RASSEGNA La patogenesi autoimmune del diabete di tipo 1 Incani M2, Baroni MG1,2 1 Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università Sapienza di Roma, Roma; 2Endocrinologia e Diabete, Dipartimento di Scienze Mediche e Sanità Pubblica, Università di Cagliari, Cagliari RIASSUNTO Il diabete di tipo 1 rappresenta un esempio patognomonico delle malattie multifattoriali. Su un background di predisposizione genetica, fattori ambientali (multipli e differenti tra persone e popolazioni) agiscono per attivare una riposta autoimmune che causa la distruzione delle β-cellule pancreatiche. Difetti o alterazione nella riposta innata, insieme a difetti nel controllo della riposta immunitaria (attraverso alterazioni nella selezione clonale timica, fenomeni di mimetismo molecolare, soppressione immune) sono tutti coinvolti nella distruzione β-cellulare. In ultimo, i linfociti T, nella loro funzione regolatoria, helper e citotossica, sono i determinanti finali del processo autoimmune che porta al diabete di tipo 1. SUMMARY The autoimmune pathogenesis of type 1 diabetes Type 1 diabetes is the pathognomonic example of a multifactorial disease. Against a background of genetic predisposition, environmental factors (multiple and different in different patients and populations) trigger an autoimmune response that causes the destruction of pancreatic β-cells. Altered or defective innate immunity, together with defective control of the immune response (by alterations in clonal selection, molecular mimicry, immune suppression) are all involved in the autoimmune destruction of these cells. Ultimately, T lymphocytes, in either their regulatory, helper or cytotoxic functions, are the final determinants of the autoimmune process that leads to type 1 diabetes. La storia naturale del diabete di tipo 1 (DMT1) ci permette di osservare quali siano i fattori principalmente coinvolti nell’eziopatogenesi della malattia e di capire la sequenza degli eventi che portano al processo distruttivo delle β-cellule pancreatiche (Fig. 1). Come altre malattie autoimmuni, il diabete di tipo 1 è una patologia multifattoriale in cui, a un background di predisposizione genetica si associa un evento scatenante in grado di superare la tolleranza periferica, con promozione di meccanismi autoimmunitari come l’attivazione di linfociti autoreattivi. Nelle prime fasi quest’attività autoimmunitaria, pur non essendo clinicamente individuabile, è dimostrata dalla presenza di autoanticorpi diretti con- tro alcuni antigeni β-cellulari. Con il progredire della risposta autoimmune si determina la distruzione comFattori ambientali Anormalità immunologica Autoanticorpi Massa β-cellulare Introduzione (ICA, GADA, IA2-A, IAA, ZnT8A) Predisposizione genetica Pre-diabete precoce Perdita progressiva del rilascio di insulina Intolleranza al glucosio Assenza di Diabete peptide C conclamato Pre-diabete tardivo Tempo Figura 1 Modello della storia naturale del diabete di tipo 1. Corrispondenza: prof. Marco G. Baroni, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università Sapienza di Roma, Policlinico Umberto I, viale Regina Elena 324, 00161 Roma • e-mail: [email protected] Pervenuto l’11-10-2016 • Revisione del 06-11-2016 • Accettato il 07-11-2016 Parole chiave: diabete di tipo 1, autoanticorpi, linfociti T, insulite, selezione clonale, mimetismo molecolare, tolleranza immunologica, sistema maggiore di istocompatibilità • Key words: type 1 diabetes, autoantibodies, T lymphocytes, insulite, clonal selection, molecular mimicry, immune tolerance, major histocompatibility system Abbreviazioni: APC, antigen-presenting cell, cellula presentante l’antigene; CBV-4, Coxackie B4; CTL, linfociti T citotossici; DC, cellule dendritiche mature; DMT1, diabete di tipo 1; EV, enterovirus; GAD, glutamic acid decarboxylase, decarbossilasi dell’acido glutammico; GADA, GAD autoantibodies; GWA, genome wide association; HLA, human leukocyte antigen, antigene leucocitario umano; HSP60, heat shock protein 60; IA-2, tirosina-fosfatasi; IA2-A, IA2 autoantibodies; IAA, insulin autoantibodies, autoanticorpi anti-insulina; ICA, islet cellautoantibodies, autoanticorpi anti-insula; 38 kDa sg, 38 kDa insulin secretory-granule antigen, 38 kDa proteina del granulo di secrezione dell’insulina; MHC, major histocompatibility complex, complesso maggiore di istocompatibilità; NK, natural killer; P69, pancreatic antigen 69; PI, proinsulina; TCR, T cell receptor, recettore delle cellule T; Tfh, follicular helper T cell; Th1, cellule T helper 1; Th2, cellule T helper 2; Treg, cellule T regolatorie; ZnT8, trasportatore dello zinco; ZnT8A, ZnT8 autoantibodies. G It Diabetol Metab 2016;36:181-188 181 Incani M e Baroni MG pleta delle β-cellule e la comparsa dell’iperglicemia(1). Gli elementi coinvolti nell’eziopatogenesi del diabete di tipo 1 comprendono quindi fattori genetici, fattori ambientali e sistema immunitario. Fattori genetici Da un punto di vista genetico la caratteristica comune del diabete di tipo 1 e delle altre malattie multifattoriali è l’assenza di una specifica corrispondenza tra genotipo e fenotipo, tipica invece delle patologie monogeniche. Nelle malattie multifattoriali una qualunque variante eziologica non segrega costantemente con la patologia, poiché non ne è la causa, ma determina solo un aumentato rischio. Questo spiega la ridotta penetranza di ciascun polimorfismo considerato singolarmente, e rende molto difficoltoso il mappaggio dei geni coinvolti nel DMT1. Sono numerosissimi i geni o i loci cromosomici che sono stati trovati in linkage con la malattia(2,3). Una vasta ricerca genomica ha dimostrato che, nonostante vi siano molti geni responsabili dello sviluppo del diabete, i più importanti sono legati all’MHC (complesso maggiore di istocompatibilità), e in particolare all’antigene leucocitario umano (HLA), il locus dei geni che codificano le proteine responsabili per la regolazione del sistema immunitario nell’uomo. Si tratta di un gruppo di geni polimorfici costituito da 30 unità, localizzate nell’uomo sul braccio corto del cromosoma 6. Le molecole dell’HLA di classe II (DP, DM, DOA, DOB, DQ e DR) sono attive nei fenomeni di cooperazione cellulare che si verificano nell’ambito della risposta immunitaria. Le molecole HLA sono il prodotto dei geni corrispondenti, e i più importanti sono DP, DQ e DR. In particolare alcuni alleli dei geni DR e DQ sono fortemente associati al DMT1 e contribuiscono fino al 50% del rischio(3). L’associazione con la malattia si ha solamente in presenza di aplotipi con alleli di suscettibilità a entrambi i loci DQB1 e DRB1. Nella popolazione caucasica l’associazione è più marcata con gli alleli HLA-DR3 e -DR4 e con alcuni alleli del locus HLADQB1 (DQB1* 0302 e DQB1* 0201)(4). In generale l’associazione dei vari aplotipi con la malattia esibisce un continuum che va da aplotipi altamente predisponenti ad aplotipi fortemente protettivi, passando attraverso aplotipi neutrali e moderatamente protettivi. Il meccanismo con il quale alcuni alleli HLA conferiscono suscettibilità alla malattia non è stato del tutto chiarito. Tuttavia è stato ipotizzato che possa dipendere da una ridotta affinità di legame con gli autoantigeni, per cui cellule autoreattive sfuggono alla selezione clonale timica (vedi sezione successiva) e sono presenti in periferia(5). All’opposto, i geni protettivi sarebbero dotati di alta affinità, determinando un’efficiente selezione clonale. A oggi, studi di genome wide association (GWA) hanno dimostrato l’associazione tra diabete di tipo 1 e più di 182 50 geni. A parte l’HLA, gli altri geni conferiscono individualmente un modesto aumento del rischio di sviluppare diabete di tipo 1. Fra gli altri geni trovati associati, vanno citati il gene PTPN22, coinvolto nella regolazione della risposta immune innata, nell’attivazione T-cellulare e nella proliferazione delle cellule NK, e il gene dell’insulina (IDDM2), in particolare la sua regione variabile (INSVNTR). Fattori ambientali In molti dei Paesi sviluppati l’incidenza del DMT1 è aumentata troppo rapidamente per essere spiegata solo dalla componente genetica(6). Questo aumento rappresenta la migliore prova dell’influenza di fattori ambientali nella patogenesi della malattia(7,8). La valutazione di fattori ambientali quali virus, batteri, cambiamenti legati all’alimentazione, fattori antropometrici e psicosociali sono in corso di studio in trial clinici osservazionali, come nello studio TEDDY, che ha lo scopo di accertare determinanti ambientali in grado di innescare autoimmunità nelle β-cellule e di accelerare o rallentare la progressione dall’esordio clinico in soggetti con persistente autoimmunità(9). Secondo la “teoria dell’igiene”(10), vi è un rapporto inverso tra le condizioni igieniche e l’aumento d’incidenza delle malattie autoimmuni. Fra i vari fattori ambientali associati alla “teoria dell’igiene” i virus sono sempre stati chiamati in causa come possibili fattori scatenanti della malattia e tra questi gli enterovirus (EV), in particolare i virus Coxackie B4 (CBV-4). I dati epidemiologici hanno costantemente dimostrato un aumento dell’incidenza di diabete di tipo 1 in presenza di epidemie causate da enterovirus(11). Inoltre, CBV-4 sono stati isolati da pazienti all’esordio del diabete, e alcuni di questi sono stati in grado di indurre la malattia in modelli animali(12). Livelli elevati di anticorpi IgM specifici per CBV sono stati osservati in diabetici di tipo 1 neodiagnosticati(13) e, infine, la presenza di RNA specifico di EV è stato dimostrato in questi pazienti, a indicare la presenza di infezioni in atto(14). EV-RNA è stato trovato nel 50% dei bambini all’esordio del diabete di tipo 1, e in nessuno dei bambini sani di controllo. Recenti studi osservazionali hanno rivelato la presenza di proteine immunoreattive del capside enterovirale, VP1, all’interno delle β-cellule in soggetti affetti da DMT1(15,16). Malgrado queste evidenze, il ruolo delle infezioni virali come causa di perdita delle β-cellule nel diabete resta ancora da chiarire. Fra i fattori alimentari, studi ecologici mostrano un’associazione tra consumo di latte e incidenza di DMT1, e i dati epidemiologici confermano l’associazione tra l’inserimento precoce di proteine del latte vaccino e aumentata incidenza di DMT1. Anche studi su modelli sperimentali animali dimostrano che l’eliminazione di La patogenesi autoimmune del diabete di tipo 1 proteine del latte dalla dieta riduce l’incidenza di diabete e studi immunologici dimostrano la presenza di anticorpi e linfociti attivati verso proteine del latte in pazienti con DMT1(17). L’importanza della dieta e il conseguente coinvolgimento del sistema gastrointestinale nell’eziologia del diabete di tipo 1, è suggerito anche da alcune differenze riscontrate nella composizione del microbiota intestinale di soggetti affetti o con evidenza di autoimmunità β-cellulare e soggetti sani(18,19). Studi condotti fino a ora sul microbiota intestinale (BABYDIET e DIPP) hanno dato risultati non del tutto in linea tra loro, probabilmente per alcuni fattori confondenti come l’area geografica, la dieta e l’insufficiente numerosità delle casistiche. Ci sono inoltre prove che il genoma umano possa in qualche maniera controllare la composizione della flora batterica intestinale, tuttavia non è noto se una predisposizione genetica al DMT1 (genotipo HLA) influisca su questa stessa composizione(20). Fattori immunologici Autoanticorpi La presenza in circolo di autoanticorpi diretti contro il pancreas endocrino incrementa in modo significativo il rischio di sviluppare diabete di tipo 1(21-23). Già nella fase subclinica del DMT1 sono riscontrabili autoanticorpi specifici diretti contro antigeni delle isole pancreatiche, ma essi sono un epifenomeno della malattia (non sono cioè patogenetici), rappresentando un valido marcatore sierologico di autoimmunità e costituendo un elemento fondamentale per la diagnosi di diabete. Inoltre, il loro dosaggio può aiutare a identificare con maggiore sensibilità e specificità coloro i quali siano maggiormente predisposti a sviluppare il DMT1 nell’arco della loro vita(24). Gli anticorpi contro il pancreas endocrino attualmente meglio conosciuti e dosati sono gli ICA, i GADA, gli IA2-A, gli IAA e l’ultimo anticorpo scoperto, diretto contro il trasportatore dello zinco (ZnT8A)(25). Dei diversi marker immunologici per il diabete di tipo 1, gli ICA descritti per la prima volta nel 1974, hanno rappresentato il “gold standard” per la determinazione di anticorpi anti-insula per oltre 15 anni, ma a causa della complessità dell’analisi gli ICA non rappresentano più da svariati anni l’esame di riferimento per la malattia diabetica e trovano oggi spazio estremamente limitato nella pratica clinica. Gli anticorpi che adesso sono utilizzati come marcatori della malattia sono quelli rivolti verso la decarbossilasi dell’acido glutammico (GAD), l’insulina, la tirosina-fosfatasi (IA-2) e il trasportatore dello zinco (ZnT8). Questi anticorpi sono presenti in oltre il 90% dei soggetti con diabete di tipo 1 all’esordio, anche se i livelli variano a seconda dell’etnia e dell’età. Proprio in anni recenti sono stati identificati in pazienti con DMT1 gli autoanticorpi diretti contro il trasportatore dello zinco-8 (ZnT8A), una proteina di membrana con abbondante espressione nei granuli secretori delle β-cellule(26-28). Essi sono individuati nel 60-80% di DMT1 di recente insorgenza e in meno del 2% dei soggetti di controllo(25). Inoltre gli ZnT8A sono stati osservati nel 26% dei soggetti con DMT1 classificati in precedenza come anticorpo-negativi, permettendo quindi di rivalutare la diagnosi(29). Se venissero dosati tutti i 4 marcatori nei soggetti affetti da DMT1 all’esordio, solo il 2-4% risulterebbe anticorpo-negativo, meno del 10% avrebbe solo un marcatore positivo e circa il 70% avrebbe tre o quattro marker di positività(24). È interessante notare come i più importanti autoantigeni a oggi conosciuti per il DMT1 siano tutti correlati all’apparato secretore della β-cellula, inclusi gli ultimi anticorpi identificati (ZnT8A)(25). Sistema immunitario La presenza di concentrazioni elevate di autoanticorpi circolanti diretti verso antigeni autologhi mette in evidenza l’importanza della tolleranza immunologica, cioè della capacità di riconoscere antigeni “self” da “non-self” nello sviluppo delle patologie autoimmuni, come nel caso del diabete di tipo 1. L’iperglicemia cronica è il risultato, nel diabete autoimmune, della distruzione selettiva delle β-cellule insulari pancreatiche, processo che ormai è noto essere mediato principalmente dai linfociti T. Infatti, queste cellule sono quelle più rappresentate a livello degli infiltrati insulari e sono le uniche in grado di trasferire la malattia da animali diabetici ad animali sani. Inoltre la loro presenza negli animali geneticamente suscettibili allo sviluppo del diabete, come il topo NOD, è fondamentale affinché si sviluppi la malattia, come dimostrato dal fatto che animali timectomizzati o trattati con sostanze che inibiscono selettivamente la funzione dei linfociti T non sviluppano mai il diabete. I meccanismi per indurre la tolleranza al “self” sono rappresentati dall’eliminazione dei linfociti T immaturi che incontrano gli autoantigeni durante il loro processo di sviluppo (selezione negativa), e dalla delezione o inattivazione funzionale dei linfociti T maturi che incontrano gli autoantigeni nel corso della vita. Lo scatenarsi della risposta immunitaria nei confronti di autoantigeni, quindi, può essere la conseguenza di difetti sia nella tolleranza centrale (mancata selezione clonale) sia in quella periferica. Sia i linfociti T con fenotipo CD4 (T helper) sia quelli CD8 (T cytotoxic) sono coinvolti nella patogenesi del diabete. Le informazioni disponibili in letteratura indicano che un tipico reperto patognomico nel DMT1 è la presenza di infiltrati linfocitari (insulite) nelle isole di Langherans che contengono le cellule T CD8 (il più abbondante tipo cellulare) seguito dalle cellule B, dai linfociti T CD4, da cel- 183 Incani M e Baroni MG lule NK (natural killer) e macrofagi(30,31). Tutti questi diversi sottoinsiemi di cellule immunitarie possono svolgere ruoli differenti e contribuire alla patogenesi del DMT1, operando simultaneamente ad altre cellule e/o fattori in fasi differenti nel corso della risposta autoimmune che caratterizza la patologia. Entrambe le linee cellulari T CD4 e T CD8 hanno dato evidenza di essere in grado di promuovere e sostenere in modo significativo l’infiammazione e la morte delle β-cellule(32). Tuttavia i meccanismi non sono del tutto chiariti. Essi seguono tipicamente una fase iniziale caratterizzata da molteplici anomalie nella risposta immunitaria innata(33), tra cui deficit nella tolleranza immunologica in cellule dendritiche mature (DC) insieme a deficit di cellule NK(34) e alterazione nella funzione e differenziazione dei macrofagi (per esempio ridotta fagocitosi nelle β-cellule apoptotiche)(35). A queste anomalie nella risposta innata seguono meccanismi di attivazione o repressione delle varie componenti del sistema immunitario che determinano, alla fine, la distruzione β-cellulare. Come illustrato in figura 2, diverse sono le componenti del sistema immunitario coinvolte nel processo che porta alla distruzione delle β-cellule nel DMT1. Le proteine delle β-cellule danneggiate vengono fagocitate da cellule presentanti l’antigene (antigen-presenting cell, APC), come le cellule dendritiche o i macrofagi. Le APC elaborano queste proteine in frammenti di peptidi che sono presentati da molecole HLA di classe II alle cellule T helper 1 proinfiammatorie (Th1); queste cellule, a loro volta, attivano una cascata di risposte immunitarie, tra cui l’attivazione delle cellule B (che producono autoanticorpi specifici contro antigeni insulari) e dei linfociti T citotossici (CTL) specifici contro antigeni β-cellulari. In alterna- tiva, le APC possono presentare peptidi antigenici a cellule T regolatorie (Treg), che in condizioni normali sopprimono la cascata proinfiammatoria e impediscono la distruzione delle β-cellule. Come illustrato in figura 2, molte alterazioni immunologiche (nei riquadri) distinguono i pazienti con DMT1 dai soggetti sani. Sia i linfociti T CD4 sia i CD8 riconoscono gli antigeni attraverso un recettore di superficie denominato TCR (T cell receptor) costituito da una catena α e una β. Il riconoscimento dell’antigene è reso possibile solo se è presentato da parte di molecole HLA espresse sulla superficie delle cellule APC. I linfociti T autoreattivi nel DMT1 mostrano reattività nei confronti di diversi antigeni insulari. La natura di questi antigeni e il loro ruolo nella patogenesi del DMT1 sono tuttavia ancora molto dibattute. Come nel caso degli anticorpi, anche le risposte T cellulari sono state descritte nei confronti di almeno una decina di autoantigeni pancreatici, tra cui l’insulina, che sono poi gli stessi verso cui reagiscono gli anticorpi(36) (Tab. 1). D’altra parte, è improbabile che le risposte T e B cellulari nei confronti di un numero così elevato di autoantigeni siano tutte primarie o patogenetiche. È più probabile invece che la risposta autoimmune cellulomediata verso un antigene primario induca un certo grado di danno tessutale con rilascio di prodotti di degradazione che a loro volta possono determinare l’induzione di risposte immuni secondarie e contribuire all’estensione e alla cronicizzazione del processo. Nel gergo immunologico questo fenomeno viene definito molecular and epitope spreading ed è un meccanismo ben noto che è generalmente attribuito alla produzione di citochine da parte della prima ondata di cellule autoreattive nei confronti di un epitopo immunodominante di un Figura 2 I maggiori componenti della risposta immunitaria coinvolti nel processo multifattoriale che porta alla distruzione β-cellulare nel diabete di tipo 1. 184 La patogenesi autoimmune del diabete di tipo 1 Tabella 1 Target della risposta autoimmune nel diabete di tipo 1. Autoantigeni Anticorpi Risposta T-cellulare Insulina + + GAD 65/67 + + IA2 + ? ICA512 + ? P69 + + HSP60 + + Periferina + + Carbossipeptidasi H + + Gangliosidi + ? 38 kDa sg ? + antigene primario a livello dell’organo bersaglio, che determina la perdita di tolleranza nei confronti di altri antigeni con un meccanismo a cascata. Una situazione di questo tipo è stata descritta nel topo NOD in cui è stata studiata la cronologia della comparsa di autoreattività T cellulare nei confronti di alcuni autoantigeni β-cellulari. Alcuni studi hanno dimostrato che la reattività cellulare alla GAD è la prima a comparire, intorno alla terza settimana di vita, seguita con alcune settimane di distanza dalla comparsa di reattività nei confronti degli altri antigeni insulari(37-39). Un gran numero di autoantigeni, generalmente riconosciuti da autoanticorpi, sono stati identificati e sono target di cellule CD8+ e CD4+ che possono contribuire alla distruzione delle β-cellule, ma possono avere anche un ruolo protettivo. (Pre) proinsulina ([P] PI), GAD, IA-2 e ZnT8 svolgono un ruolo particolarmente importante e sono riconosciuti da autoanticorpi rilevabili mediante test clinici laboratoristici(40). Dato che la presenza di particolari autoantigeni fornisce specificità al DMT1, numerosi sforzi sono stati fatti sia per sviluppare saggi che determinino la presenza di autoantigeni e per il monitoraggio delle risposte patologiche delle cellule T verso questi autoantigeni, sia per cercare di progettare e sviluppare strategie terapeutiche che in maniera specifica inibiscano tale risposta. Le sempre maggiori conoscenze però mostrano che è necessario investire ancora in questo campo, dove i risultati recenti sono ancora discordanti e poco riproducibili, prima di potere immaginare una terapia immunologica a base autoantigenica che possa portare risultati soddisfacenti. Attualmente l’insulina rimane senza dubbio l’autoantigene “numero uno” nel modello NOD di DMT1, non solo a causa della sua espressione ristretta alle β-cellule, l’associazione del suo polimorfismo genetico con rischio di malattia e il ruolo del suo riconoscimento nella risposta autoimmune iniziale, ma anche perché la base strutturale del suo riconoscimento da cellule T CD4+ è ben compresa e fornisce ulteriori elementi di prova per il ruolo chiave di insolite interazioni TCR-peptide MHC nel DMT1(40). Un interessante recente studio condotto su modelli murini mostra che le cellule T sono attive verso peptidi “ibridi” formati dalla fusione di un peptide derivato dalla PI con altri peptidi derivati da proteine presenti nelle β-cellule pancreatiche. Inoltre, le cellule T isolate dalle isole pancreatiche di due persone con DMT1 hanno riconosciuto tali peptidi ibridi, suggerendo che essi possano svolgere un ruolo importante nella malattia(41). L’analisi biochimica di estratti delle insule ha rivelato che i cloni T cellulari riconoscono peptidi ibridi formati da frammenti di proinsulina e altri peptidi. La produzione di peptidi ibridi o peptide splicing si verifica durante la degradazione degli antigeni da parte del proteasoma. Alcune linee di ricerca ipotizzano che l’affollamento molecolare di peptide nei granuli di secrezione possa essere alla base della comparsa di reazioni di transpeptidazione, in grado di determinare la creazione di peptidi ibridi. La modificazione di peptidi naturali li rende “stranieri” per il sistema immunitario e quindi target di cellule T autoreattive. Poiché è molto improbabile che peptidi ibridi siano prodotti nel timo, le cellule T saranno sfuggite alla selezione clonale negativa e quindi ai meccanismi di tolleranza-self, e potranno poi svolgere un ruolo nell’autoimmunità cellulare. L’identificazione di peptidi ibridi dell’insulina offre quindi una possibile spiegazione di come cellule T CD4+ possano sfuggire alla selezione clonale timica, e possano poi subire una potente attivazione quando arrivano in presenza degli ibridi nelle β-cellule. In ogni caso, quale che sia l’antigene primario nell’induzione dei fenomeni autoimmuni nel diabete, la questione più dibattuta rimane quella del perché e in che modo si viene a perdere il fisiologico meccanismo di tolleranza verso molecole cosiddette “self”. Esistono tre ipotesi principali per spiegare questo fenomeno, nel diabete come in altre malattie autoimmuni organo-specifiche: un difetto nella selezione del repertorio linfocitario a livello timico; un aggiramento dell’anergia periferica (mimetismo molecolare) e un’alterazione dei meccanismi soppressori. Mancata selezione clonale timica Una caratteristica fondamentale del sistema immunitario consiste nel mantenimento di uno stato fisiologico di tolleranza nei confronti della maggior parte degli antigeni self. Questo stato di tolleranza è controllato principalmente a livello del timo, dove avviene la selezione del repertorio linfocitario, attraverso meccanismi basati sul riconoscimento di antigeni autologhi che prevengono la maturazione o l’attivazione dei linfociti potenzialmente autoreattivi. I linfociti che possiedono un TCR specifico per antigeni self vanno incontro in questo modo a selezione negativa, cioè vengono inattivati o mediante delezione clonale (morte cellulare dipendente dall’attivazione) o mediante l’anergia clonale (sopravvivenza 185 Incani M e Baroni MG delle cellule autoreattive che però non vengono attivate dal legame con l’antigene) o mediante indifferenza clonale (mantenimento di competenza funzionale senza risposta agli antigeni specifici in vivo). È stato quindi ipotizzato che nel diabete possa esistere un’alterazione nel processo di selezione negativa dei linfociti T potenzialmente autoreattivi. I meccanismi biochimici che controllano la selezione timica sono ancora in gran parte sconosciuti, anche se recentemente è stato dimostrato che un ruolo molto importante viene svolto dalle molecole HLA, le quali hanno la funzione di presentare gli antigeni self ai linfociti T immaturi che, riconoscendoli, vanno incontro a selezione negativa. Nel topo NOD è stato dimostrato che le molecole codificate dagli alleli MHC di suscettibilità al diabete legano i peptidi derivati dagli antigeni insulari con bassa affinità, mediando un’inefficiente presentazione degli autoantigeni alle cellule T autoreattive. Di conseguenza è stato ipotizzato che la debole affinità di legame MHC con i peptidi antigenici self potrebbe determinare una ridotta capacità delle APC di mediare un’efficiente selezione negativa, che sarebbe alla base della persistenza di cellule autoreattive che in questo modo hanno la possibilità di raggiungere la periferia(3). Un esempio di possibile mancata selezione clonale viene dall’osservazione dell’espressione del VNTR di classe I del gene dell’insulina, che risulta poco espresso a livello timico (determinando un segnale debole di riconoscimento, soprattutto in copresenza di HLA di rischio) e molto di più a livello delle β-cellule, dove potrebbe indurre una maggiore risposta antigenica(42). Mimetismo molecolare Un altro meccanismo proposto per spiegare l’attivazione e l’espansione delle cellule autoreattive che raggiungono la periferia è quello del mimetismo molecolare. Questo consiste in una risposta immunitaria nei confronti di un antigene esogeno, come potrebbe essere una proteina virale che possiede una sequenza di aminoacidi in comune con una proteina β-cellulare. Quindi, allorché questa proteina viene presentata ai linfociti T, questi vanno incontro ad attivazione ed espansione clonale, ma poiché riconoscono anche l’autoantigene omologo espresso dalle β-cellule, sono capaci di reagire anche nei confronti di esse causandone la distruzione. A questo proposito è stato dimostrato che il virus Coxsakie B4 possiede un’omologia di sequenza con la GAD(43), e che risposte nei confronti di questi due antigeni sono state descritte in pazienti con DMT1(44,45). Questo potrebbe quindi costituire un esempio di come i meccanismi di tolleranza potrebbero essere bypassati o aggirati dall’induzione di una risposta immunitaria contro una proteina esogena. 186 Deficit nella funzione soppressoria Un ulteriore meccanismo invocato per spiegare l’induzione di autoreattività T cellulare nel diabete è quello di un deficit nella funzione soppressoria. Un difetto di attività soppressoria è ritenuto essere implicato nello sviluppo del diabete nel topo NOD. Infatti, dallo studio dell’insulite in questo modello animale si è visto che la risposta diabetogenica consiste in una serie di stadi successivi che culminano con la distruzione massiva delle β-cellule e con la comparsa del diabete. Nelle fasi iniziali, a livello delle isole normali, cominciano a comparire le prime cellule infiltranti che dalla quarta settimana circa formano un infiltrato, limitato alla periferia dell’isola, definito peri-insulite o insulite non distruttiva, poiché si accompagna alla relativa conservazione della massa β-cellulare. Successivamente, con il progredire della risposta immunoinfiammatoria, le cellule infiltranti penetrano nella compagine dell’isola dando luogo a quella che viene definita insulite distruttiva che è appunto caratterizzata da perdita significativa della massa β-cellulare. Il fatto che non tutti gli animali progrediscano dalla fase di insulite non distruttiva a quella di insulite distruttiva, e in particolare che la mancata progressione è associata a protezione dalla malattia, ha condotto all’ipotesi dell’esistenza di meccanismi di soppressione che controllano la progressione dell’insulite. Nell’uomo, in presenza di condizioni fisiologiche normali, la maggior parte delle cellule self autoreattive sono eliminate nel timo attraverso il meccanismo descritto in precedenza di “selezione clonale”, oppure possono essere attivamente soppresse da cellule Treg. I linfociti Treg, subset di cellule T, hanno suscitato particolare interesse essendo caratterizzati dalla capacità di calibrare l’attivazione e l’espansione di cloni di linfociti T autoreattivi durante la risposta immunitaria(46,47), sopprimendo le risposte effettrici di altre cellule e costituendo un importante “selfcheck” insito nel sistema immunitario, capace di prevenire reazioni eccessive una volta che l’antigene è stato eliminato, limitando così il danno tessutale. Le Treg derivano da diversi tipi cellulari, alcune esprimono la glicoproteina di membrana CD8, altre CD4-CD25 e Foxp3, altre si differenziano da tipi a funzione soppressoria. Si riconoscono per le citochine prodotte, TGF-β, IL-10, per la scarsa attitudine proliferativa, per una bassa produzione di citochine linfotrope (in particolare IL-2 e INF-γ) e per la capacità di sopprimere la produzione di queste citochine anche in cellule effettrici attivate come CD8+ (CTL), CD4+ (a funzione Th1 o Th2), NK, DC e macrofagi. Linfociti CD4 Anche se la natura e l’interazione di questi meccanismi non sono del tutto note, è sempre più chiaro che la dif- La patogenesi autoimmune del diabete di tipo 1 Th1 Th2 Interferone-γ Interleuchina-2 Induzione di immunità cellulomediata con infiammazione distruttiva Th1 Th2 Interleuchina-4 Interleuchina-5 Interleuchina-10 Ridotta reattività cellulare (anergia) Attivazione delle β-cellule e immunoglobune IgE Risposte degli eosinofili Figura 3 Linfociti T helper Th1 e Th2 e loro effetti. In conclusione si può affermare che, data la patogenesi multifattoriale e l’eterogeneità della malattia, le varie ipotesi presentate non si escludono a vicenda e quindi diversi meccanismi potrebbero concorrere a determinare l’espressione completa del DMT1. Inoltre, non è necessario che le alterazioni debbano essere uguali in tutti gli individui affetti. Quello che è certo è che una volta chiarito quale sia veramente il contributo di ciascuna di queste alterazioni alla patogenesi della malattia, allora sarà possibile offrire nuove opportunità terapeutiche più selettive e mirate a eliminare le cellule autoreattive o a renderle inoffensive. Conflitto di interessi Nessuno. ferenziazione cellulare dei linfociti T CD4 comporta profonde conseguenze nella successiva produzione di citochine e nel diverso potenziale migratorio. Diversi studi hanno valutato il ruolo delle sottoclassi dei linfociti T helper Th1 e Th2 e dello sbilanciamento dei rapporti di queste sottoclassi nei meccanismi patogenetici che portano al DMT1. Le cellule Th1 producono IFN-γ, linfotossina e IL-2 (Fig. 3), e sono essenzialmente coinvolte nello stimolo di potenti reazioni immunitarie cellulo-mediate, mentre le cellule Th2 che producono IL-4, IL-5, IL-6, IL-9 e IL-10, sono più attive nello stimolare la produzione di anticorpi e inibiscono invece l’attività cellulomediata(48,49) (Fig. 3). I primi modelli di differenziazione delle cellule T sono stati incentrati principalmente sulla dicotomia tra cellule Th1 e Th2 che mostra il DMT1 come una patologia Th1mediata. È stato dimostrato che nel topo NOD livelli elevati di INF-γ si riscontrano a livello degli infiltrati caratterizzati da insulite distruttiva, mentre elevati livelli di IL-4, che rappresentano l’espressione di una maggiore attivazione delle cellule Th2, sono rilevabili a livello dei topi maschi caratterizzati da insulite non distruttiva. Nonostante il numero considerevole di dati prodotti a supporto di questa teoria, manca una consistente evidenza a favore di questa conclusione, tanto che, del tutto in contrasto, alcuni studi sul topo NOD hanno mostrato un ruolo importante nella distruzione β-cellulare della linea cellulare Th2(50) e altri lavori hanno invece concluso che potrebbero essere coinvolti entrambi i tipi di risposta(51). Dati recenti suggeriscono che la differenziazione delle cellule T sia ancora più varia di quanto dimostrato fin ora(52), con la possibilità di una vasta selezione di fenotipi funzionali: viene proposta una visione più sfumata di differenziazione delle cellule T nel DMT1 che non si concentra esclusivamente sulle cellule Th1, ma comprende anche il possibile coinvolgimento di altre cellule T come le Tfh (follicular helper T cell) che producono IL-21, e le cellule T co-produttrici di INF-γ e IL-17(53-55). Bibliografia 1. Eisenbarth GS, Connelly J, Soeldner JS. The “natural” history of type I diabetes. Diabetes Metab Rev 1987;3:873-91. 2. Field LL. Genetic linkage and association studies of type I diabetes: challenges and rewards. Diabetologia 2002;45:21-35. 3. Pociot F, Lernmark A. Genetic risk factors for type 1 diabetes. Lancet 2016;387:2331-9. 4. Spoletini ML, Zampetti S, Campagna G, Marandola L, Capizzi M, Buzzetti R. 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