Dialogo di Tristano e di un amico L`operetta fu scritta nel 1832 e

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Dialogo di Tristano e di un amico
L’operetta fu scritta nel 1832 e pubblicata nell’edizione del 1834, si colloca nella parte
conclusiva delle Operette Morali. Queste sono prose di argomento filosofico che hanno
come modello l’autore greco Luciano di Samosata e composte da Leopardi dopo il suo
ritorno da Roma.
L’operetta è di impostazione dialogica, di cui gli interlocutori sono Tristano, che rimanda
alla figura dell’eroe del romanzo medievale bretone e viene visto come la proiezione dello
scrittore stesso, e un suo amico.
L’opera si apre con una discussione, introdotta dall’amico di Tristano, sulle Operette Morali
dell’edizione del 1827 in cui Tristano, quindi Leopardi, ha una visione molto malinconica
della vita. L’autore, con ironia, rinnega le sue concezioni pessimistiche della vita umana e
adotta invece quelle ottimistiche. Tristano sostiene che le sue visioni infelici della vita non
siano state accettate dagli uomini poiché questi credevano che tale concezione negativa
fosse scaturita dalle sue vicende personali e che non riguardassero tutto il genere umano.
Attraverso una similitudine Leopardi mette a confronto questi ultimi, che vogliono credere
che la vita sia felice, con i mariti che si illudono che le mogli restino fedeli a loro per tutta la
vita. Da questa osservazione l’autore conclude che gli uomini non credono mai nel vero,
ma in quello che invece ritengono più opportuno. Leopardi integra la sua teoria con un
pensiero già espresso nello Zibaldone: “il genere umano non crederà mai né di non saper
nulla ,né di non essere nulla, né di non aver nulla a sperare.” Inizia poi la sua polemica,
sempre intrisa di ironia, nei confronti del secolo decimonono scegliendo come bersaglio la
decadenza dei moderni rispetto agli antichi, non solo morale e intellettuale, ma anche
fisica, infatti sostiene che “ L’effetto è che a paragone degli antichi noi siamo poco più che
bambini, e che gli antichi a confronto nostro si può dire più che mai che furono uomini”.
Successivamente il suo discorso si incentra sull’abbassamento generale del livello di
cultura e sulla mediocrità che dominava nella sua epoca sostenendo ironicamente che
mentre nel passato (“cencinquant’anni”) c’erano solo pochi uomini dotati di cultura eccelsa,
nell’età contemporanea a Leopardi questo tipo di conoscenza era divisa fra molti e che
quindi l’abbondanza di dotti compensava la rarità degli intellettuali antichi. Tristano in
seguito sostiene la superiorità del secolo a lui contemporaneo rispetto a quelli passati
portando avanti la teoria secondo la quale ogni secolo si afferma migliore di quelli
precedenti, abbracciando inoltre la filosofia dei giornali che pervadono i lettori di facili
ottimismi; così l’amico ne deduce che anche lui è diventato uno di loro (cioè parte di coloro
che si illudono di condurre una vita felice). La conversione del protagonista alla visione
ottimistica portata avanti dall’amico viene evidenziata dal fatto che Leopardi è persino
disposto a bruciare la sua opera oppure a conservarla soltanto come “un libro di sogni
poetici, d’invenzioni e di capricci malinconici, ovvero come un’espressione dell’infelicità
dell’autore”. L’autore passa poi ad affermare che, nonostante la sua infelicità, non sarà mai
sottomesso da essa e che non piegherà il capo al destino come fanno gli altri uomini. È qui
che possiamo vedere il Leopardi caratterizzato da atteggiamenti eroici e agonistici e da una
lotta titanica. Nella parte conclusiva Leopardi abbandona la polemica e l’ironia e chiude
un’invocazione alla morte, che considera come qualcosa di positivo e che lo porterà
finalmente alla tanto desiderata serenità; l’autore dice infatti “Oggi non invidio più né stolti
né savi, né grandi né piccoli, né deboli né potenti. Invidio i morti, e solamente con loro mi
cambierei.”
L’opera di Leopardi è pervaso dall’ironia utilizzata soprattutto per sferzare i costumi, le idee
correnti e gli stereotipi mentali della sua stessa epoca, poiché finge ironicamente di
ritrattare le sue concezioni pessimistiche. Troviamo, come in tutti i suoi altri lavori, il suo
pensiero pessimistico, che in questo caso coincide con quello storico. Secondo l’autore c’è
una netta distinzione tra antichi e moderni e rispettivamente tra bambini e adulti. Questo
pensiero rimanda all’immaginazione, altro elemento fondamentale del pensiero leopardiano
poiché le allusioni rendevano la vita più attiva.
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