Biotecnologie A cura di Elisa Tramentozzi, socio ANBI Induzione della risposta immunitaria antitumorale: presentazione dell’antigene. La proteina antigenica viene riconosciuta dalle cellule presentanti l’antigene (APC) che la internalizzano e la degradano in peptidi che vengono associati nel reticolo endoplasmatico (RE) con le molecole del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). I peptidi sono quindi trasportati sulla superficie cellulare e riconosciuti mediante il recettore TCR dai linfociti T che vengono attivati. Vaccini antitumorali Nuovi approcci terapeutici nella lotta contro i tumori Ruolo del sistema immunitario Scienza & tecnica L’osservazione che un tumore può regredire spontaneamente o in seguito a un’infezione è molto antica. Già Ippocrate aveva osservato regressioni tumorali spontanee in pazienti con erisipela, un’infezione acuta della pelle sostenuta da streptococco emolitico. Ma fu solo nel XIX secolo, con le scoperte sulla regolazione della risposta immunitaria, che furono raccolte le prime informazioni sull’influenza che il sistema immunitario può avere sullo sviluppo dei tumori Il chirurgo americano William Coley, osservando la remissione di tumori in pazienti con infezioni batteriche intuì che il sistema immunitario, nel tentativo di combattere l’infezione, potesse aver scatenato una risposta tale da distruggere anche la massa tumorale. Sulla base di questa ipotesi sviluppò un vaccino preparato con estratti di batteri, noto come “tossina di Coley” con cui trattò dei pazienti che mostrarono una completa remissione del tumore. Nonostante questo approccio terapeutico risultasse potenzialmente promettente, per motivi diversi fu accolto con molto scetticismo dalla medicina ufficiale e poi abbandonato. In anni più recenti, l’identificazione di specifici antigeni associati al tumore, la conoscenza dei meccanismi di attivazione dei linfociti e delle modalità con cui il tumore evade la sorveglianza del sistema immunitario hanno permesso di sviluppare nuovi approcci terapeutici contro il tumore. 76 LAB IL MONDO DEL LABORATORIO Ruolo del sistema immunitario nella risposta antitumorale Per prevenire l’insorgenza dei tumori, il sistema immunitario interviene con diverse modalità, fra cui l’eliminazione delle infezioni sostenute da virus responsabili dell’insorgenza di tumori e l’eliminazione diretta di cellule tumorali presenti nei tessuti. Studi su modelli animali hanno dimostrato che la risposta antitumorale è mediata principalmente dai linfociti T. Un recettore presente sui linfociti T, il T-cell receptor (TCR) riconosce frammenti di proteine (peptidi) cellulari che sono presentati sulla superficie di cellule nucleate, comprese cellule specifiche dell’immunità (macrofagi e cellule dendritiche, chiamate antigen-presenting cells (APC)) dalle molecole del complesso maggiore di istocompatibilità (major histocompatibility complex, MHC). In questo processo di “presentazione dell’antigene”, proteine specifiche del tumore vengono riconosciute come estranee dai linfociti T che in tal modo subiscono una serie di reazioni di attivazione che portano alla maturazione dei linfociti B, con la produzione di anticorpi diretti contro l’antigene, e all’attivazione dei linfociti T citotossici che distruggono le cellule tumorali. Nonostante tale fine regolazione preposta alla difesa dell’organismo, i tumori sono in grado di attuare una serie di meccanismi diversi per evadere la risposta del sistema immunitario. Per esempio, le cellule tumorali possono prevenire l’esposizione delle proteine antigeniche sulla loro superficie, oppure produrre una serie di molecole che riducono l’attività del sistema immunitario tale che la risposta risulta insufficiente a inibire la rapida crescita tumorale. Anche l’esposizione lenta delle proteine antigeniche sulla superficie delle cellule tumorali è stata invocata come meccanismo che favorisce lo stato di tolleranza al tumore. L’immunoterapia antitumorale L’immunoterapia dei tumori è uno tra gli approcci terapeutici più studiati negli ultimi anni ed è finalizzata alla stimolazione del sistema immunitario per la specifica distruzione delle cellule tumorali. Oltre alla rimozione chirurgica, la radioterapia e la chemioterapia, che attualmente rappresentano gli approcci terapeutici d’elezione per la cura del cancro, l’immunoterapia è la quarta modalità di trattamento. Diversamente dalla radioterapia e dalla chemioterapia che oltre alle cellule tumorali eliminano anche quelle normali, l’immunoterapia è altamente specifica in quanto coinvolge solo le cellule tumorali e inoltre fornisce il potenziale di memoria immunologica necessaria a combattere eventuali recidive. L’immunoterapia antitumorale può essere classificata in due tipologie che si basano su due diversi approcci terapeutici. L’immunoterapia “passiva” prevede l’utilizzo di anticorpi o altri componenti del sistema immunitario prodotti in laboratorio e somministrati al paziente che acquisisce in maniera passiva l’immunità necessaria per l’eliminazione del tumore. Rientra in tale categoria la terapia con anticorpi monoclonali, che legano specifici antigeni presenti sulla superficie delle cellule tumorali, innescando una cascata di eventi che portano alla distruzione del tumore. L’immunoterapia “attiva” invece si basa sull’utilizzo di effettori che stimolano il sistema immunitario a dare una risposta immunitaria efficiente e duratura contro il tumore. I vaccini antitumorali rientrano in tale categoria. Maggio 2012 I vaccini comunemente conosciuti e usati sono somministrati a persone sane per stimolare le difese contro vari tipi di infezioni. Allo scopo si possono usare virus o batteri uccisi o attenuati, o anche specifiche proteine virali e batteriche per generare una risposta immunitaria da parte dell’organismo, che diventa pronto a difendersi. Nell’ambito dei vaccini classici si possono includere anche i nuovi vaccini contro il papilloma virus umano e il virus dell’epatite B che sono diretti a rafforzare le difese immunitarie contro virus che potenzialmente possono favorire l’insorgenza di tumori in sedi specifiche. I vaccini antitumorali veri e propri, detti anche vaccini terapeutici, costituiscono invece una forma di trattamento del tumore quando questo è già sviluppato. Possono essere suddivisi nelle seguenti categorie: • Vaccini con peptidi tumorali: sono somministrati al paziente peptidi antigenici insieme ad adiuvanti che potenziano la risposta immunitaria. Tale approccio richiede che l’antigene tumorale sia noto e presente nel tumore in quantità sufficiente. • Vaccini con cellule tumorali: possono essere autologhi, quando vengono usate le cellule tumorali dello stesso paziente o allogenici, quando vengono usate cellule tumorali provenienti da uno o più pazienti diversi. Vengono estratte dal tumore di pazienti sottoposti ad intervento chirurgico, trattate in laboratorio e quindi somministrate nuovamente al paziente. In questo caso non è necessaria la conoscenza dello specifico antigene tumorale, in quanto le cellule tumorali contengono già tutti gli antigeni necessari per stimolare la risposta immunitaria. • Vaccini con cellule dendritiche: sono APC che vengono estratte dal sangue del paziente, stimolate in vitro con l’antigene tumorale, precedentemente identificato, e iniettate nello stesso paziente. In circolo esse attivano, mediante il processo di presentazione antigenica, le cellule T che attaccano il tumore. Se lo specifico antigene tumorale non è conosciuto, possono essere stimolate con preparazioni di cellule tumorali dello stesso paziente. • Vaccini con DNA o RNA: il DNA o l’RNA codificante per uno specifico antigene tumorale viene somministrato ai pazienti mediante dei vettori, spesso vettori virali non infettivi. Questa tipologia di vaccini (non ancora utilizzata nella pratica clinica) avrebbe il vantaggio di indurre un’espressione dell’antigene che stimola continuativamente il sistema immunitario. • Vaccini idiotipici: si basano sull’utilizzo di anticorpi prodotti da linfociti B tumorali (in caso di linfomi e mielomi). Ogni linfocita B produce un solo tipo di anticorpo (detto idiotipico), per cui ogni anticorpo prodotto da una cellula B tumorale è specifico per ciascun tumore. Questi anticorpi possono essere riconosciuti come antigeni dal sistema immunitario mediante la produzione di anticorpi anti-idiotipici e l’attivazione dei linfociti citotossici. Attualmente vi sono numerosi studi clinici che utilizzano le diverse categorie di vaccini antitumorali. Gli studi riguardano vari tipi di tumore, sia solidi (vescica, cervello, seno, cervice uterina, reni, polmoni, pancreas, prostata) che ematologici, (leucemie, linfoma di Hodgkin e linfoma non-Hodgkin). Nell’aprile del 2010 la Food and Drug Administration ha approvato il primo vaccino antitumorale, il sipuleucel-T (Provenge®) per la cura di alcuni pazienti con tumore metastatico alla prostata ormono-refrattario. Il vaccino stimola la risposta immunitaria verso l’antigene tumorale PAP, la fosfatasi acida prostatica ed è specifico per ogni paziente. Le APC del paziente vengono isolate e stimolate in vitro con l’antigene PAP coniugato ad un’altra molecola in grado di potenziare la risposta del sistema immunitario. Le cellule sono quindi iniettate nel paziente che riceve tre trattamenti ad intervalli di due settimane. Con tale trattamento si è riscontrato un aumento della sopravvivenza di quattro mesi. Allo stato attuale non tutti i problemi relativi alla terapia, compresi alcuni effetti collaterali della stessa, sono stati risolti. Conclusioni Nonostante la relativa sicurezza e specificità, il successo della terapia con i vaccini antitumorali è condizionato da vari fattori tra cui di particolare importanza sono la conoscenza approfondita dello stato di attivazione del sistema immunitario del paziente e la necessità di identificare con precisione l’antigene tumorale per eccellenza. Nonostante siano stati identificati numerosi antigeni tumorali, la loro espressione sulle cellule tumorali e la capacità di stimolare la risposta immunitaria è spesso variabile ed insufficiente per cui devono essere sempre associati con adiuvanti. Vaccini antitumorali. (A) Le cellule tumorali vengono modificate in laboratorio con vettori che producono sostanze immuno-stimolatorie e sono quindi iniettate al paziente. Le cellule dendritiche riconoscono le proteine antigeniche delle cellule tumorali, le processano e presentano i peptidi antigenici associati alle molecole MHC. (B) Le cellule dendritiche del paziente vengono somministrate nuovamente dopo stimolazione in vitro con preparazioni di cellule tumorali, con il peptide antigenico o incubate con vettori virali che esprimono il peptide antigenico. (C) I peptidi antigenici possono essere somministrati come tali, come DNA inserito in un plasmide o mediante vettori virali. Le cellule dendritiche che presentano l’antigene migrano nei tessuti linfoidi secondari dove presentano l’antigene ai linfociti T che, una volta attivati, generano la risposta antitumorale. La terapia con cellule tumorali è condizionata dal fatto che il tumore sia operabile e spesso non si ottiene un numero di cellule sufficiente per il trattamento. In alcuni studi è stata riscontrata l’insorgenza di patologie autoimmunitarie in seguito al trattamento con cellule dendritiche, effetto che può essere scongiurato se si arriva a stabilire il dosaggio adeguato del vaccino per ogni singolo paziente. In alcuni casi, i vaccini antitumorali sono risultati più efficaci se associati ad altre forme di trattamento del tumore, tra cui chemioterapia e radioterapia. Un vaccino antitumorale ideale dovrebbe causare una minima tossicità, indurre un’adeguata risposta immunitaria tumore-specifica (sia contro tumori primari che metastatici), fornire una memoria immunologia per prevenire eventuali recidive ed essere inoltre accessibile ad ogni paziente. Naturalmente non siamo ancora vicini ad una situazione ideale, anche se numerosi studi hanno permesso di progredire nella comprensione dei meccanismi di interazione tra sistema immunitario e tumore e di definire le modalità con cui le cellule tumorali sfuggono alla soppressione immunitaria. Alcuni vaccini terapeutici si sono rivelati particolarmente promettenti e insieme all’ampio bagaglio di conoscenze che si sono acquisite nel settore fanno sperare che nell’immediato futuro si possano ottenere traguardi importanti in tale campo. 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