IL TEATRO
Nell’antica Grecia il teatro aveva un’importanza fondamentale.
Per teatro greco si intende l'arte teatrale nel periodo della Grecia classica. Le forme teatrali che
oggi conosciamo discendono da quelle che si praticavano e che vennero perfezionate nella Atene
del V secolo a.C. Gli storici ci dicono che la prima forma di teatro era costituita da un nucleo di
persone convenute in uno spazio naturale nel quale si inscenavano rappresentazioni religiose.
Infatti, agli esordi “Teatro” non si riferiva ad un luogo ma semplicemente al gruppo convenuto di
spettatori. Il primo teatro costruito materialmente, fu in legno, risalente ad epoche precedenti alla
nascita del famoso Eschilo, sembra fosse costruito con pianta trapezoidale (non circolare). Ordini di
gradoni erano disposti in modo da circondare quasi completamente il luogo della danza.
Nel periodo classico gli ateniesi organizzavano, alcuni giorni dell'anno, grandi manifestazioni che si
susseguivano dalla mattina alla sera (in genere cominciavano al sorgere del sole) e duravano più
giorni. Per questo il dialogo si adattava alla situazione del tempo reale.
Tre autori teatrali dell'epoca gareggiavano per conquistare la vittoria decisa da una giuria composta
da dieci giudici selezionati da varie Tribù. Le due feste principali erano le “Dionisie Cittadine”, che
si celebravano ogni anno a Marzo e le “Lenee” che si celebravano a Gennaio.
Gli attori, esclusivamente uomini anche nelle parti femminili (perché le donne non potevano
recitare), indossavano maschere che li rendevano riconoscibili anche a grande distanza . La
recitazione era rigorosamente in versi, e alle parti soliste si accompagnava un Coro, gruppo di attori
che assolveva la funzione di collegamento delle scene, commento e narrazione della trama. La
forma d'arte di ispirazione più elevata era considerata la tragedia, i cui temi ricorrenti erano derivati
dai miti e dai racconti eroici. Le commedie, prendevano spesso di mira la politica, i personaggi
pubblici e gli usi del tempo.
La tradizione attribuisce le prime forme di teatro, a Tespi, giunto ad Atene dall'Icaria, verso il 480
a.C. La tradizione vuole che sul suo carro trasportasse i primi attrezzi di scena, arredi scenografici,
costumi e maschere teatrali.
I Greci consideravano il teatro non come una semplice occasione di divertimento e di evasione dalla
quotidianità, ma piuttosto come un luogo dove la polis si riuniva per celebrare le antiche storie del
mito*, patrimonio comune della cittadinanza, che lo spettatore greco conosceva, insieme a tutte le
informazioni specifiche sullo spettacolo dedotte dal proagòn§.
Lo spettatore greco si recava a teatro per imparare precetti religiosi, per riflettere sul mistero
dell'esistenza, per rafforzare il senso della comunità civica. L'evento teatrale aveva dunque la
valenza di un'attività morale e religiosa, assimilabile ad un vero e proprio rito. Il teatro era per i
greci uno spettacolo di massa, molto sentito e vissuto da parte dei cittadini di ogni classe sociale e
condizione economica: esso era infatti un rituale di grande rilevanza religiosa e sociale, considerato
uno strumento di educazione nell'interesse della comunità, tant'è che da Pericle in poi è la tesoreria
dello stato a rimborsare il prezzo del biglietto. Agli spettacoli la popolazione partecipava in massa e
probabilmente già nel V secolo a.C. erano ammessi anche donne, bambini e schiavi.
La rappresentazione teatrale non è dunque soltanto uno spettacolo: è un rito collettivo della pólis
che si svolge durante un periodo sacro in uno spazio sacro (il teatro sorgeva a ridosso dell'altare del
dio).
*Un mito (dal greco μύθος, mythos, pronuncia mütsos) è una narrazione investita di sacralità (viene
considerato verità di fede) in cui , di solito, i suoi protagonisti sono dei ed eroi. Spesso le vicende
narrate (oralmente) nel mito hanno luogo in un'epoca che precede la storia scritta.
§ Il proagone (proagòn) era una cerimonia che si teneva all'inizio di determinati periodi di festa
dell'antica Grecia, con lo scopo di dare maggiore informazione al pubblico sulle rappresentazioni
teatrali che sarebbero andate in scena, e ottenere un più intenso coinvolgimento. Ad essa
partecipavano i poeti, gli attori, i componenti del coro, i musicisti, i coreghi. I drammaturghi
comunicavano il titolo delle loro opere e forse ne esponevano brevemente la trama.
Aristotele a questo proposito formula il concetto di "catarsi" (kàtharsin, purificazione), secondo cui
la tragedia pone di fronte agli uomini gli impulsi passionali e irrazionali (matricidio, incesto,
cannibalismo, suicidio, infanticidio...) che si trovano, più o meno inconsciamente, nell'animo
umano, permettendo agli individui di sfogarli innocuamente, in una sorta di esorcizzazione di
massa.
La tragedia rappresentava una vicenda umana, incentrata su un problema etico o religioso, con un
epilogo drammatico. In questo modo la rappresentazione suscitava nello spettatore pietà e terrore,
liberava il cuore e la mente del pubblico dalle passioni messe in scena. I protagonisti potevano
essere dèi, re, eroi, ma anche uomini comuni. La tradizione attribuisce a Tespi la prima
rappresentazione tragica. Delle sue tragedie sappiamo poco, se non che il coro era ancora formato
da satiri e che fu certamente il primo a vincere un concorso drammatico. I più importanti e
riconosciuti autori di tragedie furono però, nell'Atene del V secolo a.C., Eschilo, Sofocle ed
Euripide. Aristofane è il maestro riconosciuto della commedia.
Il teatro dell’epoca ignorava il concetto di scenografia così come lo intendiamo oggi. L’intera
azione drammatica si svolgeva con la stessa facciata, forse decorata con dipinti in prospettiva. Non
tutti gli eventi del dramma venivano rappresentati sulla scena; quelli più violenti avvenivano infatti
fuori di essa. Gli spettatori prendevano coscienza dell'avvenimento tramite l'annuncio di un messo o
un personaggio che aveva assistito all'evento (presa di coscienza dopo lo svolgimento), oppure per
metonimia tramite le urla dei personaggi (presa di coscienza durante o immediatamente dopo lo
svolgimento).
La commedia ebbe una storia simile a quella della tragedia. Oggi è un componimento teatrale o
un'opera cinematografica dalle tematiche leggere o atto a suscitare il riso, perlopiù a lieto fine. . La
commedia, nella sua forma scritta, ha origine in Grecia nel VI secolo a.C., ma nacque da una
processione spontanea organizzata in onore del Dio Dioniso, dal meno decoroso corteo buffonesco!
La prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C. In altre città si erano
sviluppate forme di spettacolo burlesche come le farse di Megara, composte di danze e scherzi, e
simili spettacoli si svolgevano alla corte del tiranno Gerone in Sicilia, anche se non ce ne sono
pervenuti i testi. Si distinse per la presenza di due cori, piuttosto che di uno solo della tragedia.
Il coro era l’elemento base dei drammi: l’area di azione doveva essere sufficientemente larga per
permettere al coro di fare quegli elaborati movimenti di danza che erano connessi con il canto dei
versi lirici. Per questo è presumibile che i teatri più antichi non fossero altro che uno spazio
livellato, circolare, per gli interpreti, mentre per comodità gli spettatori assistevano in piedi sul
declivio di una collina. Lo spazio livellato con al centro un ALTARE prende il nome di orchestra.
Dapprima ci furono pochi sedili di legno sul bordo dell’orchestra, destinati alle persone più
importanti, più tardi altri sedili in legno disposti su per un fianco della collina, crearono un vero e
proprio luogo per il pubblico. All’inizio del V sec., la pietra soppiantò il legno. Poiché l’azione
presentava un unico fronte visivo, i sedili non circondavano completamente l’orchestra.
Con l’introduzione del secondo e poi del terzo attore, nacque l’esigenza di erigere una capanna,
inizialmente per scopi essenzialmente pratici: forniva agli attori un luogo appartato in cui prepararsi
senza essere visti e nel quale ritirarsi non appena esauriti gli interventi in scena. Ma ben presto si
scoprì la sua utilità utilizzandola come fondo scenico. Tale elemento che fingeva sovente un tempio
o un palazzo prese il nome di skenè. Inizialmente davanti a questa costruzione c’era un palco
sopraelevato chiamato logeion appena pochi centimetri dall’orchestra, che permetteva già una
elevazione degli attori. Con la nascita del teatro ellenistico nel IV se. A.C., già con Euripide
decadde l’elemento ritualistico a vantaggio di una nota realistica. Questo determinò una progressiva
riduzione del coro e quindi dello spazio a lui destinato, che con i suoi movimenti solenni ritardava
l’azione, a vantaggio dell’attore. Per questo mentre i vecchi teatri indirizzavano l’attenzione
sull’orchestra, adesso l’attenzione si sposta sulla scena, dove si muovono gli attori. Da ciò
l’esigenza di elevare il palco, adesso chiamato proskénion fino a tre, quattro metri. Nella facciata si
aprivano tre porte per l’entrata e l’uscita degli attori: la porta centrale, di solito più grande delle
altre, era l’entrata <<regia>>, era di solito considerata come l’ingresso di un palazzo, o si
supponeva appartenere al protagonista del dramma. La porta di destra era destinata al secondo
attore, o si supponeva conducesse alle stanze degli ospiti; mentre la porta di sinistra apparteneva ad
un personaggio minore o indicava un immaginario tempio in rovina, un deserto o una prigione.
Queste erano le porte che conducevano direttamente in edifici che si immaginavano realmente
esistenti; ai personaggi che giungevano da località esterne erano riservati i due ingressi
sull’orchestra, le pàrodoi. Se questi erano elementi fissi di scena, è incerto il merito di inventare
scene dipinte e mutevoli che lo si deve ad Eschilo o a Sofocle. Abbiamo testimonianze che i
pinakes (tavoletta dipinta o terracotta in rilievo con immagini votive) erano usati non soltanto per
riempire gli spazi tra le colonne del proscenio, ma per fornire uno sfondo scenografico. Invece i
periaktoi, probabilmente posti accanto alle due entrate laterali, erano prismi triangolari , con una
scena dipinta su ogni lato, fissati su un perno centrale, si potevano far ruotare per ottenere un
cambio di scena. Erano probabilmente provvisti di una rientranza, per ospitare, se necessario, il dio
che doveva apparire al rimbombo di un tuono improvviso.
Interessante è l’esame delle macchine utilizzate nel periodo ellenistico:
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Ekkuklema descritto come una piattaforma su rotelle, su cui è posto un trono. Ruotando
poteva mostrare l’esito di un’azione svolta all’interno, come ad esempio far vedere cadaveri
dopo un assassinio. Poteva essere estratta per rotazione da qualsiasi delle tre porte.
Mechané consisteva in una fune, un gancio e una carrucola posti in cima alla skenè sul lato
sinistro della scena per mezzo del quale le divinità potevano essere sollevate o abbassate.
La scaletta di Caronte consisteva in una botola che aprendosi faceva scomparire
istantaneamente l’attore facendolo precipitare sotto l’orchestra, e che con un semplice
dispositivo permetteva di far emergere gli spiriti dagli abissi.
Keraunoskopèion o macchina per produrre i fulmini: un prisma con tre facce colorate di
nero su ciascuna delle quali appariva diagonalmente il fulmine.
Brontèion o macchina dei tuoni; consisteva in giare di pietre che venivano rovesciate
rumorosamente in un recipiente d’ottone.
I costumi teatrali. Benché i temi presentati nella maggior parte dei casi si riallacciavano
alla leggenda omerica, i greci non si preoccupavano che i costumi corrispondessero a quelli
dei secoli precedenti in questione., ma utilizzavano elementi convenzionali per rendere
immediatamente comprensibili le condizioni sociali dei vari personaggi: corona, bastone,
stampella, ecc.
A causa della vastità del teatro, le dimensioni degli attori venivano implementati da
espedienti particolari:
I coturni, calzature con una spessa suola per far sembrare più alti, l’altezza variava a
seconda dell’importanza del personaggio; l’onkos, un’alta acconciatura che torreggiava
sopra le maschere. Per evitare che l’attore sembrasse troppo esile si usava un’imbottitura.
Forse la volumetria corrispondeva alla dignità del personaggio. La caratteristica
fondamentale dell’attore greco, tuttavia, si esplicava nelle maschere che traducevano la
condizione sociale, lo stato d’animo prevalente del personaggio. I re portavano la corona, un
persiano ostentava il turbante sopra l’abito di scena normale, Ercole portava la clava e la
pelle di leone, i vecchi si appoggiavano stancamente su un bastone o una stampella….
Questa simbologia convenzionale dell’abbigliamento doveva servire a identificare
immediatamente i personaggi.
L’effetto di megafono, di risonanza ottenuto tramite una forma ad imbuto interna alla
maschera deve essere stato provvidenziale ai fini dell’acustica.
Il teatro diventa sempre più conquista dello spirito, mezzo di coscienza, legame sociale,
presa di coscienza…… ed evolve di pari passo con la società che lo produce.
Tratto da “Lo spazio scenico” A. Nicoll – Bulzoni ed.