I RUSTEGHI Dieci personaggi, di cui quattro femminili, tutti interpretati da 8 uomini: così si presenta la rappresentazione de “I Rusteghi” di Carlo Goldoni alla quale abbiamo assistito al teatro Quirino.La commedia ruota intorno alla figura di quattro “Rusteghi”, uomini borghesi ma di scarsa cultura, rozzi, arricchiti, dalla mentalità chiusa ed antiquata. A farne le spese sono soprattutto i rapporti familiari: i quattro pretendono di imporre un controllo totale su mogli e figli, quasi fossero oggetti di loro proprietà. Ai Rusteghi si contrappongono le Donne, simboli dell’apertura ad una mentalità moderna in cui l’indipendenza e la libertà di scelta diventano una necessità per ciascun individuo. E saranno proprio i personaggi femminili a risolvere l’intreccio al termine dello spettacolo, permettendo ai giovani Lucietta e Filippetto, per i quali i rispettivi padri avevano organizzato un matrimonio a loro insaputa, di contravvenire all’imposizione ed incontrarsi prima della cerimonia. Quando i Rusteghi scoprono l’accaduto, considerandolo un affronto alla loro autorità e una circostanza sconveniente, decidono di abbandonare il progetto di nozze; sarà l’abilità retorica di donna Felicia a convincere i padri-padroni ad accettare la situazione e permettere comunque il matrimonio dei ragazzi, caduti vittime di un colpo di fulmine. La trama rappresenta felicemente l’innovazione Goldoniana, sia per l’importanza attribuita ai personaggi femminili che per la diversificazione dei ruoli, che rimangono tuttavia all’interno della stessa macro-maschera: i quattro Rusteghi portano ciascuno il segno di una personalità individuale, e si distinguono nei comportamenti. Ne è evidenza la differente raffigurazione di Lunardo e Canciano: il primo fino a poco prima della conclusione del terzo atto si rifiuta di accettare l’iniziativa intrapresa dalle donne, il secondo, succube della moglie Felicia, è invece portato a sottostare alle sue decisioni. Proprio la caratterizzazione dei personaggi è resa particolarmente evidente dai modi di dire caratteristici e dall’uso del dialetto, ridimensionato in questa rappresentazione forse a causa della difficoltà di comprensione che ne deriverebbe per il pubblico, sottolineata dal prologo - assente nella stesura originale - in cui un dialogo tra Lunardo e Simon è ironicamente sottotitolato in arabo e cinese. Si segnala il particolare adattamento di Gabriele Vacis e Antonia Spaliviero, nel quale la dimensione dei personaggi si fonde con quella degli attori, e si avvicina quindi necessariamente a quella della platea; spiccano il sipario che rimane alzato per tutta la durata dello spettacolo, eliminando la ripartizione tra gli atti, e la permanente presenza sul palco degli attori, che diventano pubblico nelle scene cui non prendono parte. Il loro ruolo rimane attivo, e assume una posizione analoga a quella di un Coro, sottolineando e facendo risaltare ciò che accade sulla scena. Le tematiche vengono rappresentate anche dagli intermezzi parlati, con gli attori che si separano momentaneamente dal personaggio interpretato, e accompagnano, supportati da audio e video, i momenti della rappresentazione dove vengono esplicitate riflessioni su tematiche universali e trasversali, quali la figura del padre e il rapporto padre-figlio, il ruolo della donna e la sua evoluzione, il rapporto tra l’individuo ed il teatro. Silvia Di Paolo e Luca Ricciardi Liceo Nomentano