Compl. di Mecc. Qunatistica e Statistica

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Università degli studi di Roma La Sapienza
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Appunti del corso di
COMPLEMENTI DI MECCANICA
QUANTISTICA E STATISTICA
Massimiliano Carfagna
[email protected]
Corso svolto nel II trimestre
del III anno dal Prof. Petrarca
Corso di Laurea in Fisica ed Astrofisica
Dipartimento di Fisica
A.A. 2004/05
2
Parte I
Complementi di Meccanica
Quantistica
3
Capitolo 1
Momento angolare
1.1
Momento angolare orbitale
Cosı̀ come in Meccanica Classica, anche in meccanica Quantistica possiamo dare una definizione di
momento angolare: data una particella di massa m che si muove con velocità ~v in un sistema di
~ la seguente
riferimento inerziale, il cui raggio vettore è detto ~r, definiamo momento angolare orbitale L
quentità
i
~ = ~r × m · ~v = ~r × p~ = x
L
px
j
y
py
k
z = i(ypz − zpy ) + j(zpx − xpz ) + k(xpy − ypx )
pz
(1.1)
Si può notare che le singole componenti del momento angolare commutano con loro stesse, ovvero, ad
esempio [Lx , Lx ] = 0, ma non commutano tra loro, si ha infatti che:
[Lx, Ly] = [ypz , zpx ] + [zpy , xpz ] =
= y[pz , z]px + py [z, pz ]x =
= y(−i~)px + py (i~)x =
= i~(py x − ypx) = i~Lz
(1.2)
allo stesso modo per le altre componenti si avrà che:
[Ly, Lz] = i~Lx
(1.3)
[Lz, Lx] = i~Ly
(1.4)
Di particolare interesse è il quadrato del momento angolare orbitale, il quale ha la caratteristica di
essere hermitiano e di commutare con qualsiasi componente del momento angolare stesso, ovverosia:
~ 2 = L2x + L2y + L2z =⇒ [L
~ 2 , Li ] = 0 con i = x, y, z
L
(1.5)
In generale indicheremo con lettere diverse i diversi momenti angolari che incontreremo, infatti
~ appena introdotto, si vedrà in seguito che ogni particella ha
oltre al momento angolare orbitale L
~ Quando si vorranno
la caratteristica di avere un momento angolare intrinseco detto anche spin S.
dedurre proprietà valide sia per il momento angolare orbitale, sia per il momento di spin si utilizzerà
la lettera J~ che indica un momento angolare generico.
Definito l’operatore momento angolare orbitale, è necessario calcolare autovalori ed autostati associati all’operatore; per farlo, però, si procede prima alla definizione di altri operatori (simili, per
altro, agli operatori di creazione e distruzione utilizzati nell’oscillatore armonico), introdotti mediante
la seguente relazione:
L± = Lx ± iLy
5
(1.6)
6
CAPITOLO 1. MOMENTO ANGOLARE
Questi operatori di servizio sono stati definiti in quanto, tramite essi è possibile esprimere altre quantità
che saranno utili nel calcolo degli autovalori e delle autofunzioni dell’operatore momento angolare. Si
ha infatti che, mediante qualche calcoletto, si dimostrano le seguenti uguaglianze:
[L+ , L− ] =
2~Lz
(1.7)
[Lz , L± ] =
±~L±
(1.8)
~ 2 = L+ L− + L2 − ~Lz = L− L+ + L2 + ~Lz
L
z
z
(1.9)
A questo punto, una volta ricavate tutte le relazioni utili nei calcoli, siamo pronti per cercare gli
autovalori e gli autovettori del momento angolare orbitale di una particella. Come si può noatre dalla
1.8 che solo la componente z del momento angolare viene messa in relazione agli operatori di servizio;
~ 2,
d’altrocanto le 1.9 mostrano che la componente z è in relazione al quadrato del momento angolare L
~
per cui, piuttosto che cercare gli autovalori e gli autostati di L, si cercano gli autovalori e gli autostati
~ 2 . Prima di dimostrare il procediemnto utilizzato enunciamo già il risultato
degli operatori Lz e L
ottenuto:
Lz |l.mi = m~|l, mi
(1.10)
~ 2 |l.mi = l(l + 1)~2 |l, mi
L
(1.11)
l = 0, 12 , 1, 32 , 2, ... −l ≤ m ≤ l
(1.12)
~ 2 sono legati tra loro dalle relazioni 1.12, quindi
É importante noatre che gli autovalori di Lz ed L
l ed m non sono gli autovalori degli operatori suddetti, bensı̀ i numeri quantici associati ad essi!
Per ricavare le relazioni 1.12 che intercorrono tra gli autovalori m~ e l(l +1)~2 è necessario utilizzare
gli operatori di servizio definiti in precedenza. Partiamo scrivendo in modo generico la 1.11, supponendo
di non sapere il risultato, si avrebbe che:
~ 2 |ψi = λ|ψi
L
(1.13)
~ 2 sono positivi (in quanto l(l + 1) è una quantità
dato che, dalla 1.12 si nota che gli autovalori di L
positiva perchè l può assumere solo valori positivi), la prima cosa da fare è dimostrare che l può
assumere solo valori positivi: moltiplichiamo la 1.13 per il bra generico e sostituiamo l’espressione 1.5,
ottenendo cosı̀
~ 2 |ψi
hψ|L
= hψ|(L2x + L2y + L2z )|ψi =
= hψ|(L†x Lx + L†y Ly + L†z Lz )|ψi =
= hψ|L†x Lx |ψi + hψ|L†y Ly |ψi + hψ|L†z Lz |ψi =
= ||Lx |ψi||2 + ||Ly |ψi||2 + ||Lz |ψi||2 > 0
(1.14)
in quanto la norma al quadrato di un ket è necessariamente un numero postivo, dunque ciò dimostra che
il primo membro della 1.13 è positivo, per cui lo sarà anche il secondo membro, e conseguenzialmente
λ > 0. Ciò dimostra che, essendo λ = l(l + 1)~2 , i valori di l non possono che essere positivi.
Il secondo passo consiste nel dimostrare che gli autovalori di Lz devono avere m compreso tra ±l.
Per farlo si procede utilizzando gli operatori di servizio nel modo seguente: calcoliamo la norma al
quadrato di
||L+ |l, mi||2 = hl, m|L− L+ |l, mi
(1.15)
||L− |l, mi||2 = hl, m|L+ L− |l, mi
(1.16)
1.1. MOMENTO ANGOLARE ORBITALE
7
e lo facciamo sfruttando 1.9 nel modo che segue:
||L+ |l, mi||2
=
=
=
=
=
hl, m|l(l + 1)~2 − (m~)2 − ~(m~)|l, mi =
¡
¢
~2 l(l + 1) − m2 − m hl, m|l, mi =
¡
¢
~2 l(l + 1) − m2 − m =
¡
¢
~2 l2 − m2 + l − m =
=
=
~2 ((l − m)(l + m) + (l − m)) =
~2 (l − m) (l + m + 1) > 0
=
||L− |l, mi||2
hl, m|L− L+ |l, mi =
~ 2 − L2z − ~Lz |l, mi =
hl, m|L
(1.17)
= hl, m|L+ L− |l, mi =
~ 2 − L2z + ~Lz |l, mi =
= hl, m|L
= hl, m|l(l + 1)~2 − (m~)2 + ~(m~)|l, mi =
¡
¢
= ~2 l(l + 1) − m2 + m hl, m|l, mi =
¡
¢
= ~2 l(l + 1) − m2 + m =
¡
¢
= ~2 l2 − m2 + l + m =
= ~2 ((l − m)(l + m) + (l + m)) =
= ~2 (l + m) (l − m + 1) > 0
(1.18)
per cui, dato che entrambe le norme devono essere positive, si ricavano i deguenti sistemi di disequazioni,
dai quali è possibile dedurre le relazioni 1.12, infatti
½
½
l−m≥0
l+m≥0
(1.19)
l+m+1≥0
l−m+1≥0
dalla prima delle 1.19 si ricava che −l + 1 ≤ m ≤ l, mentre dalla seconda si ricava che −l ≤ m ≤ l + 1,
per cui unendo i due risultati si ottiene la seconda delle 1.12.
Ci manca da dimostrare che i numeri quantici l possano assumere solo valore intero o semintero.
Per dimostrare questo possiamo partire dalla 1.8 calcolata esplicitando Lz L− , e applicando ad essa
l’autostato (scritto in forma generica, dato che ancora non conosciamo la forma esplicita); si ha quindi:
Lz L− |l, mi = (L− Lz − ~L− ) |l, mi =
= L− Lz |l, mi − ~L− |l, mi =
= L− m|l, mi − ~L− |l, mi =
= (m − ~) L− |l, mi
(1.20)
Della 1.20 si nota che Lz L− |l, mi = mL− |l, mi = (m − ~) L− |l, mi, per cui se m è autovalore di Lz
con L− |l, mi1 come autovettore, lo sarà anche (m − ~). Cosı̀ come accadeva per l’oscillatore armonico,
anche nel caso del momento angolare orbitale, l’operatore L− abbassa di un fattore ~ l’autovalore
associato ad Lz . Infatti, iterando il procedimento seguito in questo caso si giunge a trovare che, per
ogni ciclo si avrebbe:
m, m − ~, m − 2~, ..., m − p~ = −λ,
(1.21)
in quanto, per via della seconda delle 1.12, m ha come limite inferiore il valore −l, quindi chiameremo
l’autovalore corrispondente −λ. É possibile ripetere il procedimento seguito in 1.20 utilizzando la
relazione di commutazione [Lz , L+ ] = ~L+ ; si giunge, con un ragionamento analogo a creare una
successione di autovalori del seguente tipo:
m, m + ~, m + 2~, ..., m + q~ = λ,
1 Si
(1.22)
ricorda che l’autovalore di Lz è m~; m è l’autovalore che soddisfa alla Lz L− |l, mi = mL− |l, mi e non alla
Lz |l, mi = m~|l, mi!
8
CAPITOLO 1. MOMENTO ANGOLARE
in questo caso si nota che gli autovalori di Lz aumentano di un fattore ~, ma, sempre per via della
condizione 1.12, hanno come limite superiore l’autovalore λ, il quale è funzione di l, cosı̀ come avveniva
nel caso precedente. A questo punto, possiamo notare che p e q sono numeri interi e l’intervallo [−l, l]
comprenderà, al suo interno, un numero intero di sottointervalli n dato dalla somma n = p + q, la
quale sarà, ovviamente, un numero intero2 . Quindi, possiamo scrivere questa somma in funzione di l
e constatare che:
½
½
p = λ+m
m − p~ = −λ
~
m + q~ = λ
q = λ−m
~
dalle quali si ricava che
n=p+q =
2λ
n
λ+m λ−m
+
=
=⇒ λ = · ~
~
~
~
2
(1.23)
ciò mostra che l’autovalore di Lz prende valori interi o seminteri di ~, ne segue, quindi, che, data la
genericità dellı̀intero, posso imporre che (n/2) = l, cosicchè si avrà:
1
3
l = 0, , 1, , 2, ....
2
2
(1.24)
Dopo aver dimostrato le relazioni 1.12 e, conseguenzialmente, la validità delle 1.10 e 1.11 è necessario
~ Per farlo,
calcolare gli autostati dell’operatore momento angolare orbitale, ovvero le autofunzioni di L.
però, è più utile usufruire di un cambio di coordinate; passiamo alle coordinate sferiche, le quali sono
definite come segue:

r≥0
 x = r sin(θ) cos(ϕ)
y = r sin(θ) sin(ϕ)
(1.25)
con 0 ≤ θ ≤ π

0 ≤ ϕ ≤ 2π
z = r cos(θ)
inoltre il differenziale in ccordinate sferiche diventa:
d~x3 = dxdydz = r2 dΩ = r2 sin(θ)drdθdϕ
(1.26)
Dopo aver calcolato l’impulso P~ = i~∇ in coordinate sferiche, e dopo aver applicato le relazioni 1.25
alle componenti del momento angolare date in 1.13 , si giunge a scrivere queste ultime, in coordinate
polari, nel modo che segue:
³
´
³
´
sin(ϕ) ∂
∂
∂
∂
∂
Lx = i~ sin(ϕ) ∂θ
+ cos(ϕ)
; Ly = i~ − cos(ϕ) ∂θ
+ tan(θ)
; Lz = i~ ∂ϕ
(1.27)
tan(θ) ∂ϕ
∂ϕ
~ 2 si può notare che esso non dipende da r, cosı̀ come non
tra l’altro è utile noatre che, calcolando L
dipendono da r neanche le componenti le momento angolare orbitale:
µ
¶
∂2
1
∂
1
∂2
2
2
~
L = −~ sin(ϕ) 2 +
+
(1.28)
∂θ
tan(θ) ∂θ sin2 (θ) ∂ϕ2
A questo punto, vogliamo trovare delle autofunzioni che soddisfino l’equazione di Schrödinger; le
indicheremo con Yl,m (θ, ϕ) in quanto le autofunzioni non dipenderanno da r, proprio perchè nenche
~ dipendono da r. É importante notare che, in generale (ossia per altri operatori
le componenti di L
posti in coordinate sferiche, come ad esempio l’hamiltoniana di un potenziale centrale) le autofunzioni
comprendono anche una componente radiale R(|~r|), oltre alla parte in θ e ϕ. Per il calcolo della
parte non radiale utilizzeremo le 1.10 e 1.11 alle quali, al posto degli autostati scritti informa generica,
sostituiremo le autofunzioni incognite:
2 La
Lz Yl,m (θ, ϕ) = m~Yl,m (θ, ϕ)
(1.29)
~ 2 Yl,m (θ, ϕ) = l(l + 1)~2 Yl,m (θ, ϕ)
L
(1.30)
somma di un intero non può che essere un intero!
tediosi!
3 Calcoli
1.1. MOMENTO ANGOLARE ORBITALE
9
~ 2 le espressioni esplicite in coordinate polari, ottenendo che
nelle quali è possibile sostituire a Lz ed L
−i~
∂
Yl,m (θ, ϕ) = m~Yl,m (θ, ϕ)
∂ϕ
¶
µ
∂2
1
∂
1
∂2
−~2 sin(ϕ) 2 +
+
Yl,m (θ, ϕ) = l(l + 1)~2 Yl,m (θ, ϕ)
∂θ
tan(θ) ∂θ sin2 (θ) ∂ϕ2
(1.31)
(1.32)
Per trovare la soluzione, ovviamente risluviamo l’eq. diff. 1.23 in modo che si avrà:
∂
Yl,m (θ, ϕ) = mYl,m (θ, ϕ) ⇒
−i ∂ϕ
Yl,m (θ, ϕ) = A(θ)eimϕ
(1.33)
Questa relazione ci spinge a riflettere su quale valore di m possa effettivamente rendere vera la 1.23:
infatti si vede che se m = n/2 dove n è un intero allora la relazione precedente assume due soluzioni
per uno stesso valore, ossia, ad esempio, per ϕ = 0 la soluzione è A(θ), mentre per ϕ = 2π la
soluzione è ±A(θ) 4 . Affichè non ci sia questa ambivalenza di soluzione è necessario che m sia intero,
e non semiintero; ma se ciò è vero allora risulterà che anche l dovrà essere necessariamente intero!
Riassumendo, per il momento angolare orbitale si ha:
l = 0, 1, 2, ...
m0 : 0
m1 : −1, 0, 1
m2 : −2, −1, 0, 1, 2
(1.34)
Per trovare l’espressione esplicita della A(θ) è necessario partire da qualcosa di noto, ovverosia da
un autostato particolare di cui sappiamo già la forma esplicita. Per farlo partiamo dal minimo o dal
massimo autostato possibile, ovverosia |l, −li o |l, li. In queste condizioni gli autostati appena citati,
applicati ad un qualsiasi opertaore sono nulli in quanto al di fuori dell’intervallo [−l, l] non esistono
valori permessi di m, per cui, per convenienza, applichiamo L+ allo stato |l, li ed uguagliamo a zero;
dato che è nota l’espressione in coordinate polari di L+ allora posso scrivere che:
µ
¶
µ
¶
∂
∂
∂
∂
L+ |l, li = ~eiϕ
+ i cot(θ)
|l, li = ~eiϕ
+ i cot(θ)
A(θ)eilϕ = 0
(1.35)
∂θ
∂ϕ
∂θ
∂ϕ
ne segue che, risolvendo per separazione delle variabili
µ
¶
∂
∂
+ i cot(θ)
A(θ) =
∂θ
∂ϕ
∂A(θ)
=
∂θ
dA(θ)
=
A(θ)
Z
dA(θ)
=
A(θ)
ln A(θ)
A(θ)
si ha:
0
cos(θ)
· A(θ)
sin(θ)
cos(θ)
l·
· dθ
sin(θ)
Z
d(sin(θ))
l·
· dθ
sin(θ)
l·
= ln sin(θ)l
= Cl · sin(θ)l
(1.31)
nella quale resta da determinare la costante di integrazione Cl la quale deriva risolvendo il seguente
integrale di normalizzazione della parte non radiale dell’autofunzione:
Z 2π
Z π
Z 2π
Z π
¯
2
¯Cl · sin(θ)l · eilϕ |2 sin(θ)dθ = 1
dϕ
|Yl,m (θ, ϕ)| sin(θ)dθ =
dϕ
(1.32)
0
0
0
0
Da questa normalizzazione risulta che il valore della costante di integrazione in funzione di l sarà il
seguente5 :
p
(2l + 1)!
√
(1.33)
|Cl | =
l
2 · l! 4π
4 Dato
che einπ = ±1 per n intero.
di normalizzazione non viene svolto in quanto non è banale dal punto di vista del calcolo.
5 L’integrale
10
CAPITOLO 1. MOMENTO ANGOLARE
In definitiva l’autofunzione del momento angolare orbitale per ml sarà la seguente:
p
(2l + 1)!
√
|l, li = Yl,l (θ, ϕ) =
· sin(θ)l · eilϕ
(1.34)
2l · l! 4π
nella quale la fase associata alla costante di integrazione è stata posta uguale a zero per comodità.
Tutte le altre autofunzioni si troveranno applicando l’operatore di servizio L− allo stato |l, li, ovvero
Yl,m (θ, ϕ) = |l, mi = L− |l, li = L− · Yl,l (θ, ϕ)
(1.35)
L’applicazione di questo operatore fornisce la formula più generale che comprende, al variare di l ed
m, la parte non radiale delle diverse autofunzioni del momento angolare orbitale; la parte non radiale
delle autofunnzioni prende anche il nome di armoniche sferiche
1.2
Proprietà delle armoniche sferiche
Data l’importanza delle armoniche sferiche (in quanto vedremo che esse ricorreranno anche nelle autofunzioni di altri operatori) è utile calcolarne alcune ed enunciare delle proprietà utili ai calcoli. Le
principali armoniche sferiche per l = 0, 1, 2 sono raccolte nella seguente tabella:
l
0
m
0
1
1
0
2
2
1
0
Yl,m
q
−
q
q
√1
4π
3
q8π
sin(θ) · eiϕ
3
4π
15
32π
cos(θ)
sin2 (θ) · e2iϕ
15
− 8π
sin(θ) cos(θ) · eiϕ
q
¡
¢
5
2
16π 3 cos (θ) − 1
Nella tabella precedente non sono state inserite le armoniche sferiche relative agli m negativi in quanto
per il calcolo di queste ultime sussite la seguente relazione:
∗
Yl,−m (θ, ϕ) = (−1)m · Yl,m
(θ, ϕ)
(1.36)
Comportamento delle armoniche sferiche sotto partità. In pratica cosa succede quando si applica
l’operatore parità P ad uno stato descritto da un’armonica sferica? Ciò che accade è che, in coordiante
cartesiane il vettore posizione si trasforma in modo che P · φ(~x) = φ(−~x), ma, in coordnate sferiche,
operare per riflessione vuol dire mandare
~r → −~r
;
θ →π−θ
;
ϕ→ϕ+π
(1.37)
per cui si verifica che le armoniche sferiche si modificano semplicemente applicando una costante
dipendnete da l, ovverosia:
P · Yl,m (θ, ϕ) = (−1)l · Yl,m (θ, ϕ)
(1.38)
l
in cui (−1) è l’autovalore associato all’operatore parità.
Ortogonalità e proiezione di uno stato. Cosı̀ come accade nel caso unidimesnizonale, anche nel caso
tridimensionale (di cui il momento angolare orbitale è il primo esempio) la relazione di ortogonalità si
scrive nella forma canonica, ossia
Z π
Z 2π
∗
sin(θ)dθ
Yl,m
(θ, ϕ)Yl0 ,m0 (θ, ϕ)dϕ = δl,l0 · δm,m0
(1.39)
0
0
nella quale l 6= l0 e m 6= m0 , ed inoltre δl, l0 e δm, m0 rappresentano il simbolo di Kronecher, per cui
saranno non nulli ed uguali ad uno se e solo se, rispettivamente si avrà che l = l0 ed m = m0 .
Inoltre, data una generica funzione d’onda g(θ, ϕ), rappresentante uno stato qualsiasi del sistema, si
ha che la sua proiezione nella base delle autofunzioni dell’operatore momento angolare sarà:
Z π
Z 2π
+∞ X
l
X
∗
Cl,m · Yl,m (θ, ϕ) con Cl,m =
sin(θ)dθ
Yl,m
(θ, ϕ)g(θ, ϕ)dϕ (1.40)
g(θ, ϕ) =
l=0 m=−l
0
0
Capitolo 2
Spin
2.1
Esperimento di Stern - Gerlach
Supponiamo di avere un forno in cui è contenuto dell’argento; da un foro presente sulla parete del
forno fuoriesce un gascio di atomi di Ag; l’Ag ha 47 elettroni, di cui quello di valenza è posto su un
orbitale di tipo s, per cui ha l = 0 e dunque momento angolare orbitale nullo. Il fascio viene collimato
mediante dei piani forati e viene fatto passare attraverso un magnete il cui traferro è fatto a cuneo in
modo da provocare un campo magnetico fortemente disomogeneo in cui prevale la componente z della
forza secondo la relazione
³ e
´
³
´
∂Bz
~ ·
~ ·B
~ =∇
~ · µ
~ ∼
F~ = ∇
L
~ ·B
· k̂
(2.1)
= µz
2mc
∂z
Il fatto che prevalga la sola componente z della forza dipende espressamente dalla disomogeneità del
campo nel traferro. É, inoltre, necessario specificare che l’atomo d’argento possiede momento angolare
orbitale totale sostanzialmente nullo, in quanto la distribuzione di carica è tale da annullare vicendevomente il momento orbitale totale, in più l’unico elettrone che potrebbe squilibrare il sistema è quello
di valenza, ma esso è di tipo s, per cui ha momento angolare orbitale nullo in quanto gli orbitali s
hanno l = 0.
Utilizzando lo schema classico di ragionamento ci si aspetterebbe che, non avendo direzioni privile~ Ag,T ot = 0, ogni singolo atomo venga deviato nella direzione
giate di orientazione per via del fatto che L
z della forza F~ .
Il risultato dell’esperimento è differente: il fascio di atomi si suddivide in due zone di aggregazione
sul piano ortogonale al fascio; la prima zona si ha per le z positive, la seconda per le z negative. Ciò
è del tutto incongruente con la teoria classica del momento angolare orbitale, infatti, se esso è nullo,
come si spiega questa doppia distribuzione?
Ripetendo l’esperimento con un fascio di atomi di Ag ionizzati, ossia privi dell’elettrone di valenza,
il risultato ottenuto è quello classico: una sola zona di aggregazione nella direzione positiva dell’asse z.
Tutto ciò induce a pensare che la soluzione del mistero risieda nell’elettrone. Nel 1925 due giovani
fisici Uhlenbeck e Goudsmit ebbero l’ardire di pubblicare un articolo in cui si ipotizzava, per la prima
volta, che l’esprimento di Stern - Gerlach trovava spiegazione se si fosse associato all’elettrone un momento angolare intrinseco detto spin, il quale potesse assumere solo i seguenti valori: −~/2 e +~/2.
Ciò spiegava le due zone di aggregazione del fascio di atomi di Ag non ionizzato.
La comunità scientifica non accolse con favore questa idea in quanto, come parecchie altre idee della fisica atomica dell’epoca, era completamente al di fuori dell’ortodossia accademica della Meccanica
Classica. Infatti non si riscontrava nessuna ragione fisica valida per la quale l’elettrone dovesse avere
un momento angolare intrinseco1 , il quale aveva anche la caratteristica di essere quantizzato ossia tale
da assumere uno spettro di valori discreti.
C’è un modo per visualizzare lo spin? Nell’interpretazione classica del modello atomico (sistema
planetario) si può pensare che l’elettrone ruota su se stesso, e questa rotazione è la causa del momento
angolare intrinseco. In questa interpretazione anche la rotazione stessa deve essere considerata intrinseca, ossia tale che, nel caso di ingerenze esterne sul sistema (ad esempio l’arrivo di un fotone di energia
1 Termine che stava a sottolineare il fatto che fosse una quantità che la natura gli aveva associato e continuava ad
esistere anche quando l’elettrone era libero, ossia quando l’elettrone poteva essere considerato come un sistema isolato.
11
12
CAPITOLO 2. SPIN
sufficiente a modificare lo stato dell’elettrone) l’elettrone non perda o modifichi questa rotazione. É
necessario specificare che questa intepretazione è solo una modellizzazione classica di un fenomeno
quantistico, dunque un’interpretazione non confacente alla realtà, tant’è che se si considera l’elettrone,
non più come una pallina di massa me e carica e− , bensı̀ come una nube elettronica delocalizzata2 , la
precedente interpretazione perde completamente di senso.
Accettata, quindi, l’idea di spin, l’esperienza fenomenologica mostra che esistono due classi di particelle che si distinguono per i valori di spin che possono assumere: i fermioni che posseggono valori
si spin semi-intero (escluso lo zero), ed i bosoni che hanno valori di spin intero (incluso lo zero). Di
seguito sarà sviluppata la teoria matematica per i fermioni.
2.2
Formulazione matematica per i fermioni (|s| = 1/2)
In questo paragrafo analizzeremo lo sviluppo della teoria operatoriale per i fermioni, particelle con spin
semintero e non nullo.
~ = (Sx ; Sy ; Sz ) e prendiamo un generico
Supponiamo che l’operatore di spin sia definito come S
versore ê; per via di quanto descritto nell’esperimento di Stern - Gerlach, lo spin può assumere solo
~ per cui in generale,
valori −~/2 e +~/2, per cui questi saranno anche gli autovalori dell’operatore S,
l’equazione di Schrödinger stazionaria può essere scritta come:
~ · ê|ê, ±i = ± ~ |ê, ±i
S
2
(2.2)
ma, per via della generalità del versore scelto, si può semplificare il tutto scegliendo la direzione z ed
~ potrà essere sostituito con la sua componente Sz , si ha
il suo versore k̂, cosichhè, lo stesso operatore S
quindi, che:
~
Sz |k̂, +i = + |k̂, +i
2
~
Sz |k̂, −i = − |k̂, −i
2
(2.3)
(2.4)
Inoltre, per semplicità di notazione si ha l’abitudine di indicare gli autostati dell’operatore spin nei
seguenti modi equivalenti:
|k̂, +i ≡ |+i ≡ | ↑i
(2.5)
|k̂, −i ≡ |−i ≡ | ↓i
(2.6)
per cui l’equazione agli autovalori prende la seguente forma:
~
Sz |+i = + |+i
2
~
Sz |−i = − |−i
2
(2.7)
(2.8)
Dato che, come si è verificato per via sperimentale, lo spin è un’osservabile fisica, risulterà, per
via dei postulati della Meccanica Quantistica, che Sz è un operatore hermitiano, ciò implica che i
suoi autostati formeranno una base completa ortonormale per lo spazio di Hilbert associato; per gli
autostati varranno quindi le seguenti proprietà:
h↑ | ↓i = 0
;
h↑ | ↑i = h↓ | ↓i = 1
(2.9)
A questo punto, per trovare la forma esplicita della base utilizzata, possiamo ragionare come segue:
prendiamo, ad esempio, l’operatore Sz 3 e scriviamolo nella base scelta, ovvero applichiamo la seguente
relazione:
µ
¶
h↑ |Sz | ↑i h↑ |Sz | ↓i
Sz =
(2.10)
h↓ |Sz | ↑i h↓ |Sz | ↓i
2 Interpretazione
3 Questo
probabilistico - quantistica dell’elettrone
ragionamento si estende in maniera analoga anche a Sx ed Sy .
2.3. IL MOMENTO MAGNETICO
13
Essendo noti gli autovalori dell’operatore si possono sostituire all’operatore stesso.
l’autovalore positivo, ottenendo che:
µ
¶
µ
¶
µ
¶
~
~
h↑ | ~2 | ↑i h↑ | ~2 | ↓i
h↑ | ↑i h↑ | ↓i
1 0
Sz =
=
·
=
·
h↓ | ↑i h↓ | ↓i
0 1
h↓ | ~2 | ↑i h↓ | ~2 | ↓i
2
2
per l’autovalore negativo, invece, si ottiene che:
¶
µ
µ
~
h↑ | ↑i
h↑ | − ~2 | ↑i h↑ | − ~2 | ↓i
=− ·
Sz =
h↓ | ↑i
h↓ | − ~2 | ↑i h↓ | − ~2 | ↓i
2
h↑ | ↓i
h↓ | ↓i
¶
~
= ·
2
µ
−1
0
0
−1
Sostituiamo
(2.11)
¶
(2.12)
Questa forma non è corretta, in quanto lo stesso operatore è rappresentato da due matrici diverse,
quindi la base è differente per i due autovalori. Se applico gli autostati up e down all’operatore scritto
in forma matriciale ottengo che:
µ
¶
µ
¶µ
¶
1 0
1 0
1
Sz | ↑i = ~2 ·
| ↑i = ~2 ·
= ~2 · σy · | ↑i
0
1
0
−1
0
µ
¶
µ
¶µ
¶
(2.13)
−1 0
1 0
0
Sz | ↓i = ~2 ·
| ↓i = − ~2 ·
= − ~2 · σy · | ↓i
0 −1
0 −1
1
Tutto ciò dimostra che la base di autostati dell’operatore Sz è la seguente:
µ ¶
µ
¶
1
0
| ↑i =
; | ↓i =
0
1
(2.14)
inoltre è stata introdotta una delle tre matrici di Pauli, ossia qualla relativa alla componente Sz
trattata nell’esempio. Le tre matrici di Pauli, ricavabili in modo analogo a quello svolto per la matrice
σz sono le seguenti:
µ
σx =
0 1
1 0
¶
µ
;
σy =
0
i
−i
0
¶
µ
;
σz =
1
0
0
−1
¶
(2.15)
Esse rappresentano le matrici del cambiamento di base dalla componente dell’operatore spin corrispondente, da una base qualunqe alla base degli autostati up e down.
Il formalismo sviluppato per il momento angolare orbitale può essere esteso, senza nessuna modifica
formale, anche al momento angolare intrinseco. L’unica differenza consiste nel cambio di notazione,
infatti indicheremo con s i numeri quantici indicati con l nel caso del momento angolare orbitale.
Avremo quindi che:
S± = Sx ± iSy
; Sx =
S+ +S−
2
;
S+ −S−
2i
(2.16)
; [S+ , S− ] = 2z
(2.17)
Sy =
Per ciò che riguarda i commutatori possiamo scrivere che:
[Si , Sj ] = i~²ijk Sk
;
[Sz , S± ] = ±~S±
Inoltre, cosı̀ come è stato fatto per il momento angolare orbitale, anche in questo caso si definiscono i
seguenti operatori:
½
~ 2 |s, mi = s(s + 1)~2 |s, mi
S
(2.18)
Sz |s, mi = m~|s, mi
in cui s prende solo valori seminteeri e diversi da zero per via del fatto che in questo paragrafo stiamo
sviluppando la teoria per i f ermioni.
2.3
Il momento magnetico
Se si considera l’approccio classico alla teoria atomica è possibile riscontrare che esiste un momento
~ Ci chiediamo, cosa c’entra tutto questo con lo
magnetico m
~ L associato al momento angolare orbitale L.
spin? La risposta è semplice: essendo lo spin un momento angolare, allora sarà possibile associare anche
14
CAPITOLO 2. SPIN
ad esso un momento magnetico m
~ S , che in generale sarà diverso dal momento magnetico associato al
~
momento angolare orbitale, ossia m
~ L 6= m
~ S . Cominciamo a ricavarci la relazione tra m
~ L ed L.
Dato un elettrone di carica e che ruota attorno ad un protono con un periodo T , è chiaro che
la corrente elettrica che genererà sarà I = dQ/dt = e/T . Per scrivere questa corrente in funzione
del momento angolare possiamo ricordare che il periodo è dato dalla distanza percorsa nell’unità di
tempo (ossia la lunghezza l = 2πr della circonferenza dell’orbita) diviso la velocità v dell’elettrone.
Sostituendo nella formula della corrente e moltiplicando numeratore e denominatore per m · r si ottiene
che:
I=
~
e
e·v
e·v
e·v·r·m
e · |L|
=
=
=
=
2
2
T
l
2πr
2πr m
2πr m
(2.19)
A questo punto l’orbita elettronica può essere considerata come una spira percorsa da corrente e
conseguenzialmente è possibile applicare ad essa il teorema di Ampere, secondo il quale il modulo del
momento magnetico applicato alla spira percorsa da corrente è il prodotto della corrente per l’area
della spira:
|m
~ L | = A · I = πr2 ·
~
e · |L|
eL
=
2πr2 m
2m
(2.20)
Moltiplicando e dividendo quest’ultima per ~ otteniamo che la costante di proporzianalità che ne
deriva è indipendnete dall’atomo e prende il nome di magnetone di Bhor µB
mL =
e~ L
L
· ⇒ mL = µB ·
2m ~
~
(2.21)
Ora ci chiediamo: il momento magnetico di spin m
~ S come sarà fatto? Possiamo ipotizzare che sia
proporzioanle ad ml per un fattore g detto fattore giromagnetico, cosicchè si avrà:
mS = g · µB ·
L
= g · mL
~
(2.22)
Si ricava sperimentalmente che il fattore giromagnetico per l’elettrone ha il seguente valore:
g=
mS
= 1.0011597
mL
(2.23)
Risulta, quindi evidente che il momento magnetico dell’elettrone sarà la somma dei due momenti
magnetici appena calcolati, ovverosia:
m = mL + mS = (1 + g)mL
(2.24)
Capitolo 3
Sistemi di particelle identiche
3.1
Principio di indistinguibilità
Supponiamo di avere due particelle, che abbiano loro proprietà intrinseche (massa, spin, carica,...)
ugualitra loro, e le inidvidueremo con le variabili ξ1 e ξ2 , rispettivamente per la prima e la seconda
particella. Secondo la Meccanica Classica, assegnati i dati iniziali (posizione e velocità), è possibile,
mediante il formalismo hamiltoniano, conoscere la posizione e la velocità di ognuna delle singole particelle in qualsiasi istante del loro moto, in quanto l’hamiltoniana è invariante sotto scambio di particelle.
In Meccanica Quantistica, il concetto di traiettoria non è più valido per via del Principio di Indeterminaizone; ciò implica che la sostituzione del concetto di traiettoria con il concetto di probabilità di
trovare la particella in una data regione di spazio, propbabilità calcolata a partire dal modulo quadro
della funzione d’onda della particella stessa. Dunque l’applicazione del Principio di Indeterminazione
porta a non poter conoscere con assoluta certezza l’istante o la poszione iniziale (o ad una dato istante
generico) di nessuna delle particelle considerate, ne consegue che, se esse sono identiche, saranno quindi
indistinguibili. Riassumendo, possiamo dire che:
Meccanica Classica : due particelle identiche sono sempre distinguibili, per via del determinismo
che regola le equaizoni del moto.
Meccanica Quantistica : due particelle identiche sono sempre indistinguibili, per via del Principio
di Indeterminazione che ne regola il moto.
3.2
Funzione d’onda delle particelle identiche
Supponiamo di avere un sistema quantistico con N particelle identiche (quindi indistiguibili), la
funzione d’onda che descriverà il generico stato del sistema sarà del tipo:
ψ = ψ(ξ1 , ..., ξj , ..., ξk , ..., ξN )
(3.1)
se scambiamo lo stato di due particelle qualsiasi, la funzione d’onda verrà scritta nel modo seguente:
ψ 0 = ψ 0 (ξ1 , ..., ξk , ..., ξj , ..., ξN )
(3.2)
le due funzioni d’onda, per via del Principio di Indistinguibilità per particelle identiche, potranno
variare tra loro al più di un fattore di fase arbitrario, ossia si avrebbe che:
ψ 0 = eiα ψ ⇒ ψ 0 (ξ1 , ..., ξk , ..., ξj , ..., ξN ) = eiα ψ(ξ1 , ..., ξj , ..., ξk , ..., ξN )
(3.3)
Se riportiamo il sistema nelle condizioni iniziali, effettuiamo un secondo scambio di particelle identiche,
il quale modificherà di un altro (identico) fattore di fase la funzione d’onda, ossia:
ψ 00 = eiα ψ 0 ⇒ ψ 00 = e2iα ψ
(3.4)
00
dato che le particelle sono tornate nella posizione di partenza, allora ψ coincide con ψ e dunque la
relazione precedente si riduce semplicemente alla:
¡ ¢2
(3.5)
e2iα = 1 ⇒ eiα = 1 ⇒ eiα = ±1
15
16
CAPITOLO 3. SISTEMI DI PARTICELLE IDENTICHE
Questo risultato cosı̀ semplice ha un significato fisico molto profondo: sotto scambio di particelle le
funzioni d’onda non si modificano nella loro forma, bensı̀ diventano solamente simmetriche o antisimmetriche rispetto alla funzione originaria (prima dello scambio).
Ora la domanda è: da cosa dipende la parità della funzione sotto scambio? Detta in modo meno tecnico: il fatto che un funzione passi da simmetrica ad antisimmetrica oppure da simmetrica a simmetrica
a cosa è legato? Semplicemente alla natura di spin delle particelle. In precedenza si è detto che le
particelle con spin intero o nullo vengono chiamate bosoni, mentre quelle con spin semintero prendono
il nome di fermioni. Si dimostra che:
• i bosoni hanno funzioni d’onda simmetriche sotto scambio di particelle identiche;
• i fermioni hanno funzioni d’onda antisimmetriche sotto scambio di particelle identiche
A questo punto è utile fare un esempio di come si compongono le funzioni d’onda di due particelle,
a seconda che siano fermioni o bosoni. Supponiamo di avere due particelle identiche le cui proprietà
intrinseche sono descritte, rispettivamente da ξ1 e ξ2 , e supponiamo che esse si trovino in un sistema
che possegga solamente due stati quantistici s1 ed s2 ; la funzione d’onda risultante deve tener conto
delle diverse probabilità, ossia che la particella (1) si trovi nello stato (1) e la particella (2) nello stato
(2), sommata alla probabilità che accada il contrario (quindi bisogna invertire le particelle identiche),
per i bosoni si ha che:
1
ϕB (ξ1 , ξ2 ) = √ (ψs1 (ξ1 )ψs2 (ξ2 ) + ψs2 (ξ1 )ψs1 (ξ2 ))
2
(3.6)
mentre per i fermioni si ha:
1
ϕF (ξ1 , ξ2 ) = √ (ψs1 (ξ1 )ψs2 (ξ2 ) − ψs2 (ξ1 )ψs1 (ξ2 ))
2
(3.7)
A questo punto ci chiediamo: ma se le due particelle si trovano nello stesso stato quantistico, ad
esempio s1 , cosa accade? A seconda che le particelle siano bosoni o fermioni, si ha che:
√
1
ϕB (ξ1 , ξ2 ) = √ (ψs1 (ξ1 )ψs1 (ξ2 ) + ψs1 (ξ1 )ψs1 (ξ2 )) = 2ψs1 (ξ1 )ψs1 (ξ2 )
2
(3.8)
mentre per i fermioni si ha:
1
ϕF (ξ1 , ξ2 ) = √ (ψs1 (ξ1 )ψs1 (ξ2 ) − ψs1 (ξ1 )ψs1 (ξ2 )) = 0
2
(3.9)
Il fatto che due fermioni identici non possano occupare lo stesso stato quantico (perchè lo dimostra il
fatto che quando ciò accade la funzione d’onda si annulla) prende il nome di Principio di esclusione
di Pauli.
Capitolo 4
Addizione dei momenti angolari
4.1
Introduzione
In Meccanica Quantistica come si sommano due momenti angolari1 ? Dunque il problema che si pone è
sostanzialmente di due tipi: in un sistema atomico è necessario sommare il momento angolare orbitale
~ + S,
~ oppure ci si può trovare di
con il momento angolare intrnseco dell’elettrone, ovverosia J~ = L
~1 + L
~ 2 , oppure
fornte alla somma di momenti angolari intrinseci o orbitali di più elettroni, ossia J~ = L
~1 + S
~2 . In generale, indicando con J~i con i = 1, 2 i generici momenti angolari (intrinseci od
J~ = S
orbitali), il problema da risolvere è il seguente:
J~ = J~1 + J~2
(4.1)
La difficoltà di questo problema risiede nella natura stessa dei momenti angolari, i quali, nel formalismo quantistico non sono dei puri e semplici vettori, bensı̀, come si è visto in precedenza, sono degli
operatori. Dunque la loro somma deve essere trattata con cautela.
4.2
Formalismo matematico
La prima cosa da ricordare è che i due momenti angolari J~i con i = 1, 2 sono posseggono tutte le
caratteristiche generali già ricavate in precedenza. Ricordiamo, quindi, che, per essi valgono le:
J~12 |j1 , m1 i = j1 (j1 + 1)~2 |j1 , m1 i ;
J1,z |j1 , m1 i = m1 ~|j1 , m1 i
;
J~22 |j2 , m2 i = j2 (j2 + 1)~2 |j2 , m2 i
J2,z |j2 , m2 i = m2 ~|j2 , m2 i
(4.2)
Per via del fatto che i due momenti angolari trattati sono due osservabili indipendenti, segue che il loro
commutatore è nullo. Ciò garantisce che, per essi, valgono tutte le proprietà ricavate per il momento
angolare orbitale, ovverosia:
[J~1 , J~2 ] = 0
;
[J1i , J1j ] = i~²ijk J1k
; [J2i , J2j ] = i~²ijk J2k
(4.3)
Queste proprietà garantiscono che tutte le proprietà suddette valgono anche per il momento angolare
~ dato come somma dei due. Come verifica di questa affermazione possiamo calcolare il comtotale J,
mutatore delle compoenenti di J~ e verificare che anche per esso risulti che [Ji , Jj ] = i~²ijk Jk ; si ha,
infatti, che:
[Ji , Jj ] = [(J1i + J2i ), (J1j + J2j )]
= [J1i , J1j ] + [J2i , J2j ]
=
=
i~²ijk J1k + i~²ijk J2k
i~²ijk (J1k + J1k )
=
i~²ijk Jk
(4.4)
1 Se, ad esempio, una particella possiede un momento angolare orbitale L,
~ oltre al suo intrinseco spin S,
~ come si
procede?
17
18
CAPITOLO 4. ADDIZIONE DEI MOMENTI ANGOLARI
Dunque la validità di quest’ultima relazione garantisce che la quantità J~ possiede tutte le proprietà
dei momenti angolari, quindi, di fatto, può essere interpretata come momento angolare risultante.
A questo punto ci chiediamo: è possibile sfruttare le autofunzioni e gli autovalori di J~1 e J~2 per
~ In linea di principio è possibile in quanto si è dimostrato
trovare le autofunzioni e gli autovalori di J?
che per J~ valgono le regole di commutazione che valgono per qualsiasi momento angolare. Scriveremo
allora l’autostato di J~ come prodotto degli autostati di J~1 e J~2 , ossia:
|j1 , m1 i ⊗ |j2 , m2 i = |j1 j2 , m1 m2 i
(4.1)
É di fondamentale importanza notare che il prodotto degli autostati, èer via delle regole di commutazione nulle, è autofunzione degli operatori J~1 , J~2 , J1z , J2z e Jz , in quanto J~ commuta con ognuno
di essi. Formalmente tutto questo significa che:
J~12 |j1 j2 , m1 m2 i = j1 (j1 + 1)~2 |j1 j2 , m1 m2 i
J~22 |j1 j2 , m1 m2 i = j2 (j2 + 1)~2 |j1 j2 , m1 m2 i
J1,z |j1 j2 , m1 m2 i = m1 ~|j1 j2 , m1 m2 i
J2,z |j1 j2 , m1 m2 i = m2 ~|j1 j2 , m1 m2 i
Jz |j1 j2 , m1 m2 i = (m1 + m2 )~|j1 j2 , m1 m2 i
(4.2)
Tutto ciò porta a concludere che essi formano una base, in quanto commutano tra loro, e una base
che solitamente si sceglie è quella composta dai seguenti operatori:
; J~22
J~12
;
J1,z
; J2,z
(4.3)
Ma essa, come si può notare, lega solo i diversi momenti angolari componenti e non il momento
angolare risultante. Una base che prevede anche l’introduzione degli operatori J~2 e Jz è quella formata
dai seguenti operatori:
J~12
; J~22
;
J~2
; Jz
(4.4)
nella quale non compaiono J1z e J2z in quanto dimostreremo tra un attimo che essi non commutano
con J~2 , ossia che [J~2 , Jiz ] 6= 0 con i = 1, 2. Dunque gli autostati di questa base, per lo stesso motivo
della 4.2 dipenderanno dai numeri quantici j ed m relativi a J~2 e a Jz , ma anche dai numeri quantici
j1 e j2 relativi J~12 J~22 , per cui saranno del tipo |jm, j1 j2 i.
Lo scopo è quello di poter esprimere la somma dei momenti angolari in entrambe le basi citate, ma
per farlo è necessario trovare la trasformazione che ci porti dall’una all’altra base, ovverosia i coefficienti
della combinazione lineare degli stati |jm, j1 j2 i, in funzione degli stati |j1 j2 , m1 m1 i.
In maniera formale, il problema da risolvere è quello di trovare i coefficienti della seguente combinaizone
lineare:
X
X
|jm, j1 j2 i =
cm1 ,m2 |j1 j2 , m1 m1 i =
|j1 j2 , m1 m1 ihj1 j2 , m1 m1 |jm, j1 j2 i
(4.5)
m1 ,m2
m1 ,m2
in cui i termini cm1 ,m2 = hj1 j2 , m1 m1 |jm, j1 j2 i sono detti coefficienti di Clebsch - Gordan.
In precedenza non è stata dimostrata la proprietà [J~2 , Jiz ] 6= 0 con i = 1, 2, per cui è necessario,
ora, dimostrarla.
Dim: [J~2 , Jiz ] 6= 0: come prima cosa scriviamo J~2 in modo esteso, cosı̀ da avere che:
J~2
=
J12 + J22 + 2J~1 J~2 =
=
J12
J12
A
=
+
+
J22
J22
z
}|
{
+ 2J1x J2x + 2J1y J2y +2J1z J2z =
+ 2J1z J2z + A
(4.4)
A questo punto scriviamo A in funzione degli operatori di creazione e distruzione, nel seguente modo:
¸
·
J1+ + J1− J2+ + J2−
·
=
2J1x J2x = 2
2
2
1
=
[J1+ J2+ + J1+ J2− + J1− J2+ + J1− J2− ]
(4.4)
2
4.2. FORMALISMO MATEMATICO
19
·
2J1y J2y
¸
J1+ − J1− J2+ − J2−
= 2
·
=
2i
2i
1
= − [J1+ J2+ − J1+ J2− − J1− J2+ + J1− J2− ]
2
(4.4)
Sommando membro a membro queste due relazioni si ottiene che:
2J1x J2x + 2J1y J2y = J1− J2+ + J1+ J2− = A
(4.5)
dunque J~2 può essere scritto, in funzione degli operatori di servizio, come:
J~2 = J12 + J22 + 2J1x J2x + J1− J2+ + J1+ J2−
(4.6)
Sviluppiamo il commutatore e sostituiamo al suo interno la 4.2, ottenendo:
h
i
J~2 , J1z
= J~2 J1z − J1z J~2 =
= (J1− J2+ + J1+ J2− ) J1z − J1z (J1− J2+ + J1+ J2− ) =
= J1− J2+ · J1z − J1z · J1− J2+ + J1+ J2− · J1z − J1z · J1+ J2−
= [J1− J2+ , J1z ] + [J1+ J2− , J1z ]
(4.4)
dove si ricorda che J1z commuta con J12 e J22 e quindi i prodotti con questi operatori si annullano.
Ricordando che [Jz , Ji± ] = ±~Ji± ed utilizzando la seguente proprietà dei commutatori:
[ab, c] = a[b, c] + [a, c]b
(4.5)
si ottiene che:
h
i
J~2 , J1z
=
=
[J1− , J1z ] Jz+ + J2− [J1+ , J1z ] =
~(J1− J2+ + J2− J1+ ) 6= 0
(4.5)
Ovviamente lo stesso ragionamento può essere fatto per il commutatore [J~2 , J2z ] ottenendo un risultato
analogo. C.V.D.
20
CAPITOLO 4. ADDIZIONE DEI MOMENTI ANGOLARI
Capitolo 5
Il potenziale centrale
5.1
Particella sottoposta ad un campo centrale
Ci occuperemo, ora, dell’interpretazione quantisctica del moto di una particella di massa m all’interno
di un campo di forze descritto da un potenziale centrale. Il prolema verrà trattato in coordinate
sferiche, quindi le autofunzioni che troveremo saranno nelle variabili r, θ, ϕ. Vedremo inoltre che,
grazie alla conoscenza delle autofunzioni del momento angolare, sarà possibile separare la parte radiale
dell’autofunzione dalla parte angolare, ipotizzando che la parte angolare sia descritta proprio dalle
armoniche sferiche Yl,m (θ, ϕ) precedentemente studiate. Come prima cosa, a partire dall’hamiltoniana
classica, scriviamo la sua forma in coordinate sferiche1 :
µ
¶
~2
P~ 2
~
1 ∂2
L
H=
+ V (|~r|) ⇒ H = −
+
+ V (r)
(5.1)
2
2m
2m r ∂r
2mr2
Applicandola all’eq.ne di Schrödinger stazionaria, ed inserendo, in essa l’ipoesi semplificativa preannunciata, secondo la quale lo stato ψ(r, θ, ϕ) = R(r) · Yl,m (θ, ϕ), si ottiene:
"
#
µ
¶
~2
~
1 ∂2
L
Hψ(r, θ, ϕ) = Eψ(r, θ, ϕ) = −
+
+ V (r) R(r) · Yl,m (θϕ)
(5.2)
2m r ∂r2
2mr2
la quale si riduce facilmente alla successiva sostituendo i gli autovalori e semplificando la parte angolare:
µ
¶
¸
·
1 ∂2
l(l + 1)~2
~
+
+ V (r) R(r) = ER(r)
(5.3)
−
2m r ∂r2
2mr2
Ne segue che, il nostro problema risiede nel trovare la forma esplicita della R(r). Per scrivere quest’ultima relazione in una forma tale da poter essere risolta, ipotizziamo che la R(r) abbia un andamento
del tipo R(r) = u(r)/r in cui, ovviamente u(r) sia da determinare; sostituendo questo andamento nella
5.1 si ottiene che:



 ~ d2
l(l + 1)~2
−
+
+ V (r)
 u(r) = Eu(r)
 2m dr2
2
2mr
|
{z
}
(5.4)
Vef f
in questo modo risulta evidente che il termine denominato con l’indicazione Vef f rappresenta il cosiddetto potenziale efficace, ovverosia la somma di un potenziale centrale ancora generico V (r) e di un
termine centrifugo. I tre andamenti sono graficati in Figura 5.1. In ogni caso, prima di procedere alla
soluzione dell’equazione differenziale, è opportuno discutere circa le condizioni al contorno necessarie.
La più importante condizione al contorno è quella per cui la soluzione non deve avere singolarità in
zero, per cui u(0) = 0. Per la risoluzione esplicita, però, conviene applicare delle ipotesi semplificative:
possiamo trovare la soluzione prima nel limite r → 0 è poi per r → ∞.
1 Il procedimento per effettuare questo passaggio non è immediato ed è descritto a pag 133 del testo Meccanica
Quantistica - Franz Schwabl - Zanichelli Editore.
21
22
CAPITOLO 5. IL POTENZIALE CENTRALE
Figura 5.1: Potenziali a confronto: dal basso verso l’alto si ha il potenziale gravitazionale −1/r, il
potenziale efficace ed il potenziale centrifugo 1/r2 .
5.2. POTENZIALE DI COULOMB: RICERCA DEGLI AUTOVALORI
23
Soluzione per r → 0: in questo caso la 5.1 può essere scritta, portando al primo membro l’energia,
come:
·
¸
~ d2
l(l + 1)~2
−
+
+ (V (r) − E) u(r) = 0
(5.5)
2m dr2
2mr2
nella quale si può noatre che per distanze piccole il termine crescente è dominante rispetto al termine
(V (r) − E), in quanto quest’ultimo, al più, andrà come 1/r, mentre il termine centrifugo va come 1/r2 .
Ciò implica che
·
¸
~ d2
l(l + 1)~2
−
+
u(r) = 0 ⇒ u(r) = Ael+1 + Be−l
(5.6)
2m dr2
2mr2
Il termine Be−l , però, è incompatibile con la condizione di normalizzazione in quanto fà divergere il
modulo quadro della funzione d’onda, per cui la soluzione, in questo limite deve essere della forma
u(r) = Ael+1
(5.7)
in cui la il termine A, in generale, può dipendere da r (in seguito ci occuperemo in dettaglio di questo
termine).
Soluzione per r → ∞: quando r è grande, invece, è l’intero potenziale efficace che può essere
trascurato, in quanto predomina il termine E, cosicchè la 5.1 sarà semplicemente:
·
¸
√
√
2m(−E)
2m(−E)
~ d2
−
r
+
r
~
~
−
u(r)
=
Eu(r)
⇒
u(r)
=
Ce
+
De
(5.8)
2
2m dr
ma anche in questo caso, la costante di normalizzazione impone che la funzione d’onda, all’infinito si
annulli, dunque il termine con esponente positivo (divergente) deve essere nullo, dunque la soluzione
sarà:
√
u(r) = Ce−
5.2
2m(−E)
r
~
= Ce−κr
(5.9)
Potenziale di Coulomb: ricerca degli autovalori
Fino ad ora non è stato specificato il tipo di potenziale al quale era sottoposta la particella, ora
considereremo il caso di un elettrone nel campo di un nucleo atomico. Il potenziale in questione è il
potenziale di Coulomb:
V (r) = −
q2
1
e2
· =−
4π²0 r
r
(5.10)
in cui q è la carica del singolo elettrone dell’atomo considerato. Per la soluzione del problema agli
autovalori è necessario risolvere la seguente equazione differenziale:
¸
·
l(l + 1)~2
e2
~ d2
+
−
−
E
u(r) = 0
(5.11)
−
2m dr2
2mr2
r
A questo punto è opportuno effettuare un cambio di variabile, ovverosia, invece di studiare la soluzione
in funzione di r, possiamo introdurre la variabile adimensionale
ρ=
r
r · me2
d2
1 d2
=
⇒ 2 = 2· 2
2
a0
~
dr
a0 dρ
quindi, sostituendo il tutto nella 5.2 si ottiene che:
¸
·
me4 l(l + 1) me4 1
me4 d2
−
−
E
u(ρ) = 0
− 2 2+
2~ dρ
2~2
ρ2
~2 ρ
(5.12)
(5.13)
24
CAPITOLO 5. IL POTENZIALE CENTRALE
a questo punto metto in evidenza la quantità me4 /2~2 ed impongo che Ei ≡ −me4 /2~2 , ottenendo
che:
·
µ
¶ ¸
me4 d2
l(l + 1) 2
2~2
− 2
−
+ − − 4 E u(ρ) = 0
(5.14)
2~
dρ2
ρ2
ρ
me
semplificando ed imponendo che λ2 = −E/Ei si ottiele l’equazione differenziale da risolvere:
· 2
¸
d
l(l + 1) 2Z
2
−
+
−
λ
u(ρ) = 0
dρ2
ρ2
ρ
La soluzione di una equazione differenziale di questo tipo è data dalla seguente funzione
"
#
k−1
X
¡
¢
−ρλ
s
u(ρ) = y(ρ)e
= c0 +
cs ρ e−ρλ = c0 + c1 ρ + c2 ρ2 + ... + ck−1 ρk−1 e−ρλ
(5.15)
(5.16)
s=1
con k = 1, 2, 3, .... La serie che compare nella soluzione in realtà è una serie troncata, per cui è, di
fatto, un polinomio di grado k − 1. Ricordiamo, inoltre, che k è il cosiddetto numero quantico radiale
è prende solo valori interi. Dallo studio della convergenza della serie, si ricava la seguente relazione tra
i coefficienti:
cs =
2(λ(s + l) − 1)
cs−1
s(s + 2l + 1)
(5.17)
nella quale l’indice s è l’indice generico della serie. Come si è già detto, per ragioni di convergenza la
serie deve essere finita; per via della 5.2 k − 1 è il termine con cui termina la serie, quindi per s = k si
ha che ck = 0, in quanto il polinomio non ha un termine in k essendo troncato a k − 1; ciò comporta
che
ck = 0 =
2(λ(s + l) − 1)
1
ck−1 ⇒ (λ(k + l) − 1) = 0 ⇒ λ =
k(k + 2l + 1)
k+l
(5.18)
sostituendo il valore esplicito di λ e indicando con n = k + l, detto anche numero quantico principale,
gli autovalori diventano:
r
1
E
1
Ei
λ=
⇒ −
= ⇒E=− 2
(5.19)
k+l
Ei
n
n
in definitiva gli autovalori sono:
En = −
me4 1
2~2 n2
con n = 1, 2, 3, ...
(5.20)
Una volta trovati gli autovalori, ossia la quantizzazione dell’energia, è possibile, riunendo i pezzi,
calcolare anche la parte radiale delle autofunzioni, ovverosia qualla che inizialmente avevamo inidcato
con R(r). Si ha infatti, che R(r) = u(r)/r, ma anche che ρ = r/a0 per cui, effettuando qualche
sostituzione possiamo dire:
#
"
#
"
k−1
k−1
X
X µ r ¶s − r ( 1 )
−ρλ
s
−ρλ
e a0 k+l
(5.21)
u(ρ) = y(ρ)e
= c0 +
cs ρ e
= c0 +
cs
a
0
s=1
s=1
dalla quale, dividendo per il raggio, e ponendo l’attenzione sulla dipendenza dai numeri quantici k ed
l, è possibile scrivere la formula conclusiva della parte radiale:
"
#
k−1
X µ r ¶s − r ( 1 )
1
c0 +
cs
e a0 k+l
(5.22)
Rk,l (r) =
r
a
0
s=1
nella quale il coefficiente c0 si ricava mediante l’imposizione della normalizzazione, mentre i coefficienti
cs sono calcolati mediante la 5.2.
5.3. ANALISI DEI RISULTATI OTTENUNTI
5.3
25
Analisi dei risultati ottenunti
Riassumiamo qui di seguito ciò che è stato ottenuto mediante gli sviluppi matematici appena conclusi:
mediante l’ipostazione quantistica del problema di una particella sottoposta ad un campo di forze
coulombiano (problema dell’atomo di idrogeno), siamo riusciti a dimostrare che la particella, ovverosia
l’elettrone, non ha la possibilità di assumere valori continui di energia, ma dei multipli di una certa
quantità, per cui le energie che l’elettrone può assumere sono regolate dalla seguente formula:
En = −
me4 1
2~2 n2
con n = 1, 2, 3, ...
(5.23)
Nella formula compare il numero quantico principale n, ma è bene ricordare che esso è somma di altri
due numeri quantici k ed l, ed, a sua volta, l è legato ad un altro numero quantico m; le relazioni che
legano i numeri quantici sono le seguenti:
k = 0, 1, 2, ...
l = 1, 2, 3, ..., n − 1
n=k+l
−l < m < l
(5.24)
Questi risultati erano stati dedotti, per l’atomo di idrogeno, anche da Bohr, utilizzando un approccio
classico; in raltà però, l’approccio quantistico riesce ad andare ben oltre la previsione dell’energia, in
quanto, nei precedenti paragrafi sono state trovate anche le funzioni d’onda che descrivono il fenomeno.
Sappiamo bene che le funzioni d’onda non sono quantità fisicamente rilevabili, in quanto complesse e
non reali, però vale la pena ricordare che il loro modulo quadro rappresenta la probabilità. Nel nostro
caso, quindi, rappresentano la probabilità che l’elettrone si trovi nello stato quantico descritto dai
numeri quantici che associamo alla funzione d’onda che stiamo quadrando. Per capire meglio quanto
detto è bene visualizzare quale sia la funzione d’onda utilizzando i risultati ricavati nei precedenti paragrafi: siamo partiti dicendo che volevamo risolvere l’equazione di Schrdoninger stazionaria scrivendo
l’autofunzione (incognita) come prodotto di una parte radiale R(r) ed una parte descritta dalle armoniche sferiche Yl,m (θ, ϕ), e poi abbiamo calcolato, risolvendo l’equaizone differenziale associata, la
parte radiale ottenendo la 5.2, quindi la funzione d’onda, per una terna generica di numeri quantici n,
l, ed m si scrive, formalmente, come:
ψn,l,m (r, θ, ϕ) = Rn,l (r) · Yl,m (θ, ϕ)
(5.25)
nella quale si ricorda sempre che n = k + l. In pratica, a seconda del livello energetico, si possono
avere una o più funzioni d’onda complessive, le quali possono essere sommate e fornire la funzione
d’onda definitiva del livello energetico considerato. Facendo il modulo quadro di ciò che deriva dalla
somma si ottiene la distribuzione di probabilità di trovare l’elettrone nello stato descritto dai numeri
quantici assegnati alla funzione d’onda. Inoltre, è possibile dare una connotazione spaziale a questa
distribuzione di probabilità; infatti è possibile calcolare la probabilità di trovare l’elettrone tra un
valore r ed r + dr di raggio ed all’interno dell’angolo solido dΩ, se si calcola, per uno stato assegnato,
la seguente ralzione:
d3 Pn,l,m = |ψn,l,m (r, θ, ϕ)|2 r2 drdΩ = |Rn,l (r)|2 r2 dr · |Yl,m (θ, ϕ)|2 dΩ
(5.26)
che, in pratica, rappresenterebbe la cosiddetta nube elettronica, ovverosia la delocalizzaione dell’elettrone.
A questo punto è opportuno fare una riflessione sul legame che esiste tra gli aurovalori dell’energia e la
forma che assumono i cosiddetti orbitali. Per orbitali, in effetti, si intende ciò che è stato appena detto,
ossia la densità di probabilità di trovare, in una certa regione di spazio, l’elettrone appartenente allo
stato quantico a cui fa riferimento la funzione d’onda. La forma di questa distribuzione, però, è in gran
parte determinata dal modulo quadro delle armoniche sferiche, per cui, di solito, basta rappresentare
queste ultime, le quali sono funzioni bidimensionali sul piano polare, e farle ruotare attorno al loro asse
principale di simmetria per ottenere la forma dell’orbitale.
Dato che gli orbitali, come si è detto, sono determinati dalle armoniche sferiche, essi, a seconda del
valore di l, vengono indicati con le lettere seguenti:
26
CAPITOLO 5. IL POTENZIALE CENTRALE
l
0
1
2
3
.
.
.
Tipo Orbitale
s
p
d
f
.
.
.
Il legame tra valori dell’energia ed orbitali può essere chiarito con un esempio: supponiamo di voler
calcolare le funzioni d’onda per i livelli energetici n = 1 ed n = 2, ciò che si otterrebbe è la seguente
situaizone:
En
E1
n
1
l
0
m
0
Orbitale
1s
E2
2
0
0
2s
ψ2,0,0
00
00
1
1
2p
ψ2,1,1 = − √1
00
00
00
0
00
00
00
00
-1
00
Funzione d’onda
ψ1,0,0 = √ 1 3 e−r/a0
³ πa0
´
= √ 1 3 1 − 2ar 0 e−r/2a0
8πa0
r −r/2a0
e
sin θeiϕ
πa30 a0
ψ2,1,0 = √ 1 3 ar0 e−r/2a0 cos θ
4 2πa0
ψ2,1,−1 = √1 3 ar0 e−r/2a0 sin θe−iϕ
8 πa
8
0
Questa tabella dimostra, come, ad esempio, quando l’elettrone si trova al livello fondamnetale En
la funzione d’onda è unica e l’orbitale corrisponde ad una sfera, ma già al primo livello eccitato l’elettrone possiede quattro differenti possibili funzioni d’onda, le quali, per il principio di sovrapposizione,
si sommano, per cui gli orbitali si sovrappongono tra loro. Nella figura che segue sono stati riassunti i
legami tra energia e tipo di orbitale corrispettivo.
Capitolo 6
Operatore densità
Da un punto di vista storico, gli argomenti di Meccanica Quantistica fino ad ora affrontati, sono
sati sviluppati successivamente all’intepretazione statistica della termodinamica, ovverosia a quella
che comunemente prende il nome di Meccanica Statistica Classica. D’altra parte, però, quando, agli
inizi del secolo scorso la Meccanica Quantistica ebbe modo di spiegare in dettaglio i fenomeni del
microcosmo, furono tentate strade che, mediante medtodi quantistici, rilevassero i risultati ottenuti
dalla Meccanica Statistica Classica, aprendo le porte alla cosiddetta Meccanica Statistica Quantistica.
Risutla, quindi, opportuno, a questo punto, introdurre un nuovo operatore, detto operatore densità, il
quale farà da collante tra la Meccanica Quantistica e la Meccanica Statistica Quantistica, e mediante
il quale sarà possibile ritrovare quei risultati ai quali la Meccanica Statistica Classica era giunta in
precedenza. Si pone, ora, l’accendo su questo operatore, in quanto esso, per molti aspetti, è molto
più vicino alla Meccanica Quantistica che non alla Meccanica Statistica, e per introdurlo è necessario
effettuare qualche considerazione preliminare.
6.1
Insiemi puri e miscele
Supponiamo di avere un fascio di atomi di argento con orientazione del tutto casuale che deve essere
sottoposta ad un esperimento di tipo SG1 ; data l’oreintazione del tutto casuale dello spin dei diversi
atomi, è opportuno assegnare a un peso di probabilità uguale ad atomi con spin up ed atomi con spin
down, ovverosia potremo scrivere che:
P
w+ = 0.5 w− = 0.5
i=+,− wi = 1
ne consegue, non essendoci direzione privilegiata, si assume che la miscela di atomi abbia spin equiprobabili: quando ci si trova in una situaizone di questo genere si parla di miscela incoerente, quale, quindi,
corrisponde, nel caso specifico, ad un fascio impolarizzato.
Supponiamo, ora, di far passare la miscela incoerente di spin in un meccanismo del tipo di SG, orientato in una direzione specifica. Per quanto detto in precedenza, un meccanismo di questo tipi seleziona
gli atomi con spin up e quelli con spin down, assegnando, quandi, al fascio, una polarizzazione in una
determinata direzione. Un fascio di questo tipo può essere considerato come coerente, e viene identificato con il nome di insieme puro.
Dal punto di vista formale, un insieme puro, a differenza di una miscela incoerente, è descritto da
un unico ket di stato, che si ripete per ogni atomo. Nel caso della miscela incoerente, invece, una
percentuale w1 possiederà un ket |α1 i, mentre una seconda percentuale w2 possiederà un ket |α2 i.
Però è possibile che una miscela incoerente sia interpretata come una miscela di insiemi puri, in quanto
una frazione della miscela, comunque, possiede lo stesso ket di stato. Dato che la somma delle probabilità, per definizione, deve essere unitaria, allora è evidente che per una miscela di insiemi puri si avrà
che:
X
wi = 1
(6.1)
i
1 Esperimento
di Stern - Gerlach.
27
28
CAPITOLO 6. OPERATORE DENSITÀ
6.2
Operatore densità
Data un’osservabile  nella quale a è il suo autovalore ed |ai il suo autoket, definiamo media d’insieme
dell’osservabile in questione la media di misure di  agente su una miscela di stati puri, dopo un gran
numero di misure:
X
XX
hÂi =
wi hφi |Â|φi i =
wi |ha|φi i|2 a
(6.2)
i
a
i
Si può noatre che la quantità hφi |Â|φi i rappresenta l’usuale valore i aspettazione, mentre la media di
insieme si differisce da quest’ultimo in quanto vede, al suo interno, anche l’associazione di un peso wi
relativo alle probabilità degli stati della miscela.
A questo punto possiamo scrivere la media d’insieme in una base generica di ket, cosicchè si avrà:
hÂi =
X
wi
m
i
=
XX
Ã
XX X
m
n
m
n
m
n
hφi |mihm|Â|nihn|φi i =
n
!
wi hn|φi ihφi |mi hm|Â|ni =
i
=
Ã
!
XX
X
hn|
wi |φi ihφi | |mihm|Â|ni =
=
XX
hn|ρ̂|mihm|â|ni
i
(6.0)
Nei calcoli precedenti si è introdotto un nuovo operatore, che prende il nome di operatore densità ed è
definito cosı̀:
X
ρ̂ =
wi |φi ihφi |
(6.1)
i
A questo punto è opportuno enunciare alcune proprietà dell’operatore densità:
1. ρ̂ è un operatore hermitiano;
2. tr(ρ̂) = 1:
3. tr(ρ̂Â) =
P
i
wi hφi |Â|φi i:
4. ρ̂2 = ρ̂ ; tr(ρ̂2 ) = 1 se e solo se l’insieme è puro.
e possiamo dimostrare, mediante qualche semplice calcolo, le proorietà (2) e (3).
Dim. prop. 2:la traccia di un operatore è definita come segue:
tr(Ω) =
X
hm|Ω|mi
(6.2)
m
Dunque, nel caso dell’operatore densità calcoliamo la traccia di ρ̂I ossia moltiplicato per l’identità. Si
ha, quindi, che:
tr(ρ̂I)
=
X
Ã
!
X
X
hm|
hm|ρ̂I|mi =
wi |φi ihφi |I |mi =
m
=
X
i
=
X
i
wi
X
m
wi hφi |
m
i
hm|φi ihφi |I|mi =
Ã
X
m
!
X
wi
X
hφi |mihm|φi i =
m
i
|mihm| |φi i =
X
i
wi hφi |φi i =
X
i
wi = 1
(6.1)
6.2. OPERATORE DENSITÀ
29
Dim. prop. 3: possiamo ripetere il procedimento appena seguito, sostituendo all’operatore identità,
l’operatore  sarà la seguente:
Ã
!
X
X
X
tr(ρ̂Â) =
hm|ρ̂Â|mi =
hm|
wi |φi ihφi |Â |mi =
m
=
X
i
=
X
wi
X
m
i
hm|φi ihφi |Â|mi =
m
wi hφi |Â
Ã
X
!
wi
X
hφi |Â|mihm|φi i =
m
i
|mihm| |φi i =
m
i
X
X
wi hφi |Â|φi i
(6.0)
i
Per fare in modo che questo operatore possa essere utilizzato, possiamo calcolare anche la sua evoluzione
temporale, e calcolaimo quindi la derivata temporale dell’operatore densità:
¶
X µ∂
∂ ρ̂
∂
=
wi
|φi ihφi | + |φi i hφi |
(6.1)
∂t
∂t
∂t
i
Sapendo che:
i~
−i~
∂
∂
H
|φi i = H|φi i ⇒ |φi i = |φi i
∂t
∂t
i~
(6.2)
∂
∂
H
hφi | = Hhφi | ⇒ hφi | = − hφi |
∂t
∂t
i~
(6.3)
e, sostituendo il tutto nella derivata temporale dell’operatore densità, posso semplificare il tutto dicendo
che:
¶
X µH
∂ ρ̂
H
1
1
=
wi
|φi ihφi | − |φi ihφi | = (H ρ̂ − ρ̂H) = − [ρ̂, H]
(6.4)
∂t
i~
i~
i~
i~
i
In definitiva, si ha che, l’evoluzione temporale dell’operatore densità è fornito dalla relazione:
i~
∂ ρ̂
= −[ρ̂, H]
∂t
(6.5)
30
CAPITOLO 6. OPERATORE DENSITÀ
Parte II
Complementi di Meccanica
Statistica
31
Capitolo 7
Richiami di termodinamica
La Meccanica Statistica è una disciplina della Fisica che ha lo scopo di ritrovare, per via teorica, i risultati ai quali è giunta la Termodinamica. Quest’ultima, infatti, è una teoria fenomenologica, ovverosia,
tale che i suoi risultati sono stati ottenuti mediante l’esperinza diretta, e non mediante una impianto
teorico predeterminato. Da queste considerazioni segue che la Meccanica Statistica è fortemente legata
alla Termodinamica, e quindi, risulta indispensabile effettuare uno ripasso generale della Termodinamica stessa. Partiamo dai concetti generali.
SISTEMA TERMODINAMICO : ogni sistema macroscopico può essere considerato un sistema
termodinamico; la descrizione di esso è affidata ad alcuni parametri caratteristici quali pressione
P , volume V e temperatura T ; lo stato termodinamico del sistema è specificato dall’insieme di
tutti i valori dei parametri suddetti; questo insieme può essere rappresentato, matematicamente,
da una funzione di tre variabili f (P, V, T ) = 0 detta equazione di stato del sistema, la quale,
ovviemente, è una superficie nello spazio descritto dalle varibili suddette; un sistema siffatto si
dice all’equilibrio se il suo stato termodinamico (e quindi i suoi parametri) non cambiano nel
tempo.
TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE : una trasformazione termodinamica è un cambiamneto di stato del sistema; è chiaro che se il sistema parte da una condizione di equilibrio,
la trasformazione può essere indotta solo da un intervento dall’esterno sul sistema in esame; le
trasformazioni possono essere: quasistatiche, quando il cambiamento è molto lento ed il sistema
può ritenersi, istante per istante, approssimativamente all’equilibrio (energia cinetica trascurabile rispetto alle energie in gioco); reversibile: si ha quando, riportando indietro la condizione
esterna che ha causato la trasformazione del sistema termodinamico, la trasformazione stessa
riassume, istante per istante, esattamente gli stessi valori dei parametri termodinamici avuti durante la trasformazione iniziale; irreversibile: ovviemente è il contrario di quella reversibile; si
può dire che una trasformazione reversibile è quasistatica, ma non è sempre vero il contrario;
le trasformazioni reversibili, a seconda del parametro termodinamico che rimane costante nella
trasformazione, prendono i seguenti nomi: isobare se P =cost, isocore se V = cost e adiabatiche
se T =cost.
LAVORO E CALORE : il lavoro è una quantità mutuata dalla Meccanica, ed in termodinamica si
esprime, in genere, come il prodotto della pressione per la variaizone di volume dW = P dV ; esso
è considerato dW > 0 quando è esercitato dall’esterno sul sistema, mentre è considerato dW < 0
quando è esercitato dal sistema sull’esterno (preso un cilindro con un gas al suo interno ed un
pistone, se si esercita lavoro comprimendo il gas mediante il pistone, allora il lavoro è positivo,
se il gas, espandendosi, fà risalire il pistone, allora il lavoro è negativo); il calore è quella forma
di energia che viene assorbita dal sistema (energia positiva, se assorbita dall’esterno, negativa
se ceduta dal sistema) se la temperatura del sistema aumenta senza che venga compiuto alcun
lavoro; per descrivere questo fenomeno particolare si introduce la capacità termica C del sistema
definita come il rapporto tra la variaizone di calore in funzione della variaizone di temperatura,
ossia ∆Q = C∆T ; la capacità termica dipende dal modo in cui si riscalda il sistema, tant’è
che si definiscono rispettivamente CV e CP le capacità termiche calcolate a volume costante e
33
34
CAPITOLO 7. RICHIAMI DI TERMODINAMICA
a pressione costante; si definisce serbatoio di calore un sistema tanto grande che il guadagno
o la perdita di calore non fa variare la sua temperatura; infine, un sistema si dice isolato se
non avviene alcuno scambio di calore tra esso e l’esterno, in questo caso le trasformazioni che
avvengono al suo interno sono adiabatiche.
VARIABILI ESTENSIVE ED INTENSIVE : si definiscono quantità estensive tutti quei parametri termodinamici che sono proporzionali alla totalità della sostanza (gas, liquido, solido)
presente nel sistema; un esempio di variabili estensive sono il volume e l’energia interna; si
definiscono quantità intensive, invece tutte quelle variabili che non dipendono dalla quantità
della sostanza, come ad esempio la temperatura e la pressione.
GAS PERFETTO : si definisce gas perfetto o ideale un gas che soddisfa la legge di Boyle, ossia
che (P V /N ) =cost, in cui N è il numero di molecole del gas; nessun gas si comporta esattemente
come vorrebbe Boyle, ma tutti i gas possono essere schematizzati, in prima approssimazione,
come gas ideali se sufficientmente diluiti; dalla legge di Boyle, si passa all’equaizone di stato dei
gas perfetti secondo la quale P V = N kT nella quale k è la costante di Boltzmann; la quale può
essere scritta, in forma equivalente, come P V = nRT in cui n è il numero di moli del gas, R è
definita costante dei gas.
PRIMA LEGGE DELLA TERMODINAMICA : data una trasformazione arbitraria, sia ∆Q
la quantità di calore assorbita dal sistema e sia ∆W = P ∆V il lavoro compiuto dal sistema, si ha
che la quantità ∆Q − ∆W = ∆U , detta energia interna, è uguale per tutte le trasformazioni che
vanno da uno stesso stato iniziale ad uno stesso stato finale (ossia è indipendnete dal cammino
seguito nello spazio P − V ); in termini differenziali questa legge Rsi può esprimere dicendo che il
differenziale dU = dQ − P dV è un differenziale esatto, ovverosia dU non dipende dal cammino
di integrazione, ma solo dai suoi estremi di integrazione.
SECONDA LEGGE DELLA TERMODINAMICA : qui di seguito proponiamo i due enunciati
storicamente ammessi, senza mostrarne l’equivalenza, con la nota che la loro origine è totalmente
fenomenologica:
• Enunciato di Kelvin: non esiste trasformazione termodinamica il cui solo effetto sia quello di estrarre una certa quantità di calore da un dato serbatoio termico e di convertirla
intermanete in lavoro.
• Enunciato di Clausius: non esiste trasformazione termodinamica il cui solo effetto sia quello
di estrarre una certa quantità di calore da un serbatoio termico più f reddo e di trasferirla
in un serbatoio più caldo.
ENTROPIA : il secondo principio della termodinamica implica necessariamente la validità del teorema di Clausius, che definisce una nuova quantità: l’entropia; il teorema afferma che:
in ogni trasformazione ciclica, durante la quale la temperatura è definita, vale la
I
dQ
≤0
(7.1)
T
in cui l’integrale è calcolato su un cilco della trasformazione. Se la trasformazione è reversibile
allora vale l’uguaglianza, ed inoltre si ha che
I
dQ
= S(B) − S(A)
(7.2)
T
ossia l’integrale dipende solamente dallo stato iniziale e finale descritto da una funzione di stato
detta entropia.
Una volta definita l’entropia, è chiaro che la variaizone di calore puù essere scritta come dQ =
T dS, e sfruttando il primo principio della termodinamica e sostituendo ad esso una variaizone di
lavoro pari a dW = P dV − µdN in cui µ è detto potenziale chimico e dN è la variaizone infinitesima del numero di molecole del gas in questione, possiamo scrivere la variaizone infinitesima
di entropia come:
P
µ
1
· dU + · dV − · dN
(7.3)
T
T
T
Questa relazione è molto importante in quanto ricorrerà spesso nella trattazione successiva.
dU = dQ − dW = T dS − P dV + µdN ⇒ dS =
35
POTENZIALI TERMODINAMICI : oltre all’energia interna del sistema e all’entropia è possibile
introdurre altre due utili funzioni di stato, che frequentemente prendono il nome di potenziali
termodinamici; essi sono l’energia libera di Helmholtz F e l’energia libera di Gibbs G.
Analizziamo, singolarmente, le proprietà fondamentali di questi potenziali.
L’energia libera di Helmholtz è definita come segue:
F = U − TS
(7.4)
e per essa si può noatre che, data una trasformaizone isoterma si può sempre scirvere che
∆Q ≤ T ∆S, per cui, utilizzando il primo principio della termodinamica ∆U = ∆Q − ∆W , si
può scrivere che:
∆U
∆U − T ∆S
−∆W
∆W
∆W
≤
≤
≥
≤
≤
∆Q − ∆W ≤ T ∆S − ∆W
−∆W
∆U − T ∆S
−(∆U − T ∆S)
−∆F
(7.1)
Dalla precedente relazione si ricava che: se il sistema è meccanicamente isolato (ossia non
viene eseguito lavoro) e mantenuto a temperatura costante, allora l’energia libera di Helmholtz
non cresce ∆F =cost, e di conseguenza lo stato di equilibrio è lo stato in cui l’energia libera di
Helmholz è minima.
L’energia libera di Gibbs è definita come segue:
G = F + PV
(7.2)
le sue più importanti proprietà risiedno nella seguente considerazione: per un sistema tenuto a
temperatura e pressione costante, l’energia libera di Gibbs non aumenta mai, di conseguenza lo
stato di equilibrio lo si ha quando il potenziale di Gibbs è minimo.
Vale la pena di ricordare, almeno in forma sintentica, un’altra funzione di stato spesso usata in
termodinamica, ovvero l’entalpia H, la quale è definita come H = U + P V .
RELAZIONI DI MAXWELL : dalle quattro funzioni di stato fondamentali della termodinamica è possibile ricavare le relazioni di Maxwell che permettono di calcolare, in caso di trasformazione infinitesima reversibile, tutte le quantità termodinamiche fondamnetali. Per chiarezza
le riassumiamo qui di seguito:
µ
¶
µ
¶
∂F
∂F
dF = −P dV − SdT ⇒ P = −
;S = −
(7.3)
∂V T
∂T V
µ
dG = −SdT + V dP
⇒
V =−
µ
dH = T dS + V dP
⇒
V =
∂G
∂P
∂H
∂P
µ
dU = −P dV + T dS
⇒
P =−
¶
µ
;S = −
T
¶
∂U
∂V
µ
∂G
∂T
S
∂H
∂S
¶
µ
;T =
;T =
S
¶
(7.4)
P
¶
∂U
∂S
(7.5)
P
¶
(7.6)
V
La termodinamica è uno strumento utile e potente per l’interpretazione fenomenologica dei fenomeni
macroscopici, ma il motivo per il quale si è reso necessario lo sforzo teorico della Meccanica Statistica (classica e quantistica) risiede nel fatto che la termodinamica ignora completamente la struttura
atomica della materia e quindi è fallimentare su piccola scala; essa è una buona approssimazione del
mondo fisico su larga scala.
36
CAPITOLO 7. RICHIAMI DI TERMODINAMICA
Capitolo 8
Meccanica Statistica Classica
8.1
Introduzione
La Meccanica Statistica Classica ha come scopo quello di ricavare, dalle condiizoni assegnate (condizioni del sistema all’equilibrio), le quantità macroscopiche del sistema, quali, ad esempio, pressione,
temperatura,... a partire da un approccio classico (e non qunatistico) del problema.
La differenza sostanziale tra approccio classico ed approccio quantistico risiede nel fatto che, da un
punto di vista classico il sistema amette valori continui di energia, dunque anche gli stati possibili del
sistema sono rappresentati da funzioni le cui variabili sono continue; dal punto di vista quantistico,
invece, il sistema ammette valori discreti di energia, dunque gli stati sono descritti da vettori nello
spazio di Hilbert.
Per dare un’idea chiara della Meccanica Statistica Classica possiamo definire i suoi concetti chiave a
partire da un esempio pratico: supponiamo di avere un gas composto da N = 1 particella É chiaro
che questo approccio è totalmente chiematico, in qunato non esiste un gas con una sola particella; lo
scopo di questo esempio è quello di partie da un livello base, per poi aggiungere i pezzi necessari alla
completa descrizione del quadro., immerso in una vincolata a muoversi in una dimensione il cui volume
V = L e con energia, all’equilibrio, pari a E = ε non sottoposta ad alcuna forza; applicando alla
lettera la meccanica analitica classica si avrebbe che l’energia del sistema è descritta dall’hamiltoniana
di particella libera:
H(p, q) =
p~2
2m
(8.1)
L’hamiltoniana rappresenta una superficie, in uno spazio tridimensionale (lo spazio è tridimensionale in
quanto si è vincolata la particella a muoversi in una dimensione, altrimenti lo spazio di rappresentazione
sarebbe stato a nove dimensioni), i cui assi di riferimento sono (q, p, H). Imporre che il sistema abbia
energia ε fissata vuol dire tagliare la superficie H(p, q) con un piano parallelo al piano (p, q); il luogo
geometrico che ne deriva dall’intersezione, corrisponde allo spazio delle fasi Γ ed è rappresentato nel
piano (p, q). Nel nostro caso è una retta.
A questo punto, dato che abbiamo un energia fissata, dimetichiamoci dello spazio (q, p, H) e pensiamo
solo al piano (p, q) nel quale il nostro sistema vive. In verità, per essere precisi, il nostro sistema (la
nostra particella) vive solo sulla retta derivante dall’intersezione.
Gli stati possibili che il sistema può assumere sono tutti i punti della retta, per cui è possibile calcolare
una densità degli stati del nostro sistema definita come il numero di stati n per unità infinitesima di
dimensione dpdq del nostro spazio delle fasi :
n = ρ(p, q)dpdq
(8.2)
Come abbiamo già detto, il numero di stati rappresenta il numero di punti della retta compresi
nell’elemento dpdq del piano (p, q). In generale la funzione ρ(p, q) può dipendere dal tempo, ma ciò
accade solo se si vuole conoscere l’evoluzione del sistema da uno stato di equilibrio ad un altro; si è
detto però che la Meccanica Statistica si occupa di sistemi all’equilibrio, per cui consideriamo la densità
come una quantità stazionaria.
Si può notare che la funzione densità è costante sulla retta (ossia nello spazio della fasi, spazio ad
37
38
CAPITOLO 8. MECCANICA STATISTICA CLASSICA
energia fissata), mentre è nulla al di fuori dello spazio delle fasi. Quando il sistema soddisfa questa
condizione:
½
cost se H(p, q) = E
ρ(p, q) =
(8.3)
0
altrimenti
si dice che esso è un ensamble microcanonico.
Appare veidente che non c’è alcuna ragione per cui uno dei punti della retta (= uno degli stati del
sistema = una delle possibili combinazioni) debba essere considerato più o meno probabile di altri,
per questo motivo si introduce il cosiddetto postulato dell’uguale probabilità a priori, secondo il
quale quando un sistema macroscopico è in equilibrio termodinamico il suo stato può essere, con eguale
probabilità, ognuno di quelli che soddisfano le condizioni del sistema.
A questo punto ci chiediamo cosa acadrebbe se nel sistema agiungessimo una seconda particella, anch’essa con energia ε, che non interagisce con la prima. La sua hamiltoniana si andrebbe a sommare a
quella della particella di partenza. La loro rappresentazione nello spazio (p, q, H), però, cambia: infatti
lo spazio passa da tre a sei dimensioni, perchè si hanno due triplette ordinate di valori che definiscono
uno stato del sistema, ossia (p1 , q1 , ε) per la prima particella (in cui, come si è visto, p1 e q1 sono i punti
della retta suddetta) e (p2 , q2 , ε) per la seconda particella (in cui, in questo caso, p2 e q2 sono i punti
di un’altra retta). Questo implica che lo spazio delle fasi si modifica, in quanto ora esso comprenderà
anche tutti i punti di questa seconda retta; anche la funzione densità, quindi, dovrà tener conto anche
di questi nuovi possibili stati del sistema.
Notiamo che, è possibile considerare il sistema con entrambe le particelle, come due sistemi identici di
singola particella: questo è il concetto di ensamble introdotto da Gibbs. Se invece di due particielle, ne
avessimo un numero nell’ordine di N 23 è chiaro i concetti introdotti continuano a valere (nell’ipotesi
che rimanga ancora abbastanza spazio fisico tra le particelle tale che esse non interagiscano tra loro), ed
il nostro spazio delle fasi, ad energia fissata, invece di essere una retta è un ipervolume le cui dimensioni
dell’elemento infinitesimo sono 3n · 3n, si ha che:
Z
Γ(E) =
dp3N dq 3N
(8.4)
E
Si vede chiaramente che esso non è un volume fisico, in quanto dipende anche dagli impulsi delle
particielle, ma è anche dipendnete dal volume fisico del sistema, perchè ha al suo interno le dimensioni
dimensioni fisiche in cui si muovono le particelle. Si definisce entropia del sistema la funzione
S(E, V ) = k log Γ
(8.5)
in cui, come si è già detto, Γ è il volume dello spazio delle fasi dell’insieme microcanonico e k è la
costante di Boltzmann. Per ragioni che saranno chiare in seguito questa versione dell’entropia coinciderà con quella già nota della termodinamica.
Si può dimostrare che il volume dello spazio delle fasi è proporzionale alle densità degli stati del
sistema, cosa che, anche intuitivamente, trova una giustificazione plausibile; dunque
Le condizioni che hanno determinato la definizione di ensamble microcanonico comprendevano
l’isolamento del sistema in esame dal mondo esterno. Questa schematizzazione ideale è rappresentativa
di pochi sistemai reali, in quanto molto spesso, un sistema, piuttosto che totalmente isolato, risulta
in equilibrio con un secondo sistema. Per far fronte a questa condizione si introduce il concetto di
ensamble canonico, nel quale, per l’appunto, un sistema è in equilibrio termico con un secondo
sistema più esteso.
Per l’ensamble canonico, facendo un ragionamento di natura termodinamica, si dimostra che la funzione
di densità degli stati del sistema può essere scritta come:
ρ(p, q) = e−H(p,q)/kT = e−βH(p,q)
(8.6)
Cosı̀ come già definito nell’ensamble microcanonico, è possibile definire un volume dello spazio delle
fasi nell’ensamble canonico, il quale è chiamato funzione di partizione canonica:
Z −βH(p,q)
Z
e
ρ(p, q) 3N 3N
d pd q =
d3N pd3N q
(8.7)
Z=
N ! · h3N
N ! · h3N
nella quale N ! · h3N è il conteggio del numero di stati totale adimensionato.
8.2. IPOTESI ERGOTICA E TEORIA DEGLI ENSAMBLE
8.2
Ipotesi ergotica e teoria degli ensamble
39
40
8.3
CAPITOLO 8. MECCANICA STATISTICA CLASSICA
Insieme microcanonico e gas ideale
8.4. INSIEME CANONICO E FUNZIONE DI PARTIZIONE
8.4
Insieme canonico e funzione di partizione
41
42
8.5
CAPITOLO 8. MECCANICA STATISTICA CLASSICA
Insieme grancanonico e gran potenziale
Capitolo 9
Meccanica Statistica Quantistica
9.1
Entropia
Tutta la Meccanica Statistica Quantistica si basa sulla introduzione della matrice di denistà: la matrice
densità, definita nel capitolo 6, assume, per un sistema totalmente casuale composto da N stati, la
seguente forma diagonale:


1 ... 0
1  . .
. . ... 
ρ=
(9.1)
 ..

N
0 ... 1
e questa struttura è giustificata dal fatto che ogni stato del sistema è equiprobabile rispetto agli altri.
Inoltre si più dimostarre fisicamente che la quantità
σ = −tr(ρ ln ρ)
(9.2)
rappresenta una misura del disordine del sistema in esame, la quale trova il suo corrispettivo termodinamico nell’entropia, definita, secondo Boltzmann, come S = −kσ, per cui, dalla definizione di
Boltzmann segue che:
S(E, V ) = −k · T r(ρ ln ρ)
(9.3)
che nel caso in cui la matrice densità è diagonale, si scrive come:
X
S(E, V ) = −k ·
ρkk ln ρkk
(9.4)
k
A questo punto lo scopo è quello di trovare una relazione tra il volume dello spazio delle fasi (il quale è
proprozionale al numero N di stati del sistema) e la matrice densità, cosı̀ da poter espirmere l’entropia
in funzione di Γ.
Per raggiungere
P lo scopo utilizziamo il metodo dei moltiplicatori di Lagrange, ed il vincolo che imponiamo è che k ρkk = T r(ρ) = 1, in quanto essa è una proprietà della matrice densità. Si ha quindi
che:
#
"
N
X
ρkk = 0
(9.5)
δS = 0 ⇒ δ S + λ
k=1
Sostituiamo la relazione 9.1 e ridefiniamo il parametro di Lagrange in modo da poter mettere in
evidenza la costante di Boltzmann:
"
#
N
X
X
−kδ
ρkk ln ρkk + λ
ρkk = 0
(9.6)
k
k=1
Differenziamo i diversi membri e tiriamo fuori le somme dalle parentesi:
−k
N
X
[δ(ρkk ln ρkk ) + λδ(ρkk )] = 0
k
43
⇒
44
CAPITOLO 9. MECCANICA STATISTICA QUANTISTICA
Imponendo che la variaizone di entropia sia nulla perchè il sistema è all’equilibrio (in quanto l’entropia
raggiunge un massimo, ed, all’equilibrio, si stabilizza) ed applicando il metodo dei massimi e dei minimi
vincolati, si può ricavere la relazione che intercorre tra la matrice densità e il volume nello spazio delle
fasi Γ. Si ha, infatti, che:
S = −kT r(ρ) ⇒ S + kT r(ρ) = 0
"
#
X
−kδ S + λ
ρkk = 0
⇒
δ[S + kT rρ] = 0
X
⇒ −k
[δρkk ln ρkk + δρkk + λδρkk ] = 0 ⇒
k
k
⇒
δS =
X
[ln ρkk + λ + 1]δρkk = 0
(9.4)
k
dall’ultimo passaggio si ricava che, imponendo
P
k
ρkk = Γ si ha:
ln ρkk + λ + 1 = 0 ⇒ ρkk = e−(λ+1)
(9.5)
D’altra parte, però, sommando su k = 1 ad N , gli elementi della matrice diagonale forniscono che:
N
X
ρkk = N e−(λ+1)
(9.6)
k=1
ossia si moltiplica per N la quantità prima trovata; dalle proprietà dell’operatore densità, sappiamo
inoltre che, per motivi di normalizzazione tr(ρ) = 1, ed il primo membro della precedente relaizone
corrisponde esattamente alla traccia di ρ, per cui
N
X
ρkk = tr(ρ) = 1 ⇒ N e−(λ+1) = 1
(9.7)
k=1
indicando con Γ il numero N , si può scrivere che e−(λ+1) = 1/Γ, ma dato che il singolo elemento
diagonale della matrice ρ è ρkk = e−(λ+1) , allora è evidente che:
ρkk =
1
Γ
che, in meccanica statistica classica rappresenta l’insieme microcanonico.
(9.8)
9.2. GAS QUANTISTICI
9.2
9.2.1
Gas quantistici
Distribuzioni di Fermi - Dirac
Huang - paragrafo 8.6 - pag. 186
9.2.2
Distribuzioni di Bose - Einstein
Huang - paragrafo 8.6 - pag. 186
45
46
9.3
CAPITOLO 9. MECCANICA STATISTICA QUANTISTICA
Gas di Fermi allo zero assoluto
Un gas di fermioni che si trova allo zero assoluto possiede un comportamento puramente quantistico.
Ricordiamo, infatti, che, per il Principio di esclusione di Pauli, due fermioni non possono coesistere
nello stesso stato quantico (in quanto la loro funzione d’onda si annulla) dunque, ciò che accade è
che, a teperatura nulla, ossia nel limite di minima energia, i fermioni si ridistribuiscono seguendo il
Principio di esclusione di Pauli, andando a riempire tutta una serie di livelli energetici, il cui massimo
di essi prende il nome di livello o energia di Fermi.
Per quantificare questo comportamento possiamo calcolare in maniera esplicita quanto vale l’energia
di Fermi, ricavandola dall’espressione del numero medio di particelle hN i presenti nel gas:
hN i = g
∞
X
hnk i = g
k=0
∞
X
k=0
1
eβ(²k −µ)
+1
(9.9)
nella quale g è la degenerazione (nel caso dello spin è 2s + 1), hnk i è il numero medio di occupazione,
β = 1/kT , ²k sono i livelli energetici e µ è il potenziale chimico del sistema. Basandoci sempre sulle
formule derivate dall’ensamble grancanonico, è possibile ricavare l’energia nel modo seguente:
hU i = g
∞
X
²k hnk i = g
k=0
∞
X
²k
β(²k −µ) + 1
e
k=0
(9.10)
Abbiamo scritto anche la formula dell’energia media in quanto da essa si ricavano la maggior parte
delle quantità termodinamiche e fisiche rilevanti, da cui anche la pressione P = ∂U/∂V , utile per le
osservazioni che faremo a fine paragrafo.
Queste formule, che in linea di principio rappresentano delle somme vincolate, nel limite termodinamico
(N → ∞) possono approssimarsi efficacemente con degli integrali, per cui si ha che:
hN i = g
∞
X
Z Z
V
k=0
hU i = g
∞
X
+∞
d3 pd3 q
hnk i
h3
(9.11)
d3 pd3 q
²k hnk i
h3
(9.12)
hnk i ⇒ N → ∞ ⇒ g
−∞
Z Z
+∞
²k hnk i ⇒ N → ∞ ⇒ g
V
k=0
−∞
Osservando gli integrali appena scritti appare evidente che l’integrale in d3 q sul volume avrà, come
risultato, il volume stesso V ; inoltre, dato che l’integrale è nell’impulso, e dato che hnk i è funzione di
²k , è possibile, prima di tutto, esprimere l’integrale in coordinate polari nell’impulso, ottenendo che:
Z +∞
Z +∞
Z +∞
V
V
4πV
hN i = g 3
d3 phnk i = g 3
hnk ip2 dpdΩ = g 3
hnk ip2 dp
(9.13)
h −∞
h −∞
h
−∞
e poi effettuare un cambio di variabile e trasformare l’integrale nell’impulso in integrale nell’energia,
ricordando che:
²k =
p2k
md²k
⇒ p2k = 2m²k ⇒ 2pdp = 2md²k ⇒ dp = √
2m
2m²k
l’integrale, quindi, diventerà il seguente:
Z +∞
Z +∞
4πV
4πV
md²k
2
hN i = g 3
hnk ip dp = g 3
hnk i2m²k √
=
h
h
2m²k
−∞
−∞
√
Z +∞
Z
√
²k
√
4πV √
4πV 2m3 +∞
= g 3 2m3
hnk i ²k d²k = g
d²k
1
3
β²
k + 1
h
h
−∞
−∞ f e
(9.14)
(9.14)
nella quale si è itrodotta una nuova funzione, utile in seguito, detta f ugacit e definita come 1/f =
1/eµβ . A questo punto si è soliti riscalare l’integrale rispetto a β, effettuando il seguente cambio di
variabile:
β²k = x ⇒ ²k =
dx
x
⇒ d²k =
β
β
(9.15)
9.3. GAS DI FERMI ALLO ZERO ASSOLUTO
47
e sostituendo il tutto nell’integrale esso diventa:
Z ∞ √
Z ∞
√
²k
1
xdx
d²
=
k
1 β²k
1 x
3/2
β
e
+
1
e
+1
0
0
f
f
(9.16)
√
ed introducendo questo risultato nella precedente espressione, e moltiplicando e dividendo per 2/ π è
possibile scrivere il tutto in funzione della cosiddetta lunghezza d’onda termica λ, per cui si ha che:
¶
µ
Z ∞ √
2
V
xdx
hN i = g √
(9.17)
π λ3 0 f1 ex + 1
in cui la lunghezza d’onda termica corrisponde alla quantità
λ= √
h
2πmkT
(9.18)
L’introduzione della lunghezza d’onda termica è importante in quanto, in regime di basse temperature
ed alte densità (ossia la condizione che si verifica allo zero assoluto) essa diventa molto più grande della
distanza media dei fermioni, conseguenzialmente gli effetti quantistici diventano predominanti rispetto
al comportamento classico del gas.
A questo punto, facciamo un’analisi qualitativa di ciò che accade in regime di basse temperature: il
numero di occupazione, come si è detto, è descritto dalla relazione seguente
hnk i =
1
eβ(²k −µ) + 1
(9.19)
cosa accade quando T → 0? Se T → 0 allora β → ∞, questo implica che i casi possibili sono due:
½
²k − µ > 0 ⇒ e+∞ = ∞ ⇒ hnk i = 1/∞ = 0
(9.20)
T →0⇒β→∞⇒
²k − µ < 0 ⇒ e−∞ = 0 ⇒ hnk i = 1/(0 + 1) = 1
questo vuol dire che a temperatura nulla gli unici livelli energetici occupati (hnk i 6= 0) sono quelli con
energia minore del potenziale chimico a temperatura nulla, gli altri sono vuoti. Al potenziale chimico
a temperatura nulla, per via della proprietà appena enunciata, si dà un nome specifico, ossia si chiama
energia di Fermi ²F = µ(T = 0), per cui, riassumendo, si può dire che i numeri di occupazione a T = 0
sono regolati dalla:
½
1 se ²k < ²F
hnk iT =0
(9.21)
0 se ²k > ²F
A queto punto ci chiediamo, come è possibile calcolare il valore dell’energia di Fermi? La risposta
è piuttosto semplice; noto il numero medio di particelle presente nel gas, basta risolvere una delle
precedenti formule:
√
Z
√
²k
4πV 2m3 +∞
d²k
(9.22)
hN i = g
3
β(²
−µ
k
h
e
+1
0
nella quale, però, andiamo a sostituire il giusto valore dell’eponenziale nel caso in cui ²k − µ < 0,
ovverosia 0, cosı̀ da porci nelle condizioni di energia di Fermi, ciò comporterà una modifica degli
estremi di integrazione, il cui estremo superiore, sarà ovviemente ²k , e dunque otterrmo che
√
√
Z
q
4πV 2m3 2
4πV 2m3 ²F √
²
d²
=
g
·
²3F
hN i = g
(9.23)
k k
h3
h3
3
0
quindi, essedo noto il numero di particelle, è possibile esprimere l’energia di Fermi rispetto a quantità
conosciute, ne consegue che:
µ
²F =
3h3
hN i
√
·
V
8πg 2m3
¶3/2
(9.24)
48
CAPITOLO 9. MECCANICA STATISTICA QUANTISTICA
Se graficassimo il numero di occupazione hnk i in funzione dei livelli energetici ²k la funzione sarebbe
una distribuzione uniforme tratto (nero nella figura che segue); in realtà è possibile graficare la seguente
funzione:
hnk i =
1
eβ²k −ν + 1
(9.25)
nella quale ν = ν(T ) è uno sviluppo del potenziale chimico (tratto rosso nella figura che segue); come
si può notare anche dal grafico, le due funzioni hanno andamenti simili, solo che il tratto rosso, in
prossimità dell’energia di Fermi presenta un flesso.
Procedendo allo stesso modo del calcolo di hN i, è possibile calcolare anche l’energia del sistema, e da
essa, è possibile ricavare la pressione. Tutto questo dimostra che, a temperatura nulla la pressione non
si annulla, e questa è una proprietà tipica di un gas di fermioni.
9.3.1
Le nane bianche e i gas di fermioni
Le nane bianche sono una tipologia di stelle caratterizzata dal fatto che hanno una piccola massa, una
piccola luminosità ed un piccolo raggio, in confronto ad altri tipi di stelle. In generale la vita di una
stella, ovvero la sua evoluzione nel corso del tempo, dipende molto dalla massa che la stella possiede
al momento della sua formazione. Una stella che possiede una massa superiore ad 1.4M¯ non sarà
mai una nana bianca. ciò vuol dire che per diventare una nana bianca la condizione primaria è che la
massa della stella sia inferiore al limite suddetto (limite di Chandrasekar ).
Si dimostra analiticamente che il fatto che il limite di Chandrasekar sia un limite superiore per il formarsi di nane bianche è conseguenza del fatto che l’elio presente nella suddetta stella è schematizzabile
come un gas di fermioni, in quanto, la sua temperatura (∼ 107 K) è tale da rendere l’elio totalemnte
ionizzato.
Tutto questo, però, pone un problema: non ci troviamo nelle condizioni di basse temperature ed alte
densità. Il problema è superabile in quanto la densità è comunque alta, questo implica che la temperatura di Fermi, calcolata in questo caso è dell’ordine di TF = ²F /k ≈ 1011 K, e questo vuol dire che
è almeno quattro ordini di grandezza superiore alla temperatura reale del gas. Ciò implica che il gas
è altamente degenere e quindi il suo comportamento è pressochè identico ad un gas di Fermi allo zero
assoluto; dunque valgono tutte le considerazioni fatte in precedenza, compresa quella riguardante la
pressione.
Nelle condizioni suddette, quindi, si instaura un equilibrio tra la forza generata dalla pressione P0 associata al gas di Fermi allo zero assoluto e la mutua attrazione gravitazionale, descritta dalla seguente
formula:
Z R
GM 2
P0 4πr2 dr = −
(9.26)
R
∞
Differenziando, e sostituendo il valore di pressione ottenuto studiando l’elio come un gas di Fermi, si
ottiene il valore massimo di massa M che la pressione P0 riesce a contrastare. Ovviamente se M supera
questo valore la stella subisce un collasso gravitazionale eliminando ogni speranza di formazione di una
nana bianca.
9.4. CONDENSAZIONE DI BOSE - EINSTEIN
9.4
Condensazione di Bose - Einstein
49
50
9.5
CAPITOLO 9. MECCANICA STATISTICA QUANTISTICA
Spettro del corpo nero
Parte III
Appendice: argomenti di
complemento
51
Capitolo 10
Teoria delle perturbazioni
10.1
Introduzione
Come spesso accade in Fisica, non sempre si riesce a trovare una soluzione ad un fenomeno al quale
è stato associato un formalismo matematico rigoroso. Ciò impone lo sviluppo di metodi di approssimazione, i quali, sotto ipotesi più o meno stringenti, possano descrivere la solzuione del problema
trattato. La Teoria delle perturbazioni ne è un esempio. Esistono anche altri metodi matematici che
si basano su questo principio, ma che non verranno trattati in questa sede. In ogni caso l’intera teoria
si basa sulla possibilità di avere una hamiltoniana di questo tipo:
H = H0 + λH1
(10.1)
in cui si conoscono gli autovalori e le autofunzioni del singolo pezzo H0 . Tutta la teoria, innanzi tutto,
funziona se il termine λH1 è abbastanza piccolo rispetto al termine H0 .
Ovviamente è possibile sviluppare due tipi di teoria perturbativa: una in cui non compare la
dipendenza temporale, l’altra, invece, dipendente dal tempo. Cominceremo dalla prima citata.
10.2
Perturbazioni indipendenti dal tempo
Consideriamo l’hamiltoniana scritta in 10.1 di cui supponiamo di conoscere gli autovalori e le autofunzioni e siano, quindi:
H = H0 +λH1
H0 |n0 i = En0 |n0 i
con
(10.2)
Per chiarezza di notazione è necessario specificare che il pedice n indica i diversi autovalori e si è scelto
di indicare le autofunzioni φn ≡ |ni in modo da non appesantire la notazioni con troppe appendici,
mentre l’indice 0, 1, 2, ... indica l’ordine, in qunato la teoria perturbativa implica uno sviluppo in serie di
potenze di λ degli autovalori, ovvero, indicando con En i singoli autovalori di H e con |ni gli autostati
associati, possiamo scrivere che:
En
=
En0
+
λEn1
+λ
2
En2
+ ... =
∞
X
Enk λk
(10.3)
k=0
|ni
= |n0 i + λ|n1 i + λ2 |n2 i + ... =
∞
X
λk |nk i
(10.4)
k=0
A questo punto è necessario effettuare alcune osservazioni:
• non vengono fatte ipotesi sulla convergenza della serie, nel senso che gli sviluppi appena calcolati
non è detto che convergano;
• molto spesso la piccolezza del parametro λH1 non risiede in λ bensı̀ nel termine H1 ;
• è necessario distinguere l’analisi in due casi separati, in quanto, in via del tutto generale lo spettro
degli autovalori può essere non degenere o degenere.
Prorpio per via di questa ultima considerazione analizzeremo separatamente i due casi.
53
54
CAPITOLO 10. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI
10.2.1
Spettro non degenere
Se lo spettro è non degenere allora vuol dire che ad ogni autovalore En corrisponde una ed una sola
autofunzione |ni. Si procede sostituendo nella 10.1 gli sviluppi in serie precedenti, in modo da ottenere
che:
(H0 + λH1 ) |ni =
!
̰
X
λk |nk i
=
(H0 + λH1 )
k=0
¡
¢
(H0 + λH1 ) |n0 i + λ|n1 i + ...
En0 |ni
!
̰
!Ã ∞
X
X
Enk λk
λk |nk i
k=0
=
H0 |n0 i + H0 λ|n1 i + λH1 |n0 i + λ2 H1 |n1 i + .. =
(10.5)
k=0
¢¡
¡ 0
¢
En + λEn1 + ... |n0 i + λ|n1 i + ...
En0 |n0 i + En0 λ|n1 i + λEn1 |n0 i + λ2 En1 |n1 i + ..
Sviluppando i prodotti ed uguagliando i termini con i coefficienti in λk , a seconda dell’ordine k −esimo
di sviluppo si ottiene che:
Ordine k = 0
Ordine k = 1
Ordine k = 2
:
:
:
H0 |n0 i=E0n |n0 i
H0 |n1 i+H1 |n0 i = En0 |n1 i + En1 |n0 i
H0 |n2 i+H1 |n1 i = En0 |n2 i + En1 |n1 i + En2 |n0 i
(10.3)
Come sempre accade in Meccanica Quantistica, è utile, dal punto di vista del calcolo, fissare una
normalizzazione; in questo caso conviene fissare la normalizzazione imponendo che
¡
¢
hn0 |ni = 1 ⇒ hn0 | |n0 i + λ|n1 i + ... = 1
(10.4)
il che vuol dire che, essendo |n0 i autofunzione di H0 (dunque già normalizzata), sviluppando la
precedente relazione solo il primo prodotto scalare è non nullo, per cui:
hn0 |n0 i = 1
;
hn0 |n1 i = hn0 |n2 i = ... = 0
(10.5)
Lo scopo di questa trattazione è quello di trovare delle formule che approssimino il meglio possibile
gli autovalori dell’energia per un’hamiltoniana del tipo trattato. L’approssimazione migliora, ovviamente, all’aumentare dell’ordine di sviluppo. Qui di seguito procedermo nel trovare le divese formule
per gli autovalori all’ordine k = 0, k = 1 e k = 2.
Ordine k = 0: all’ordine zero, l’approssimazione è molto blanda, in quanto, come si può notare, H0 ,
di conseguenza gli autovalori corrisponderanno esattamente agli autovalori di H0 , per cui scriveremo
che:
En ≡ En0
(10.6)
per i quali si è supposto di conoscerli, per ipotesi.
Ordine k = 1: moltiplicando per il bra hn0 | lo sviluppo corrispondente si ottiene che:
hn0 |H0 |n1 i + hn0 |H1 |n0 i = hn0 |En0 |n1 i + hn0 En1 |n0 i
⇒
En1 =hn0 |H1 |n0 i
(10.7)
dunque all’ordine uno l’autovalore si approssima utilizzando la relazione appena ricavata, in cui
ricordiamo che H1 è la parte perturbativa dell’hamiltoniana (ossia un opertaore, una matrice).
Per ciò che rigurada l’autostato è possibile procedere come segue: posso, ad esempio, scegliere di
esprimere l’autostato |n1 i come combinaizone lineare degli altri autostati della matrice H0 , diversi
dall’autostato n − esimo e li indicherò con il pedice m, ovvero |m0 i 1 , si avrà quindi che:
|n1 i =
X
m6=n
|m0 ihm0 |n1 i =
X
cm |m0 i
(10.8)
m6=n
A questo punto applichiamo il bra hm0 | alla relazione all’ordine k = 1 ottenendo cosı̀ che:
hm0 |H0 |n1 i + hm0 |H1 |n0 i = hm0 |En0 |n1 i + hm0 |En1 |n0 i
1 L’indice
0 rimane in quanto essi sono sempre autostati dell’hamiltoniana H0 non perturbata!
(10.9)
10.2. PERTURBAZIONI INDIPENDENTI DAL TEMPO
55
bisogna notare che il termine hm0 |En1 |n0 i è nullo in quanto |m0 i e |n0 i sono ortogonali tra loro (essendo
autostati dell’operatore H0 , quindi formanti una base)2 , mentre per gli altri addendi si procede come
segue:
hm0 |H0 |n1 i + hm0 |H1 |n0 i
0
hm0 |Em
|n1 i + hm0 |H1 |n0 i
hm0 |H1 |n0 i
hm0 |H1 |n0 i
cm
= hm0 |En0 |n1 i
= hm0 |En0 |n1 i
0
= En0 hm0 |n1 i − Em
hm0 |n1 i
0
= cm (En0 − Em
)
0
0
hm |H1 |n i
=
0
En0 − Em
(10.6)
sostituendo il valore dei coefficienti nello sviluppo in serie di |n1 i ottengo l’autostato espresso nella
base degli autostati di H0 .
Riassumendo, all’ordine k = 1 le approssimazioni degli autovalori e degli autovettori sono le seguenti:
En1 = hn0 |H1 |n0 i
; |n1 i =
X hm0 |H1 |n0 i
|m0 i
0
En0 − Em
(10.7)
m6=n
Ordine k = 2: ripetiamo il procedimento precedente, moltiplicando per hn0 | la relazione relativa
all’ordine 2, ed ottengo cosı̀ che:
hn0 |H0 |n2 i + hn0 |H1 |n1 i
= hn0 |En0 |n2 i + hn0 |En1 |n1 i + hn0 |En2 |n0 i
(10.8)
Questa relazione può essere semplificata in quanto al termine hn0 |H0 |n2 i si può sostituire l’autovalore
corrispondente, cosicchè elide il termine hn0 |En0 |n2 i a secondo membro. Dunque il tutto si riduce alla:
hn0 |H1 |n1 i =
hn0 |En1 |n1 i + hn0 |En2 |n0 i
(10.9)
Se sostituisco l’approssimazione dell’autostato al primo ordine nella 10.2.1 ottengo che:
En2
=
=
=
=
hn0 |H1 |n1 i + hn0 |En1 |n1 i =


X hm0 |H1 |n0 i
|m0 i + En1 hn0 |n1 i =
hn0 |H1 
0
| {z }
En0 − Em
m6=n
0


X hm0 |H1 |n0 i

 hn0 |H1 |m0 i =
0
En0 − Em
m6=n


X hm0 |H1 |n0 i

 hm0 |H1 |0 i∗ =
0
En0 − Em
m6=n
En2
=
X |hm0 |H1 |n0 i|2
0
En0 − Em
(10.6)
m6=n
Scrivere hm0 |H1 |n0 i vuol dire scrivere l’elemento di matrice H1,mn , in cui la matrice è posta nella
base degli autostati di H0 (dunque essa non è diagonale in quanto gli stati citati sono autostati di H0
e non di H1 ).
10.2.2
Spettro degenere
Gli autovalori di un operatore hanno spettro degenre quando ad ogni autovalore è possibile associare
diversi autostati dell’operatore. Nel nostro caso si avrebbe che, continuando ad indicare con En gli n
autovalori dell’hamiltoniana totale, si ha che ad ognuno di questi n autovalori è possibile associare |ni i
2 Attenzione: se invece di un numero, come E 1 , ci fosse stato un operatore, ad esempio H il fattore in consider2
n
azione non sarebbe stato nullo, in quanto l’operatore in questione non si sarebbe potuto sostituire con il suo autovalore
corrispondente e quindi non si sarebbe potuto isolare il prodotto scalare!
56
CAPITOLO 10. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI
autostati con i = 1, 2, ...d. Il massimo valore d è detto grado di degenerazione dell’autovalore. Il fatto
che lo spettro degli autovalori sia degenre implica che, anche per gli autovalori di H0 sia presente la
degenrazione, e quindi, già all’ordine zero dello sviluppo si hanno più autofunzioni per l’autovalore En0
corrispondente, ovvero:
H0 |n0i i = En0 |n0i i con i = 1, 2, ...d
(10.7)
Dunque si pone un primo problema: nel caso di spettro non degenere si è proceduto allo sviluppo
in serie di potenze di λ sia dell’autovalore, sia dell’autostato corrispondente; per lo spettro degenre
lo sviluppo in serie dell’autovalore è ancora valido, ma quello dell’autofunzione non può essere valido
in quanto ora si hanno d autofunzioni per l’autovalore En : quale di esse sviluppare? Formalmente il
problema è il seguente:
En
=
En0
+
λEn1
+λ
2
En2
+ ... =
∞
X
Enk λk
k=0
|n1 i
|n2 i
.
.
.
|ni i
.
.
.
|nd i
= |n01 i + λ|n11 i + λ2 |n21 i + ... =
= |n02 i + λ|n12 i + λ2 |n22 i + ... =
∞
X
k=0
∞
X
λk |nk1 i
λk |nk2 i
k=0
= .
= .
= .
= |n0i i + λ|n1i i + λ2 |n2i i + ... =
∞
X
λk |nki i
k=0
= .
= .
= .
= |n0d i + λ|n1d i + λ2 |n2d i + ... =
∞
X
λk |nkd i
k=0
10.3
Perturbazioni dipendenti dal tempo
Nel caso di perturbazioni dipendneti dal tempo l’hamiltoniana di riferimento sarà la seguente:
H = H0 + λV (t)
(10.-3)
ed il problema, ora, è quello di soffermarsi sulle autofunzioni, in quanto gli autovalori dell’hamiltoniana
non dipendono dal tempo e dunque si utilizza la teoria delle perturbazioni indipendneti dal tempo,
per essi. Da un punto di vista squisitamente teorico sappiamo bene che la soluzione dell’equazione di
Schrodinger è data da:
X
i
∂ϕ
cn (t)ψn e− ~ En t
= H(t)ϕ(t) ⇒ ϕ(t) =
(10.-2)
i~
∂t
n
Possiamo procedere derivando rispetto al tempo la soluzione formale ed inserendola al primo membro
dell’eq.ne di S., ovvero si ha che:
µ
¶
µ
¶
i
i
∂ϕ X d
i
=
[cn (t)]ψn e− ~ En t + cn (t) − En ψn e− ~ En t
(10.-1)
∂t
dt
~
n
quindi, sostituendo il tutto nell’eq.ne di S., compresa, al secondo membro, la forma esplicita dell’hamiltoniana, si ha che:
¶
µ
¶
Xµ d
X
i
i
− ~i En t
− ~i En t
[cn (t)]ψn e
cn (t)ψn e− ~ En t (10.0)
i~
+ cn (t) − En ψn e
= (H0 + λV (t))
dt
~
n
n
10.3. PERTURBAZIONI DIPENDENTI DAL TEMPO
57
e svolgendo i conti ci si accorge che è possibile effettuare alune semplificazioni, infatti si ha che:
X d
X
i
i
[cn (t)]ψn e− ~ En t +
cn (t)En ψn e− ~ En t =
dt
n
n
X
X
i
i
=
cn (t)H0 ψn e− ~ En t + λV (t)
cn (t)ψn e− ~ En t
i~
n
(10.0)
n
e quindi il secondo termine al primo membro si può semplificare con il primo al secondo membro, dato
che En altro non sono che gli autovalori dell’operatore H0 , quindi, ne segue che:
i~
X d
X
i
i
[cn (t)]ψn e− ~ En t = λ
cn (t)V̂ (t)ψn e− ~ En t
dt
n
n
(10.1)
Sfruttando le proprietà di ortonormalità delle autofunzioni stazionarie ψn , è possibile rendere la precedente relazione indipendente dalle stesse, ovverosia è possibile moltiplicare entrambi i membri per ψn∗
ed integrare, in modo da ottenere che
i~
X
i
i
d
[cn (t)]e− ~ En t = λ
cn (t)Vm,n (t)e− ~ En t
dt
n
(10.2)
nella quale Vm,n (t) rappresenta l’elemento di matrice dell’operatore V̂ (t).
A questo punto, si tratta di risolvere l’equazione differenziale e lo si può fare ipotizzando una soluzione
data da una progressione geometrica in λ dei coefficienti cn , ovvero tale che i coefficineti risultino:
(1)
2 (2)
cn = c(0)
n + λcn + λ cn + ...
(10.3)
In pratica, cosı̀ facendo, si ottiene un sistema di equaizoni differenziali gerarchico, descritto, in
generale, dalla:
i~
X
i
d s
− ~i En t
[cn (t)]e− ~ En t =
cs−1
n (t)Vm,n (t)e
dt
n
(10.4)
il quale trova soluzione in maniera iterativa, nel senso che, noto il coefficiente di ordine zero dello
(0)
sviluppo, ossia cn , è possibile determinare tutti i successivi semplicemente integrando, volta per
volta; ad esempio, per calcolare il coefficiente di ordine 1 dello sviluppo basta operare come segue:
i(Em −En )
i
i
d 1
iX 0
iX 0
d
t
~
[cm (t)]e− ~ Em t = −
cn (t)Vm,n (t)e− ~ En t ⇒ [c1m (t)] = −
cn (t)Vm,n (t)e
(10.5)
dt
~ n
dt
~ n
ed integrare rispetto al tempo. Una volta trovato il coefficiente sfecificato, volendo trovare quello di
ordnie due, basta sostituire a secondo membro quello di ordine uno e ripetere il procedimento.
In generale, se indichiamo con I il valore del livello energetico di partenza, si può dimostrare che il
coefficinete di ordine zero è una delta di Dirac, ossia:
c(0)
m = δm,I
per cui il coefficiente di ordine uno si ricava eseguendo l’integrale
Z
d 1
i tm
[cm (t)] = −
Vm,I (t)ei(ωm,I )t dt
dt
~ tI
in cui si è imposto che ωm,n = (Em − En )/~ con n = I.
(10.6)
(10.7)
58
CAPITOLO 10. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI
Capitolo 11
Risonanza magnetica nucleare
−
→
Supponiamo di avere un elettrone immerso in un campo magnetico B 0 stazionario diretto lungo l’asse
−
→
−
→
−
→
z, il cui momento magnetico sarà dato da M = (ge~/2m) S = γ S , in questo caso l’hamiltoniana di
singola particella sarà, ovviamente:
−
→→
−
H = −M B 0 = −γB0 Sz ⇒ H = ω0 B0
con ω = −γB0
(11.1)
In generale, dalla teoria, sappiamo che gli autostati e gli autovalori dello spin, sono dati da:
Sz |+i =
~
|+i
2
(11.2)
~
Sz |−i = − |−i
2
(11.3)
dunque la funzione d’onda che descrive gli stati possibili del sistema, e la sua evoluzione temporale,
saranno scritte come:
ϕ
ϕ
|φi0 = cos(θ/2)e−i 2 |+i + sin(θ/2)ei 2 |−i
ϕ
|φit = cos(θ/2)e−i 2 e−i
ω0 ~
2 t
ϕ
|+i + sin(θ/2)ei 2 ei
ω0 ~
2 t
(11.4)
|−i
(11.5)
nella quale gli angoli θ e ϕ rappresentano l’angolo di inclinazione dello spin rispetto all’asse z (il quale
è costante durante il moto) e l’angolo di rotazione dello spin rispetto al piano xy. Se si calcola il valor
medio t hφ|Sz |φit esso risulta indipendnete dal tempo e pari a cos θ. Ciò dimostra che lo spin non
cambia orientazione rispetto all’asse z, bensı̀ precede rispetto a questo asse. Questa è l’interpretazione
quantistica della cosiddetta precessione di Larmor.
La Risonanza magnetica nucleare NMR (Nuclear Magnetic Risonance), si basa sul fatto che nelle
−
→
condizioni appena indicate, si aggiunge un secondo campo magnetico B 1 (t) dipendnete dal tempo,
complanare al piano xy e ruotante attorno all’asse z, che, a seconda della sua intensità, può portare
a far variare l’orientazione dello spin, ossia può rendere oscillante lo spin dell’elettrone, facendolo
oscillare tra lo stato |+i e |−i. Questo flippaggio di spin si tramuta, dal punto di vista energetico, in
un meccanismo di emissione - assorbimento di energia, al avariare del tempo, proprio perchè il sistema
passa da uno stato di massimo di energia (quando s = ~/2) ad uno stato di minimo di energia (quando
s = −~/2). Questo flippaggio si verifica, come si è detto, solo per un valore ben preciso del campo
→
−
magnetico ruotante B 1 , ossia quel valore per il quale la frequenza del campo magnetico ruotante ω
coincide con la frequenza di precessione dello spin ω0 : questa condizione è detta di risonanza. A
questo punto studiamo il fenomeno da un punto di vista quantitativo.
→
−
Intoduciamo un campo ruotante B 1 , complanare al piano xy che descrive, al variare del tempo, un
angolo attorno all’asse z pari a ωt; l’hamiltoniana del sistema si scrive nel modo seguente:
−
→−
→
→
− −
→
→
− −
→
−
→
H = −M B = −γ B · S = −γ S · ( B 0 + B 1 )
59
(11.6)
60
CAPITOLO 11. RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE
→
−
−
→
nella quale, essendo B 0 ≡ B0 e B 1 ≡ (B1 cos(ωt), B1 sin(ωt)), ne segue che l’hamiltoniana sarà:
H = −γB0 Sz − γB1 (Sx cos(ωt) + Sy sin(ωt)) = ω0 Sz + ω1 (Sx cos(ωt) + Sy sin(ωt))
la quale scritta in forma matriciale diventa:
µ
¶
µ
~
~
ω0
ω1 cos(ωt) − iω1 sin(ωt)
ω0
H(t) =
=
iωt
ω
cos(ωt)
+
iω
sin(ωt)
−ω
ω
2
2
1
1
0
1e
ω1 e−iωt
−ω0
(11.7)
¶
(11.8)
Da notare che nella matrice dell’hamiltoniana ci sono tutte le frequenze utili alla comprensione del
fenomeno:
−
→
• ω : frequenza di rotazione del campo magnetico variabile B 1 (t);
−
→
• ω0 = −µB gB0 : frequenza di precessione del campo magnetico fisso B 0 ;
−
→
• ω1 = −µB gB1 : frequenza di precessione del campo magnetico ruotante B 1 (t).
L’evoluzione temporale del fenomeno è ovviamente descritto dalla:
∂
i~ |φi = H(t)|φi con |φit = a+ (t)|+i + a− (t)|−i =
∂t
µ
a+ (t)
a− (t)
¶
(11.9)
ne segue che, sostituendo il tutto nell’evoluzione temporale dell’eq.ne di S. si ottiene facimente che:
µ
¶
µ
¶ µ
¶
~
ȧ+ (t)
ω0
ω1 e−iωt
a+ (t)
i~
=
·
(11.10)
ȧ− (t)
ω1 eiωt
−ω0
a− (t)
2
La relazione appena scritta rappresenta un sistema di equazioni differenziali accoppiate a coefficienti
non costanti, nella variabile dipendente t. Per poter risolvere agevolmente il sistema è opportuno
effettuare un cambio di variabili che renda il sistema a coefficienti costanti, e per farlo operiamo
imponendo che:
ω
b+ = ei 2 t a+ (t) ;
ω
b− = e−i 2 t a− (t)
(11.11)
Esplicitando rispetto ad a± , derivando rispetto al tempo e sostituendo nel sistema di eq.ni differenziali
precedenti, si giunge ad un secondo sistema di eq.ni differenziali cosı̀ riscritto:
½
ω1
iḃ+ (t) = − ∆ω
2 b+ (t) + 2 b− (t)
(11.12)
ω1
∆ω
iḃ− (t) = − 2 b+ (t) + 2 b− (t)
nella quale ∆ω = ω − ω0 . A questo punto, riscrivendo il sistema in forma matriciale e moltiplicando
ambo i membri per ~ ci si trova a dover risolvere un problema analogo al precedente, ma più semplice,
ovvero si ha che:
µ
¶
µ
¶ µ
¶
~
ḃ+ (t)
−∆ω ω1
b+ (t)
i~
=
·
(11.13)
ω1
∆ω
b− (t)
ḃ− (t)
2
il quale conforntato con la generica eq.ne di S. fornisce una nuova hamiltoniana per il problema:
µ
¶
~
−∆ω ω1
H̃ =
(11.14)
ω1
∆ω
2
la quale, diagonalizzata, fornisce la soluzione del sistema precedente. Saltando i calcoli tediosi, si può
giungere alle conclusioni del problema: una volta trovati gli autovalori e le autofunzioni associate al
sistema di equazioni differenziali, precedente, ci si accorge che la probabilità massima di inversione
dello spin (spin-flip) si ottiene quando ∆ω = ω − ω0 = 0, in alternativa (∆ω >> ω1 ) la probabilità
decresce esponenzialmente e il flippaggio non avviene.
In generale, per calcolare la probabilità, si procede nel modo seguente: nota l’espressione in funzione del
tempo di b± (t) allora si dice che, la probabilità di passare dallo stato up allo stato down (o viceversa) è
data dal modulo quadro del prodotto della funzione d’onda al tempo generico, per il bra down, ovvero:
ω
P+→− = |h−|φit |2 = |h−|a+ (t)|+i + h−|a− (t)|−i|2 = |a− (t)|2 = |b− (t)ei 2 t |2
(11.15)
Indice
I
Complementi di Meccanica Quantistica
3
1 Momento angolare
5
1.1 Momento angolare orbitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.2 Proprietà delle armoniche sferiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2 Spin
2.1 Esperimento di Stern - Gerlach . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Formulazione matematica per i fermioni (|s| = 1/2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Il momento magnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11
11
12
13
3 Sistemi di particelle identiche
15
3.1 Principio di indistinguibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
3.2 Funzione d’onda delle particelle identiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
4 Addizione dei momenti angolari
17
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
4.2 Formalismo matematico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
5 Il potenziale centrale
21
5.1 Particella sottoposta ad un campo centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
5.2 Potenziale di Coulomb: ricerca degli autovalori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
5.3 Analisi dei risultati ottenunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
6 Operatore densità
27
6.1 Insiemi puri e miscele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
6.2 Operatore densità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
II
Complementi di Meccanica Statistica
31
7 Richiami di termodinamica
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8 Meccanica Statistica Classica
8.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . .
8.2 Ipotesi ergotica e teoria degli ensamble . .
8.3 Insieme microcanonico e gas ideale . . . .
8.4 Insieme canonico e funzione di partizione
8.5 Insieme grancanonico e gran potenziale . .
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9 Meccanica Statistica Quantistica
9.1 Entropia . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.2 Gas quantistici . . . . . . . . . . . . . . .
9.2.1 Distribuzioni di Fermi - Dirac . . .
9.2.2 Distribuzioni di Bose - Einstein . .
9.3 Gas di Fermi allo zero assoluto . . . . . .
9.3.1 Le nane bianche e i gas di fermioni
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INDICE
9.4
9.5
III
Condensazione di Bose - Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
Spettro del corpo nero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
Appendice: argomenti di complemento
10 Teoria delle perturbazioni
10.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . .
10.2 Perturbazioni indipendenti dal tempo
10.2.1 Spettro non degenere . . . . .
10.2.2 Spettro degenere . . . . . . . .
10.3 Perturbazioni dipendenti dal tempo . .
11 Risonanza magnetica nucleare
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