1414 LA RIVISTA DELLA SCUOLA INSERTO SPECIALE Anno XXXI, 1-31 dicembre 2009, n.4 Il concetto di educazione Parte Seconda (segue dal precedente numero 3) 1. La definizione di educazione sociale La sociologia dell’educazione studia in prospettiva sociologica una delle più importanti istituzioni sociali. Sebbene il suo progresso si sia giovato dello sviluppo dei concetti sociologici e dei risultati della ricerca sociologica, tale disciplina è rimasta per molti anni estranea al campo vero e proprio della sociologia, poiché concepita inizialmente come una parte dello studio sull’educazione. Il punto di vista assunto da Mannheim non è quindi quello pedagogico, ma quello sociologico, di conseguenza il Nostro considera ogni classe di eventi educativi in relazione ad altri eventi sociologicamente interpretati. Per quasi tutto il XIX secolo le interpretazioni dei processi formativi più condivise erano quelle di Spencer, Kant e Mill, i quali sostenevano la teoria di un’educazione ideale valida per tutti in qualsiasi epoca. Emile Durkheim rifiutò tale posizione sostenendo un’assoluta dipendenza del sistema formativo dalla società. Il sociologo francese nei suoi scritti ha cercato di mettere in luce il relativismo delle forme di educazione, le quali variano nel tempo e da società a società. Egli vede l’educazione come fatto sociale, poiché essa presenta i caratteri distintivi dell’azione coercitiva e dell’esteriorità ed è funzionale all’intera società cui l’individuo è subordinato. “Ogni società, considerata ad un dato momento del suo sviluppo, ha un sistema di educazione che si impone agli individui con una forza generalmente irresistibile. É illusorio credere che noi possiamo allevare i nostri figli come vogliamo”. Durkheim per dare forza alle sue affermazioni specifica come elementi costitutivi dell’educazione morale lo spirito di disciplina, in quanto “Sembra che l’uomo naturale sia desiderio illimitato e pertanto se vuole vivere in società ha bisogno di una certa disciplina esteriore che regoli e limiti i suoi desideri”, l’attaccamento ai gruppi sociali, in quanto “L’attaccamento al gruppo è sempre la società come cosa buona e desiderabile, come un fine che attira, come un ideale da ottenere”, ed infine l’autonomia della volontà consistente nella piena consapevolezza del modo di comportarsi. Una delle più autorevoli definizioni del concetto di educazione è proprio quella di Durkheim:“L’educazione è l’azione esercitata dalle generazioni adulte su quelle che non sono ancora mature per la vita sociale. Essa ha come scopo quello di suscitare e sviluppare nel bambino un certo numero di stati fisici, intellettuali e morali che sono a lui richiesti sia dalla società politica nel suo insieme, sia dall’ambiente particolare al quale è specificatamente destinato”. Mannheim nel tentativo di dare una definizione di educazione sostiene: “L’etimologia comunemente accettata del termine è quella latina, da educere, trarre fuori, che designa l’allevamento fisico e lo sviluppo delle qualità mentali del bambino. È una parola dal significato così vasto che a volte è inevitabilmente vaga”. Ottaway in “Educazione e società” afferma che “Dal punto di vista dell’educazione la distinzione tra comunità e società è importante, perché i fanciulli sono membri della comunità, ma non possono dirsi membri della società, finché non siano consapevoli del modo in cui la loro società è organizzata e dei loro diritti e doveri nella società stessa come veri cittadini. I fanciulli sono membri potenziali della società, ed è uno dei compiti dell’educazione prepararli alla piena partecipazione. Durante il processo educativo che li prepara alla vita sociale, essi fanno parte della comunità non sociale”. Dilthey indica con la parola Educazione quell’attività programmata degli adulti per formare la mente dei giovani, mentre Adams si spinge oltre affermando che l’educatore, attraverso un processo conscio e deliberato, agisce per plasmare e modificare lo sviluppo dell’altro. Questi due autori hanno in comune il fatto che entrambi vedono nell’educazione l’influenza dell’individuo sull’individuo dove una generazione, quella più vecchia, desidera fornire idee, attitudini e conoscenze a quella più giovane. Mentre Adams però considera solo la modificazione del carattere dell’individuo, Mannheim vede nella definizione di J. S. Mill l’accezione più ampia di educazione, in quanto quest’ultimo sostiene che “Qualsiasi cosa noi facciamo per noi e qualcosa venga fatta da altri per noi con il fine esplicito di portarci un po’ più vicini alla perfezione della natura (l’educazione), fa di più: nella sua accezione più vasta comprende perfino gli effetti indiretti prodotti sul carattere e sulle facoltà umane da cose i cui scopi immediati sono differenti, da sistemi di governo, dalle arti industriali, da forme di vita sociale, non solo, perfino da fenomeni fisici indipendenti dalla volontà umana, dal clima, dalla natura del suolo e dall’ubicazione geografica”. I confini tra individualismo di ANTONIO FUNDARÒ Dare una definizione di educazione tuttavia non è una cosa semplice, ed è necessario, per dirla con Mannheim “Distinguere fra gli aspetti formali e organizzati dell’educazione (quelli che troviamo nelle scuole) e il concetto più esteso e più generalizzato di educazione sociale che nasce dall’influsso della società…”. Ottaway, in merito a ciò, afferma che “L’attività dell’educazione consiste parzialmente in un insieme di tecniche pratiche per l’istruzione che viene impartita nelle scuole inferiori e superiori, e in ogni istituto fondato in vista di quella che chiamiamo l’educazione convenzionale. Ma dal nostro punto di vista non possiamo restringere il termine educazione a questa limitata accezione e farne l’equivalente della scolarità, ovvero dell’insegnamento di un certo gruppo di materie”. Anche per quest’autore l’educazione è essenzialmente sociale, nel senso che il fanciullo non può crescere separatamente dal gruppo sociale ed il suo sviluppo va visto nel rapporto d’interazione che vi è tra lui e la società: “La società è piena di educatori, i quali tutti intervengono deliberatamente e consapevolmente nel processo educativo, sia nel senso più lato del pieno sviluppo della personalità,come in quello più ristretto dell’istruzione. Anche gli adulti, non meno dei giovani, sono soggetti ad analoghe influenze educative”. L’educazione quindi va intesa come unità inscindibile, infatti Mannheim nell’affrontare tale argomento asserisce che “Sembra che uno dei mutamenti più importanti nel campo educativo sia il passaggio graduale dal concetto dell’educazione come un compartimento a sé stante, quale prevaleva nell’età del laissez-faire, al concetto dell’educazione come un tutto”. Egli spiega inoltre anche questo passaggio, sostenendo che l’educazione non può non essere messa in relazione con gli altri fattori sociali, sostenendo che “Non possiamo più considerare l’educazione suddivisa in compartimenti stagni, perché abbiamo a che fare con la scuola nella società e con la scuola e la società”, ed ancora: “L’educazione era un compartimento perché la scuola ed il mondo erano divenuti due categorie non complementari ma piuttosto opposte l’una all’altra… D’ora in poi scopo della scuola non è soltanto d’impartire una conoscenza già pronta, ma darci la possibilità di imparare con più efficacia dalla vita stessa”. Mannheim spiega che, nel passato, le scuole avevano una funzione che si poneva esattamente in antitesi con quella che è la funzione della scuola moderna. Le scuole erano piuttosto resistenti al mutamento sociale, avevano più che altro la funzione di un “Adattamento imitativo a una società stabilita”, in quanto non veniva loro richiesto di gravarsi di quelle funzioni educative che venivano svolte dalla famiglia, dal vicinato e dalla comunità. Oggi quest’assetto sociale è scomparso, e usando le parole di Mannheim “Noi non possiamo né intimare un alt ai mutamenti sociali che dovranno essere affrontati dai nostri figli né separare con un muro le scuole dal resto del mondo. Nemmeno il più conservatore si aspetta che i suoi figli vivano in un mondo quale egli lo ha conosciuto. Egli è obbligato a scegliere l’educazione al mutamento e non l’adattamento imitativo, un’educazione basata sul presupposto che suo figlio dovrà far fronte alle nuove sfide del futuro. Ancor di più, la scuola può essere considerata non solo l’introduzione in una società già dinamica, ma un agente di mutamento sociale. Ciò rende più stretto, a sua volta, il suo legame con gli altri compartimenti della vita”. “Sir Fredrick Clarke parla di società educante e con questo termine esprime in primo luogo l’influsso educativo esercitato da una società, in secondo luogo l’educazione che si può acquisire facendone parte, in terzo luogo l’educazione che è in rapporto con una società. Siccome apparteniamo a gruppi sociali differenziati veniamo educati, a vantaggio della collettività di cui siamo membri, dai moduli e dai concetti che vi prevalgono”. L’educazione quindi intesa non più come adattamento imitativo, ma come qualcosa che è al servizio dell’intero sistema sociale e della vita adulta. Le istituzioni secondo il Nostro sono modelli stabiliti di comportamento di individui in reciproche relazioni. Esse quindi “Richiedono un addestramento a un comportamento istituzionale”. Secondo l’autore, non vi può essere scuola senza l’addestramento ad un comportamento scolastico e ai valori che stanno alla base della vita scolastica. Le valutazioni non sono fini a se stesse ma servono per guidare il comportamento umano nelle concrete situazioni sociali, in quanto ogni azione fa parte di un insieme di attività sociali che dipendono dalla società la quale coordina il comportamento umano,“É É una verità sociologica semplice ma importantissima che un’unità di comportamento non è un atto isolato ma una fase del sistema sociale”. Mannheim critica l’atteggiamento assunto dai fautori del laissez-faire e quello antitetico proprio degli assolutisti; i primi consideravano come miglior politica, non solo per quanto riguarda il campo educativo ma anche negli altri, quella di lasciare che l’individuo si adattasse liberamente senza alcun’interferenza. Gli assolutisti, dal canto loro, hanno interpretato in malo modo il concetto di coordinazione del comportamento e quello di condizionamento, storpiandoli nell’indottrinamento e nell’accettazione forzata di modelli rigidi di comportamento. La critica che il nostro sociologo muove ai primi è che essi non afferrano che l’uomo “É il prodotto degli organismi tradizionali formatori del comportamento, come la famiglia, la comunità locale, la scuola, la chiesa…”, mentre per quanto riguarda i secondi è facile obiettare che coordinamento delle attività non vuol dire irreggimentazione. Mannheim riconosce come le istituzioni primarie, la tradizione e il costume che una volta coordinavano e integravano la formazione della personalità hanno perso il loro valore diventando sempre più deboli; è in questa situazione che le scienze sociali portano alla luce il problema del coordinamento delle istituzioni sociali ed in merito a ciò l’autore asserisce che “Finché operavano il costume e la tradizione non c’era bisogno della scienza sociale. La scienza della società emerse quando e dove il funzionamento automatico della società cessò di procurare l’adattamento. Divennero allora necessari l’analisi consapevole della situazione e il consapevole coordinamento dei processi sociali”. La scienza sociale ha lo scopo di fornire una conoscenza di base per l’educazione sociale, in quanto “L’educazione sociale non cerca di creare un animale sociale gregario, ma anela a creare una personalità equilibrata secondo lo spirito della democrazia reale”. 2. Educazione ed individualismo Nel XVIII secolo vige ancora la contrapposizione netta tra “natura” e sistema sociale esistente, dove l’educazione conforme alla natura fornisce la meta e il metodo dell’istruzione e della disciplina. I fautori dell’individualismo conoscevano i mali sociali del loro tempo ed attribuivano quest’ultimi alle limitazioni imposte alla libertà degli uomini; essi nel culto della natura esprimevano la necessità di un’emancipazione dell’uomo dalle restrizioni esterne poste a favore esclusivo della classe. “La fede incrollabile nella natura come modello e potere funzionante fu rafforzata dai progressi della scienza naturale. Le ricerche, liberate dal pregiudizio e dalle restrizioni artificiali della Chiesa e dello Stato, avevano rivelato che l’universo è un dispiegarsi di leggi…. La legge naturale otterrebbe lo stesso risultato nelle relazioni umane, se gli uomini si volessero soltanto liberare dalle restrizioni artificiali imposte dall’uomo. Un’educazione conforme alla natura era considerata un primo passo verso questa società più sociale”. Dewey nell’intento di esplicare l’ideale individualistico del XVIII secolo afferma che “La dottrina dell’estremo individualismo non era che la contropartita e il rovescio degli ideali della perfettibilità indefinita dell’uomo e di una organizzazione sociale estesa a tutta l’umanità. L’individuo emancipato doveva diventare l’organo e l’agente di una società vasta e progressiva”.Vi era la convinzione che la mente fosse originariamente vuota e passiva ed in questo modo si dava spazio per poter esaltare le potenzialità dell’educazione così da affermare l’inesistenza di limiti da porle di modo che “Avrebbe infallibilmente prodotto menti colme di verità”. Importantissimo nel XVIII secolo fu il pensiero di Rousseau, il quale nell’Emilio sviluppa il concetto di educazione naturale. Codignola, riguardo a Rousseau ed alla sua opera, asserisce che “Educazione naturale nell’Emilio, è l’educazione che si conforma al processo normale dello spirito, che lo favorisce e lo potenzia, che giunge a suo tempo: innaturale è l’intervento prematuro o comunque fuori luogo, che viola il supremo diritto dell’educando, il diritto alla libertà della sua formazione”. Codignola nel tentativo di definire la pedagogia del Rousseau sostiene che “Rousseau, coe- rente al principio informatore di tutta la sua pedagogia, celebra nelle passioni i principali strumenti della nostra conservazione e mostra l’assurdità di ogni pretesa ascetica di comprimerle o sradicarle”. L’autore mette in risalto come in Rousseau sia essenziale non contaminare l’autonomia dello svolgimento spirituale del bambino; il compito dell’educatore deve essere quello di aiutare il bimbo solo quando le sue forze sono insufficienti e “In tal modo si genera spontaneamente nell’animo di Emilio, in tutta la ricchezza delle sue determinazioni concrete, quella società ch’egli contrappone all’individuo nelle prime pagine del suo capolavoro, e la coscienza dell’umanità si integra e culmina nella coscienza di Dio”. Nel corso del XX secolo vi sono altre teorie, le quali sostengono che l’individuo sia il perno di tutta la nostra pianificazione sociale e che senza il suo ausilio la società “Sarebbe una questione di organizzazione automatica”. Molto importante al riguardo è il pensiero di Nunn, il quale vede nello scopo dell’educazione quello di rafforzare l’individualità dell’uomo. Nunn nell’opera “Fattori e principi dell’educazione” sostiene che: “Dobbiamo ritenere che un piano pedagogico sia da apprezzare, in ultima analisi, dal modo con cui riesce a promuovere in coloro a cui esso si applichi il maggior grado di eccellenza individuale di cui essi siano capaci... Sosterremo ad oltranza la tesi che niente di buono entra nel mondo umano se non in quanto è contenuto e mediato dalle libere attività di individui, e che la pratica pedagogica dev’esser foggiata per armonizzarsi con quella verità”. L’autore è d’accordo sul fatto che l’uomo è in un qualche modo condizionato dall’ambiente sociale che lo circonda, ma nella sua visione l’individuo è il tutto e la società è solo un derivato, una somma di individui:“É una trita osservazione che l’uomo è animale sociale e che l’istinto gregale il quale lo rende tale, è la fonte di ogni civiltà e di ogni umano valore…. È abbastanza chiaro che un uomo diventa quel che diventa in conseguenza delle sue reazioni all’ambiente sociale, per l’influenza che su di lui esercitano i rapporti con genitori e fratelli, amici e nemici. È facile, inoltre, riconoscere la profonda influenza che ha sulla formazione e sulla struttura del pensiero individuale il retaggio sociale, tutto l’insieme di tradizioni e di istituzioni di un popolo. Non consegue che una comunità abbia una mente universale; le sole menti che di fatto esistono son quelle dei singoli cittadini”. Mannheim, da parte sua, critica l’individualismo e lo fa proprio riferendosi alle argomentazioni sostenute da Nunn, giacché afferma che egli nella sua trattazione si riferisce all’individuo senza però riconoscere l’importanza di tutto ciò che lo circonda, di tutte quelle implicazioni sociali che vanno a condizionare l’uomo ed il suo pensiero. Clarke, replica anch’egli a Nunn, ravvisando in quest’ultimo una certa cecità sociale e sostenendo che egli non presenta la consapevolezza del fatto che le potenzialità degli individui sono limitate e determinate dalla società in cui essi vivono. 3. Educazione e collettivismo In opposizione all’individualismo si pone il concetto caratteristico del marxismo, secondo cui il fine dell’educazione è di aiutare tutti a trovare il proprio posto e l’inerente compimento nel processo storico. Secondo Mannheim per costoro “L’educazione non è altro che un metodo mediante il quale la collettività addestra una nuova generazione preparandola a svolgere determinate funzioni, in particolare quelle di cittadini. L’orizzonte delle probabilità relative a ciascun individuo è trascurato”. Suchodolski nella prefazione di “Fondamenti di pedagogia marxista” afferma che “La funzione sociale dell’educazione non può più essere considerata - in modo utopistico e astrattocome la formazione di un uomo nuovo che dovrebbe costruire un nuovo sistema sociale. Da un punto di vista rigorosamente scientifico la sua funzione è invece di dare agli uomini una formazione che corrisponda alle esigenze ed ai compiti della società socialista che vive e si sviluppa”. Nel libro sopra citato notiamo come Marx ed Engels oltre a gettare le basi per una pedagogia socialista portino avanti una critica dell’educazione borghese, un’educazione avente carattere classista. Engels, in particolare, opera un’analisi generale della funzione che ha avuto