Happy end. La trama è tutta qua.
Mettendo in scena Cechov, due anni fa, pensavo che in
Zio Vanja non succedeva quasi niente: arriva una bella
donna in una tenuta di campagna, tutti si innamorano di
lei, ma alla fine dell’estate lei se ne andrà senza che nulla
cambi. L’immobilità è il soggetto di quasi tutto il teatro di
Cechov. Anticamente il dramma era la mutazione di una
condizione di vita. Romeo e Giulietta, per esempio,
racconta di due ragazzi innamorati contro la volontà delle
famiglie, che sono nemiche. L’odio tra le famiglie
provocherà la morte dei giovani innamorati. La condizione
dei protagonisti cambia radicalmente: dalla vita alla morte.
Il Novecento si apre con questa consapevolezza: il dramma
non è più la mutazione di una condizione, ma la condizione
stessa. Cioè la vita. Che è una sorta di attesa della morte.
Nei Rusteghi di Goldoni succede ancora meno che in Zio
Vanja. Il personaggio cecoviano ad un certo punto cerca
di sparare al suo rivale. Non ce la fa ad ammazzarlo, ma
almeno ci prova. Non c’è morte fisica. Non serve, dal
momento che la vita stessa è solo l’attesa della morte.
Nei Rusteghi la grande trasgressione la mette in opera la
siora Felice: fa incontrare un ragazzo e una ragazza prima
che si sposino. A differenza di Romeo e Giulietta nessuno
è contrario alle nozze. Il dramma è molto più futile: i
genitori vogliono che i figli si sposino, solo pretendono
che non si vedano prima delle nozze. La trasgressione
della siora Felice che favorisce l’incontro è una specie di
umiliazione del dramma. I personaggi che in Shakespeare
sono eroici, grazie alla morte, in Goldoni diventano buffi.
Più ancora che in Cechov. È come se Goldoni avesse già
perfetta coscienza dell’immutabilità delle condizione
umana, della sua stupidità.
Solo che lui la raccontava offrendo divertimento, gioia
pura in dono.
Nel Novecento non c’è più molto da ridere. Eppure Cechov
diceva che le sue erano commedie, vaudeville... voleva
che il pubblico ridesse. Io non ricordo se da piccolo, tra
le commedie che mi facevano vedere in televisione c’era
anche Cechov. Se morivo di noia non credo fosse colpa
sua. Verso la fine del Novecento grandi registi hanno
messo in scena Goldoni come se fosse Cechov.
Era diventata una specie di moda. Non si rideva mai.
Forse bisognava fare il contrario: mettere in scena
Cechov come se fosse Goldoni. E Goldoni come se
fosse Shakespeare. [...]».
Gabriele Vacis
Info
ERTFVG.IT
t. 0432 224211
Rusteghi
Fondazione del Teatro Stabile di Torino/
Teatro Regionale Alessandrino
presentano
Rusteghi
I nemici della civiltà
da I Rusteghi di Carlo Goldoni
traduzione e adattamento
Gabriele Vacis e Antonia Spaliviero
con (in ordine alfabetico)
Eugenio Allegri, Mirko Artuso, Natalino Balasso,
Jurij Ferrini
e con (in ordine alfabetico)
Nicola Bremer, Christian Burruano, Alessandro Marini,
Daniele Marmi
regia Gabriele Vacis
composizione scene, costumi, luci e scenofonia
Roberto Tarasco
Lo spettacolo
I Rusteghi appartiene alla maturità compositiva di Carlo
Goldoni, che coincide anche con gli ultimi malinconici
anni della permanenza a Venezia. Ai fasti del pubblico,
che accompagnano la felice stagione del 1750 delle sedici
commedie riformate, seguono le commediole antagoniste
dell’abate Chiari, che sottraggono pubblico al
commediografo, ma soprattutto la polemica restaurazione
proposta da Carlo Gozzi, a favore di un ritorno alla
Commedia dell’Arte. Due anni separano Goldoni dal viaggio
a Parigi, alla Comédie Italienne, e sempre più nelle sue
storie si coglie il disinganno per una realtà storica
profondamente diversa da quella raccontata agli esordi:
Venezia ha perso il ruolo di potenza dell’Adriatico, agita
da una classe aristocratica incapace di gestire un
indispensabile cambiamento di rotta e da una borghesia
commerciale che stenta a imporsi come classe dirigente.
I Rusteghi si inserisce dunque a pieno titolo su questo
sfondo, con un tratto di audacia finora mai emerso.
Il mercante Pantalone, l’avveduto borghese che in
molte commedie incarna l’ideale di un soggetto sociale
responsabile, si trasforma in una amara caricatura di
se stesso. Autentico tiranno, si impone con protervia
su famiglia e domestici.
In un prezioso gioco di specchi, Goldoni amplifica le
valenze del personaggio sdoppiandolo in altrettanti
alter-ego, gli altri “rusteghi” dell’opera: Canciano,
Leonardo, Simon e Maurizio. La loro capitolazione a
un nuovo codice comportamentale ha il sapore di un
happy end forzoso, estraneo per primo a loro stessi.
Cupa e vagamente claustrofobica questa commedia parla
ancora al nostro tempo, all’intolleranza travestita da
moralismo, alla difficoltà di mettersi in relazione, alla
mancanza di comunicazione di un’epoca che proprio della
comunicazione fa il proprio vessillo. Il disinganno di Goldoni
è ancora vivo nelle parole dei protagonisti e descrive una
società buia e alla deriva, sopita ma ancora presente, nella
nostra pratica quotidiana.
Note di Antonia Spaliviero
«Nel mondo dei Rusteghi le donne più che intelligenti
devono essere furbe. La furbizia è una forma di intelligenza
ma il suo esercizio sottende l’inganno, il raggiro
dell’interlocutore inconsapevole. Le donne dei Rusteghi
discutono con i maschi, li affrontano, li lambiscono,
possono persino tramare strategie d’azione e di linguaggio.
Ma devono tesserle invisibilmente, come il ragno, per
ottenere ciò che vogliono. Solo così, alla fine, vincono.
Quindi non fanno mai veramente parte del mondo che
decide le regole. Non toccano denaro, non scelgono se
e quando uscire di casa e con chi. Sapendo che nemmeno
il marito sarà deciso da loro, sperano di sposare un uomo
non troppo vecchio e possibilmente ricco.
Abitano scene fisse come camerette adolescenziali,
popolate da greggi di peluche dai sorrisi fissi ormai vecchi
e polverosi. Sono rinchiuse con i loro Rusteghi in questi
luoghi angusti, grembi in cui rifiutarsi di crescere, mondi
virtuali in cui l’altro non è davvero presente ma solo
rappresentato. Qui le istanze delle donne sono solo
capricci a cui l’uomo non spiace soggiacere. Qui, alla fine,
tutto si ricompone nelle vecchie regole del quieto vivere.
Queste donne sono solo a disposizione di quel mondo, lo
vivono nascoste e finiscono per adeguarne le loro stesse
ambizioni. Reclamano una libertà di abiti alla moda e
presenze in società, vogliono far parte di un carnevale
sociale in cui la maschera e lo stordimento facciano
dimenticare la quotidianità. Per questo, quando abbiamo
cominciato a riscrivere Rusteghi in italiano dal veneziano,
ci è sembrato realistico che le donne fossero
essenzialmente un costume, un abito sulla scena maschile.
La scelta di affidare ad attori maschi anche le parti
femminili è solo un piccolo scarto, data l’ininfluenza di
un corpo femminile così scisso dalla complessità della
sua intelligenza, in questo mondo di padroni, più che di
padri o mariti.
Cosa produrrà, per un uomo, abitare nei panni di una
donna che si piega a regole non scelte, non condivise, ma
che deve conoscere a fondo? Spero un po’ di condivisione
della fatica, della rabbia che comporta il crescere, il
comprendere davvero la presenza di un’altra parte, diversa
da sé, per riuscire a vivere guardandoti, tutte le volte che
puoi, nei panni dell’altra. Per andare avanti».
Appunti di senso
«[...] Da bambino mi facevano vedere le commedie
alla televisione. E io morivo di noia. Tranne Goldoni.
Goldoni mi commuoveva in quel bianco e nero sfumato
che sembrava nebbia. I Rusteghi, in particolare, che
rivedevo dopo decenni nel video ritrovato all’archivio della
Paolo Grassi, mi riportava alla memoria una configurazione
particolare del teatro, che però, per me bambino, era il
teatro tout-court: gioia pura offerta in dono.
Cesco Baseggio era Lunardo, il padre di Lucietta.
Lucietta è figlia della prima moglie di Lunardo. Lui,
rimasto vedovo, si è risposato con Margarita. Lucietta
e la matrigna, però, non legano. Così, appena compie
diciotto anni, Lunardo vuole dare la figlia in sposa.
La promette al figlio del suo amico Maurizio Delle Stroppe,
Filippetto. Ma Lunardo e Maurizio sono genitori dispotici:
non vogliono che i figli si vedano prima di sposarsi.
La signora Felice, donna emancipata, decide di farli
incontrare nonostante la proibizione dei padri.
Naturalmente il rendez-vous viene scoperto e il matrimonio
rischia di andare a monte. L’eloquio della siora Felice
convincerà i rusteghi genitori a perdonare e a permettere
che i figli si sposino.