I rusteghi Teatro Stabile del Veneto - Teatro Nazionale di Carlo Goldoni Scenografia: Federico Cautero Costumi: Stefano Nicolao Disegno luci: Enrico Berardi Musiche: Massimiliano Forza Arrangiamenti: Fabio Valdemarin Assistente alla Regia: Tommaso Franchin Foto di scena: Serena Pea Regia: Giuseppe Emiliani con (in ordine alfabetico): Alessandro Albertin, Alberto Fasoli, Piergiorgio Fasolo, Stefania Felicioli, Cecilia La Monaca, Michele Maccagno, Maria Grazia Mandruzzato, Margherita Mannino, Giancarlo Previati, Francesco Wolf LA TRAMA Margarita, da sedici mesi moglie del rustego Lunardo, vedovo con una figlia in età di marito, non sopporta già più di vivere segregata in casa e di non essere consultata dallo zotico sposo nemmeno per decisioni importanti come la promessa di dare in sposa la figlia Lucieta a Felipetto, figlio di un altro rustego, suo buoncompare, Maurizio. Concludere le nozze senza che i due giovani si conoscano è cosa che indigna profondamente Marina, moglie del rustego Simon e zia affettuosa del giovane Felipetto, la quale si assume l’incarico – assieme a Felice – di fare incontrare segretamente i due giovani approfittando del carnevale. Felice è la personalità più forte e indomabile fra le donne della commedia, l’unica che riesce a giostrare il pur rustego marito Canciàn, al punto che lei può permettersi perfino un cavalier servente, Riccardo, secondo la moda dei salotti bene dell’epoca. Un inaspettato quanto estemporaneo invito a pranzo, a casa di Lunardo, dei quattro amici e delle loro consorti per rendere ufficiale il fidanzamento tra i due giovani, palesa quanto è avvenuto: ovvero che Lucieta e Filipetto si erano già visti e piaciuti. I quattro rusteghi, che si sentono così sfidati dalle rispettive mogli, minacciano terribili punizioni per tutte le donne coinvolte, giovani e meno giovani. Ma Felice non si dà per vinta: convoca coraggiosamente i quattro rusteghi e impone loro una vera e propria requisitoria che li induce a una più o meno sentita autocritica. Lieto fine alla maniera goldoniana… La scena è ambientata a Venezia nella casa del mercante Lunardo, e si svolge nell’arco di una giornata, rispettando così la tradizionale unità di luogo e di azione. Lucietta, da sempre in contrasto con la matrigna Margarita, vorrebbe maritarsi per uscire da una routine familiare noiosa e angusta, dovuta soprattutto all’intransigenza del padre Lunardo, autoritario, e scorbutico. A insaputa di Lucietta, il padre ha già predisposto le nozze con Filippetto, figlio del signor Maurizio, anch’egli dal carattere rigido e severo. Contemporaneamente Filippetto si reca a far visita alla zia Marina, raccontandole del futuro matrimonio, ma confessandole di non aver mai conosciuto di persona la promessa sposa. Marina si adopera allora a tale scopo, e per questa ragione chiede e ottiene la complicità della signora Felice, moglie di Canciano. Il signor Lunardo ha invitato gli ospiti a cena, con lo scopo di ufficializzare le nozze: giungono così in casa Marina con il marito Simon, Felice e Canciano, accompagnati dal conte Riccardo. Grazie a un travestimento Filippetto e Lucietta possono conoscersi, ma sul più bello vengono scoperti. Scoppia il finimondo: I quattro uomini montano su tutte le furie, ma è Felice, nel corso della splendida scena finale, a dimostrare quanto assurdo sia il comportamento dei rusteghi. Questi, seppure di malavoglia, riconoscono i loro torti e si rassegnano ad accettare la nuova situazione. NOTE STORICHE ll testo dei Rusteghi appartiene a quella stagione del teatro goldoniano che è segnata da importanti capolavori composti espressamente per il San Luca. Goldoni autore borghese racconta dunque la realtà borghese del proprio tempo e della sua città. Una borghesia aristocraticamente arricchita, come quella tratteggiata in La moglie saggia; oppure una piccola borghesia in ascesa grazie all’etica del lavoro e del risparmio avveduto e calcolato, nella Locandiera. In ogni caso gli spazi del mondo borghese sono ritratti ora con interesse e ammirazione, ora con distacco e ironia, come se fossero pseudo-valori, illusioni di ricchezza materiale contrapposti ai sentimenti più elementari. È il caso dei Rusteghi, in cui il matrimonio premeditato dai padri viene messo a rischio da un desiderio reale e autentico dei figli, che solo vorrebbero conoscersi di persona prima delle nozze. Al di sopra del principio economico e dei falsi ideali di compostezza, rigore, rispetto dell’autorità paterna, i figli e le donne si affidano a un umanissimo principio di piacere, ribaltando i ruoli familiari a loro vantaggio e isolando i quattro rusteghi nella vecchia austerità e nel conformismo che li caratterizza. I quattro “rusteghi” – Lunardo, Simon, Maurizio e Canciano – sono, come il titolo li definisce, uomini scontrosi e rozzi al limite della villania, chiusi nel loro piccolo universo e nel personale interesse, refrattari a qualunque novità che dall’esterno sta prepotentemente facendosi strada anche a Venezia e che invece per loro rappresenta un grave pericolo per le loro certezze. In un’ottica così ristretta persino una festa come il Carnevale e il teatro inteso come luogo di spettacolo vengono guardati con ostilità in quanto occasioni di svago, spreco e corruzione. Al contrario dei quattro “rusteghi”, le loro mogli e gli altri personaggi femminili della commedia avvertono i cambiamenti che sono nell’aria e sono pronte ad accoglierli con entusiasmo. La storia dei Rusteghi, che si svolge in una sola giornata a Venezia, vede al centro il matrimonio combinato d’autorità dal “rustego” Lunardo tra la figlia di primo letto Lucietta e Felippetto, figlio del “rustego” Maurizio. I giovani sono disperati perché non hanno avuto la possibilità di conoscersi. Ma attraverso una serie di escamotage e di travestimenti e grazie all’aiuto della signora Felice, moglie del “rustego” Canciano, potranno vedersi e piacersi. I quattro “rusteghi” scoprono però l’inganno e si infuriano. Sarà ancora una volta la signora Felice a sistemare le cose, avviarle al lieto fine. E ai quattro burberi, non resterà che rassegnarsi. La commedia scritta nel gennaio 1760 a chiusura del carnevale fu rappresentata per la prima volta al Teatro San Luca il 16 febbraio con il titolo “ La compagnia dei selvadeghi, o sia i Rusteghi” incontrando un grande successo di pubblico tanto che nella edizione Pasquali del 1762 il Goldoni stesso disse: “Il Pubblico si è moltissimo divertito, e posso dire quest’opera una delle mie più fortunate; perché non solo in Venezia riuscì gradita, ma da per tutto, dove finora fu dai comici rappresentata.” Quando Goldoni scrive I Rusteghi è un intellettuale sempre più lucido, aperto alle esperienze e alla cultura europea (nello stesso anno avverrà il famoso contatto epistolare con Voltaire), più filosofo insomma, nel senso settecentesco del termine. I Rusteghi nascono anche da questa attenzione ai “lumi” che vengono dall’Europa, e permettono un giudizio più ampio sulla società veneziana. Una commedia in cui l’autore affonda il bisturi sulla città che lo circonda, utilizzando con consumata maestria tutte le risorse del suo laboratorio drammaturgico e della sua lingua straordinaria. Goldoni costruisce il suo componimento con un rigore raramente eguagliato in altri testi, concentrando l’azione in un lasso di tempo minimo (una mezza giornata) che subisce una accelerazione impercettibile ma costante fino alla frenesia della gran scena finale. L’azione si svolge tutta in interni, gli unici spazi possibili per i quattro rusteghi, quattro uomini alle prese con un eros inquieto e perturbante, con famiglie difficili da governare e con affari ancora prosperi ma già minacciati di crisi. Ambiguità, insicurezza, irresolutezza, nevrosi caratterizzano questi despoti improbabili, arroccati nella difesa a oltranza del passato contro ogni minaccia di novità. Netta è la polemica di Goldoni con il conservatorismo ormai rozzo della classe cui appartiene. Il mercante lucido e avveduto, che per lunghi anni, nei panni di Pantalone, aveva impersonato il prototipo di un individuo socialmente responsabile, consapevole dell'interesse proprio e altrui, si è ormai svilito a una caricatura di se stesso. Chiuso nella propria casa, gelosamente attaccato al proprio meschino tornaconto, si rifiuta di concedere a chi gli è sottomesso (le donne e i figli) qualunque autonomia di comportamento. Se i rusteghi tendono a chiudersi dentro le loro case come in una fortezza impenetrabile, le donne guardano alla vita, all’esterno, ai contatti sociali, ai doveri dell’amicizia e della parentela, ai diritti del sentimento. I rusteghi no. Riescono a esistere soltanto nel chiuso delle loro mura domestiche, dove agiscono con prepotenza insopportabile vietando visite, divertimenti, sprechi e frivolezze e ogni minima forma di ozio, soprattutto il teatro. Il teatro è aborrito e temuto dai rusteghi: lo considerano luogo di corruzione e di spreco, come il carnevale che c’è fuori e a cui è vietato partecipare. Come il carnevale negato, tuttavia, alla fine irrompe lo stesso nelle stanze serrate e austere dei rusteghi, con tutta la sua carica di comicità trasgressiva, così il teatro penetra nel chiuso mondo domestico, sommuovendolo dall’interno, smascherandone le contraddizioni: per affermare, insomma, il proprio potere demiurgico. È nei Rusteghi che traspare la maggiore fiducia di Goldoni nelle capacità del teatro di affermare la propria funzione sociale e civile. Dalle note di regia di Giuseppe Emiliani _______________________________________________________________________________ Scritta nel gennaio 1760 e rappresentata per la prima volta il 16 febbraio al Teatro San Luca di Venezia con il titolo La compagnia dei salvadeghi o sia i Rusteghi, la commedia conquistò subito il pubblico e, nel corso dei secoli, venne messa in scena in tutti i teatri del mondo. I Rusteghi appartiene alla maturità compositiva di Carlo Goldoni, che coincide anche con gli ultimi malinconici anni della permanenza a Venezia. Ai fasti del pubblico, che accompagnano la felice stagione del 1750 delle sedici commedie riformate, seguono le commediole antagoniste dell’abate Chiari, che sottraggono pubblico al commediografo, ma soprattutto la polemica restaurazione proposta da Carlo Gozzi, a favore di un ritorno alla Commedia dell’Arte. Due anni separano Goldoni dal viaggio a Parigi, alla Comédie Italienne, e sempre più nelle sue storie si coglie il disinganno per una realtà storica profondamente diversa da quella raccontata agli esordi: Venezia ha perso il ruolo di potenza dell’Adriatico, agita da una classe aristocratica incapace di gestire un indispensabile cambiamento di rotta e da una borghesia commerciale che stenta a imporsi come classe dirigente. I Rusteghi si inserisce dunque a pieno titolo su questo sfondo, con un tratto di audacia finora mai emerso. Il mercante Pantalone, l’avveduto borghese che in molte commedie incarna l’ideale di un soggetto sociale avveduto e responsabile, si trasforma in una amara caricatura di se stesso. Autentico tiranno, si impone con protervia su famiglia e domestici. In un prezioso gioco di specchi, Goldoni amplifica le valenze del personaggio sdoppiandolo in altrettanti alter-ego, gli altri “rusteghi” dell’opera: Canciano, Leonardo, Simon e Maurizio. La loro capitolazione a un nuovo codice comportamentale ha il sapore di un happy end forzoso, estraneo per primo a loro stessi. Cupa e vagamente claustrofobica questa commedia parla ancora al nostro tempo, all’intolleranza travestita da moralismo, alla difficoltà di mettersi in relazione, alla mancanza di comunicazione di un’epoca che proprio della comunicazione fa il proprio vessillo. Il disinganno di Goldoni è ancora vivo nelle parole dei protagonisti e descrive una società buia e alla deriva, sopita, ma ancora presente, nella nostra pratica quotidiana. Sul palcoscenico vanno in scena i rusteghi: Lunardo, Maurizio, Simon e Canciano, i quattro anziani personaggi danno il titolo alla commedia e condividono diversi aspetti in comune: anacronistici, attaccati caparbiamente a comportamenti divenuti vecchi e sciocchi, da veri padri-padroni impongono esasperati usi e costumi all’interno dell’ambito familiare con oppressive e antiquate regole, che inevitabilmente scatenano contrasti generazionali e anche coniugali essendo scarsissima la loro considerazione nei confronti del genere femminile. Apparentemente senz’altra finalità che quella di divertire, c’è invece nell’opera goldoniana un approfondimento ideologico e addirittura psicanalitico della realtà. Attaccati all’ideale delle porte chiuse e dei balconi inchiodati, brontoloni e scontrosi, insofferenti d’ogni cosa nuova esercitano la “summa” del loro potere nello stabilire, all’insaputa degli interessati, modalità e partner del matrimonio dei loro figli Lucietta e Filippetto. E da ciò parte lo spunto per l’intreccio della vicenda.“ Una lezione-spettacolo su uno dei testi più importanti e più amati del repertorio di Carlo Goldoni, diretto da Giuseppe Emiliani, regista esperto che sì è spesso confrontato con questo grande autore, ottenendo sempre risultati di altissimo livello. Una nuova sfida, che vede protagonisti alcuni tra i migliori interpreti del teatro veneto, in vista del debutto previsto a luglio nel prestigioso contesto dell’Estate Teatrale Veronese. GIUDIZI DELLA CRITICA I rusteghi, in programma dal 9 al 14 luglio 2015 (escluso il 12), in prima nazionale, è uno dei titoli di Carlo Goldoni più noti e amati dal pubblico, in cui Lunardo, Maurizio, Simon e Canciano, un quartetto di burberi e scontrosi, sono al centro di intrighi e sotterfugi per combinare i matrimoni dei loro figli. La produzione del Teatro Stabile del Veneto ha puntato su interpreti specializzati nel repertorio goldoniano: Stefania Felicioli, Giancarlo Previati e Piergiorgio Fasolo. La regia, di Giuseppe Emiliani, evidenzia la grande metafora del teatro che percorre la commedia ed è avvertibile sin dalle prime battute, in particolare in quella di Lucietta: “Debotto xe fenio el carneval e gnanca una strazza de comedia no avemo visto” dove traspare un mondo “rustego” che tende a considerare il Teatro come un rito pericoloso e inutile. «I rusteghi non sono soltanto uno spaccato di interno borghese – scrive Emiliani – ma la messa in evidenza di un rapporto continuo tra questo interno e una città che penetra in esso nonostante l'ideale di claustrazione che domina i rusteghi. Il teatro penetra nel chiuso mondo domestico, sommuovendolo dall'interno, smascherandone le contraddizioni: per affermare, insomma, il proprio potere demiurgico. Goldoni riesce a costruire, nel modo insieme più naturale e raffinato, una struttura comica omogenea e pur fondata su sottili differenze (sociali, familiari, di sesso e di generazioni). Lunardo si presenta con due donne giovani in casa (la figlia e la seconda moglie), fin troppo "desmesteghe" per lui. Maurizio, vedovo, vive, per opposizione, un mondo senza donne. È il rustego apparentemente più favorito, il più silenzioso, austero. Simon costituisce con Marina una coppia solitaria, legata da una lunga consuetudine di reciproca aggressività. Canciano, infine, costituisce con donna Felice la coppia più civile, proprio perché il rapporto tende a rovesciarsi, rendendo Canciano il rustego più velleitario e represso… In questo universo domestico di rancori e ossessioni – conclude – non ci sono alla fine né cordialità né riscatti: solo l'effimera tenerezza della scena nuziale conclusiva, che non reca un vero sollievo. La commozione finale dei quattro rusteghi, occasionalmente sconfitti, non prelude a significativi cambiamenti. Ed è questa la sottile crudeltà sottesa alla commedia. E la sua straordinaria modernità».