liberamente. Questo stato è studiato utilizzando
le collisioni nucleo-nucleo nel contesto del Large Hadron Collider (LHC) al CERN.
L'esperimento ALICE è composto da diversi rivelatori: il lavoro di questa tesi è focalizzato sul sistema di tracciamento interno (ITS) per il quale è previsto un aggiornamento
durante il secondo shutdown di LHC nel periodo 2019-2020. L'installazione del nuovo
sistema ITS porterà ad un miglioramento delle capacità di tracciamento (vedi Sezione 1.4).
Nel seguito del capitolo verrà fornita una panoramica dell'esperimento ALICE, in particolare sul suo sistema di tracciamento interno (ITS) e sul suo aggiornamento. Nel capitolo
2 verranno forniti i concetti fondamentali per la comprensione dell'interazione tra particelle
e materia. Nel capitolo 3 verranno discusse le basi teoriche della sica dei semiconduttori,
conoscenze che sono necessarie per la comprensione del funzionamento del primo prototipo
di rivelatore descritto nel capitolo 4. Nel capitolo 5 saranno discussi i test preliminari
eseguiti sul rivelatore per vericarne il corretto funzionamento e sarà descritta la misura
eseguita con sorgente contenente 55 Fe. Nel capitolo 6 verranno presentate le misure eseguite per la caratterizzazione del rivelatore tramite una sorgente contenente 241 Am e la
relativa analisi. Verranno inne presentati e commentati i risultati complessivi del lavoro
di tesi.
1.1 Obiettivi dell'esperimento
L'esperimento ALICE è stato progettato in modo da osservare un minor numero di eventi
rispetto agli altri esperimenti di LHC, ma di questi determinare il maggior numero di
osservabili possibili.
La corrente congurazione sperimentale del rivelatore ha permesso di confermare la
natura del QGP come un liquido quasi perfetto1 , osservando la materia a temperature
e densità mai raggiunte prima. Con l'aggiornamento del rivelatore nel 2020 si vogliono
utilizzare al meglio le capacità di LHC, misurando con precisione i prodotti di decadimento
di quark pesanti e fotoni di bassa energia.
1.2 Rivelatori di ALICE
ALICE misura 26 m in lunghezza e 16 m in altezza. Come si può notare dalla gura 1,
l'esperimento è composto da diversi rivelatori, complementari tra di loro.
• Inner Tracking System (ITS)
• Forward Muon Detector (FMD)
• Time Projection Chamber (TPC)
• Zero Degree Calorimeter (ZDC)
• Time-Of-Flight detector (TOF)
• V0 e T0
Il sistema di tracciamento (ITS) verrà approfondito nella prossima sezione, TPC e TOF
si occupano del tracciamento e dell'identicazione di particelle rispettivamente tramite la
loro perdita di energia (TPC) o tramite il loro tempo di volo dal momento dell'interazione
1
In uidodinamica standard si denisce uido perfetto un uido che ha densità costante e coeciente
di viscosità nullo
1
3
INTRODUZIONE
(TOF). Il muon tracker traccia i muoni diretti in avanti, mentre ZDC, V0 e T0 si occupano
di determinare il momento in cui è avvenuta la collisione.
Figura 1: Rivelatori di ALICE.
1.3 ITS odierno e relative limitazioni
Il corrente sistema di tracciamento interno è formato da sei strati cilindrici di rivelatori al
silicio posti coassialmente attorno al fascio di particelle in collisione, coprendo una distanza
radiale compresa tra 39 mm e 436 mm (vedi Figura 2). Questi limiti dimensionali sono
imposti dal raggio del beam pipe, internamente, e dalla presenza della TPC esternamente.
I primi due strati dell'ITS sono formati da rivelatori di pixel al silicio (SPD), i due strati
centrali da rivelatori a deriva al silicio (SDD) mentre gli ultimi due sono dotati di rivelatori
a microstrisce al silicio (SSD).
Figura 2: Schema dei rivelatori che compongono l'ITS odierno.
Sebbene la presente congurazione di rivelatori abbia portato a importati risultati, ci
sono degli aspetti per i quali il rivelatore attualmente installato non è ottimizzato. La
precisione nella determinazione dei vertici secondari non è adeguata per alcune tipologie
di decadimento, come ad esempio il decadimento di adroni con quark charm e beauty.
Le ridotte capacità di lettura (1kHz) e trasferimento dei dati non sono sucienti per far
fronte alla luminosità e alla frequenza d'interazione che si prevede di avere dopo l'upgrade
di LHC.
1
INTRODUZIONE
4
Queste limitazioni sono state considerate durante la progettazione del nuovo ITS.
1.4 Concetti fondamentali per l'aggiornamento di ITS
In questa sezione verranno esaminate le caratteristiche principali dell'aggiornamento dell'ITS, comparandole con quelle odierne.
•
Avvicinamento del primo strato di rivelatori al fascio:
•
Riduzione dello spessore del materiale: la riduzione dello spessore del primo strato di rivelazione è fondamentale per il miglioramento della risoluzione del
parametro di impatto.
•
Geometria e suddivisione:
•
Misure di perdita di energia:
•
Lettura e trasferimento di dati:
la riduzione del diametro della beam pipe è uno degli obiettivi principali per poter avvicinare a questa il
primo strato di rivelatori, in modo da migliorare le misure del parametro di impatto.
le considerazioni che si faranno sono basate su un
rivelatore costituito di sette strati cilindrici e concentrici con un'estensione radiale
compresa tra 22 mm e 430 mm. Ciascuno strato sarà suddiviso in pixel di dimensioni
∼ 28 µm × ∼ 28 µm (vedi Figura 3). Ad una maggiore grandezza dei pixel corrisponde una miglior risoluzione della posizione delle particelle nel caso di alta molteplicità,
condizione che ci si aspetta dopo l'aumento di luminosità.
il nuovo sistema di rivelazione non misurerà la
perdita di energia per ionizzazione degli strati di silicio; si avrà unicamente una
lettura binaria senza informazioni sulla carica raccolta.
i nuovi rivelatori sono progettati per raggiungere
una frequenza di lettura pari a 100 kHz per le interazioni piombo-piombo e 400 kHz
per le interazioni protone-protone.
Figura 3: Congurazione dell'ITS dopo l'aggiornamento: i tre starti più interni prendono
il nome di Inner Barrel mentre i quattro strati più esterni quello di Outer Barrel.
2
5
INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA
2 Interazione radiazione-materia
Per comprendere al meglio la struttura e il funzionamento del rivelatore, elementi che
verranno presentati successivamente, è necessario discutere i concetti principali dell'interazione tra radiazione e materia. Considerando una particella carica che penetra in uno
strato di materia, questa dà origine a diversi processi, tra questi i più importanti per la
presente tesi sono:
• Interazione con gli elettroni atomici
• Scattering elastico con i nuclei
Nell'interazione tra due particelle cariche la variazione di energia di una è inversamente
proporzionale alla massa dell'altra, ciò implica che la perdita di energia della particella
entrante nel materiale risenta molto di più dell'inuenza degli elettroni rispetto a quella
dei nuclei.
2.1 Formula di Bethe-Bloch
La perdita di energia per unità di lunghezza percorsa nel materiale per una particella carica
è calcolata tramite la formula di Bethe-Bloch [1]
[ (
)
]
2
2me c2 β 2 γ 2 Wmax
dE
2
2 Zz
2
= 2πNa re me c ρ 2 ln
− 2β
(1)
−
dx
Aβ
I2
dove:
• z è il numero atomico della particella
incidente
• me è la massa dell'elettrone
• Na è il numero di Avogadro
• c è la velocità della luce
• β è il rapporto tra la velocità della
particella e quella della luce
• γ è il fattore di Lorentz
• I è l'energia di ionizzazione
• Z è il numero atomico del materiale
assorbente
• A è il peso atomico del materiale
assorbente
• ρ è la densità del materiale assorbente
• Wmax è la massima energia trasferita
in una singola collisione
Questa energia viene utilizzata per eccitare o ionizzare gli atomi.
Dalla rappresentazione (vedi Figura 4) di (1) si può notare la presenza di una prima
zona A di decrescita proporzionale a β12 , una zona B di perdita minima di energia, una
zona C proporzionale a ln (γ 2 β 2 ) e una zona D a crescita lenta.
Normalmente vengono aggiunte due correzioni alla formula (1), note come eetto densità e correzione di shell. La prima è importante ad alte energie (tratto D) ed è dovuta alla
polarizzazione degli atomi i cui elettroni più interni schermano parte del campo elettrico
nucleare a cui sono sottoposti gli elettroni più esterni, di conseguenza le collisioni con questi
elettroni contribuiscono meno alla perdita di energia. La seconda correzione è importante
a basse energie (tratto A), quando la velocità della particella entrante è comparabile o minore della velocità orbitale degli elettroni legati, per cui l'assunzione di elettroni stazionari
non vale più.
2
INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA
6
Figura 4: Formula di Bethe-Bloch per diversi materiali [2].
Il minimo della curva si presenta a β ≃ 0.96, tuttavia l'energia corrispondente a questo
minimo dipende dalla massa della particella incidente (a masse maggiori corrispondono
energie maggiori). Ciò mette a disposizione un metodo per classicare le particelle. Al
variare del mezzo attraversato invece, risulta maggiore la perdita di energia quando il
rapporto tra il numero atomico e il numero di massa è maggiore.
2.2 Interazione tra fotoni e materia
La mancanza di una carica elettrica per i fotoni è la causa di un comportamento completamente diverso nell'interazione di questi con la materia rispetto alle particelle cariche. In
particolare le interazioni principali sono:
• Eetto fotoelettrico
• Diusione Compton
• Creazione di coppie elettrone-positrone
Vengono ora discusse le tre interazioni principali tra fotone e materia.
2.2.1 Eetto fotoelettrico
L'eetto fotoelettrico consiste nell'assorbimento di un fotone da parte di un elettrone atomico e nella conseguente emissione dell'elettrone con energia E = hν − E0 , dove ν è la
frequenza del fotone incidente ed E0 l'energia di legame dell'elettrone.
Rispetto alle particelle cariche e per particolari energie, i fotoni penetrano molto di più
nella materia e non vengono degradati in energia, ma solo indeboliti in intensità. Ciò è
dovuto alla minor sezione d'urto rispetto al processo di collisione degli elettroni e al fatto
che i fotoni a bassa energia o vengono completamente assorbiti, e quindi non fanno più
parte del fascio, o passano senza interazioni attraverso il materiale.
L'attenuazione in intensità segue una legge esponenziale del tipo I(x) = I0 e−µx , dove I0
è l'intensità del fascio incidente, x lo spessore del materiale attraversato e µ il coeciente
di assorbimento.
2
INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA
7
2.2.2 Diusione Compton
Questa interazione consiste nello scattering tra un fotone e un elettrone libero. Sebbene
nella materia gli elettroni siano legati, si possono approssimare a liberi quelli che hanno
un'energia di legame molto minore dell'energia del fotone.
La lunghezza d'onda del fotone uscente è λ′ = λ + mhe c (1 − cosθ), dove θ è l'angolo
compreso tra il fotone entrante e il fotone uscente.
2.2.3 Creazione di coppie elettrone-positrone
Questo processo consiste nella trasformazione di un fotone in una coppia elettrone-positrone
con conseguente conservazione della carica. Per la conservazione del momento la creazione
di coppie può avvenire unicamente in presenza di un terzo corpo, solitamente un nucleo,
e solo se il fotone possiede almeno il doppio dell'energia a riposo dell'elettrone, pari a
E = 2me c2 ≃ 1.02 M eV .
Volendo visualizzare i tre processi appena descritti nel loro insieme si possono rappresentare le relative sezioni d'urto in funzione dell'energia (vedi Figura 5). Si nota come a
basse energie domini l'eetto fotoelettrico, alle energie intermedie la diusione Compton e
alle alte energie la creazione di coppie.
Figura 5: Sezioni d'urto per i processi di interazione tra fotoni e materia (ferro) in funzione
dell'energia degli stessi [3].
2.3 Sorgenti utilizzate e relativi processi di interazione
Per la caratterizzazione del rivelatore, che sarà descritto in seguito, sono state utilizzate
sorgenti contenenti 241 Am e 55 F e, le quali producono rispettivamente particelle alfa e raggi
gamma prevalentemente.
L'americio 241 ha una vita media di 432.6 anni e decade secondo la seguente equazione:
241
95 Am
4
→237
93 N p +2 He + γ
con i seguenti prodotti principali di decadimento:
(2)
2
8
INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA
Particella
Energia
Intensità
α
α
α
γ
γ
γ
5.486 MeV
5.443 MeV
5.388 MeV
13.9 keV
59.541 keV
26.345 keV
84.8%
13.1%
1.7%
37 %
35.9%
2.27%
Nella tabella precedente le percentuali di intensità per le particelle alfa indicano quante
volte la particella con quella particolare energia viene emessa ogni cento disintegrazioni.
Mentre per i raggi gamma l'intensità indica il rapporto di diramazione che è denito come
il rapporto tra probabilità di decadimento in un dato canale e la probabilità di decadimento
totale.
e considerando
Considerando che le particelle alfa sono dotate di una massa pari a 3.73 GeV
c2
quelle emesse con più abbondanza, si può calcolare il parametro adimensionale γβ che
risulta essere 1.47 × 10−3 . Si può quindi aermare che le particelle alfa utilizzate stanno
nella regione a sinistra dell'asse delle ordinate di gura 4 e si muovono con una velocità
pari a 1.47 × 10−3 c, per la quale si può utilizzare con buona approssimazione la dinamica
newtoniana invece di quella relativistica. I raggi gamma rilasciati producono un eetto
fotoelettrico con la materia, essendo caratterizzati da un'energia relativamente bassa (vedi
Figura 5).
Il 55 Fe ha invece una vita media di 2.74 anni e decade per cattura elettronica nel 55 Mn con
i seguenti prodotti di decadimento principali:
Particella
Energia
Intensità
γ
γ
γ
5.899 keV
5.888 keV
6.49 keV
16.2 %
8.2%
1.89%
Analogamente ai fotoni prodotti dal decadimento dell'americio, anche i fotoni della tabella
precedente interagiscono prevalentemente per eetto fotoelettrico con il silicio.
3
SEMICONDUTTORI E GIUNZIONI
9
3 Semiconduttori e giunzioni
Dovendo discutere la struttura e il funzionamento di un prototipo di rivelatore al silicio,
si rende ora necessario presentare gli elementi fondamentali per la comprensione delle proprietà elettriche e di conduzione nel silicio e in particolar modo nelle giunzioni p-n.
Lo studio del moto di un elettrone all'interno di un potenziale periodico, ad esempio quello
prodotto dagli ioni in un cristallo, evidenzia la presenza di energie permesse per l'elettrone
ed altre proibite. L'insieme degli autovalori dell'energia permessi formano la struttura a
bande dei livelli energetici dell'elettrone.
A temperatura zero le bande sono o completamente occupate o completamente libere, la
banda totalmente occupata con energia più alta prende il nome di banda di valenza mentre
la banda totalmente libera a energia minore prende il nome di banda di conduzione. La
dierenza di energia tra lo stato più basso della banda di conduzione e lo stato più alto
della banda di valenza prende il nome di gap di energia e nel silicio vale 1.12 eV. A temperatura nita un elettrone può passare dalla banda di valenza a quella di conduzione se la
sua energia termica è almeno pari al gap di energia tra le due bande.
Applicando un campo elettrico l'elettrone in banda di conduzione sarà libero di muoversi,
così come gli elettroni in banda di valenza potranno muoversi. Spesso conviene descrivere
gli elettroni in moto in banda di valenza in modo unitario, si parla quindi di lacune.
In un semiconduttore intrinseco cioè in un semiconduttore i cui elettroni nella banda di
conduzione provengono dalla banda di valenza si ha che la concentrazione di elettroni è
uguale a quella di lacune (ni (T ) = pi (T )).
Figura 6: Schematizzazione delle bande di energia per il silicio intrinseco e drogato di tipo
n e p.
Una delle proprietà che caratterizzano i semiconduttori è la forte dipendenza della conduttività dalla presenza di impurezze, questa proprietà viene spesso utilizzata introducendo
delle impurezze chiamate droganti; sapendo che all'interno del reticolo gli atomi di silicio si
dispongono in modo da avere quattro primi vicini, formando così quattro legami covalenti,
l'introduzione di un drogante del gruppo V può essere trattata come la presenza di una
carica positiva ssa in più nel reticolo rispetto al silicio e di un elettrone non legato con
altri atomi vicini. L'elettrone risulta poco legato all'atomo di origine ed è quindi facile
ionizzarlo. Gli atomi droganti che hanno un protone in più rispetto al silicio prendono il
nome di donatori e il silicio così drogato è di tipo n; la presenza di questo tipo di droganti
causa l'inserimento di livelli localizzati nel gap di energia proibita, più vicino al minimo
della banda di conduzione (vedi Figura 6). Risulta quindi facile per un elettrone presente
in questo livello saltare nella banda di conduzione.
Sostituendo invece un atomo di silicio con un atomo del gruppo III si ha la presenza di una
carica negativa ssa nel reticolo e di una lacuna associata a questa. Ciò implica l'inseri-
3
SEMICONDUTTORI E GIUNZIONI
10
mento di un livello localizzato nel gap di energia proibita, vicino al massimo della banda
di valenza. Questo stato può facilmente accettare un elettrone dalla banda di valenza e
donare a questa una lacuna. Per questo motivo gli atomi che hanno una carica nucleare in
meno rispetto al silicio vengono chiamati accettatori e il semiconduttore così drogato è di
tipo p.
Possiamo quindi dire che le concentrazioni di elettroni e lacune sono rispettivamente [4]:
{
n = Nc e−(EC −EF )/kT = ni e(EF −Ei )/kT
(3)
p = Nv e−(EF −EV )/kT = ni e−(EF −Ei )/kT
dove Nc è la densità ecace di stati nella banda di conduzione, Ec è l'energia dello stato
più basso nella banda di conduzione, EF è l'energia di Fermi, k è la costante di Boltzmann,
Ei è l'energia di Fermi nel caso intrinseco, Nv è la densità ecace di stati nella banda di
valenza ed Ev è l'energia del livello più alto nella banda di valenza.
Denita ND(A) la concentrazione di donatori (accettatori), questa può a sua volta essere
+(−)
divisa in due contributi: ND(A) la concentrazione di donatori (accettatori) ionizzati e
0
ND(A)
la concentrazione dei donatori (accettatori) neutri. Considerato che solo i droganti
ionizzati contribuiscono alla conduzione, è utile determinare quanti donatori sono ionizzati,
si ottiene così:
{ +
ND ≃ ND (1 − 2e−(ED −EF )/kT )
(4)
NA− ≃ NA (1 − 4e−(EF −EA )/kT )
dove ED e EA sono rispettivamente le energie dei livelli localizzati di donatori e accettatori.
Si può notare che se ED o EA dieriscono dall'energia di Fermi di qualche kT allora
+(−)
ND(A) ≃ ND(A) e si ha la completa ionizzazione dei droganti. Applicando la condizione di
+
neutralità di carica sul semiconduttore si deve avere che n + NA− = p + ND
.
Si supponga ora di applicare un campo elettrico esterno al semiconduttore, si vuole studiare
il moto dei portatori di carica. Se si considera un elettrone nella banda di conduzione questo
viene accelerato dal campo elettrico nché una collisione2 non lo ritermalizza.
Si faccia a questo punto un'ipotesi di rilassamento per la quale un elettrone nel potenziale
periodico degli ioni, soggetto ad un campo elettrico, venga accelerato ed in ogni istante
abbia una probabilità di collisione pari a τ1C , dove τC è il tempo di collisione. Si ha quindi
q Ē
che la velocità al tempo t è v̄(t) = v̄0 − m
∗ t; dove v̄0 è la velocità dell'elettrone all'uscita
n
dalla collisione, q è la carica dell'elettrone, Ē è il campo elettrico, m∗n è la massa ecace
dell'elettrone 3 .
Supponendo che la velocità dell'elettrone all'uscita da una collisione abbia direzione casuale
q Ē
si ha: < v̄n (t) >= − m
∗ τn , denendo inoltre la mobilità µn come il coeciente positivo di
n
n
proporzionalità tra la velocità media e il campo elettrico si ha che µn = qτ
m∗n . Ricordando
ora la relazione tra densità di corrente e velocità media j̄n = −qn < v̄n >, dove n è la
concentrazione di elettroni, ed estendendo il ragionamento appena fatto anche alle lacune
oltre che agli elettroni, si ha che la densità di corrente totale di deriva è j̄ drif t = j̄ndrif t +
j̄pdrif t = q(µn n + µp p)Ē , con p la concentrazione di lacune.
In aggiunta al trasporto di carica per campi elettrici si può anche avere un trasporto dovuto
2
Nel modello semiclassico di Bloch utilizzato, la natura delle collisioni non è esplorata; queste non
sono collisioni tra elettroni e ioni del reticolo in quanto le onde di Bloch che descrivono gli elettroni sono
stazionarie e la loro velocità media è invariata nel tempo (in un cristallo perfetto la conduttività è innita).
Tuttavia per ristabilire l'equilibrio termico si deve supporre l'esistenza di qualche tipo di collisione provocata
dalla deviazione dalla periodicità del cristallo in esame.
3
In approssimazione di banda parabolica è l'autovalore del tensore di massa ecace se questo è isotropo,
altrimenti è una funzione opportuna dei suoi autovalori.
3
SEMICONDUTTORI E GIUNZIONI
11
alla diversa concentrazione spaziale dei portatori o alla diversa temperatura (energia) che
li caratterizza. Questa corrente viene chiamata corrente di diusione.
Si può dimostrare che la presenza di un gradiente di concentrazione non nullo di elettroni o
lacune genera un usso netto delle stesse cariche che rispetta la seguente relazione: F̄n(p) =
¯
−Dn(p) ∇n(p)
; dove Dn(p) prende il nome di coeciente di diusione. Questo coeciente è
legato alla temperatura e alla mobilità tramite la relazione di Einstein D = kT
q µ, la quale
vale sia per elettroni che per lacune.
Data la relazione che esiste tra densità di corrente e usso possiamo quindi ricavare le
densità di corrente relative alla diusione:
{
¯
j̄ndif f = qDn ∇n
(5)
dif f
¯
j̄p
= −qDp ∇p
Considerando ora che non esiste alcun osservabile che, data una carica (elettrone o lacuna),
possa discriminare se questa si muove per corrente di deriva o di diusione, sicamente
l'unica corrente che ha senso è la somma delle due, si ottiene così la corrente totale per
elettroni e lacune:
{
¯
j̄n = j̄ndrif t + j̄ndif f = qµn nĒ + qDn ∇n
(6)
drif t
dif f
¯
j̄p = j̄p
+ j̄p
= qµp pĒ − qDp ∇p
L'applicazione di un campo elettrico esterno fornisce ad elettroni e lacune un'energia potenziale per cui, chiamato ϕ(r̄) il potenziale elettrostatico, si ha che: Ec (r̄) − Ec (r̄0 ) =
−q[ϕ(r̄) − ϕ(r̄0 )]. Ricordando che la denizione dello zero del potenziale è arbitraria e
ssandola in r̄0 , si ha che:
1
¯ = 1 ∇E
¯ c
ϕ(r̄) = − [Ec (r̄) − Ec (r̄0 )] ⇒ Ē = −∇ϕ
q
q
(7)
Date le relazioni precedenti si possono esprimere le concentrazioni dei portatori in funzione
del potenziale elettrostatico ottenendo:
{
q
n(r̄) = ni eq[ϕ(r̄)−ϕF ]/kT → ∇n = − kT
nĒ
(8)
q
p(r̄) = pi e−q[ϕ(r̄)−ϕF ]/kT → ∇p = kT
pĒ
dove ϕF = − 1q [EF − Ei (r̄0 )].
Volendo calcolare le correnti, bisogna risolvere il seguente sistema di equazioni dierenziali
[5]:

q
+
−
2

 ∇ ϕ = − ϵs (p − n + ND − NA )
∂n
1¯
(9)
∂t = q ∇j̄n + Gn − Rn

 ∂p = − 1 ∇
¯ j̄p + Gp − Rp
∂t
q
dove G e R sono rispettivamente i tassi di generazione e ricombinazione. Nei semiconduttori, a dierenza dei metalli, si riesce a cambiare apprezzabilmente il numero di portatori,
per esempio attraverso l'illuminazione.
Esistono diversi tipi di processi di generazione e ricombinazione: un elettrone può passare
dalla banda di valenza alla banda di conduzione generando quindi una lacuna oppure, trovandosi già in banda di conduzione può ricombinarsi con una lacuna in banda di valenza.
Esistono processi che dieriscono dal precedente, chiamato processo band to band, e che
sfruttano la presenza di stati localizzati nel gap di energia, dovuti a impurezze cristalline
o a droganti. Si possono quindi schematizzare i quattro processi seguenti (vedi Figura 7).
Tenendo presenti le caratteristiche generali presentate precedentemente, si può studiare
l'interfaccia tra due zone di un semiconduttore con tipi di drogaggio dierente (una p e
3
SEMICONDUTTORI E GIUNZIONI
12
Figura 7: Schematizzazione dei quattro processi di generazione e ricombinazione che
coinvolgono stati profondi nel gap di energia.
l'altra n); si ottiene così una giunzione p-n. Viene qui analizzato il caso unidimensionale di
una giunzione brusca o a gradino, per la quale il passaggio da un tipo di drogaggio all'altro
avviene bruscamente, ad una ben precisa coordinata spaziale. Di conseguenza le energie
delle bande si raccordano alla giunzione, denendo una comune energia di Fermi, come
rappresentato dal graco di gura 8. La presenza di un gradiente nelle bande di energia
Figura 8: Struttura a bande di energia per una giunzione p-n.
alla giunzione induce un campo elettrico all'interno del semiconduttore, chiamato built-in,
che si oppone al moto di elettroni e lacune che tendono a ricombinarsi all'interfaccia. Viene
così a crearsi una zona di svuotamento dove le concentrazioni dei portatori sono molto minori rispetto alle concentrazioni dei droganti. Supponiamo che la regione di svuotamento
vari tra −xp e xn , trascurando le concentrazioni dei portatori rispetto a quelle dei droganti
si ha:




ϕ(+∞) x > xn
0 x > xn




 ϕ(+∞) − qND (x − x)2 0 < x < x
 − qND (x − x) 0 < x < x
n
n
n
n
2ϵs
ϵs
ϕ(x) =
⇒ Ex =
qNA
qNA
2
 ϕ(−∞) + 2ϵs (x + xp ) − xp < x < 0
 − ϵs (x + xp ) − xp < x < 0




 ϕ(−∞) x < −x
 0 x < −x
p
p
(10)
3
13
SEMICONDUTTORI E GIUNZIONI
Le relazioni (10) permettono di rappresentare il campo e il potenziale, come fatto nei
graci di gura 9.
La densità di carica deve rispettare la neutralità del materiale, per cui le aree sottese al graco della ρ(x) a sinistra e a destra dell'origine
sono uguali tra loro.
La regione di svuotamento si estende sia nella regione p che in quella n, in proporzioni stabilite dal drogaggio; la larghezza della regione di
risulta essere xd =
√svuotamento
(
)
1
1
0
+
xn + xp = 2ϵs ∆ϕ
q
NA
ND , dove ∆ϕ0 =
− Ei (+∞)].
Supponiamo ora di applicare una tensione VA
al lato p rispetto a quello n. Se VA < 0 la
barriera di potenziale cresce e di conseguenza
cresce lo spessore della zona di svuotamento,
si parla quindi di polarizzazione inversa. Se
VA > 0 la barriera di potenziale diminuisce
e così anche lo spessore della zona di svuotaFigura 9: Densità di carica, campo eletmento, si parla quindi di polarizzazione direttrico e potenziale in una giunzione p-n a
ta.
gradino. .
Data la tensione VA , la larghezza della regione
di svuotamento risulta essere xd =
√
(
)
2ϵs (∆ϕ0 −VA )
1
1
+
q
NA
ND .
1
q [Ei (−∞)
Il dispositivo che si basa sulla giunzione p-n prende il nome di diodo e la( caratteristica
)
tensione-corrente che lo contraddistingue, almeno nel caso ideale, è I = Is eqVA /kT − 1 .
Data la presenza della zona di svuotamento e l'accumulo di due densità di carica di segni
opposti nelle due regioni separate da questa zona, una giunzione p-n può anche essere vista
come un condensatore le cui armature possono essere spostate applicando un potenziale
esterno. Si può dimostrare che, indipendentemente dal prolo di drogaggio della giunzione,
la capacità è C = xϵsd .
4
14
PALPIDE-1
4 pALPIDE-1
pALPIDE-1 è uno dei molti chip sviluppati nel contesto dell'aggiornamento del sistema
di tracciamento interno di ALICE ed è il primo prototipo a grandezza naturale. La parte
attiva è costituita da 524288 pixel di dimensioni 28 µm ×28 µm, organizzati in 1024 colonne
e 512 righe, coprendo in totale un area di 28.7 mm × 14.3 mm. Lo spessore totale del chip
è di 50 µm.
4.1 Struttura della matrice
La matrice di pixel è suddivisa in quattro sottomatrici chiamate settori, ciascuno dei quali
costituito da 256 × 512 pixel. Ogni regione è caratterizzata dall'avere diversi tipi di pixel, i
quali dieriscono per la geometria e per il meccanismo di reset, in accordo con la tabella 1.
Il parametro geometrico, indicato come spaziatura, è la distanza tra il diodo e l'impianto
p (vedi Figura 10).
Settore
Colonne
0
1
2
3
0-255
256-511
512-767
768-1023
Spaziatura
1
2
2
4
µm
µm
µm
µm
Tipo di reset
PMOS
PMOS
diodo
PMOS
Tabella 1: Caratteristiche geometriche e di reset per i pixel dei quattro settori. Con il
termine spaziatura si intende la distanza tra diodo e impianto p (vedi Figura 10).
In seguito verrà spiegato il signicato delle caratteristiche dei pixel presentate in tabella 1.
4.2 Principio di operazione
Figura 10: Schema (non in scala) della sezione del rivelatore con passaggio di una particella
[6].
In sezione, procedendo dal basso in alto, il rivelatore è costituito da tre strati:
•
Substrato: silicio drogato p++ dallo spessore di circa 30 µm, costituisce un supporto
meccanico.
4
PALPIDE-1
15
•
Zona epitassiale: silicio drogato p- dallo spessore di circa 18µm, zona in cui vengono
•
Circuiteria:
rilasciati elettroni e lacune.
impianti di tipo n e p permettono di raccogliere le cariche rilasciate
dalle particelle incidenti nella zona epitassiale e trasformarle nel segnale digitale.
L'attraversamento di una particella carica nel rivelatore provoca la ionizzazione di atomi. Gli elettroni degli atomi ionizzati nella regione epitassiale che sono passati dalla banda
di valenza a quella di conduzione non fuoriescono da questa regione, prima di essere raccolte, grazie al minor grado di drogaggio che caratterizza la zona epitassiale rispetto alle
regioni vicine. Gli elettroni vengono quindi raccolti nella zona di svuotamento di un diodo
presente nella regione della circuiteria.
L'estensione della regione di svuotamento è inuenzata anche dal parametro geometrico
(spaziatura): ad una maggior distanza tra diodo e impianto p ci si aspetta una maggior
estensione della zona svuotata (vedi Capitolo 3).
4.3 Circuito analogico
Figura 11: Schema del circuito analogico: la parte in giallo schematizza il diodo di raccolta
degli elettroni, la parte in verde contiene i due possibili meccanismi di reset PMOS o diodo
presenti nei pixel, la parte in rosso schematizza il condensatore attraverso il quale si può
iniettare carica dall'esterno per i test e la zona in blu contiene la parte di amplicazione e
comparazione con soglia [7].
L'interfaccia tra una regione drogata n nella zona della circuiteria e lo strato epitassiale
drogato p puó essere schematizzata da un diodo (D1 in Figura 11). Gli elettroni raccolti
nella regione di svuotamento del diodo, sono richiamati verso l'impianto n presente nella
zona della circuiteria da un opportuno potenziale. Come descritto nel Capitolo 2, ad un
diodo polarizzato inversamente può essere associata una capacità e quindi la raccolta di
elettroni nell'impianto n causa una caduta di potenziale ai capi del diodo.
Sapendo ora√che, in una dimensione, lo spessore della regione di svuotamento (xd ) è
proporzionale a ∆ϕ0 − VA dove ∆ϕ0 è il potenziale built-in e VA è il potenziale applicato
dall'esterno, la continua raccolta di elettroni abbassa notevolmente la tensione all'impianto
n e quindi diminuisce la capacità di raccolta degli elettroni da parte del diodo. Inoltre al
diminuire della tensione diminuisce la sensibilità nella raccolta degli elettroni perché questi
non verranno più richiamati in modo ecace verso la circuiteria.
Si rende quindi necessario implementare un meccanismo di reset che riporti la tensione
al valore nominale. Nel chip pALPIDE-1 sono presenti due tipologie di reset, una utilizza
4
PALPIDE-1
16
un diodo e l'altra un transistor PMOS. Il diodo fornisce continuamente corrente per ristabilire le condizioni iniziali, mentre il transistor, istantaneamente, riporta autonomamente
la tensione al valore iniziale se questa scende al di sotto di una certa soglia.
A dierenza del comportamento ideale, nella realtà la tensione ai capi del diodo di
raccolta diminuisce anche se non vengono liberati elettroni in seguito all'attraversamento
di una particella; questo è dovuto alla presenza di correnti spurie all'interno del circuito.
In prossimità del diodo di raccolta è presente anche un condensatore Cinj che viene
utilizzato per test analogici: vengono iniettati elettroni tramite la capacità, simulando
quindi la raccolta di carica in modo tale da poter vericare il corretto funzionamento della
parte analogica del circuito.
4.3.1 Amplicatore e discriminatore
La tensione al capo del diodo D1 viene trasmessa al gate del transistor M1, amplicata e
confrontata con una soglia. In questo modo ogni pixel restituisce unicamente l'informazione
binaria sull'avvenuto passaggio nelle vicinanze di una particella che ha attraversato il chip
e che ha liberato una quantità di carica suciente da superare la soglia.
Sul bordo del chip sono presenti numerosi DACs (Digital to Analog Converters), alcuni
dei quali hanno il compito di impostare la soglia ad un livello che viene stabilito globalmente dall'utilizzatore. In particolare aumentando VCASN si abbassa il valore della soglia
mentre aumentando IT HR lo si alza. Tuttavia la relazione esatta tra i parametri VCASN e
IT HR e la soglia non è conosciuta e il valore della soglia è determinabile unicamente tramite
misurazione. Questa misurazione viene eseguita sfruttando la possibilità di iniettare quantità di carica denite tramite il condensatore Cinj . Per il presente lavoro di tesi i valori di
questi due parametri sono stati impostati a quelli nominali [7].
4.4 Circuito digitale
Figura 12: Diagramma funzionale della logica del pixel [7].
L'informazione binaria PIX_OUT_B (vedi Figura 12) proveniente dal pixel viene quindi confrontata con il segnale STROBE_B che inizializza la sequenza di lettura. L'informazione viene immagazzinata nello state register ; questo può quindi essere resettato tramite
un segnale PRST generato dall'esterno.
Si potrebbe inoltre voler mascherare un pixel per il suo malfunzionamento, ciò può essere
fatto tramite un Mask register che impedisce il propagarsi dell'informazione dal pixel verso
la circuiteria esterna. Analogamente alla parte analogica, anche in quella digitale esiste
la possibilità di eseguire dei test, ciò viene fatto utilizzando il pulse register : l'invio di un
4
17
PALPIDE-1
segnale digitale stimola lo state register che porta al livello alto il segnale STATE se il pixel
non è mascherato e se la sua parte digitale funziona correttamente.
4.5 Lettura dei dati
I pixel sono organizzati in doppie colonne (vedi Figura 13), tra le quali è presente un
circuito digitale, chiamato AERD (Address-Encoder Reset-Decoder) che ha il compito di
raccogliere gli output. Il circuito invia quindi gli indirizzi dei pixel colpiti alla periferia del
chip, in modo tale che, una volta letto, il registro del pixel colpito venga resettato. La
matrice dei pixel è organizzata in 32 regioni, ciascuna delle quali costituita da 16 doppie
colonne. Ad ogni regione è abbinata una RRU (Region Readout Unit) per la lettura,
ognuna delle quali, lavorando in parallelo, fa conuire le informazioni raccolte ad un'unica
unità TRU (Top Readout Unit). Questa combina i dati e li trasmette all'esterno.
Figura 13: Diagramma del sistema di lettura [7].
4.6 Hardware di supporto al chip
Figura 14: Chip con relativo hardware.
In gura 14 si può vedere il set up sperimentale con cui si sono eseguite le misurazioni,
ne sono state evidenziate le componenti principali.
4
18
PALPIDE-1
•
pALPIDE-1 chip - elemento sensibile al passaggio di particelle,
•
Carrier Board - componente passivo su cui è montato ed elettricamente collegato
•
precedentemente.
è stato descritto
il chip
Readout Board - scheda per la comunicazione tra la Carrier Board e il computer;
la Carrier Board viene inserita nella porta PCI (vedi Figura 15) e i dati provenienti
da questa vengono gestiti dal chip FPGA, circuito integrato che è programmabile
dall'esterno. La comunicazione dei dati all'utente e la programmazione della scheda
avvengono tramite una porta USB. Sulla scheda è presente anche un connettore per
l'alimentazione a cui deve essere applicata una tensione di 5 V.
Figura 15: Readout Board.
La Readout Board si occupa anche di dare il trigger al chip, ovvero inizializza la sequenza di lettura tramite il segnale STROBE_B. Questo segnale viene inviato al chip con
una stabilita frequenza, costante nel tempo. Il trigger è indipendente dal tempo di arrivo
delle particelle che vengono rivelate dal chip.
4.7 Software di controllo e procedure di test preliminari
Per il controllo della scheda e del chip viene fornito un software che, oltre alle procedure
necessarie per le misurazioni con varie sorgenti, ore anche la possibilità di eseguire delle
procedure di test preliminari. Queste procedure di test hanno lo scopo di controllare il
corretto funzionamento del chip sia per la parte digitale che per quella analogica, prima di
eettuare delle misure.
Le procedure di test che sono state eseguite sono:
•
Procedura di test dei DAC sul chip - con questo test è possibile misurare gli output
dei vari DACs presenti nel chip utilizzando ADCs presenti sulla scheda DAQ; inoltre
è possibile vericare le caratteristiche dei DACs impostandoli su tutti i possibili valori
digitali e misurando gli eettivi output analogici.
4
PALPIDE-1
19
•
Procedura di test sul circuito digitale - viene generato un impulso digitale (vedi Se-
•
Procedura di test sul circuito analogico - una certa quantità di carica può essere
•
Procedura di test sulla soglia - con questo test vengono iniettate quantità di carica
•
Procedura di test sul rumore - questo test permette di selezionare un numero di trigger
•
Procedura di test con sorgente - esegue lo stesso compito del test sul rumore ma
•
Procedura di test per mascherare i pixel rumorosi - questo test crea una maschera
zione 4.4) in un numero stabilito di pixel e successivamente questi vengono letti, è
possibile controllare il numero di iniezioni per pixel e la quantità di pixel da analizzare.
iniettata nel condensatore Cinj (vedi Sezione 4.3) simulando l'avvenuta raccolta di
carica e testando così la parte analogica del circuito. Come parametri del test si
possono impostare la quantità di carica, il numero di iniezioni per pixel e la quantità
di pixel da testare.
appartenenti ad un intervallo scelto su una certa quantità di pixel, vengono quindi
letti il numero di spari per ciascun pixel, relativamente a ciascun valore di carica
iniettata.
da inviare su tutti i pixel per leggerne il numero di spari.
con una misurazione su un tempo più lungo in modo di aumentare le probabilità di
rilevare un segnale sico.
che può essere utilizzata in misure successive per escludere i pixel rumorosi.
5
TEST DEL RIVELATORE
20
5 Test del rivelatore
In questo capitolo vengono presentati i risultati dei test eseguiti sul rivelatore pALPIDE-1;
è stato vericato il corretto funzionamento sia della parte analogica che di quella digitale.
5.1 Risultati dei test preliminari
Come prima cosa sono state eseguite le procedure di test descritte nella sezione 4.7; se ne
vogliono dare quindi i risultati principali.
Si è voluto testare il corretto funzionamento dei DAC presenti nel chip (Procedura di
test dei DAC sul chip ). É emerso che, al variare del valore digitale impostato per il DAC,
la risposta analogica (tensione o corrente) risulta lineare per l'intervallo dei valori utilizzati
per le operazioni del chip.
Figura 16: Risultati della procedura di test sul circuito analogico.: numero di spari di un
pixel in funzione del valore della quantità di carica iniettata (punti neri). La linea rossa
è il risultato dell'interpolazione eseguita tramite (11), mentre la curva blu è la gaussiana
non normalizzata ottenuta utilizzando i parametri ricavati dall'interpolazione.
É stata quindi eseguita una procedura di test sul circuito analogico, iniettando quantità
di carica diverse, 50 volte per ogni valore, su un certo numero di pixel e analizzando il
comportamento di uno di questi. Il risultato è presentato nel graco di gura 16, dove il
numero di spari del pixel è rappresentato in funzione della quantità di carica iniettata in
unità di DAC 4 . Per ogni valore di carica sono state eseguite dieci misurazioni in modo
da associare ad ogni valore medio un errore. Proprio questo errore è utile per eseguire
un'interpolazione sui dati raccolti, in particolare utilizzando la funzione di ripartizione di
una distribuzione gaussiana non normalizzata o funzione degli errori :
∫ x
(t−µ)2
50
(11)
Erf (x) = √
e− 2σ2 dt
2πσ −∞
L'interpolazione (linea rossa nel graco) indica il comportamento reale del pixel: per basse
quantità di carica questo non spara mai, mentre per alte quantità di carica il pixel spara
4
Una unità DAC corrisponde a circa 7 elettroni.
5
TEST DEL RIVELATORE
21
sempre per ognuna delle 50 iniezioni. Nella regione intermedia il pixel alcune volte spara e
altre no, ciò implica che il pixel non ha un comportamento ideale, per il quale la funzione
in gura 16 dovrebbe essere a gradino, presentare cioè una discontinuità in corrispondenza
di un ben determinato e sso valore di carica (soglia).
Il comportamento reale del pixel si discosta da quello ideale a causa di rumore. La curva
blu rappresenta la gaussiana non normalizzata della quale la curva in rosso è la funzione
di ripartizione. I valori di µ e σ ottenuti dall'interpolazione hanno un signicato sico;
in particolare se si inietta nel pixel una carica pari a µ si ha una probabilità del 50% che
questo spari, µ viene quindi associato al valore di soglia di quel pixel. Il valore di σ indica
invece il rumore associato al pixel.
L'iniezione di quantità di carica diverse per la determinazione della soglia e del rumore
di più pixel viene eseguita dalla procedura di test sulla soglia, in questo modo si riescono a
determinare le caratteristiche che distinguono vari pixel appartenenti a settori diversi. La
gura 17 mostra i risultati di questa procedura di test. Si può notare come all'aumentare
Figura 17: Distribuzioni in frequenza delle soglie e dei rumori di pixel appartenenti ai
quattro settori.
della spaziatura tra il diodo e l'impianto p (vedi Tabella 1) diminuisca il rumore associato
ai pixel; inoltre, confrontando i risultati relativi ai settori 1 e 2, si osserva che, a parità
di spaziatura, i pixel dotati di meccanismo di reset con diodo sono caratterizzati da un
rumore minore. La soglia media dei pixel del settore 1 è molto simile a quella del settore
3 ciò signica che a parità di meccanismo di reset una spaziatura maggiore di 2 µm non
modica apprezzabilmente la soglia. Inoltre il diverso meccanismo di reset tra settori 1
e 2 inuisce anche sul valore delle soglie, quella del settore 2 risulta essere minore. Da
una prima analisi qualitativa si può vericare come le larghezze delle singole distribuzioni
delle soglie per i vari settori siano maggiori del valore medio del rumore, ciò signica che
sull'indeterminazione della soglia a livello del chip incide di più lo sparpagliamento di valori
delle soglie piuttosto che il rumore stesso.
I valori delle soglie possono essere modicati su tutto il dispositivo globalmente agendo sui
DAC indicati con VCASN e ITHR (vedi Figura 11).
É importante conoscere il rumore e come questo si distribuisce sui pixel del chip, per
questo motivo si utilizza la procedura di test sul rumore che, leggendo la risposta di un
certo numero di pixel, registra il numero di hits. Anche in assenza di una sorgente accade
che alcuni pixel sparino (pixel rumorosi) e che alcuni tra questi diano segnale per la maggior
parte del tempo della misura, per cui si può supporre che siano difettosi o sempre accesi.
Partendo da queste osservazioni spesso si rende necessario realizzare una maschera che
escluda i pixel rumorosi dalla raccolta dati con una sorgente. Per fare ciò si utilizza la
procedura di test per mascherare i pixel rumorosi che, leggendo la risposta di una quantità
5
22
TEST DEL RIVELATORE
selezionata di pixel, registra gli indirizzi di tutti quelli che hanno sparato una o più volte
durante il tempo della misura e li salva su un le. Questo le può essere poi utilizzato
come maschera per una misura con sorgente.
5.2 Rumore della risposta dei pixel
Come osservato precedentemente i pixel sono caratterizzati da un certo livello di rumore.
La tabella 2 presenta i valori di soglia e di rumore caratteristici dei vari settori (vedi Sezione
5.1), inoltre vengono mostrati i valori medi del numero di spari per evento per i vari settori.
Questi valori sono stati ottenuti tramite la procedura di test sul rumore.
Settore
Soglia (elettroni)
Rumore (elettroni)
< N > hit per evento
0
1
2
3
186.8
168.2
148.4
165.8
9.1
7.5
3.7
6.4
≃ 4 × 10−3
≃ 2 × 10−3
≃ 3 × 10−3
≃ 6 × 10−3
Tabella 2: Soglie, rumori e numero medio di hit per evento misurati relativi ai pixel dei
quattro settori.
Non avendo posizionato alcuna sorgente che irradi il rivelatore, si può ipotizzare che gli
hits registrati abbiano origine dall'attraversamento del chip da parte di raggi cosmici5 .
L'intensità dei raggi cosmici a livello del mare per rivelatori orizzontali è stimata essere
I = cm21min [8]. Per stimare il numero di raggi cosmici che arrivano sul rivelatore bisogna
quindi conoscere l'area della supercie sensibile e il tempo necessario alla misura. Il chip ha
un'area di 411.04 mm2 , mentre il trigger per l'acquisizione viene dato attraverso il segnale
STROBE_B (vedi Figura 12) e questo ha una durata che può essere modicata e che per
queste misure preliminari era impostata a 20 cicli di clock6 . Data la stima sull'intensità
dei raggi cosmici, l'area di un settore e la durata di un evento, si può calcolare il numero
di raggi cosmici che attraversano il settore 2 per singolo evento; si ottiene così il valore
n = 9 × 10−9 . Questo valore è di svariati ordini di grandezza inferiore a ognuno dei valori
medi di hit per evento calcolati (vedi Tabella 2) e di conseguenza i raggi cosmici non possono essere la causa principale del rumore osservato.
Un'altra ipotesi sull'origine di questo segnale è il rumore elettronico associato ad elementi
come il diodo di raccolta della carica e alla capacità ad esso associata, al meccanismo di reset o alla parte digitale di discriminazione (vedi Figura 12). Nell'ipotesi che questo rumore
sia gaussiano, dati i valori di soglia e rumore caratteristici di ogni settore (vedi Tabella 2),
si ha che il rapporto soglia rumore è maggiore di 20 in tutti e quattro i casi. Ricordando
ora che per una distribuzione gaussiana normalizzata la probabilità che un evento si trovi
più lontano di 7σ dal valore centrale è P ≃ 10−12 , si può concludere che l'ipotesi di rumore
elettronico gaussiano non permette di spiegare gli hit misurati sperimentalmente.
L'eetto causato dall'accensione di pixel non legato ad un fenomeno sico esterno al rivelatore può essere ridotto applicando una maschera, ottenuta tramite la procedura di test
5
Particelle energetiche provenienti dallo spazio (raggi cosmici primari) che, interagendo con le molecole
dell'atmosfera terrestre, danno origine a cascate di particelle prodotto (raggi cosmici secondari) che arrivano
sulla supercie della Terra.
6
Ogni ciclo di clock corrisponde a 25 ns.
5
TEST DEL RIVELATORE
23
per mascherare i pixel rumorosi, descritta nella sezione 4.7.
La presenza di rumore merita un'analisi più approfondita che risulta però fuori dall'ambito
di questa tesi.
5.3 Cluster e algoritmo di ricostruzione
Si denisce cluster un insieme di pixel adiacenti che hanno raccolto una quantità di carica
superiore alla soglia, da un evento in comune. Come si è visto nelle sezioni dedicate
alla descrizione del dispositivo, la carica liberata nella zona epitassiale da una particella
incidente può essere raccolta dalle regioni di svuotamento di più pixel. Si può intuire che,
ad una maggiore energia della particella incidente, corrisponde una maggior quantità di
carica rilasciata nel rivelatore e di conseguenza sarà coinvolto un maggior numero di pixel.
La quantità di pixel appartenenti ad uno stesso cluster prende il nome di molteplicità del
cluster.
Ricordando ora che il rivelatore in esame è di tipo digitale, non si è in grado cioè di valutare
direttamente la quantità di carica rilasciata in esso dalla particella incidente, risulta quindi
molto utile studiare la disposizione dei pixel accesi, riconoscere i cluster e dedurne quindi
la molteplicità.
Per fare ciò è stato costruito un algoritmo di ricostruzione dei cluster: partendo da un
pixel che ha sparato, l'algoritmo costruisce intorno a questo una corona quadrata di cinque
pixel di lato, in cui il pixel di partenza sta al centro. Se in questa corona sono presenti
altri pixel che hanno dato segnale positivo, questi vengono aggiunti al cluster. L'algoritmo
costruisce quindi intorno ai nuovi pixel delle corone quadrate proprio come era stato fatto
per il pixel originario; se all'interno di queste corone vengono trovati nuovi pixel, questi
vengono aggiunti al cluster. Il processo si ripete nché non si trovano nuovi pixel all'interno
di corone sempre più lontane dal pixel originario.
Costruito un cluster l'algoritmo si sposta verso pixel non appartenenti ad esso per creare
nuovi cluster. L'algoritmo termina quando ad ogni pixel che ha sparato è assegnato un
cluster di appartenenza. Ogni cluster è caratterizzato da una molteplicità, posizione del
centro ed estensione nelle due dimensioni.
5.4 Misure con 55 Fe
Una prima misura è stata eettuata posizionando una sorgente di 55 Fe al di sotto del
rivelatore. Sui dati raccolti viene utilizzato l'algoritmo di ricostruzione dei cluster; i risultati
così ottenuti sono riassunti nei graci delle gure 18 e 19. Questi graci rappresentano un
output tipico dell'analisi che è stata utilizzata per le misure con sorgente7 . Il graco (a) di
gura 18 mostra le frequenze di sparo dei pixel in funzione della posizione dei pixel, data
dal numero di riga e di colonna. Si vuol far notare inoltre come i pixel al bordo tra due
settori siano stati eliminati.
La struttura a pettine che si può notare negli istogrammi (b) e (c) è dovuta ai pixel difettosi
che risultano quasi sempre accesi.
I graci (b) e (c) mostrano le proiezioni lungo gli assi x e y delle frequenze di sparo per
pixel per i vari settori. L'interpretazione dei graci di gura 19 è simile a quella di gura
18, tuttavia in questo caso si prendono in considerazione i cluster al posto dei pixel.
7
La descrizione completa del metodo utilizzato per l'analisi verrà presentata in seguito.
5
TEST DEL RIVELATORE
24
Figura 18: Frequenze di sparo dei pixel (a) e proiezioni lungo gli assi x (b) e y (c) di tali
frequenze di sparo relative alla misura con sorgente contenente 55 Fe.
Si nota come il numero di cluster hits sia uniforme nel passaggio tra il settore 2 e il
settore 3, mentre per i pixel hits la transizione tra questi settori risulta meno graduale; ciò
signica che il numero di pixel per cluster del settore 2 è maggiore di quello del settore
3. Ciò è confermato dal graco di gura 20 dove si nota che la molteplicità del settore
2 è maggiore della molteplicità del settore 3 . Questo eetto trova una spiegazione nella
dierenza tra le soglie dei settori 2 e 3 (vedi Tabella 2): essendo la soglia del settore 2
più bassa di quella del settore 3, a parità di carica liberata, questa fa sparare più pixel
nel settore 2 rispetto al settore 3. Tuttavia la dierenza tra i valori di soglia non è così
elevata, mentre le molteplicità sono molto diverse tra loro; ciò è spiegato dal fatto che
le regioni di svuotamento associate ai diodi di raccolta hanno estensioni diverse (date le
diverse spaziature) e in particolare il settore 3 presenta zone di svuotamento più grandi di
quelle relative al settore 2.
5
25
TEST DEL RIVELATORE
Figura 19: Frequenze di sparo dei cluster (d) e proiezioni lungo gli assi x (e) e y (f) di tali
frequenze di sparo relative alla misura con sorgente contenente 55 Fe.
Figura 20: Spettro delle molteplicità relativo alla misura con
55 Fe
per i quattro settori.
6
MISURE CON SORGENTE DI
241 AM
6 Misure con sorgente di
241
26
Am
Scopo di questa misura è lo studio della risposta del rivelatore al variare della distanza relativa tra la sorgente alfa e il rivelatore stesso. In questo modo si modula l'energia rilasciata
nel rivelatore da parte della radiazione altamente ionizzante alfa. Sebbene la risposta dei
pixel di cui è costituito il rivelatore sia digitale, ci si propone di investigare la relazione che
intercorre tra l'energia rilasciata nel rivelatore e la dimensione (molteplicità) dei cluster
di pixel. Si vuole cioè vericare la possibilità di determinare l'energia di cui è dotata la
particella incidente unicamente tramite misurazioni di tipo digitale e non analogico.
La misura con sorgente alfa ha richiesto una preparazione maggiore rispetto alla misura con
55 Fe, ciò è dovuto alla necessità di stabilire un riferimento per la miglior determinazione
possibile delle distanze relative tra rivelatore e sorgente, dato che le particelle alfa perdono
energia in aria (vedi Capitolo 2). É stato inoltre necessario collimare il fascio di particelle
alfa in modo da concentrarlo su un unico settore.
6.1 Congurazione sperimentale
Il sistema di misura è inserito all'interno di una camera a tenuta ottica, sorgente e rivelatore
sono posizionati su strutture ssate ad una base di alluminio. In questo modo si permette
la ripetibilità dell'esperimento, tramite un posizionamento accurato.
La posizione relativa di rivelatore e sorgente può essere modicata lungo i tre assi cartesiani
con precisione micrometrica. Lungo gli assi x e y è stata eettuata la centratura iniziale
della sorgente, mentre la distanza in z, tra sorgente e rivelatore, è stata variata per studiare
le conseguenti variazioni di risposta del rivelatore.
La ripetibilità delle condizioni dell'esperimento è stata assicurata inserendo la Readout
Board del rivelatore in un supporto di metallo e ssando la Carrier Board parallelamente
al supporto. Per uno schema della congurazione sperimentale si veda la gura 22.
6.2 Collimazione e centratura della sorgente
Si è proceduto quindi a centrare la sorgente nel settore 2, è stato scelto un unico settore in
quanto i diversi settori presentano caratteristiche di soglia e di geometria diverse e si vuole
che queste non siano una variabile durante la misura. Il settore 2 è stato scelto per le sue
caratteristiche di soglia, rumore e molteplicità dei cluster (vedi Sezioni 5.1 e 5.4).
Inoltre sulla sorgente è stato applicato un collimatore in modo da indirizzare il fascio di
particelle alfa a collidere nella maggior parte sul settore 2, anche per distanze relativamente
elevate.
L'irraggiamento è stato eettuato dalla parte della circuiteria del chip in modo da assicurarsi che la maggior parte dell'energia posseduta dalla particella incidente nel momento
dell'attraversamento sia ceduta alla regione sensibile (zona epitassiale), piuttosto che al
substrato (vedi Figura 10). La centratura lungo l'asse x (asse delle colonne di pixel) è
stata eettuata tenendo conto dell'estensione del settore 2. Ricordando ora che nella zona
inferiore del settore 2 sono presenti delle pad di materiale metallico (alluminio) che causerebbero una disuniformità nel segnale generato dall'attraversamento di una particella, si è
proceduto a centrare la sorgente nella zona superiore in y (asse delle righe dei pixel) del
settore 2.
Tenendo presente queste considerazioni, la centratura deve essere eseguita in modo che i
pixel con frequenza maggiore di sparo si trovino nella colonna 639. Essendo la distanza
da questo valore nota in maniera quantizzata, pixel per pixel, si cerca di ottenere una
centratura che disti da quella ideale al più qualche pixel.
6
MISURE CON SORGENTE DI
241 AM
27
Figura 21: Misura a distanza z = 7.8 mm per la centratura: nel graco (a) è rappresentata
la frequenza di sparo dei pixel in funzione della loro posizione, mentre nei graci (b)
e (c) si osservano le proiezioni della frequenza lungo gli assi delle colonne e delle righe
rispettivamente.
Dal graco (b) di gura 21 si nota come la centratura realizzata sia all'interno di un
pixel di distanza da questo valore.
Dal graco (a) di gura 21 si nota l'eetto dell'aggiunta di un collimatore, i pixel con
un'alta frequenza di sparo si trovano tutti all'interno del settore 2.
6.3 Determinazione della distanza minima
La misura è stata eseguita variando la distanza in z tra la sorgente e il rivelatore, compresa
tra un valore massimo e un valore minimo. Ricordando ora che le particelle alfa rilasciano
energia in aria prima di incidere sul rivelatore, il valore massimo di distanza è determinato
dalla totale liberazione in aria dell'energia da parte delle particelle alfa, questo valore si
attesta intorno a 4 cm8 . Il valore minimo è invece determinato da restrizioni geometriche,
non si vuole infatti che la sorgente entri in contatto direttamente con la parte sensibile del
rivelatore, per non causare danni.
Tuttavia la distanza di zero relativo in posizione da cui si parte nell'esecuzione della misura
non tiene conto della geometria della sorgente e quindi dell'ulteriore strato di aria che
8
Massimo range in aria delle particelle alfa.
6
MISURE CON SORGENTE DI
241 AM
28
separa la sorgente stessa dal rivelatore. Lo schema di gura 22 permette di visualizzare al
Figura 22: Schema per la determinazione della distanza minima.
meglio le varie componenti e le relative distanze. Sulla sorgente è posizionato un supporto
sul quale è ssato il collimatore. Il rivelatore dista dal supporto A = (1 ± 0.1) mm, la
sorgente è alta C = (6.34±0.05) mm, mentre sorgente e supporto insieme hanno un'altezza
B = (7.13 ± 0.05) mm. Inoltre la sorgente non si trova esattamente alla supercie, ma ad
una profondità D di 1 mm (specica da disegno tecnico).
Dall'insieme di queste considerazioni si può concludere che la distanza minima a cui si
trova il rivelatore rispetto alla sorgente è d0 = A + B − C + D = (2.8 ± 0.2) mm.
6.4 Esecuzione delle misure
É stata studiata la risposta del rivelatore per distanze relative comprese tra 2.8 mm e 40.8
mm. Inizialmente, no alla distanza di 13.8 mm, sono state eseguite misure ogni millimetro;
in seguito, da 13.8 mm no a 40.8 mm, si è aumentato il passo portandolo a 2 mm.
Per il primo centimetro di misure sono stati registrati 500.000 eventi per ogni distanza;
aumentando la distanza è stato aumentato il numero di eventi registrati in quanto un
numero minore di particelle alfa raggiunge il rivelatore. Si è passati quindi a registrare da
un milione di eventi no a quattro milioni per la distanza più grande.
Un evento (trigger) non corrisponde all'attraversamento di una particella alfa, ovvero il
rivelatore ha bisogno di un segnale di trigger proveniente dall'esterno che è fornito dalla
DAQ board con una frequenza dell'ordine del kHz (vedi Sezione 4.6).
6.5 Analisi
In gura 23 vengono mostrate le frequenze di molteplicità dei cluster per i quattro settori
di cui è composto il rivelatore. Dalla grandezza dei cluster si nota subito che eettivamente
la sorgente è centrata sul settore 2. Si osserva che in ogni settore i cluster con maggior
frequenza hanno molteplicità uno, sono cioè costituiti da un solo pixel. La loro frequenza
è di circa due ordini di grandezza maggiore rispetto a qualunque altro cluster caratterizzato da molteplicità diversa. Ricordando ora che in questa analisi ci si è concentrati sullo
studio degli eetti di particelle alfa e che queste, essendo abbastanza energetiche, liberano
dicilmente un'energia così piccola da far sparare un solo pixel, si procede applicando un
taglio che elimini i cluster di molteplicità uno (I taglio). L'esistenza di così tanti cluster
da un solo pixel è legata al fatto che alcuni pixel sono rumorosi o difettosi e quindi danno
un segnale anche quando non raccolgono carica relativamente ad un evento sico legato
all'attraversamento di alfa.
Volendo inoltre concentrare l'attenzione solo su quegli eventi derivanti da impatti quasi
6
MISURE CON SORGENTE DI
241 AM
29
Figura 23: Misura con sorgente alfa alla distanza z = 2.8 mm: sono mostrate le
distribuzioni in frequenza delle molteplicità dei cluster per i quattro settori.
perpendicolari delle particelle alfa sul rivelatore, si è proceduto applicando un taglio che
eliminasse tutti gli eventi caratterizzati da particelle alfa che presentano una deviazione
maggiore del 5% dalla traiettoria perpendicolare (II taglio). Potendo infatti unicamente
controllare, come parametro geometrico, la distanza tra il rivelatore e la sorgente e volendo
legare questa quantità alla molteplicità dei cluster e quindi all'energia liberata, si considerano unicamente quelle particelle che hanno percorso in aria una traiettoria di lunghezza
non troppo diversa dalla distanza sorgente-rivelatore.
Dal graco relativo al settore 2 di gura 23 si nota la presenza di diverse regioni: una
prima regione di cluster caratterizzata da una molteplicità compresa tra 2 e 15 pixel, come
si vedrà in seguito questi cluster sono prevalentemente dovuti ai fotoni emessi dal decadimento dell'americio nella sorgente, non sono cioè legati ad eventi alfa. Un taglio è stato
introdotto eliminando tutti i cluster con molteplicità minore di 10 (III taglio). Si rimanda
alla sezione 7.2 per una discussione più approfondita.
Una seconda regione in cui si può suddividere il graco è quella che comprende i cluster
con molteplicità compresa tra i 15 e i 60 pixel; questa regione è quella prodotta da eventi
alfa.
Esiste inne una regione con cluster di molteplicità maggiore di 60 pixel, c'è un'alta probabilità che questa regione sia dovuta all'unione di cluster originati dall'attraversamento
di particelle alfa diverse, questa unione di cluster è causata dall'algoritmo di ricostruzione.
Un modo per stimare l'importanza di questi cluster è ipotizzare un fondo comune a tutte
le molteplicità, ottenuto tramite un'interpolazione con una retta orizzontale sui dati della
regione con molteplicità maggiore di 60. Calcolando quindi l'area al di sotto di questa
retta si ottiene il numero di eventi del fondo e li si confronta con quelli totali, deducendone
quindi quanto è signicativo. Da un'interpolazione con un polinomio di ordine zero sulla
parte nale della distribuzione di molteplicità del settore 2 (vedi Figura 23) si ottiene un
numero di eventi inferiore a 0.01% del totale, trascurabili rispetto alla quantità totale di
eventi. I graci riportati in gura 24 permettono di confrontare due misure eettuate nelle stesse condizioni, dove l'unico parametro che è stato cambiato è la durata del segnale
STROBE_B; in particolare nel graco a destra la durata del segnale è stata diminuita di
6
MISURE CON SORGENTE DI
241 AM
30
Figura 24: Confronto tra misure con durata del segnale STROBE_B diverso, a sinistra
questo segnale ha durata 30000 mentre a destra 3000.
un fattore 10. Ricordando che questo segnale indica, in unità di cicli di clock, la durata
di un trigger (vedi Sezione 4.4), diminuendo questo parametro si diminuisce la probabilità
di avere più hit in un evento e di conseguenza diminuisce la probabilità che l'algoritmo
unisca tra di loro più cluster. Si nota infatti la diminuzione di eventi con cluster aventi
molteplicità maggiore di 60, diminuendo la durata del segnale di trigger.
Risulta quindi confermata l'ipotesi per cui la regione a molteplicità maggiore di 60 sia
occupata da cluster ottenuti dall'unione di pixel che hanno sparato in seguito ad eventi
sici diversi.
Da un'osservazione più attenta dei graci di gura 24 si nota un aumento del numero di cluster aventi molteplicità compresa tra 10 e 20 al diminuire della durata del trigger. Questo
Figura 25: Tipico esempio di cluster ad anello.
è probabilmente dovuto alla presenza di particolari cluster schematizzabili con una corona
di pixel accesi dove però i pixel centrali non hanno sparato (vedi Figura 25). La presenza
di cluster ad anello è già stata osservata e spiegata: per particolari temporizzazioni tra il
trigger e l'arrivo della particella alfa si generano questi peculiari tipi di cluster.
I cluster ad anello sono stati rimossi perché inciano la distribuzione delle molteplicità
ed eliminarli non comporta deformazioni delle distribuzioni stesse perché sono selezionati
per particolari caratteristiche del trigger e non sono legati alla struttura. Per eliminare
questi particolari cluster è stato introdotto un taglio nell'analisi (IV taglio), che prevede
l'eliminazione di tutti i cluster nel cui baricentro non ci sia un pixel acceso; supponendo
infatti una propagazione all'incirca isotropa della carica nelle due dimensioni, ne deriva
una geometria circolare per la corona di pixel accesi al bordo del cluster ad anello. I pixel
non accesi saranno quindi al centro di tale corona.
Inne, ricordando le considerazioni fatte per la centratura della sorgente, sono stati eseguiti dei tagli geometrici imponendo ai cluster di avere baricentri all'interno del settore 2
(511 ≤ x ≤ 767) e allo stesso tempo all'interno di una regione non contenente pad metalliche (340 ≤ y ≤ 440).
6
MISURE CON SORGENTE DI
241 AM
31
Considerando quanto discusso precedentemente, si ha l'applicazione dei seguenti tagli:
I Taglio dei cluster con molteplicità uno
II Taglio dei cluster per i quali il segmento congiungente il baricentro del cluster stesso
e la sorgente ha una lunghezza che supera del 5% la distanza tra la sorgente e il
rivelatore
III Taglio dei cluster i cui pixel si sono accesi per fotoni emessi dalla sorgente e che
interferiscono con la misura sugli alfa
IV Taglio dei cluster ad anello
V Taglio dei cluster il cui baricentro sta al di fuori del settore 2 e della regione priva di
pad
6
MISURE CON SORGENTE DI
241 AM
32
6.6 Misura sui fotoni emessi
Come già accennato nelle sezioni precedenti, la regione di molteplicità minore di 15 è probabilmente dovuta ai fotoni emessi dalla sorgente di 241 Am insieme alle particelle alfa.
Per testare questa ipotesi si esegue una misura a 57.8 mm, distanza per la quale tutte le
particelle alfa sono fermate dallo strato d'aria e sopravvivono solamente i fotoni. Sulle
Figura 26: Misura a z = 57.8 mm per la determinazione dell'incidenza dei fotoni sulla
misura.
misure di gura 26 è stato unicamente applicato il taglio per eliminare i cluster con molteplicità uno; si nota come gli eventi registrati generino cluster di molteplicità minore di 15.
Sono proprio eventi di questo tipo a dominare la regione a bassa molteplicità nei graci
dove sono presenti anche particelle alfa.
La grandezza dei cluster originati da questo tipo di evento è maggiore di quella tipica degli
eventi dovuti all'assorbimento di fotoni provenienti dalla sorgente di 55 Fe mentre è minore
di quella relativa all'assorbimento di particelle alfa. Ciò permette di aermare che il fenomeno sico che genera cluster di molteplicità compresa tra 2 e 15 pixel sia caratterizzato
da un'energia compresa tra l'energia dei fotoni emessi dal ferro e quella delle particelle alfa
prodotte dall'americio. L'energia che caratterizza questo fenomeno è quindi in accordo con
quella dei fotoni liberati dalla sorgente di 241 Am.
Un ulteriore test per vericare che gli eventi registrati siano eettivamente fotoni rilasciati
dalla sorgente di 241 Am è il confronto tra il rate di emissione teorico e quello misurato
sperimentalmente. Il valore sperimentale può essere calcolato facendo il rapporto tra tutti
gli eventi che si suppone siano gamma (cluster con molteplicità compresa tra 2 e 15) e
gli eventi alfa (cluster con molteplicità compresa tra 15 e 60). Il valore teorico di rate di
emissione è stato calcolato usando i dati relativi alla sorgente 241 Am presenti nella sezione
2.3. I due metodi di stima del rate di emissione (sperimentale e teorico) portano a risultati
compatibili tra loro.
Le considerazioni sull'energia del processo e sul rate di emissione permettono di concludere che il fenomeno sico che genera cluster con molteplicità compresa tra 2 e 15 pixel è
eettivamente l'emissione di fotoni da parte della sorgente di 241 Am.
6
MISURE CON SORGENTE DI
241 AM
33
6.7 Confronto alfa-fotoni e taglio sui fotoni
Al contrario di quanto accade per le particelle alfa, i fotoni emessi non vengono degradati
in energia dallo strato di aria che separa la sorgente dal rivelatore; ciò che cambia all'aumentare della distanza è l'intensità del fascio di fotoni incidenti. In conseguenza a ciò, nella
rappresentazione della frequenza con cui si presentano i cluster con molteplicità diverse,
la zona dominata da eventi gamma rimane nel complesso inalterata, mentre la zona in cui
prevalgono eventi alfa cambia. Queste considerazioni hanno riscontro nel graco di gura
27. Si nota infatti come la struttura dei cluster con molteplicità minori di 15 rimanga
Figura 27: Distribuzione in frequenza delle molteplicità dei cluster nel settore 2 per quattro
diverse distanze: z = 2.8 mm (rosso), z = 12.8 mm (blu), z = 22.8 mm (verde) e z =
32.8 mm (nero).
constante al variare della distanza, mentre il valore di molteplicità del picco relativo alle
particelle alfa diminuisce all'aumentare della distanza perché diminuisce l'energia rilasciata
nel rivelatore.
Gradualmente si passa da una distinzione netta tra i due picchi, a un parziale mescolamento, no all'indistinguibilità tra le due strutture. Proprio questa gradualità non permette di
stabilire un metodo migliore di altri per eliminare alcune misure e tenerne altre, in base alla
distinguibilità dei cluster derivanti da processi alfa rispetto a quelli gamma. Per i risultati
che verranno presentati successivamente, le misure relative alle ultime tre distanze considerate9 sono state scartate per l'impossibilità nel distinguere strutture relative a processi
sici dierenti (particelle alfa e fotoni).
Considerato quanto dedotto no a questo punto, nell'applicazione di un taglio che abbia
lo scopo di minimizzare l'incidenza dei fotoni sulle misure alfa si è deciso di eliminare i
cluster con molteplicità minore di 10. Tuttavia gli eventi gamma che generano cluster di
molteplicità compresa tra 11 e 15 pixel contaminano gli eventi del tipo alfa. Si rende quindi
necessario stimare il numero di eventi gamma non eliminati dal taglio e il loro peso rispetto
agli eventi alfa; si ricava così che una frazione minore di 0.5% degli eventi totali risulta
essere del tipo gamma. Si può quindi aermare che la scelta del valore di molteplicità per
9
Sono le misure relative alle distanze z = 36.8 mm, z = 38.8 mm e z = 40.8mm
6
MISURE CON SORGENTE DI
241 AM
34
il taglio sui gamma permetta di contenere la contaminazione degli eventi gamma su quelli
alfa.
6.8 Determinazione delle incertezze
Volendo rappresentare l'andamento della molteplicità media dei cluster in funzione della
distanza dalla sorgente, risulta necessario abbinare a queste quantità delle incertezze.
Per quanto riguarda la posizione, il suo valore è determinato aggiungendo al valore letto
sulla scala di posizionamento la distanza d0 e di conseguenza l'incertezza associata sarà la
somma delle due incertezze sulle singole quantità. Alle considerazioni fatte nella sezione
6.3 bisogna aggiungere il fatto che il sistema di posizionamento è micrometrico e vi si associa quindi un'incertezza di 0.005 mm, molto inferiore a quella complessiva derivante dalla
determinazione della posizione a distanza minima.
Per quanto riguarda l'incertezza da associare alla molteplicità si è proceduto nel modo
seguente. Eseguendo una misura ad una determinata distanza, dall'istogramma delle frequenze delle molteplicità dei cluster rivelati si ottiene un valore medio e una relativa incertezza statistica. Questa procedura è ripetuta per tutte le distanze. Tuttavia ripetendo
più volte una misura a una determinata distanza, si osserva la presenza di un'incertezza
sistematica maggiore di quella statistica; associando alle varie misure alla stessa distanza la
relativa incertezza statistica e rappresentandole in un graco si nota come queste non sono
compatibili tra loro (vedi Figura 28). Dallo sparpagliamento delle misure si può quindi
derivare un'incertezza sistematica da associare al valore medio ricavato dalle misure nel
loro complesso.
Figura 28: Dieci misure di molteplicità alla distanza di 12.8 mm. La linea rossa indica
il valore medio 41.83, la deviazione standard sulle 10 misure è 0.30 mentre l'incertezza
statistica sulla singola misura è inferiore a 0.14 per ciascuna della 10 misure.
Eseguendo un altro set di misure ad una distanza diversa e calcolando l'incertezza sistematica associata ci si rende conto che questa è diversa da quella ricavata precedentemente10 .
Da ciò si può concludere che l'incertezza sistematica associata alle misure non è determinata da un contributo comune per tutte le distanze, ma varia in funzione della distanza.
Non avendo a questo punto la possibilità di ripetere un numero di volte (nell'ordine delle
centinaia) adeguato le misure per ogni distanza, si è deciso di dividere il set di dati per
10
Sono state eseguite 100 misure ad una distanza di 12.8 mm ottenendo una deviazione standard σ = 0.23,
mentre dalle 80 misure eseguite ad una distanza si 5.8 mm si è ottenuta una deviazione standard σ = 0.12.
6
MISURE CON SORGENTE DI
241 AM
35
ciascuna distanza in dieci sottogruppi dei quali si calcola la media; partendo dalle dieci
medie si è quindi calcolata la media totale e l'incertezza sulla media.
In questo modo l'incertezza associata alle misure è grande a causa della statistica bassa
ma risulta essere la migliore stima possibile a partire dai dati in possesso.
Con il graco di gura 29 si vogliono presentare due spettri di molteplicità a due distanze
diverse, quando sui dati vengono applicati i tagli presentati precedentemente. Per ognuna
Figura 29: Confronto di due spettri di molteplicità a distanze z = 22.8 mm (sinistra) e
z = 30.8 mm (destra) dopo l'applicazione di tutti i tagli.
distanza viene realizzato un istogramma simile a quello di gura 29 e se ne ricava quindi la media e l'incertezza associata come discusso precedentemente. Si cerca quindi una
relazione tra la molteplicità media dei cluster e l'energia liberata dalle particelle alfa nel
rivelatore per diverse distanze.
6.9 Risultati
In questa sezione si vogliono presentare i risultati complessivi delle misure con sorgente alfa
presentate in questo capitolo. Innanzitutto si vuole prendere in considerazione un risultato
teorico con il quale confrontare i dati sperimentali. In modo particolare si vuole confrontare
il valore dell'energia rilasciata nel rivelatore con le dimensioni dei cluster di pixel osservati.
Figura 30: Tasso di perdita di energia per unità di spessore di massa in funzione dell'energia
della particella alfa incidente [9].
Per fare ciò, conoscendo l'energia delle particelle alfa all'uscita dalla sorgente, è necessario
6
MISURE CON SORGENTE DI
241 AM
36
calcolare l'energia persa nell'attraversamento dello strato di aria che separa la sorgente dal
rivelatore. Si parte quindi dal graco di gura 30.
Sui dati di partenza, asterischi neri in gura 30, è stata eseguita un'interpolazione per
ottenere una curva continua del tasso di perdita di energia per unità di spessore di massa
nell'attraversamento di una particella alfa in aria, in funzione dell'energia della particella
stessa.
In questo modo è possibile calcolare la quantità di energia liberata in aria e, per dierenza,
calcolare quella liberata nel rivelatore, in funzione della distanza percorsa. Questo calcolo
è stato eseguito tramite un'integrazione numerica, nota la densità dell'aria.
Figura 31: Confronto tra l'energia liberata nel rivelatore (linea rossa) e la dimensione media
dei cluster (linea blu) in funzione della distanza tra sorgente e rivelatore.
Nel graco di gura 31 si riporta l'andamento teorico dell'energia liberata nel rivelatore
in funzione della distanza (linea rossa). Questo andamento può quindi essere confrontato
con i valori sperimentali delle dimensioni medie dei cluster di pixel misurati per le varie
distanze.
Si nota un buon accordo tra gli andamenti delle due curve, ciò signica che c'è eettivamente un legame stretto tra la molteplicità di un cluster e l'energia rilasciata durante quel
particolare evento che ha fatto accendere i pixel che costituiscono il cluster stesso. Tuttavia
l'andamento della molteplicità non rispecchia perfettamente l'andamento dell'energia, ciò
sta ad indicare che nella determinazione delle dimensioni dei cluster entrano in gioco anche
altri eetti oltre all'energia rilasciata. Si può ipotizzare il vericarsi di un fenomeno geometrico dovuto alla quantizzazione dei cluster in pixel di dimensioni piccole ma comunque
nite. La curva sperimentale è stata riportata con gli errori sia sull'asse delle distanze sia
su quello delle molteplicità.
Volendo investigare il legame tra la grandezza dei cluster e l'energia, risulta utile rappresentare in un graco la relazione tra la molteplicità media di un cluster e l'energia dell'evento
che lo ha generato. Dal graco di gura 32 si nota un buon andamento lineare della molteplicità con l'energia, che lascia quindi aperta la possibilità di dedurre l'energia di una
7
CONCLUSIONI
37
particella incidente a partire dalla sola informazione digitale riguardo la grandezza media
dei cluster.
Figura 32: Molteplicità dei cluster in funzione dell'energia rilasciata nel rivelatore.
7 Conclusioni
Nel presente lavoro si è caratterizzato il prototipo numero 1 di rivelatore a pixel di silicio a
grandezza naturale pALPIDE-1, realizzato per l'aggiornamento del sistema di tracciamento
interno di ALICE. La caratterizzazione è stata eseguita utilizzando sorgenti contenenti 55 Fe
e 241 Am e ha permesso di evidenziare le caratteristiche principali delle diverse strutture di
pixel in gioco.
Al ne di capire se fosse possibile ricavare informazioni sull'energia di particelle incidenti
a partire dallo spettro di molteplicità dei cluster, è stata eseguita una misura con sorgente
alfa, variando la distanza relativa tra sorgente e rivelatore. Si è osservato eettivamente
uno stretto legame tra energia e molteplicità, notando però la presenza di altri eetti,
l'indagine dei quali è al di là dello scopo del presente lavoro.
Dall'analisi dei dati è emersa la necessità di introdurre alcuni tagli per minimizzare gli eetti
della presenza di processi sici, come l'emissione di fotoni insieme alle particelle alfa, non
strettamente legati allo scopo che si è voluto perseguire. Altri tagli sono stati introdotti
per ridurre l'incidenza sulle misure di eetti di rumore emersi durante la caratterizzazione
e che non erano prevedibili da una prima analisi sul funzionamento del rivelatore.
38
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Riferimenti bibliograci
[1] LEO W.
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