3. la nascita della Repubblica

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La cacciata dei Tarquini e la nascita della Repubblica
(p. 222)
Ultimo re di Roma fu Tarquinio il Superbo. Secondo il mito, egli non solo sarebbe stato un monarca
dispotico, prepotente e arrogante, ma avrebbe anche coperto le malefatte del figlio, Sesto, forte
del proprio potere di re.
Sesto infine commise un atto di violenza che fu fatale per la sua dinastia: usò violenza contro la
matrona Lucrezia, moglie di Lucio Tarquinio Collatino. Lucrezia, non potendo sopportare l’onta
dell’oltraggio, si suicidò. Lucio Giunio Bruto, amico di Lucrezia e di Collatino, giurò solennemente
che l’avrebbe vendicata e che avrebbe cacciato i Tarquini da Roma e rovesciato la monarchia.
Bruto e Collatino guidarono la rivolta del popolo contro la tirannide etrusca. I Tarquini furono
cacciati da Roma, e la monarchia venne abbattuta. A seguito della cacciata venne introdotta la
repubblica di cui Bruto e Collatino furono i primi consoli (vedi immagini di Bruto sul libro p. 222).
Fin qui il mito. Sempre secondo il mito la caduta della monarchia e la nascita della Repubblica si
datano 509 a.C. Ma come andarono davvero i fatti?

Come spesso accade, episodi storici vengono riletti in chiave didattica e rielaborati dalla
visione moraleggiante dei Romani. In questo caso si voleva dare rilievo all’importanza
della virtù femminile e al valore che si deve dare alle donne in quanto madri della gioventù
romana.
Si segnale inoltre come, stando alla tradizione mitica, la concordia civium in funzione antimonarchica avesse armonicamente condotto alla nascita della Repubblica. In realtà, come
sappiamo, non c’era concordia all’epoca e anzi tra patrizi e plebe era scontro aperto.

Dietro la versione leggendaria della fine della monarchia stava un aspro scontro sociale,
che viene interpretato in due modi:
A) come conflitto tra patriziato, che aveva visto il proprio potere indebolirsi di fronte all’ascesa
della ricca plebe supportata dai sovrani etruschi, e la monarchia etrusca, così tollerante verso i
plebei. In quest’ottica la cacciata dei Tarquini fu realizzata per istituire un governo aristocratico da
cui fossero esclusi i plebei.
B) come conflitto tra la monarchia supportata da parte del patriziato, da un lato, mentre
dall’altro troviamo la plebe che, avendo avuto possibilità di contribuire all’arruolamento e
all’armamento dell’esercito, rivendicava sempre maggiori diritti politici. In sostegno della plebe,
anche alcuni aristocratici di vedute più aperte e la plebe più povera.
La monarchia venne abbattuta e, secondo la tradizione, nel 509 a.C. si instaurò la
Repubblica1 (= res publica = cosa pubblica = l’insieme dei beni e degli interessi comuni di tutti i
cittadini). Come già in Grecia, assistiamo al passaggio dal concetto di Stato inteso come dominio
del re a Stato inteso come domino del popolo.
Nessun re governò mai più Roma. Dell’antica figura regale restarono solo alcune funzioni religiose
nel rex sacrorum (=re delle cose sacre), un particolare tipo di sacerdote.
- il consolato
A capo della Repubblica vennero posti due magistrati dotati di pari poteri, i consoli (dal
latino consulere, cioè consultarsi). La carica del console aveva durata annuale. Al termine del
loro mandato i consoli entravano a far parte del senato.
I consoli (come l’arconte eponimo in Grecia) davano i nomi all’anno. I nomi dei consoli venivano
annotati annualmente in elenchi chiamati Fasti, elenchi di eventi organizzati in ordine cronologico,
1
L’età della Repubblica va dal 509 a.C. al 27 a.C., quando, dopo un lungo periodo di guerre civili, sarà introdotto con
Augusto un nuovo regime politico, il principato.
1
che fissavano nella memoria sociale lo scorrere istituzionale del tempo. Gli storici moderni hanno
osservato che fino al 486 a.C. compaiono nomi di consoli plebei accanto a nomi di consoli patrizi.
Dopo tale data scompaiono i plebei2. Se ne è dedotto che, passato poco più di un ventennio dalla
caduta della monarchia, i patrizi riuscirono a riprendere il pieno controllo della città e a
estromettere i plebei dal consolato.
I consoli godevano di pieni poteri ed esercitavano la magistratura senza dover rendere conto dei
propri atti agli elettori. Essi avevano una guardia del corpo, i littori, che li accompagnavano
portando le insegne dell’imperium, cioè del potere assoluto, che poi sono i fasces. In virtù del loro
potere, i consoli erano legittimati a decapitare (a far decapitare dai littori) tutti coloro che
tentavano di restaurare la monarchia.
I consoli comandavano l’esercito, presiedevano il Senato, convocavano i comizi e
avevano supremo controllo delle attività pubbliche (tranne quelle religiose).
In pratica i consoli esercitavano tutte quelle funzioni che prima erano state del re. Gli unici limiti
che avevano erano 1. Il fatto che la carica fosse collegiale e che ciascun console avesse diritto di
veto sull’altro. 2. Che la carica fosse temporanea, cioè annuale. I plebei non erano ammessi al
consolato.
littore romano con fasces
I consoli, differentemente dagli arconti, non erano sottoposti al controllo di alcuna assemblea
popolare. Inoltre, mentre gli arconti avevano poteri limitati a un singolo aspetto della vita
pubblica (esercito, finanze, religione ed educazione, …), i consoli non avevano limiti alla loro
autorità.
Poteva capitare che i due consoli non andassero d’amore e d’accordo, quindi accadeva o che si
spartissero le aree di competenza (uno l’esercito, l’altro la gestione dello stato) o che
governassero a periodi alterni.
2
La presenza di questi consoli plebei può essere giustificata in due modi, non necessariamente escludentisi l’un l’altro.
1) I plebei hanno partecipato alla fine della monarchia e ne hanno ricavato, in questo primo periodo, un evidente
vantaggio. 2) il pericolo delle minacce esterne (tra cui il tentativo di riconquista da parte degli Etruschi) ha forse
momentaneamente spinto a superare i dissensi interni. Il patriziato sarebbe così sceso a questo temporaneo
compromesso: ammettere un console plebeo e un console patrizio.
2
- la dittatura
Magistratura straordinaria che si realizzava solo in caso di emergenza, quando cioè era necessario
prendere decisioni immediate che non comportassero il confronto tra consoli. Il dittatore era
nominato da uno dei consoli su invito del senato e non poteva restare in carica per più di sei mesi,
ma in quel periodo il suo potere era assoluto.
- i comizi centuriati
In questa primissima fase repubblicana3 quindi, gli organi di potere sono: il consolato, il senato
(roccaforte dell’aristocrazia romana) e i comizi centuriati, ai quali comizi sono ammessi anche i
plebei, ma la cui presenza non corrispondeva al reale esercizio dei diritti degli stessi.
I plebei infatti non potevano accedere al consolato, non potevano sedere in senato e in sede di
comizio potevano deliberare solo su proposte avanzate dai consoli patrizi. Non dimentichiamo poi
che vigeva ancora il divieto di matrimoni tra plebei e patrizi.
Enorme era lo scontento e ne derivò una lunga lotta sociale, che si protrasse per oltre
un secolo (tra V e III a.C.) e si intrecciò con le prime vicende belliche romane4.
Le prime vicende belliche romane
(pag. 230)
Nel 508 a.C. circa, gli Etruschi tentano la riconquista guidati da Porsenna, re di Chiusi.
Secondo la leggenda romana, Porsenna assediò Roma, ma, pieno di ammirazione per gli atti di
valore di Orazio Coclite5, di Muzio Scevola e di Clelia, desistette dal conquistarla, ritornando a
Chiusi. La leggenda è stata probabilmente creata ad arte dagli storici romani dell'età imperiale, Tito
Livio e Tacito, per nascondere la disfatta romana contro gli etruschi di Porsenna; infatti, stando
alle reali evidenze storiche, egli occupò Roma e la dominò a lungo, forse in forma di protettorato,
ovvero senza infierire sul senato e senza riconsegnare la città ai Tarquini.
Da Plutarco veniamo a sapere che a Porsenna la città dovette pagare decime per molti anni. Anche
Plinio il Vecchio lascia intendere che Porsenna proibì ai Romani l’uso del ferro (e quindi delle armi)
se non in agricoltura.
La sorte della potenza etrusca è tuttavia segnata. Roma infine è persa e il loro potere si consuma
man mano. Nel 504 a.C., ad Ariccia, subiscono una pesante sconfitta da parte dei greci di Cuma. È
la fine dell’espansione in Campania. Nel nord, a breve, i Celti (che i Romani chiameranno Galli)
eroderanno le aree di influenza padana.
Dopo aver resistito al tentativo degli Etruschi di riprendere il controllo della città, Roma dovette far
fronte all’aggressività dei Latini (vedi pag. 216, la cartina), che si strinsero in una lega, la Lega
Latina, per ridimensionare il potere di Roma nella regione.
Il conflitto culminò con al battaglia al Lago Regillo, presso Tuscolo (vedi cartina), nel 496 a.C.
I Romani vinsero la battaglia e costrinsero i Latini a sottoscrivere il foedus cassianum (patto
cassiano, che prende il nome dal console Spurio Cassio Vecellino, che lo firmò) nel 493 a.C., un
trattato che poneva fine alle ostilità e stabiliva un’alleanza fra Roma e le città latine.
3
Presto, avremo modo di vedere, Roma comincerà ad espandersi. Con la crescita militare, economica e demografica
Roma dovrà necessariamente ricorrere a nuove magistrature, che si aggiungeranno agli organi di governo qui citati (si
veda pag. 7).
4
Qui anticipo la descrizione degli eventi che sul libro si trova a pag. 230. Questo perché risulti più chiaro in che difficile
momento storico (in termini di politica estera) Roma si trovò a gestire la lotta della plebe per la parificazione dei diritti
politici (politica interna).
5
Quando Orazio Coclite cadde giù dal ponte, si fece un gran bernoccolo sulla romana fronte. Filastrocca popolare.
3
Fu poi la volta di Equi, Sabini e Volsci. La federazione6 romano-latina combatté lungamente
contro questi e infine li sconfisse nel 430 a.C. (decisiva fu la battaglia sul Monte Algido, presso
Tuscolo nel 431 a.C.).
Dopo le vittorie su Equi, Sabini e Volsci, Roma e i Latini cominciarono a fondare insediamenti
stabili, le colonie, per controllare il territorio dei nemici sconfitti. La storiografia celebrativa ricorda,
per quanto riguarda questi conflitti, gli eccellenti esempi di Coriolano e Cincinnato.
Bisogna poi menzionare il decennale conflitto che impegnò Roma contro Veio, potentissima città
etrusca posta sull’opposta riva del Tevere. Il contrasto nasceva dal proposito di entrambe le città di
avere il controllo sulle vie commerciali fra il mare e l’interno della Penisola e per il possesso delle
saline alla foce del Tevere. Il conflitto si protrasse dal 405 al 396 a.C. circa, quando il console
Marco Furio Camillo, con uno stratagemma (facendo cioè scavare un cunicolo sotterraneo), colse i
nemici veienti di sorpresa e li sbaragliò.
Questa guerra, a differenza dei precedenti scontri, che furono di carattere difensivo, fu la prima
guerra di conquista di Roma.
Infine ricordiamo la calata dei Celti (che i Romani chiamavano Galli) i quali, a seguito di
movimenti migratori, scesero in Italia settentrionale sul finire del V a.C.
I Galli, riuniti in varie tribù (Cenomàni e Insubri, che si insediarono in Lombardia, Boi, che si
insediarono in Emilia, Taurini, che si stanziarono in Piemonte, Sénoni che si stabilirono nelle
Marche) sommersero a più ondate le preesistenti popolazioni dell’Italia settentrionale. Gli Etruschi
furono quasi spazzati via, i Veneti resistettero. Nel complesso, l’ondata celtica fu così forte che i
Romani chiameranno la Pianura Padana con il nome di Gallia Cisalpina, ovvero di Gallia situata al di
qua delle Alpi. Nel 390 a.C. una tribù di Sènoni capeggiati da Brenno, il loro re (anche se “brenno”
è un nome che indica più probabilmente una carica militare o politica), piombò su Roma, la
saccheggiarono e la incendiarono. Interessati più al bottino che alla conquista, infine patteggiarono
con i Romani un riscatto in cambio del loro ritiro dalla città. Ottenutolo, si allontanarono. La
tradizione romana ci racconta una meno deprimente storia di riscossa romana, eppure si conservò
sempre vivo il trauma di questo terribile episodio.
Tutto fa brodo (quanto segue non è richiesto, ma fa brodo)
Secondo la tradizione, solo la rocca del Campidoglio resistette all’assalto dei Galli che si erano
abbattuti su Roma, vediamo come e perché:
Oche e Galli
Una delle leggende più famose della storia della romanità è legata all’assedio di Roma da parte
del dei Galli, guidati da Brenno, nel 390 a.C. circa. La vicenda si svolge sul Campidoglio, là dove
sorgeva il tempio di Giunone presso il quale vivevano le oche sacre alla dea.
I Romani, assediati da lungo tempo dai Galli, cominciavano a soffrire la fame ed erano perciò
tentati dalle succulente oche di Giunone che liberamente scorrazzavano per il Campidoglio.
Rispettosi però della sacralità degli animali, e timorosi di un’eventuale vendetta della dea, non
osarono mai torcere loro neppure una penna.
Una notte Marco Manlio, un soldato che dormiva presso il tempio di Giunone, sentì le oche
starnazzare, subito si alzò e corse alle mura della rocca. Si imbatté in un Gallo che si stava
arrampicando su dallo scosceso pendio del Campidoglio. Dietro di lui ne venivano altri. Marco
affrontò il primo coraggiosamente e gli mozzò le dita facendolo precipitare. Intanto le oche
presero a starnazzare ancora più forte e così svegliarono tutto l’esercito che si affrettò a dare
manforte a Marco Manlio.
L’ennesimo assalto dei Galli, grazie all’allarme dato dalle oche, fu sventato.
Moneta e Giunone?
6
Federazione: dal latino foedus. Questa parola indica un’unione di stati legati da un trattato: ciascuno di essi ha leggi
proprie, ma resta sottoposto a un governo centrale per alcune materie di interesse generale, come la politica estera e
la difesa. Nell’età contemporanea vi sono numerosi stato federali, come gli Stati Uniti, la Germania e il Belgio.
4
L'epiclesi (=termine che si impiega per invocare la divinità) Moneta (cioè "ammonitrice" dal
verbo latino monére) per Giunone risale appunto al tempo dell'assedio dei Galli di Brenno,
quando le oche sacre del tempio di Giunone (le famose oche del Campidoglio) col loro
starnazzare svegliarono Marco Manlio che dette l'allarme dell'assalto.
Successivamente, verso il 269 a.C., in prossimità di questo tempio venne edificata la zecca,
cioè l’officina per il conio delle monete (in prossimità della Basilica di Santa Maria in Aracoeli
che venne messa proprio sotto la protezione della Dea Moneta cioè della dea ammonitrice). A
quel punto fu il linguaggio popolare a trasmettere l'appellativo della dea dapprima alla zecca e
poi a ciò che lì si produceva, la moneta appunto.
Le lotte della plebe per la parificazione politica
(pag. 223)
Le guerre nel Lazio si intrecciarono con l’aspro conflitto sociale che contrapponeva, in Roma, la
plebe al patriziato.
Teniamo presente che quando parliamo di plebe ci riferiamo ad un ordine sociale estremamente
vario: si contano plebei poveri e plebei molto ricchi e poi gruppi di famiglie benestanti, di artigiani,
di commercianti, di piccoli proprietari terrieri. Tutti aspiravano a contare di più nella vita politica,
ad accedere alle cariche pubbliche, a contrarre matrimonio con le famiglie patrizie.
La lotta che i plebei ingaggiarono con i patrizi durò per quasi duecento anni (dal V al III a.C.).
Vediamone le fasi:
1) Per rendere incisiva la propria lotta e acquisire capacità di iniziativa politica, i plebei
organizzarono delle vere e proprie assemblee, ristrette ai soli plebei: i concilia plebis (o concili
della plebe). Queste assemblee venivano convocate e presiedute da due tribuni della plebe7,
eletti annualmente. La carica di tribuno era anch’essa riservata ad individui di estrazione plebea.
La sua origine veniva datata dalla tradizione 494 a.C., anno della prima secessione della plebe e
del celebre apologo di Menenio Agrippa (vedi punto 2). A seguito di questa secessione, i tribuni
ottennero, pur non avendo funzioni di governo, di porre il veto (=intercessio, cioè annullamento)
a leggi e provvedimenti contrari agli interessi della plebe.
Si costituì anche un archivio e un tesoro comuni, che furono dislocati nel tempio di Cerere, Libero e
Libera (cioè Proserpina e Dioniso). La custodia di questi venne affidata agli edìli della plebe (da
aedes, tempio).
2) Le organizzazioni e magistrature prefate (concili, tribuni, edili) furono in principio estranee agli
ordinamenti della repubblica, le leggi non le riconoscevano (i tribuni dal 494 sì). Le tensioni erano
forti e per far pressione sul patriziato i plebei adottarono la strategia della secessione (=
allontanamento)8.
7
In questo periodo, per tutelare i propri rappresentanti, i plebei dichiararono sacrosanti i tribuni. Sacrosantitas
significa intangibilità. I plebei si arrogavano così il diritto di uccidere chiunque avesse attentato alla persona del
tribuno. Ricordiamo inoltre che solo in questa fase iniziale i tribuni sono due. Col passare del tempo, dopo che saranno
ufficialmente riconosciuti da tutti i cittadini romani e all’aumentare della popolazione (in corrispondenza con
l’accrescersi di Roma), aumenteranno man mano di numero, fino ad un massimo di 10.
8
Nel 494 a.C., in occasione della prima secessione della plebe, i patrizi inviarono il celebre oratore Menenio Agrippa,
che era stato console e aveva sconfitto i Sabini, a perorare la causa comune e convincere i plebei a rinunciare alla
secessione. Ai ribelli, Agrippa raccontò un apologo (una specie di parabola) che ci è stato tramandato da Tito Livio.
Secondo la tradizione, con queste semplici parole, Agrippa convinse la plebe a tornare in città. “Una volta, le membra
dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne stava ozioso [ad attendere cibo], ruppero con lui gli accordi e
cospirarono tra loro, decidendo che le mani non portassero cibo alla bocca, né che, portatolo, la bocca lo accettasse,
né che i denti lo confezionassero a dovere. Ma mentre intendevano domare lo stomaco, a indebolirsi furono anche
loro stesse, e il corpo intero giunse a deperimento estremo. Di qui apparve che l’ufficio dello stomaco non è quello di
un pigro, ma che, una volta accolti, distribuisce i cibi per tutte le membra. E quindi tornarono in amicizia con lui. Così
senato e popolo, come fossero un unico corpo, con la discordia periscono, con la concordia rimangono in salute”.
5
La plebe si ritirava fuori dalle mura della città, sul monte Aventino o sul Monte Sacro, e si rifiutava
di militare nell’esercito. Erano anni in cui Roma doveva affrontare i ripetuti attacchi di varie
popolazioni italiche e la secessione divenne quindi un mezzo di pressione molto forte e costrinse i
patrizi alla trattativa.
3) Nel 451 a.C., dopo molti anni di contrasti, i plebei ottennero un importante risultato: furono
messe per iscritto ed esposte in pubblico su dodici tavole di bronzo le leggi che avrebbero regolato
la vita della città. Le Leggi delle XII tavole9 furono un passo essenziale verso la parificazione dei
due ordini davanti alla legge. In assenza, fino a questo momento, di leggi scritte, i plebei erano
stati da sempre vittime dell’arbitrio dei giudici patrizi.
Le leggi delle XII Tavole sono testimonianza di una società fondamentalmente agraria, difendono
la proprietà privata, sanciscono il predominio del padre e del marito nella famiglia (pur concedendo
che, qualora il pater avesse venduto come schiavo per 3 volte di fila il figlio, avrebbe perso la
patria potestas), del forte sul debole (il debitore insolvente poteva essere punito con la morte o
con la schiavitù). Fissano in maniera molto rigida le norme per le successioni e ammettono la legge
del taglione.
Le Leggi furono redatte in due momenti: una prima commissione, costituita da soli patrizi, si riunì
nel 451 e redasse 10 tavole. A capo della commissione fu posto Appio Claudio, magistrato
straordinario, che per i lavori del 450 aprì la commissione anche ai plebei. Nel corso del 450 a.C.
vennero redatte altre 2 tavole di leggi. Secondo la tradizione Appio Claudio, al termine del
mandato, avrebbe rifiutato di sciogliere la commissione e tentato di instaurare la tirannide,
prontamente abbattuta dal concorde intervento di patrizi e plebei uniti. Come già osservato, anche
qui ci troviamo di fronte ad una mistificazione della realtà storica operata dai patrizi. Probabilmente
quel che accadde fu che Appio Claudio, pur patrizio, era di idee e vedute democratiche (tant’è che
introdusse i plebei nella commissione). Il suo rifiuto di sciogliere la commissione potrebbe spiegarsi
con la volontà di non sottrarre ai plebei l’accesso al governo che avevano momentaneamente
guadagnato. Ad abbatterlo sarebbero stati i patrizi.
4) Nel 445 a.C. il tribuno Gaio Canuleio fece approvare dalla plebe l’abolizione del divieto di
matrimonio tra patrizi e plebei (divieto che era ancora presente nelle Leggi delle XII tavole).
La deliberazione dei concili della plebe, che aveva votato la proposta di legge in merito al
matrimonio, non aveva ancora valore di legge. Canuleio però minacciò una nuova secessione, con
conseguente rifiuto di militare nell’esercito e così piegò la volontà dei patrizi. I consoli si videro
costretti a presentare la proposta di abolizione della legge ai comizi e il divieto di matrimonio
misto fu abrogato (=abolito).
5) Finalmente, nel 367 a.C., dopo un periodo di gravissime agitazioni, i tribuni della plebe Gaio
Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano, riuscirono a far approvare in sede di comizi le leggi che da
loro presero il nome: leggi Licinie-Sestie, che riconoscevano ai plebei il diritto di accedere al
consolato. La parificazione era raggiunta. I patrizi non avevano più il monopolio della carica
suprema.
Attenzione però: solo i plebei più ricchi potevano davvero intraprendere la carriera politica, poiché
per potercisi dedicare sarebbe stato necessario sottrarre tempo al lavoro o abbandonarlo.
Occorrevano quindi grandi mezzi economici che solo una parte privilegiata della plebe possedeva.
La storia, come al solito, è raccontata dal punto di vista aristocratico. Il fatto stesso che i plebei, a seguito delle
secessioni, ottennero il riconoscimenti del tribunato, rivela la falsità del racconto.
9
Le leggi furono incise su tavole di bronzo perché nessuno potesse manometterle. Vennero distrutte durante
l’incendio appiccato dai Galli nel 390 a.C., perciò non ne possediamo versione originale.
6
Si venne così a creare una nuova classe dirigente (nobilitas), i cui membri, accomunati da
interessi identici, erano appunto i patrizi e la plebe più agiata. Alla precedente aristocrazia basata
sul sangue si sostituì un’oligarchia fondata sulla ricchezza10.
6) L’integrazione negli ordinamenti della repubblica dell’organizzazione che la plebe si era data
autonomamente avvenne con gradualità. La tradizione ci tramanda il 494 a.C. come anno del
riconoscimento del tribunato delle plebe. Col tempo venne riconosciuto anche il concilio della plebe
e gli edili della plebe divennero magistrati a tutti gli effetti.
Nel 286 a.C., con la lex Hortensia, si riconobbe valore di legge alle deliberazioni della
plebe (i cosiddetti plebisciti). In base a questa decisione, quanto la plebe stabiliva nelle sue
assemblee (dalle quali i patrizi erano esclusi) aveva valore di legge per tutto il popolo (patrizi
compresi).
Tutto questo non deve far credere che la repubblica romana si fosse trasformata in
una democrazia. In una società dominata dalla nuova oligarchia patrizio-plebea
(accomunate ora dalla ricchezza), anche una carica come il tribuno della plebe, che
in origine aveva avuto carattere eversivo, fu ricoperta in prevalenza da individui di
estrazione nobile.
Roma restò una repubblica oligarchica.
Tabella riassuntiva:
509 a.C.
508 a.C.
496 a.C.
494 a.C.
486 a.C.
451/450 a.C.
445
430
396
390
367
310
a.C.
a.C.
a.C.
a.C.
a.C.
a.C.
286 a.C.
Cacciata dei Tarquini, istituzione della Repubblica
Tentativi etruschi di riconquista (Porsenna)
Sconfitta la Lega Latina al Lago Regillo > foedus cassianum > federazione
romano-latina
Prima secessione della plebe (leggendario intervento di Menenio Agrippa).
Vengono riconosciuti i tribuni della plebe (non hanno funzioni di governo,
ma hanno diritto di veto sui provvedimenti e le leggi contrarie agli
interessi della plebe).
I plebei sono estromessi dalla vita politica: non compaiono più nomi di
consoli plebei sui Fasti.
Leggi delle XII Tavole (vicenda di Appio Claudio).
A partire da questo momento (più o meno) vennero a costituirsi altre
magistrature.
Lex Canuleia: sono ammessi i matrimoni tra patrizi e plebei
Si concludono i conflitti con Equi, Volsci e Sabini
Vittoria su Veio (prima guerra di conquista romana)
I Galli saccheggiano Roma
Leges Liciniae-Sextiae: i plebei sono ammessi al consolato
Il censore Appio Claudio Cieco equipara quantità di terra a quantità di
denaro aprendo l’accesso ai comizi centuriati anche ai plebei (che il più
delle volte non erano proprietari terrieri, bensì artigiani, commercianti,
ecc.).
Lex Hortensia: i plebisciti hanno valore di legge.
10
Nobile significa, letteralmente, colui che è noto. D’ora in poi saranno nobili quanti vanteranno grandi ricchezze e un
parente che abbia rivestito il consolato (o carica magistratuale di simile livello).
7
Le magistrature romane (vecchie e nuove) e il funzionamento del governo
repubblicano
Già nel corso del V a.C. ci si rese conto che i consoli non erano sufficienti (in termini proprio
numerici) ad assicurare il governo di una città sempre più potente e complessa. Vennero così
istituite una serie di nuove cariche e vennero aggiornati gli organi di potere.
Le magistrature tutte subirono nel corso del V e IV secolo a.C. una serie di trasformazioni che
infine le portò all’assetto definitivo che qui sotto è indicato (non privo di sfasature e contraddizioni,
in quanto le varie magistrature furono istituite in momenti diversi della secolare storia
repubblicana) .
Gerarchia delle cariche (dalla meno potente alla più potente):
1. questori
2. edili
3. pretori
4. censori
5. consoli e tribuni della plebe
N.B. caratteristiche comuni a tutte le magistrature furono: la temporaneità delle cariche (tutte
duravano un anno, ad eccezione del dittatore, 6 mesi e dei censori, 5 anni; inoltre, chi veniva
nominato senatore, restava senatore a vita), la collegialità, l’elettività e la gratuità.
A queste cariche si affiancano gli altri organi di governo repubblicano:
A) il senato (la cui istituzione risale ancora all’epoca monarchia)
B) i comizi curiati (che hanno mera funzione rituale)
C) i comizi centuriati (cui partecipava il popolo suddiviso in 5 classi di censo e che aveva la
funzione di eleggere consoli, censori e pretori e la cui istituzione, almeno in forma embrionale,
risale a Servio Tullio)
D) i comizi tributi (cui partecipava il popolo suddiviso su base territoriale, ovvero in base
all’area di residenza di ogni singolo cittadino; aveva la funzione di eleggere edili e questori).
E) i concilia plebis
Analizziamone una per volta
Le magistrature in età repubblicana:
1. i questori: amministravano il denaro pubblico, incassavano i tributi e pagavano gli stipendi ai
soldati e ai dipendenti dello stato. All’inizio erano due, ma col passare del tempo divennero più
numerosi. Alla fine della Repubblica se ne contano quaranta.
2. gli edili: curano l’approvvigionamento di Roma, la manutenzione delle strade e degli edifici
pubblici, l’allestimento di spettacoli e feste pubbliche. Per distinguere gli edili patrizi da quelli plebei
si assegnava ai patrizi la sella curùlis, la sedia attributo della loro carica11.
3. i pretori: si tratta di una delle magistrature più antiche, i pretori esercitano il loro potere nel
campo della giurisdizione civile (amministrazione della giustizia). Accanto al pretore urbano che
amministrava la giustizia a Roma, venne a porsi il pretore peregrino, che si occupava di liti
giudiziarie tra cittadini romani e stranieri. Inizialmente i pretori erano due solamente, ma man
mano che Roma si andava espandendo, anche il loro numero aumentò proporzionalmente.
11
In realtà la sedia curùle era attributo di tutti i magistrati in carica (ad eccezione dei magistrati plebei, cioè gli edili
della plebe e dei tribuni). Consisteva in uno scanno pieghevole in avorio o metallo, senza spalliera, con quattro gambe
ricurve e incrociate. I magistrati se le facevano portare dovunque andassero a svolgere funzioni ufficiali e vi si
sedevano durante le discussioni pubbliche. L’uso di questa sedia a scopi politici deriva dalla cultura etrusca. Fu
probabilmente introdotta a Roma da Tarquinio Prisco.
8
4. i censori: erano due e avevano il compito di effettuare il censimento, ossia di aggiornare le
liste elettorali e militari dei cittadini e dei loro patrimoni. In un secondo momento (dal 312 a.C.)
venne loro attribuito il compito di redigere le liste dei senatori (i senatori, per essere eleggibili,
avevano dovevano soddisfare determinati requisiti, vedi nella stessa pagina il senato).
Le operazioni di censimento avvenivano al Campo Marzio, dove ogni cittadino doveva, sotto
giuramento, dichiarare il proprio numero di figli, la composizione della sua famiglia e l’ammontare
del suo patrimonio.
I censori vigilavano anche sulla condotta dei cittadini (sentori compresi, che potevano in casi
particolari, essere rimossi dalla carica).
5. i consoli: di cui si è già detto lungamente. I consoli venivano eletti dai comizi centuriati.
6. i tribuni della plebe: di cui si è già detto e che venivano eletti dai concili della plebe.
Ricordiamo che i tribuni conserveranno sempre la sacrosantitas.
Il cursus honorum (la carriera politica)
Una volta stabilite le magistrature, ben presto si standardizzò anche la carriera politica.
Si è già visto che, per accedere al senato, era necessario aver occupato determinate posizioni,
ad esempio. Più in generale possiamo dire che si andava definendo quello che era il percorso
obbligato per chi volesse fare politica, che prevedeva una serie di tappe: dalla carica meno
prestigiosa a quella più prestigiosa.
Gli altri organi di governo in età repubblicana (il senato e le quattro assemblee
popolari):
Diciamo fin d’ora che tutte le assemblee repubblicane erano riservate a maschi adulti
con diritto di cittadinanza12. I poteri delle assemblee avevano importanti limitazioni:
- dovevano essere convocate dai consoli o dai magistrati di riferimento (come i tribuni
della plebe per i concilia plebis o, per il senato, anche dai pretori) e potevano essere
sospese o dimesse per volontà degli stessi.
- potevano accettare o respingere le proposte di legge ma non potevano discuterle o
modificarle. Fa eccezione il senato, dove ogni senatore era chiamato ad esprimere la
propria opinione prima della votazione.
- le deliberazioni delle assemblee, per divenire vincolanti, dovevano ricevere
l’approvazione del senato.
- tutte le assemblee si svolgevano a Roma. Chi non poteva recarsi in città era
svantaggiato.
A) Il senato: il senato di epoca repubblicana venne ad essere costituito da ex magistrati.
A decidere però chi potesse ottenere la carica di senatore erano i censori, secondo specifici
requisiti di accesso: bisognava essere in possesso di cittadinanza romana, appartenere alla prima
classe di censo e bisognava aver ricoperto la carica di console o pretore; a partire dal I a.C. fu
sufficiente aver ricoperto la carica di questore.
Tali condizioni di ammissione erano necessarie, ma non sufficienti per entrare a far parte del
Senato. Ai censori spettava l’ultima parola, i quali censori, per decidere se concedere o meno
l’accesso, facevano anche riferimento ai meriti pubblici e alla condotta del candidato.
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A Roma si raggiungeva la maggiore età a 17 anni. A partire da quel momento si era reclutabili fino a sessant’anni e,
di conseguenza, si poteva votare e partecipare alle assemblee cittadine. Considerato che l’età media all’epoca si
attestava sui 45 anni, a Roma il numero dei cittadini corrispondeva, di fatto, al numero dei soldati. Ma, come vedremo
(comizi centuriati) i cittadini-soldati erano differenziati in base a quanto possedevano.
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Il senato non aveva reali limiti di potere: le sue decisioni riguardavano la politica estera
(ambascerie, affari internazionali, guerre, …) e quella interna (la gestione del tesoro e delle finanze
pubbliche, come ad esempio stabilire il compenso dei militari e l’entità dei tributi). Si occupava
anche della distribuzione dell’agro pubblico, cioè del terreno dello Stato, ottenuto con le guerre di
conquista. Queste terre venivano concesse ad uso dei cittadini sotto pagamento di canone13.
La funzione consultiva era lo strumento attraverso cui il senato dominava la vita della città: prima
di prendere iniziative politiche di qualsivoglia genere, i magistrati sottoponevano le proposte al
senato e, successivamente, era il senato a stabilire la legittimità della legge approvata in
assemblea. Il senatus consultum (= il parere del senato) non era formalmente vincolante,
tuttavia era osservato come tale.
Era il senato inoltre che, in circostanze straordinarie, designava il dittatore. Il dittatore poi veniva
nominato da uno dei consoli.
B) I comizi Curiati: in età repubblicana conservano solo funzioni rituali. Sono il residuo storico
degli antichi comizi curiati, che erano stati soppiantati nelle loro funzioni dai centuriati durante il
regno di Servio Tullio (o poco dopo).
C) I comizi Centuriati: (pag. 272) il popolo riunito nei comizi centuriati eleggeva consoli, censori
e pretori. Era altresì chiamato a esprimersi sulle proposte di legge e sulle condanne a carico di un
cittadino. Nel caso poi in cui, ad un cittadino, fosse comminata pena capitale o la battitura con le
verghe, questi poteva opporsi ricorrendo all’aiuto del popolo (provocatio ad populum) riunito
appunto nei comizi centuriati. Le procedure per la revisione di giudizio erano però solitamente così
lunghe che l’imputato spesso riusciva a fuggire in esilio nel frattempo.14
Il popolo era suddiviso in 5 classi di censo. Al di fuori di queste classi stavano i proletarii o capite
censi, cioè coloro che erano censiti sulla persona, perché non possedevano niente. Sul
funzionamento dei comizi centuriati, vedi pag. 272.
Qui comunque rispiego, qualora non risultasse chiaro quanto scritto sul libro:
Secondo l’ordinamento centuriato i cittadini erano divisi in 193 gruppi detti “centurie”. I cittadini
romani venivano iscritti nelle centurie in base a quello che possedevano. Nella prima classe
venivano iscritti i cittadini più ricchi, in grado di procurarsi il cavallo e l’armamento pesante.
In totale, i cittadini venivano così distribuiti in 5 classi di censo. Il numero di voti che potevano
esprimere corrispondeva la numero di centurie (originariamente il gruppo di 100 uomini che
venivano reclutati) che erano in grado di fornire. Ogni raggruppamento (unità di voto) era a sua
volta chiamato centuria.
I più ricchi, benché meno numerosi, erano distribuiti in 98 centurie, un numero superiore a quello
di tutte le altre classi messe insieme. Ciascuna centuria contava un voto nei comizi. Quindi il primo
gruppo (che per altro votava per primo) otteneva spesso (o quasi sempre) automaticamente la
maggioranza ovvero 98 voti rispetto alle 193 centurie totali.
Al di fuori delle 5 classi erano raccolti in 5 classi i proletarii o capite censi.
Si veniva così a creare una coalizione di patrizi-plebei ricchi e alla tradizionale opposizione patriziplebei si sostituiva l’opposizione ricchi-poveri.
Come avveniva la votazione: il voto fu a lungo pubblico, finché non fu promulgata, nel 137 a.C., la
Lex Tabellaria che introdusse la scheda di voto (evento celebrato dal denarius di Cassio Longino).
Osservando la moneta è possibile leggere sulla tabella (cioè sulla scheda elettorale) la U di “Uti
Rogas”, cioè “Come proponi”, equivalente alla approvazione della legge proposta.
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Sembra che originariamente i plebei fossero stati esclusi dalla redistribuzione dell’ager publicus, cosa che andò a
incrementare gli odi nei confronti del patriziato. Esclusi erano anche i confederati latini.
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Il magistrato prima promuoveva l’accusa, poi seguivano tre assemblee, intervallate ciascuna da almeno un giorno, in
cui si discuteva l’accusa. Infine, il mese successivo, nel corso di una quarta riunione, aveva luogo la votazione finale.
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Si votava in ordine: per prime votavano le centurie della prima classe di censo, poi quelle della
seconda e così via. Spesso, proprio perché si raggiungeva la maggioranza con la prima classe, le
altre non facevano neppure in tempo a votare.
D) I comizi Tributi: istituiti nel III a.C., i comizi tributi eleggevano questori ed edili. La
popolazione veniva divisa in unità territoriali (tribù), sulla base del luogo di domicilio. Le tribù, col
passare del tempo e man mano che Roma si espanse, raggiunsero il numero di 35, per coprire i
territori conquistati da Roma su suolo italico. La sola città di Roma contava 4 tribù. Ogni tribù
esprimeva un voto.
E) I concili della plebe (o comizi tributi): di cui si è già parlato: che raccoglievano il popolo
tutto, esclusi i patrizi. Eleggevano i tribuni della plebe e si pronunciavano sulle proposte di legge.
Ricordiamo che dal 286 a.C., con la Lex Hortensia, i plebisciti hanno valore di legge.
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