Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo III – Analisi del contenuto dei Libri degli Elementi.
Carlo Marchini
Lezione 6 del 23 marzo 2006
III.1. Il Libro I. (Continuazione)
III.1.5. La geometria degli angoli. Il Libro I, per gli angoli, presenta due distinte definizioni ed in
altre tre stabilisce un po’ di nomenclatura:
«Definizione I.8. Angolo piano è l’inclinazione reciproca di due linee su un piano, le quali si incontrino fra loro
e non giacciano in linea retta.
Definizione I.9. Quando le linee che comprendono l’angolo sono rette, l’angolo si chiama rettilineo.
Definizione I.10. Quando una retta innalzata su una [altra] retta forma angoli adiacenti uguali fra loro, ciascuno
dei due angoli uguali è retto, e la retta innalzata si chiama perpendicolare a quella su cui è innalzata.
Definizione I.11. Angolo ottuso è quello maggiore di un retto.
Definizione I.12. Angolo acuto è quello minore di un retto. »
Si noti che dalla Def. I.8 è escluso l’angolo piatto, ma questo fatto si è già osservato in precedenza.
Nel Libro XI pone poi un ulteriore definizione di angolo:
«Definizione XI.11. Angolo solido è l’inclinazione [reciproca] di più di due linee [rette], che si tocchino fra loro,
ma non siano sulla stessa superficie. O altrimenti angolo solido è quello compreso da più angoli piani, che non
siano nello stesso piano ed abbiano in comune un punto [vertice].»
Manca la definizione di angolo diedro, anche se implicitamente è presente nelle Definizioni XI.6 e
XI.7.
Per arrivare all’angolo (anche solido) si usa la nozione di inclinazione (strada seguita nel XVIII
secolo da altri matematici), nozione non definita, ma si nota una differenza tra le Deff. I.8 e I.9:
nella prima si pone attenzione alle linee, nella seconda allo spazio ‘racchiuso’ da esse con il termine
«comprendono». Si noti che anche il concetto espresso dalla parola «adiacenti» nella Def. I.10 non è
definito.
La Def. XI.11, e pure le Deff. XI.6 e XI.7 lasciano a desiderare dal punto di vista della precisione,
di fatto andrebbero appesantite da altre considerazioni perché non è chiaro cosa significa che le
rette si tocchino o come sono disposti i più (più di due?) angoli piani.
Nel Libro I si parla spesso di angoli senza esplicitare che siano rettilinei.
Gli angoli non rettilinei forse sono indicati tra le definizioni del Libro I perché erano noti nella
Geometria pre-euclidea. Ciò si può desumere da un passo degli Analitici primi di Aristotele, in cui il
filosofo sta parlando delle caratteristiche del sillogismo e tenta di dimostrare l’eguaglianza degli
angoli alla base di un triangolo isoscele. La ‘dimostrazione’ di Aristotele è la seguente:
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«[…] Tutto ciò diventa più chiaro a proposito delle dimostrazioni mediante figure geometriche, ad esempio nel
caso in cui si voglia provare che gli angoli alla base del triangolo isoscele sono eguali. Siano A e B due raggi,
condotti dal centro. Orbene, se si assume che l’angolo AC sia eguale all’angolo BD, senza aver fatto valere in
modo universale l’eguaglianza degli angoli di un semicerchio, se si assume, per altro verso, che l’angolo C sia
eguale all’angolo D, senza precisare che la cosa vale per ogni angolo di un segmento, ed infine, se si dichiara
che, quando vengono sottratti degli angoli eguagli da angoli eguali che rispettivamente li comprendono, gli
angoli che rimangono, E e Z, risultano eguali, si postulerà la conclusione che si è stabilito da principio di
dedurre, a meno di assumere che quando oggetti eguali vengono sottratti da oggetti eguali, rimangono degli
oggetti eguali.»
Può stupire la coincidenza quasi letterale dell’ultima frase del testo aristotelico con la Noz. com. 3
degli Elementi.
Il testo qui utilizzato 1 presenta una nota a piede di pagina che chiarisce cosa intenda Aristotele.
«Per il significato e la distribuzione delle lettere usate da Aristotele, seguiamo la chiara esegesi di Ross, come
risulta dalla figura.
I due raggi A e B siano i lati eguali del triangolo isoscele. In tal caso l’angolo E
+ C (che Aristotele esprime come AC) è eguale all’angolo Z + D (che
Aristotele esprime come BD), poiché si tratta di “angoli di semicerchio”.
A
E
C
B
Z
D
D’altra parte, l’angolo C è eguale all’angolo D poiché si tratta di “angoli di un
segmento” (circolare) (le espressioni “angoli di un semicerchio” e “angoli di
un segmento” sono usate in questo senso da Euclide). Ma quando oggetti
eguali vengono sottratti da oggetti eguali, rimangono degli oggetti eguali:
dunque l’angolo E sarà eguale all’angolo Z. »
Di fatto la nota rimanda al Libro III in cui nella
«Definizione III.7. Ed un angolo di un segmento [circolare] è l’angolo compreso da una retta e da un arco della
circonferenza del cerchio.»,
si parla di angolo di un segmento, mentre si parla di angolo del semicerchio nella
«Proposizione III.16. In un cerchio, una retta che sia tracciata perpendicolare al diametro partendo da un estremo
di questo, cadrà esternamente al cerchio, nessun’altra retta potrà interporsi nello spazio fra la retta e la
circonferenza, e l’angolo del semicerchio è maggiore. E quello che rimane [fra la retta e la circonferenza]
minore, di ogni angolo acuto rettilineo.»
L’angolo tra la tangente e l’arco viene detto oggi angolo di contingenza. Questi sono gli unici passi
degli Elementi in cui vengono utilizzati gli angoli non rettilinei. Tale nozione pone un conflitto tra
angoli rettilinei, e non, in relazione alla richiesta che le grandezze soddisfino il Principio di
Archimede, richiesto nella Def. V.4. Questa difficile relazione tra angoli rettilinei e no ha spinto
Euclide e probabilmente prima di lui Eudosso, ad abbandonare gli angoli curvilinei.
Può essere interessante un’osservazione a proposito della Prop. III.16 di Newton:
1 Aristotele: 1991, Opere vol. 1, Laterza, Bari.
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«cioè la misura dell’angolo di contingenza mette in gioco non più le direzioni delle tangenti (prime derivate),
bensì le curvature (seconde derivate).»
La ‘dimostrazione’ di Aristotele lascia a desiderare perché richiede che gli angoli di un segmento
siano eguali e questo non è provato, se non dal disegno o da una teoria degli angoli non rettilinei di
cui non abbiamo altra documentazione.
Torniamo al Libro I.
Le Propp I.13 e I.14 (una inversa dell’altra che qui, per comodità, si ripresentano) si possono vedere
come spiegazioni di cosa siano gli angoli adiacenti.
«Proposizione I.13. Se una retta innalzata su un’altra retta forma degli angoli, essa verrà a formare o due angoli
retti od angoli la cui somma è uguale a due retti.[…]
Proposizione I.14. Se per un punto di una retta, da parti opposte rispetto ad essa, si tracciano due rette, e queste
formano con la prima angoli adiacenti la cui somma sia uguale a due retti, esse saranno per diritto fra loro. » 1
Interessante la frase ipotetica, che l’italiano traduce (male) con l’indicativo mentre il latino col
congiuntivo, questa mette il dubbio che innalzando una retta su un’altra si possano non formare
angoli.
La dimostrazione di questa proposizione è ‘stranamente’ lunga ai nostri occhi, dato che noi
consideriamo l’angolo piatto. Euclide invece fa una costruzione più complessa considerando la
perpendicolare nel punto comune alle due rette ed osservando che uno dei due angoli retti si può
esprimere come ‘somma’ di due angoli uno di quelli formati dalla retta innalzata e che l’altro è dato
dalla somma dell’angolo retto e del ‘pezzo in più’.
Un’altra Proposizione in cui l’oggetto della trattazione è l’angolo è la proprietà di trasporto degli
angoli, che si aggiunge alle Propp. I.2 e I.3 sul trasporto dei segmenti.
«Proposizione I.23. Costruire su una retta data e [con vertice] in un [dato] punto di essa, un angolo rettilineo
uguale ad un angolo rettilineo dato.
D
F
Dimostrazione. Siano AB la retta data, A il punto [dato] di essa e
DCE l’angolo rettilineo dato; si deve dunque costruire sulla retta
C
D'
A
AB e [con vertice] nel suo punto A, un angolo rettilineo uguale
E
all’angolo rettilineo DCE.
Si prendano a piacere su ciascuna delle due rette CD, CE i punti
G
D"
F'
B
[rispettivi] D, E, si tracci la congiungente DE, e con tre rette
eguali CD, DE, CE si costruisca il triangolo AFG, in modo che
CD sia uguale a AF, sia CE uguale ad AG, ed infine DE sia
uguale a FG (Prop. I.22).
Quindi poiché i due lati DC, CE sono uguali, rispettivamente ai due lati FA, AG, e la base DE è uguale alla base
1 Il latino riporta «13. Si recta super rectam linea erecta angulos effecerit , aut duo rectos aut duobus rectis aequales angulos efficiet.
[…]. 14. Si duae rectae ad rectam aliquam et punctus eius non in eadem parte positae angulos deinceps positos duobus rectis
effecerint, in eadem erunt linea recta. »
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FG, l’angolo DCE è uguale all’angolo FAG (Prop. I.8).
Dunque, sulla retta data AB, e con vertice nel punto A di essa, è stato costruito l’angolo rettilineo FAG uguale
all’angolo rettilineo dato DCE. »
Si noti che il trasporto dell’angolo è ricondotto a quello del segmento, Propp. I.2 e I.3, che per altro
il testo non cita, dato che presenta una figura in cui ci sono dei parallelismi evidenti. La
dimostrazione sfrutta la ‘rigidità’ del triangolo garantita dalla Prop. I.8 (il terzo Criterio di
congruenza dei triangoli). Inoltre visto che un triangolo viene costruito, ne discende che con gli
stessi segmenti se ne possa costruire un altro, congruente a quello dato.
Questa proposizione viene direttamente citata ed esplicitamente utilizzata in successive 17
proposizioni nei Libri I, III, IV, VI e XI: si tratta quindi di una proprietà importante negli Elementi.
Proclo riferisce che Eudemo dice che la scoperta di questa proprietà è dovuta a Enopide di Chio.
Allo stesso matematico è attribuita la Prop. I.12 in cui si costruisce la perpendicolare ad una retta
per un punto esterno alla retta. Ora data l’elementarità delle costruzioni sembra strano dare
un’attribuzione specifica ad Enopide. Ma solo si tratta della forma della presentazione. Sia nella
Prop. I. 12, che in questa, di fatto si realizza la costruzione di un triangolo mediante il compasso.
Pertanto forse le due ‘scoperte’ di Enopide sarebbero le Prop. I.12 e I.22 che qui si enunciano e
dimostrano
«Proposizione I.12. Ad una data retta illimitata, da un punto dato ad essa esterno costruire una linea retta
perpendicolare.
Dimostrazione. Sia AB la retta illimitata, e C il punto dato, ad essa esterno: si deve dunque condurre alla retta
illimitata data AB, dal punto C ad essa esterno, una linea retta perpendicolare. Si prenda dall’altra parte della
retta AB un punto a piacere D, con centro C e raggio CD si descriva
il cerchio EFG (Post. 3), si divida la retta EG per metà in H (Prop.
C
I.10) e si traccino le congiungenti CG, CH, CE; dico che CH è la
F
A
perpendicolare condotta alla retta illimitata AB dal punto C ad essa
G
E
H
D
B
esterno.
Infatti, poiché GH è uguale a HE, e HC è comune, i lati GH, HC
sono uguali rispettivamente ai lati EH, HC e la base CG è uguale alla base CE, per cui l’angolo CHG è uguale
all’angolo EHG (Prop. I.8). Ed essi sono adiacenti. Ma quando una retta innalzata su un’altra retta forma gli
angoli adiacenti uguali tra loro, ciascuno dei due angoli è retto, e la retta innalzata si chiama perpendicolare a
quella su cui è innalzata (Def. I.10).
Dunque, alla retta illimitata AB, dal punto dato C, ad essa esterno, è stata condotta la perpendicolare CH. […]
Proposizione I.22. Con tre rette uguali a tre rette date, costruire un triangolo: occorre dunque che la somma di
due di esse, comunque prese sia maggiore della rimanente.
Dimostrazione. Siano A, B, C tre rette date, e la somma di due di esse, comunque prese, sia maggiore della
rimanente, cioè la somma di A, B sia maggiore di C, la somma di A, C sia maggiore di B, ed infine quella di B e
C sia maggiore di A; si deve dunque costruire un triangolo i cui lati siano tre rette rispettivamente uguali ad A, B,
C. Si assuma una retta DE terminata in D ed illimitata dalla parte di E, e si ponga DF uguale ad A, sia posta FG
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uguale a B, e si ponga GH uguale a C (Prop. I.3). Con
K
centro F e raggio FD si descriva il cerchio DKL
(Post. 3); di nuovo, con centro G e raggio GH si
D
descriva il cerchio KLH (id.) e si traccino le
F
A
G
H
B
congiungenti KF e KG; dico che con tre rette uguali
ad A, B, C è stato costruito il triangolo KFG.
C
Infatti, poiché il punto F è centro del cerchio DKL, si
L
ha che FD è uguale a FK; ma FD è uguale ad A, per cui pure KF è uguale ad A (Noz. com. 1). Di nuovo, poiché
il punto G è centro del cerchio LKH, si ha che GH è uguale a GK; ma GH è uguale a C; anche KG è quindi
uguale a C. Ed è uguale a B la retta FG; perciò le tre rette KF, FG, GK sono uguali alle tre rette A, B, C.
Dunque, con le rette KF, FG, GK che sono alle tre rette date A, B, C, è stato costruito il triangolo KFG. »
Il punto fondamentale delle due dimostrazioni sono le posizioni reciproche di circonferenza e retta e
di due circonferenze. Sono infatti determinate le condizioni di esistenza di punti di intersezione,
vale a dire quando la retta è una secante o quando le due circonferenze sono secanti.
Questi sono esempi di
, diorismi, cioè condizioni per l’esistenza (si veda l’Elenco dei
Geometri di Proclo). Condizioni analoghe avrebbero dovuto essere poste anche in Proposizioni
precedenti, così come dovrebbero essere esplicitato un postulato che richiede un misto di continuità
e ordine, in base al quale se un segmento ha estremo interno ad un cerchio ed uno esterno, allora
esso taglia la circonferenza, che viene usato più volte, mai menzionato, data la sua ‘ovvietà’.
III.1.6 Angoli e parallelismo. La necessità di rendere il parallelismo tra rette (e tra piani) una
relazione di equivalenza (per la qual cosa basta la riflessiva e la proprietà euclidea della Noz. com.
1), serve per definire la direzione di una retta mediante una definizione per astrazione. Questa
esigenza è stata puntualizzata da Vailati per giustificare la nozione di punto improprio della
Geometria affine-proiettiva. Si noti solo che la proprietà transitiva, o meglio euclidea, Noz. com. 1,
del parallelismo è data negli Elementi come
«Proposizione I.30. Rette parallele ad una stessa retta sono parallele anche fra loro.
Dimostrazione. Ciascuna delle due rette AB, CD sia parallela ad EF: dico che
A
anche AB, CD sono parallele.
E
B
G
C
F
H
K
D
Infatti, venga a cadere su esse la retta GK.
Ora poiché la retta GK cade sulle rette parallele AB, EF, l’angolo AGK è uguale
all’angolo GHF (Prop. I.29.). Di nuovo, poiché la retta GK cade sulle rette
parallele EF, CD, l’angolo GHF è uguale all’angolo GKD (id.). Ma fu dimostrato
che pure l’angolo AGK è uguale all’angolo GHF; sono quindi uguali anche gli
angoli AGK, GKD (Noz. com. 1), e sono gli angoli alterni. Perciò AB è parallela a
CD (Prop. I.27). »
Tale Proposizione si dimostra come conseguenza delle Propp. I.27 e I.29 e quindi l’uso (indiretto)
del Post. 5.
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Dalla Prop. I.30. discende un risultato di unicità, che Euclide non rileva, anche se poi indirettamente
impiega in alcune dimostrazioni. Infatti se due rette r e s fossero incidenti ed entrambe parallele ad
una stessa retta t, allora r e s sarebbero parallele tra loro e quindi se fossero distinte, non avrebbero
punti in comune.
Nei manuali odierni, il postulato delle parallele viene espresso come l’affermazione che data una
retta ed un punto che non le appartenga, esiste una (ed una sola) retta passante per i punto, parallela
alla retta data. Questo forse perché in tal modo si ha una formulazione più intuitiva di quella
presentata da Euclide.
Dunque si deve ritenere che il Post. 5 sia equivalente a questa versione che, come si vede in seguito,
è data dalla combinazione delle Propp. I.30 e I.31.
Ma il fatto che data una retta ed un punto che non le appartenga si possa condurre per il punto una
retta parallela alla retta data è una conseguenza della Prop. I.23. Euclide lo dimostra come in una
Proposizione che dall’enunciato sembra più una costruzione geometrica.
«Proposizione I.31. Condurre per un punto dato una linea retta parallela ad una retta data.
Dimostrazione. Sia A il punto dato, e BC la retta data; si deve dunque condurre
per il punto A una linea retta parallela alla retta BC.
E
Si prenda su BC un punto a piacere D, si tracci la congiungente AD, sulla retta DA
A
F
B
D
e con vertice nel suo punto A si costruisca l’angolo DAE uguale all’angolo ADC
(Prop. I.23.) e si prolunghi EA mediante la retta AF.
C
E poiché la retta AD, cadendo sulle due rette BC, EF, è venuta a formare gli
angoli alterni EAD, ADC uguali fra loro, EAF è parallela a BC.»
Può allora sembrare strana la collocazione della Prop. I.31 dopo la Prop. I.29, cioè dopo la prima
applicazione del Post. 5 nella Prop. I.29. Anche la dimostrazione riportata ha un punto non chiarito
quando afferma «e si prolunghi EA mediante la retta AF». Infatti, dalla Prop. I.23, data una retta BC ed un
punto A esterno ad essa, è possibile considerare un ulteriore punto D della retta BC e,
congiungendolo con A ottenere una retta AD che «viene a cadere» sulla retta BC. Ora si è in grado di
trasportare l’angolo ADC con vertice in A ottenendo l’angolo DAE e la retta AE anche sulla quale
«viene a cadere» la retta AD in modo da formare angoli alterni interni eguali con la retta BC. Si può
rifare la costruzione dall’altra parte ed ottenere un’altra retta, AF. Ma non è detto che i punti EAF
siano allineati. Tuttavia osservando che gli angoli formati hanno per somma due angoli retti, per la
Proposizione I.14, tali due rette, EA e AF, «saranno per diritto tra loro».
Per la Prop. I.27, che è conseguenza solo della Prop. I.16, le due rette BC e EF sono parallele. Si
può così provare l’esistenza per un punto A esterno di una retta parallela ad una retta data senza
avere bisogno del Postulato delle parallele, Post. 5.
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La condizione che il punto A non appartenga alla retta viene richiesto perché nella definizione di
Euclide non si considera il caso del cosiddetto parallelismo ‘esteso’.
La costruzione contiene un elemento arbitrario, vale a dire la scelta di D su BC. Si poteva evitare
prendendo D coincidente con B o con C. Ma può venire il dubbio che la costruzione di EF dipenda
dalla scelta di D. E questo dubbio rimane perché per dipanare la questione bisogna ricorrere o alla
precedente Prop. I.30, oppure alla seguente Prop. I.32.
Se al variare di D cambiasse la retta per A parallela a BC, allora ci sarebbero due rette parallele a
BC passanti per A, e quindi ciò è da escludere per le considerazioni svolte al termine della Prop.
I.30.
In altro modo si considerino sulla retta BC due punti D e D’ e si esegua la
E
costruzione così come detto nella dimostrazione della Prop. I.31, poi si
A
congiunga A e D’. In tal modo si forma il triangolo AD’D. per la
B
D'
D
C
costruzione gli angoli EAD e ADC sono uguali (per costruzione). Grazie
alla Prop. I.32, l’angolo ADC è uguale alla somma degli angoli AD’D e D’AD. Ma EAD è anche la
somma di EAD’ e DAD’, quindi per la Noz. com. 3, EAD’ è uguale a AD’D, quindi EA è anche la
retta che si otterrebbe rifacendo la costruzione a partire da D’ dato che trasportando l’angolo AD’D,
si otterrebbe l’angolo D’AE.
Resta il problema di capire perché nella dimostrazione della Prop. I.31, Euclide non osservi il ruolo
della Prop. I.30 e non formuli l’enunciato della Prop. I.31 non venga esplicitamente detto che la
parallela sia unica.
Potrebbe essere un problema di traduzione, «Condurre […] una linea retta […] » sia da intendere «una»
come un aggettivo numerale e non un articolo indeterminativo, per cui si dovrebbe ritenere la
presenza della unicità.
III.2. Il Libro II.
E’ un Libro assai breve, componendosi di sole due definizioni e 14 Proposizioni. Si potrebbe
ritenere una continuazione del Libro I, spezzato solo perché rischiava di divenire troppo lungo.
Delle due definizioni, una, la seconda, si è già vista, trattandosi della definizione dello gnomone.
La prima definizione invece è sorprendente:
«Definizione II.1. Ogni parallelogrammo rettangolo si dice esser compreso dalle due rette che comprendono
l’angolo retto.»
Siamo quindi in presenza di due definizioni di rettangolo: la prima come quadrilatero e come
sostantivo nella Def. I.22, il greco in questo caso usa
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, oblungo, mentre nella Def. II.1, è
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aggettivo di parallelogrammo, e il greco usa
ϑ
. La traduzione italiana (e quella latina)
non rende la differenza che compare in greco.
Il Libro II usa quasi sempre rettangolo nella seconda accezione, anzi si può dire dedicato a
ristabilire alcuni dei risultati visti nel Libro precedente coi parallelogrammi, coi rettangoli e i
quadrati. Frajese commenta questo fatto come se si passasse da un riferimento cartesiano con assi
obliqui ad un riferimento cartesiano ortogonale.
Questa scelta implica delle dimostrazioni più semplici, ma richiede, è ovvio, l’esistenza del
parallelogramma rettangolo. Ma come è stato mostrato dai commentatori di Euclide, la sola
esistenza di una tale figura geometrica richiede il Post. 5.
Una filo rosso che lega i Libri I e II è dato dalla teoria dell’equivalenza dei poligoni. Nella
«Proposizione I.42. Costruire in un dato angolo rettilineo un parallelogrammo uguale ad un triangolo dato.»
Euclide mostra, dato un triangolo ed un angolo, come sia possibile costruire un parallelogrammo
equivalente, basta considerare un parallelogramma avente la stessa altezza del triangolo e il lato
corrispondente all’altezza dato dalla metà della ‘base’ del triangolo. Di fatto si tratta di una
semplice costruzione che però richiede l’esistenza ed unicità della parallela. Con la
«Proposizione I.44. Applicare ad una retta data, in un dato angolo rettilineo, un parallelogramma uguale ad un
triangolo dato.
Dimostrazione. Siano AB la retta data, C il triangolo dato e D l’angolo rettilineo dato: si deve dunque applicare
alla retta data AB in un angolo uguale all’angolo D, un parallelogramma uguale ad un triangolo dato C.
Si costruisca nell’angolo EBG che sia eguale all’angolo D, il parallelogramma BEFG uguale al triangolo C
(Prop. I.42) e lo si ponga in modo da essere BE in linea retta con AB, si prolunghi FG oltre G sino ad H, per A si
conduca AH parallela all’una o all’altra indifferentemente delle rette BC, EF (Propp. I.31 e I.30), e si tracci la
congiungente HB. Ora poiché la retta HF cade sulle parallele AH, EF, la somma degli angoli AHF, HFE è eguale
a due retti (Prop. I.29). la somma degli angoli BHG, GFE è perciò minore di due retti; ma rette che vengano
prolungate illimitatamente, a partire da angoli minori di due retti si incontrano (Post. 5), per cui HB, FE, se
prolungate, si incontreranno. Si prolunghino esse e si incontrino in K, per il punto K si conduca KL parallela
all’una o all’altra indifferentemente delle rette EA, FH (Propp. I.31 e I.30), e si prolunghino HA, GB oltre A, B
rispettivamente sino ai punti L, M. Quindi HLKF è un parallelogramma, HK è una sua diagonale, ed AG, ME
sono parallelogrammi posti attorno a HK, mentre LB, BF sono i cosiddetti complementi; LB è perciò uguale a BF
(Prop. I.43). Ma BF è uguale al triangolo C; quindi anche LB è uguale a C (Noz.com. 1).
Dunque, è stato applicato alla retta data AB nell’angolo ABM, che è uguale all’angolo D (Noz.com. 1), il
parallelogramma LB uguale al triangolo dato C.»
spiega come sia possibile costruire un parallelogramma equivalente al triangolo con
fissati ‘base’ e angolo. Di fatto insegna come risolvere l’equazione algebrica bx = A,
ove b è la ‘base’, x è l’altezza del parallelogrammo e A è (l’area del) il triangolo.
Tale esempio introduce le cosiddette applicazioni delle aree, in particolare le
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Paul Tannery
(1843-1904)
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applicazioni paraboliche, dal termine greco παραβολ
per ‘applicazione’ usato nell’enunciato
della Prop. I.44. E’ quindi l’inizio della cosiddetta Algebra geometrica, termine proposto da Paul
Tannery.
Strumento essenziale per la Prop. I.44 è la
«Prop. I.43. In ogni parallelogrammo i complementi dei parallelogrammi [posti] intorno alla diagonale sono
uguali fra loro.
Dimostrazione. Sia DGLF un parallelogramma, FG una sua diagonale ed CE e AH siano parallelogrammi posti
intorno a FG, mentre siano BL e BD i cosiddetti complementi; dico che il complemento BL è uguale al
complemento BD. Infatti poiché DGLF è un parallelogramma e FG la sua diagonale, il triangolo FDG è eguale
al triangolo FLG (Prop. I,34). Di nuovo CBEF è un parallelogramma e FB è una sua diagonale, il triangolo BFC
è uguale al triangolo BEF (id.) E per la stessa ragione, pure il triangolo BAG è eguale al triangolo BGH (id.).
Poiché dunque il triangolo CBF è uguale al triangolo BEF ed il triangolo BGH al triangolo BAG, il triangolo
BFC insieme col triangolo BAG è eguale al triangolo BEF (Noz. com. 2); ma anche tutto quanto il triangolo
GFD è eguale a tutto il triangolo GLF: il complemento BD che (così) rimane è quindi uguale al rimanente
complemento BL (Noz. com. 3) ».
Questo è il cosiddetto Teorema dello gnomone.
F
E
L
a
C
Già questo testo, che pure per secoli è stato l’esempio della letteratura
scientifica, ha bisogno di essere “tradotto”. Nel testo sono presenti
B
x
H
b
D
A
G
disegni che aiutano a spiegare il testo. Di fatti il termine
“complemento” non è definito, ma la presentazione iconica permette di comprendere.
Il testo accompagnato dal disegno chiarisce perfettamente cosa si vuole provare. Si noti che alcuni
parallelogrammi vengono indicati da Euclide mediante le lettere che nominano i quattro vertici, altri
nominando solo due vertici opposti, anticipando, di fatto, la Def. II.1.
Dal punto di vista aritmetico-algebrico si può ritenere tale
risultato come la costruzione del quarto proporzionale X
dopo tre segmenti dati, A, B e C come mostra la figura.
A
B
X
C
B'
Una costruzione del quarto proporzionale sarà ottenuta
A'
C'
successivamente da Euclide nella
«Proposizione VI.12. Date tre rette, trovare la quarta proporzionale.
Dimostrazione. Siano A, B, C le tre rette date; si deve dunque trovare la
A
B
E
C
G
B'
A'
D
quarta proporzionale dopo A, B, C.
Si assumano le due rette DE, DF tali da comprendere un angolo qualsiasi
EDF, si ponga DG uguale ad A, si pongano GE uguale a B, ed ancora DH
uguale a C, e tracciata la congiungente GH, si conduca per E la retta EF ad
essa parallela (Prop. I. 31).
C'
Poiché dunque, nel triangolo DEF, la retta GH risulta condotta parallela ad
H
uno dei lati, cioè ad EF, si ha: DG : GE = DH : HF (Prop. VI.2). Ma DG è
X
F
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uguale ad A, mentre GE è uguale a B, e DH è uguale a C; perciò A sta a B come C sta a HF.
Dunque date le tre rette A, B, C è stata trovata la quarta proporzionale HF [dopo di esse].».
Tale costruzione che potrebbe essere quella ricavata da Talete, visto che su alcuni testi tale risultato
è noto col nome di Teorema di Talete, motivato forse dall’aneddoto che mediante esso Talete
avrebbe misurato l’altezza di una piramide, mediante un bastone e l’ombra del bastone e della
piramide.
Ci si chiede allora perché Euclide si preoccupi di fornire due dimostrazioni profondamente diverse.
Intanto nella Proposizione I.43 non compare la parola proporzionalità che è esplicita nella Prop.
VI.12. Il fatto che entrambe permettano di determinare la quarta proporzionale mostra però che ciò
può essere fatto con due strumenti diversi: la teoria dell’equivalenza (uguaglianza) e quella delle
proporzioni tra grandezze che occupa tutto il Libro V e viene applicata nel seguito. Sembra quasi
che Euclide voglia provare quanti più risultati possibili senza mettere in gioco la teoria delle
grandezze, tradizionalmente attribuita ad Eudosso, come se volesse dire: alcuni risultati si possono
ottenere senza le grandezze! E’ questo lo spirito presente nel Libro II.
Poi con la
«Proposizione I.45. Costruire un parallelogrammo uguale ad una figura rettilinea data in un dato angolo
rettilineo.
Dimostrazione. Sia ABCD la figura rettilinea data, ed E sia l’angolo rettilineo dato; si deve dunque costruire
nell’angolo dato E un parallelogrammo uguale alla figura rettilinea ABCD.
Si tracci la congiungente DB, si costruisca nell’angolo HKF, che sia uguale all’angolo E, il parallelogrammo FH
uguale al triangolo ABD (Prop. I.42), e si applichi alla retta GH nell’angolo GHM, che è uguale all’angolo E
(Prop. I.29), il parallelogrammo GM uguale al triangolo DBC (Prop. I.44). Ora poiché l’angolo E è uguale a
ciascuno dei due angoli HKF, GHM, anche gli angoli HKF, GHM sono uguali (Noz. com. 1). Si aggiunga in
comune ad essi l’angolo KHG; la somma di FKH, KHG è quindi uguale alla somma di KHG, GHM. Ma la
somma degli angoli FKH, KHG è uguale a due retti (Prop. I.29), per cui pure la somma KHG, GHM è uguale a
due retti. Dunque, le due rette KH, HM, che giacciono da parti opposte rispetto alla retta GH, formano con essa,
e coi vertici nel punto H, angoli adiacenti la cui somma è uguale a due retti; quindi KH è in linea retta con HM
(Prop. I.14). E poiché la retta HG cade sulle parallele KM, FG, gli angoli alterni MHG, HGF sono fra loro uguali
(Prop. I. 29). Si aggiunga in comune ad essi l’angolo HGL; la somma MHG, HGL è perciò uguale a due retti
(Prop. I.29), per cui anche la somma degli angoli HGF, HGL è uguale a due retti (Noz. com. 1); quindi FG è in
linea retta con GL (Prop. I.14). E poiché FK è uguale e parallela a HG (Prop. I.34), ma pure HG lo è rispetto a
ML (id.), anche KF, ML sono uguali e parallele (Noz. comune 1 e Prop. I.30). e le congiungono le rette KM, FL:
quindi KFLM è un parallelogrammo (Prop. I.33). E poiché il triangolo ABD è uguale al parallelogrammo FH, ed
il triangolo DBC al parallelogrammo GM, tutta quanta la figura rettilinea ABCD è uguale a tutto quanto il
parallelogrammo KFLM (Noz. Com. 2).
Dunque, è stato costruito nell’angolo FKM, che è uguale all’angolo dato E, il parallelogrammo KFLM uguale
alla figura rettilinea data ABCD.»
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Euclide insegna come costruire una parallelogramma equivalente ad un poligono, o meglio una
«figura rettilinea», assegnato, con un angolo assegnato, anche se nella dimostrazione utilizza un
quadrilatero: il procedimento di scomposizione in triangoli può essere applicato ad un poligono
qualunque.
Si noti che la Prop. I.23 viene applicata, ma non menzionata.
Nel Libro II invece di generici parallelogrammi con angoli arbitrari assegnati, si fissano tali angoli
come retti e pertanto come caso particolare delle costruzioni date nelle Propp. I.44 e I.45, si possono
ora costruire rettangoli equivalenti a triangoli, parallelogrammi e poligoni qualunque. Un altro
fondamentale risultato del Libro I è dato dal Teorema di Pitagora, Prop. I.47 che insegna come
costruire un quadrato che sia equivalente alla somma o alla differenza di due quadrati. Resta ora il
problema di come passare da un rettangolo assegnato ad un quadrato equivalente (quadratura del
rettangolo). Tale risultato ha una corrispondenza con la teoria delle proporzioni, vale a dire, la
costruzione del medio proporzionale. Il passo è compiuto dalle Propp. II. 5 e II.6 e giungere così
alla Prop. II.14 che è quella di quadratura del poligono.
«Proposizione II.5. Se si divide una retta in parti eguali e diseguali, il rettangolo compreso dalle parti diseguali
della retta, insieme col quadrato della parte compresa tra i punti di suddivisione, è uguale al quadrato della metà
della retta.
Dimostrazione. Infatti si divida una retta AB in parti eguali in C ed in parti diseguali in D; dico che il rettangolo
compreso da AD, DB, insieme col quadrato di CD, è uguale al quadrato di CB. Su CB difatti si descriva il
quadrato CEFB (Prop. I.46) e si tracci la congiungente BE, per D si conduca DG perpendicolare all’una o
all’altra indifferentemente delle rette AB, EF, per H si conduca
ancora KM parallela all’una o all’altra indifferentemente delle
B
D
C
rette CL, BM (Propp. I.31 e I.30). E poiché il complemento CH è
O
A
L N
K
uguale al complemento HF (I.43), si aggiunga in comune [ai due]
M
DM; tutto quanto CM è quindi uguale a tutto quanto DF. Ma CM è
H
P
G
E
uguale ad AL, poiché pure AC è uguale a CB (Prop. I.36); anche
F
AL, DF sono perciò eguali (Noz. com. 1). Si aggiunga in comune
ai due CH; quindi tutto quanto AH è uguale al (sic!) gnomone
A
NOP. Ma AH è il rettangolo di AD,DB – difatti DH è uguale a
C
DB-; anche il gnomone NOP è perciò uguale al rettangolo di AD,
B
DB (Noz. com. I). Si aggiunga in comune ai due LG, che è
K
D
O
L
N
di LG è uguale al quadrato di CD (Noz. com. 3). Ma la somma
H
del gnomone NOP e di LG costituisce tutto quanto il quadrato
P
E
uguale al quadrato di CD; quindi la somma del gnomone NOP e
M
G
CEFB, che è descritto su CB; il rettangolo compreso da AD, DB,
insieme col quadrato di CD, è perciò uguale al quadrato di CB.
Proposizione II.6. Se si divide per metà una linea retta, ed
F
un’altra le è aggiunta per diritto, il rettangolo compreso da tutta
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la [prima] retta più quella aggiunta e dalla retta aggiunta, insieme col quadrato della metà [della prima], è uguale
al quadrato della retta composta dalla metà [della prima] e dalla retta aggiunta.
Dimostrazione. Infatti, si divida per metà una retta AB nel punto C, ed un’altra retta BD sia aggiunta per diritto
ad essa; dico che il rettangolo compreso da AD, DB, insieme col quadrato di CB, è uguale al quadrato CD.
Su CD difatti si descriva il quadrato CEFD (Prop. I.46), si tracci la congiungente DE, per il punto B si conduca
BG parallela all’una o all’altra indifferentemente delle rette EC, DF, si conduca KM per il punto H parallela
all’una o all’altra indifferentemente delle rette AB, EF, ed infine per A si conduca AK parallela all’una o all’altra
indifferentemente delle rette CL, DM (Prop. I.31 e I.30).
Poiché dunque AC è uguale a HF (Prop. I.43). Quindi anche AL, HF sono uguali (Noz. com. 1). Si aggiunga in
comune ai due CM, per cui tutto quanto AM è uguale allo gnomone NOP. Ma AM è il rettangolo di AD, DB –
difatti DM è uguale a DB -; anche lo gnomone NOP è perciò uguale al rettangolo AD, DB. Si aggiunga in
comune ai due LG, che è uguale al quadrato di BC; quindi il rettangolo compreso da AD, DB, insieme col
quadrato di CB, è uguale alla somma dello gnomone NOP e di LG (Noz. com. 2). Ma la somma dello gnomone
NOP e di LG costituisce tutto quanto il quadrato CEFD, che è descritto su CD; il rettangolo compreso da AD,
DB, insieme col quadrato di CB è perciò uguale al quadrato CD. »
Come si vede l’enunciato (e la dimostrazione) di questa Proposizione ricorda quello della
Proposizione precedente. La differenza importante che nella Prop. II.5 è dato il segmento ed un suo
punto, qui si dà un segmento e si considera un punto esterno, grazie alla ‘retta aggiunta per diritto’,
noi diremo il prolungamento del segmento.
Ed infine si ha la
«Proposizione II.14. Costruire un quadrato uguale ad una figura rettilinea data.
Dimostrazione. Sia A la figura rettilinea data: si deve dunque costruire un quadrato uguale alla figura rettilinea A.
Infatti si costruisca il rettangolo BD uguale alla figura rettilinea A (Prop. I.45); se dunque BE risultasse in tal
caso uguale a ED, si sarebbe conseguito già quanto proposto: si sarebbe difatti costruito un quadrato BD uguale
alla figura rettilinea A. Se invece non è così, una delle rette BE, ED è maggiore. Sia maggiore BE e si prolunghi
BE oltre E, sul prolungamento si ponga EF uguale a ED (Prop. I.3 o Post. 3), e si divida BF per metà in G (Prop.
I.10); con centro G e per raggio una delle rette GB, GF si descriva il semicerchio BHF (Post. 3), si prolunghi DE
oltre E sino al punto H, e si tracci la congiungente GH.
Poiché dunque la retta BF è stata divisa in parti uguali in G ed in parti disuguali in E, il rettangolo compreso da
BE, EF, insieme col quadrato di EG, è uguale al quadrato di GF (Prop. II.5). Ma GF è uguale a GH, per cui il
rettangolo di BE, EF, insieme col quadrato di GE, è uguale al quadrato di GH. Ma la somma dei quadrati di HE,
EG è uguale al quadrato di GH (Prop. I.47); Quindi il rettangolo di BE, EF, insieme col quadrato di GE, è uguale
alla somma dei quadrati di HE, EG. Si sottragga il quadrato di GE da ambedue le somme; il rettangolo che
rimane della prima, compreso da BE, EG è perciò uguale al quadrato di EH che rimane dalla seconda (Noz. com.
3). Ma il rettangolo di BE, EF è BD – difatti EF è uguale ad ED - ; quindi il parallelogrammo rettangolo BD è
uguale al quadrato di HE. Ma BD è uguale alla figura rettilinea A. Anche la figura rettilinea A è perciò uguale al
quadrato che venga descritto su EH (Prop. I.46).
Dunque è costruito un quadrato, cioè quello che può essere descritto su EH, uguale alla figura rettilinea data A. »
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