IL DRAMMA DI ESSERE AL MONDO Prendendo in esame tre dei dialoghi delle “Operette morali”, “ Frammento apocrifo di Stratone di Lampsaco”, “Dialogo di Timandro e Eleandro” e “Dialogo di Tristano e un amico”, mi sono concentrata sul tema che accomuna tutti i dialoghi dell’intera opera, ovvero l’infelicità dell’uomo, mostrando come il pensiero di Leopardi lo accomuna al pensiero del filosofo tedesco Nietzsche riguardo alla condizione dolorosa della vita. LA FINITEZZA COME PRIMA CAUSA DEL DOLORE ESISTENZIALE Il “ Frammento apocrifo di Stratone di Lampsaco” appare come uno scritto filosofico che tratta di temi riguardanti l’origine e la fine del mondo. L’inizio e la fine sono elementi del tempo e l’azione svolta nel tempo prende il nome di storia. All’interno di questo arco di tempo l’uomo conduce la propria vita. L’operetta è servita come incipit al discorso cui voglio portare avanti, ossia la causa dell’infelicità che conduce l’uomo a vivere in una condizione dolorosa perenne. La vita dell’uomo avendo un inizio e una fine appare breve rispetto al mondo che continua a vivere da millenni; la percezione di questa finitezza è il primo sintomo di dolore che l’uomo prova nell’avvertire che egli nasce e poi è destinato a morire, cosa che Nietzsche chiama “ sentire storico”. Secondo Leopardi l’infelicità deriva dal momento in cui l’uomo ha scoperto la nullità: il processo del nulla che annienta tutte le cose è la radice della disperazione. Ma egli riesce a scorgere un barlume di felicità in questo mondo dominato dalla nullità: << io credo che nell’ordine naturale l’uomo possa anche in questo mondo essere felice, vivendo naturalmente come le bestie>>. Molto tempo dopo Nietzsche riprese questa considerazione nella seconda considerazione inattuale, intitolata “ Sull’utilità e il danno della storia per la vita” : << Osserva il gregge che pascola davanti a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi; salta intorno, mangia, digerisce, salta di nuovo, e così dal mattino alla sera e giorno dopo giorno, legato brevemente con il suo piacere e con il suo dispiacere, attaccato cioè al piolo dell'attimo e perciò né triste né annoiato... L'uomo chiese una volta all'animale: Perché mi guardi soltanto senza parlarmi della tua felicità? L'animale voleva rispondere e dire: ciò avviene perché dimentico subito quello che volevo dire – ma dimenticò subito anche questa risposta e tacque. Così l'uomo se ne meravigliò. Ma egli si meravigliò anche di se stesso, di non poter imparare a dimenticare e di essere sempre attaccato al passato: per quanto egli vada e per quanto velocemente, la catena lo accompagna. È un prodigio: l'attimo, in un lampo, è presente, in un lampo è passato, prima un niente, dopo un niente, ma tuttavia torna come fantasma e turba la pace di un istante successivo. Continuamente si stacca un foglio dal rotolo del tempo, cade, vola via – e improvvisamente rivola indietro, in grembo all'uomo. Allora l'uomo dice "Mi ricordo". Entrambi sanno che la conoscenza della cose del mondo non fa che produrre e aumentare la disperazione: l’unico modo per essere felici sarebbe vivere come le bestie. LA FILOSOFIA DOLOROSA, MA VERA Tristano ed Eleandro, protagonisti di due dialoghi delle “Operette morali” rappresentano la voce dell’autore, attraverso cui Leopardi esplica la sua filosofia dolorosa, ma vera: << nessuna cosa credo che sia più manifesta e palpabile che l’infelicità necessaria di tutti i viventi>> . ( “Dialogo di Timandro ed Eleandro”) Con toni sarcastici e ironici Leopardi critica i filosofi moderni che cercano di recare bene agli uomini con i libri che parlano della morale conforme all’utile. Timandro e l’amico, anch’essi protagonisti e controparte dei due dialoghi, rappresentano la voce del popolo, della massa conforme alle tendenze del momento; il termine tendenza sta ad indicare ciò che Leopardi chiama sarcasticamente “moda”, presentata nel “Dialogo della morte e della moda” come sorella della morte: << che l’una e l’altra tirano parimenti a disfare e a rimutare di continuo le cose quaggiù>>. L’infelicità non è il punto finale o d’arrivo della filosofia di Leopardi bensì il punto di partenza da cui costruire il sistema di pensiero. La concezione dolorosa della vita rientra in un piano sistematico, scandito da tre momenti: nel primo momento abbiamo la teoria del piacere, ovvero che l’uomo per natura desidera provare piaceri infiniti ed essere felici infinitamente; il secondo momento è dato dalla forza delle illusioni come antidoto al male di vivere, che sono elementi naturali dell’uomo e gli consentono di rendere sopportabile la vita; infine, abbiamo l’accettazione del dolore come elemento costitutivo della vita . Sia in “Dialogo di Timandro ed Eleandro” e sia in “Dialogo tra Tristano e un amico” si arriva alla dichiarazione che la vita è dolore: Eleandro supera la condizione dolorosa attraverso il “ridere alto” , ovvero ridere dei propri mali per superare l’angosci provocata dalla constatazione di essere infelici: << tengo pur fermo che ridere dei nostri mali sia l’unico profitto che se ne possa cavare e l’unico rimedio che vi si trovi>>. Anche Democrito ammetteva che se è tutto davvero una danza di atomi nel vuoto allora ogni vicenda umana deve rinunciare alla sua pretesa di senso e risibili debbono apparire le preoccupazioni e le cure che gli uomini che non sanno adeguare le proprie passioni e ciò che la ragione del mondo insegna. Mentre Eraclito è detto il filosofo che piange perché non riesce a distogliere lo sguardo dalla caducità degli eventi e nel tempo che travolge tutte le cose avverte la tragicità della vita. Ridere è un atto di forza, una presa di coscienza della comune condizione dolorosa ed è per questo che Eleandro e Tristano ridono di fronte all’inganno cui vanno incontro coloro che si affidano alle dicerie dei filosofi moderni che mostrano come la perfezione intellettuale possa essere il rimedio dei mali. Tristano si fa portavoce della filosofia dolorosa, ma vera : << la quale se non è utile ad altro, procura agli uomini forti la fiera compiacenza di vedere strappato ogni manto alla coperta e misteriosa crudeltà del destino umano>>. Per Tristano e per Eleandro la condizione dolorosa esclude la speranza che su questa terra si possa essere felici, poiché la speranza di un futuro felice sta nella morte: si desidera la morte per non provare il sentimento di noia che ci fa sentire morti ma pur continuando a vivere. Questo elemento di unione può rappresentare l’elemento di congiunzione dell’intera opera: colui che ama la vita non accetta di viverla passivamente e apaticamente.