MEDICINA PALLIATIVA Clinica e ricerca Non è la terapia per la fine, ma è parte della cura Le cure palliative, complice un nome che le relega alle fasi terminali della malattia, sono oggi sempre più parte integrante della cura fin dagli inizi del percorso. In tal modo rendono le terapie più sopportabili e permettono ai clinici di agire con maggiore incisività anche nei casi più gravi a cura di DANIELA OVADIA e cure palliative sono vittime di un pregiudizio che danneggia in primo luogo i pazienti: non sono infatti per le fasi terminali della vita ma sempre più accompagnano la terapia di tutti i malati di cancro per renderla più sopportabile e per consentire ai medici di agire con più forza contro la malattia. Così affermano diverse società scientifiche internazionali, dal National Institute of Clinical Excellence (NICE, che con- L Farmaci per il dolore consentono maggiore incisività trolla la qualità delle cure per conto del Sistema sanitario britannico) all’ASCO, che raggruppa gli oncologi clinici statunitensi. È di questa opinione anche Adriana Turriziani, presidente della Società italiana di cure palliative, che riunisce gli specialisti del settore. “Nel 2010 è stata promulgata in Italia una legge molto innovativa, la 38, voluta anche dalle associazioni di pazienti, che prevede un’incremento dei centri di terapia palliativa e del dolore e un progressivo affiancamento del palliativologo agli altri medici durante tutte le fasi di cura di malattie come il cancro. È ora di far uscire le cure palliative dall’ombra della morte: non sono le cure dei malati terminali, anche se possono aiutare le fasi finali dell’esistenza delle persone, ma sono le cure che rendono sopportabili le altre terapie e la malattia stessa”. 24 | FONDAMENTALE | GIUGNO 2012 UN NOME DA CAMBIARE Il problema, affermano gli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), sta tutto nel nome: palliativo è un aggettivo che definisce ciò che si fa in assenza di una vera soluzione. Lo diciamo anche nel linguaggio corrente: “Non è la soluzione, è solo un palliativo”. E mentre molti esperti preferiscono usare altre espressioni, come “terapie di supporto”, l’OMS ha cercato di ampliarne la definizione: “È una cura palliativa qualsiasi approccio che migliori la qualità della vita dei pazienti o dei loro familiari di fronte a malattie potenzialmente pericolose per la vita”. Ancora una volta, anche l’OMS non centra il bersaglio, poiché oggi le terapie palliative si usano in molte malattie dolorose ma che non mettono necessariamente a rischio l’esistenza della persona. “Il medico specializzato in cure palliative fa invece parte del gruppo che tratta il paziente già nella fase acuta della malattia, contribuisce alla definizione dei sui bisogni, compresi quelli psicologici e spirituali” afferma Stein Kaasa, responsabile della Cancer Clinic dell’ospedale di Trondheim, in Norvegia, sulle pagine della rivista Cancer World. Kaasa, che è anche consulente dell’OMS per la ridefinizione delle linee guida in materia, è convinto dell’utilità di queste terapie fin dalle fasi più precoci. “Oggi, anche quando non si può parlare di guarigione de- Il termine palliazione dà un’impressione sbagliata In questo articolo: medicina palliativa terapia del dolore finitiva, si possono curare i pazienti dando loro una speranza di vita anche di anni. Si tratta di persone che vivranno una condizione di malato cronico nella quale il ricorso alle terapie di supporto è vitale per consentire la sopravvivenza stessa e talvolta la somministrazione di alcuni trattamenti” continua l’esperto norvegese. PIÙ RICERCA SULL’EFFICACIA Gli sforzi della comunità scientifica sono quindi rivolti verso l’integrazione dell’oncologia con la medicina palliativa. Le competenze del medico palliativologo possono infatti aiutare i clinici a prendere decisioni in alcune situazioni complesse, come per esempio la malattia avanzata. Sono i palliativologi, infatti, i massimi esperti nella valutazione della prognosi di una malattia metastatica. Sono inoltre gli unici a poter affrontare con armi davvero efficaci due sintomi indotti sia dalla malattia stessa sia dalle terapie, ovvero il dolore da cancro e la cachessia, cioè la perdita progressiva di massa muscolare e di forze legata ai cambiamenti metabolici. “Negli ultimi anni è migliorata anche la qualità della ricerca in medicina palliativa” spiega Adriana Turriziani. “Ora gruppi sempre più numerosi pubblicano studi comparativi tra diversi trattamenti in alcune situazioni delicate e forniscono dati a supporto di un loro intervento già nella PREVENIRE LA STANCHEZZA UNA RICERCA DA PALLIATIVOLOGO a cachessia, ovvero la perdita di massa muscolare accompagnata a grande stanchezza, è in genere un sintomo associato alle forme terminali di cancro. Ora uno studio condotto da Stein Kaasa e collaboratori e recepito dalle ultime linee guida europee in materia di cure palliative, dimostra che questo non è vero. Molti malati ne soffrono già durante le fasi iniziali. Si tratta di una situazione complessa da gestire, in cui si mescolano gli effetti della malattia sul metabolismo e quelli dei farmaci usati per la cura. L’infiammazione e lo spostamento dei processi metabolici verso il catabolismo (cioè la distruzione dei tessuti invece che la costruzione degli stessi) può essere contrastata se il medico palliativologo viene fatto intervenire fin dagli esordi del disturbo. Le armi per combatterla? Essenzialmente farmaci antinfiammatori e programmi nutrizionali speciali. L fase di cura iniziale”. Il cancro non è ovviamente l’unico ambito di intervento della medicina palliativa, ma è certamente uno dei principali. A riprova di ciò, la Comunità europea ha messo in piedi una linea di finanziamento alla ricerca dedicata proprio alla medicina palliativa nel cancro, che ha portato in anni recenti alla messa a punto di linee guida europee per la gestione combinata della cachessia e della depressione nel paziente oncologico. Si tratta di un risultato importante, che dimostra la validità dell’approccio integrato tipico della medicina palliativa, che considera corpo e psiche un tutt’uno e che riconosce anche l’importanza delle reciproche influenze. La depressione del malato oncologico può avere anche delle motivazioni biologiche, legate a fattori metabolici, mentre un corpo stanco e che non risponde è a sua volta una buona ragione per sentirsi depressi. Curare un aspetto tralasciando l’altro è quindi limitativo e non sortisce i risultati attesi. MENO RICOVERI, MENO FARMACI “Diversi studi, tra cui uno uscito alcuni anni fa sulla rivista The Lancet, hanno dimostrato che i malati di cancro trattati sia dall’oncologo clinico sia dal palliativologo hanno bisogno di meno ricoveri” spiega Kaasa. Vi sono poi dati che dovrebbero fare riflettere, come uno studio pubblicato nel 2010 sul New England Journal of Medicine che ha coinvolto alcuni malati con forme avanzate di cancro polmonare. Lo studio dimostra che chi è stato assistito solo con l’aiuto di cure palliative ha vissuto più a lungo di chi è stato trattato con chirurgia o chemioterapia e ha mostrato meno sintomi di depressione. In sostanza, le cure che dovrebbero intervenire quando non c’è altro da fare si dimostrano invece utili a prolungare la vita e a calibrare alcuni eccessi terapeutici, evitando il ricorso a terapie o interventi inutili grazie alla possibilità che offrono di condurre una vita serena e priva di sofferenza. A volte gli antidolorifici prolungano la vita