Anno XXXI, 1-30 novembre 2009, n.3 LA RIVISTA DELLA SCUOLA 17 della conoscenza e ordine democratico Il significato del termine cambia con Marx, il quale intendeva con esso un insieme di affermazioni usate dalla borghesia per difendere i propri interessi, una sorta di falsa coscienza che si mostra come coscienza assoluta. L’ideologia per Marx è un pensiero strumentale del quale la classe al potere fa uso per promuovere i propri interessi come il bene generale per l’intera umanità. Secondo Morra per il marxismo “L’ideologia non è pensiero espressivo (che dice qualcosa), ma pensiero strumentale (che dice in un certo modo solo per ottenere un certo risultato interessato): il modo migliore per far prevalere gli interessi di una classe sociale, è di presentarli come il bene generale dell’intera umanità (ad esempio il concetto borghese di libertà o quello proletario di eguaglianza). L’ideologia è una verità falsificata, una menzogna, una cattiva fede in buona fede, dato che il suo meccanismo genetico è inconsapevole. L’ideologia viene assorbita dalla classe (o ceto) di appartenenza così come il bambino assorbe il latte materno”. Questo nuovo concetto di ideologia viene poi assunto dalla sociologia della conoscenza la quale lo estenderà anche al marxismo, in quanto anch’esso ideologico. Izzo nota come Mannheim, pur trattando di analisi ideologia in termini molto generici, si serve del termine ideologia anche in un senso più limitato. “In questo senso più limitato ideologia è il pensiero socialmente condizionato di quei gruppi che, trovandosi nella struttura sociale in una posizione di predominio economico e politico, non avvertono alcuna esigenza di trascenderla e sono incapaci di cogliere nella realtà esistente quegli elementi che possono condurre a una sua trasformazione”. Passo fondamentale da compiere ora è quello di specificare cosa intende Mannheim con il termine “ideologia”; vi sono due concezioni importanti che egli sviluppa nel libro già citato: la concezione particolare e la concezione totale dell’ideologia.“Si ha una concezione particolare dell’ideologia quando con essa si intende rappresentare uno stato di dubbio o di scetticismo sulle idee avanzate dal nostro avversario”. Questo tipo di ideologia si realizza sotto forma di asserzioni false consapevoli o semi coscienti, anche sotto forma di auto illusioni o inganni causati da un interesse particolare. La concezione particolare dell’ideologia quindi porta ad accusare l’avversario di cosciente falsità e ciò allude ad un piano psicologico e personale. Il concetto totale di ideologia opera invece su di un piano noologico, in quanto alludiamo non solo al contenuto, ma anche alla forma ed alla struttura concettuale di tale pensiero come prodotto della situazione vitale del pensatore, quindi Mannheim ritiene che vi è correlazione tra una certa situazione sociale e una determinata opinione. Possiamo notare allora che mentre la concezione particolare opera come, abbiamo detto, su di un piano individuale questo tipo di concezione si riferisce ad un concreto gruppo storicosociale. Mannheim vede nello sviluppo della filosofia della conoscenza il primo passo importante per un passaggio dalla particolare alla totale concezione dell’ideologia. “Dopo che l’unità ontologica del mondo, tipica dell’oggettivismo cristiano e medievale, andò perduta… si può ben dire che il mondo, come tale, esiste solo in relazione al pensiero conoscente e che l’attività del soggetto determina le forme in cui esso appare. Ciò costituisce di fatto la stessa concezione totale dell’ideologia in embrione”. Il secondo momento importante nel passaggio dalla concezione particolare a quella totale dell’ideologia sta nel considerare quest’ultima all’interno di una prospettiva storica e non in una prospettiva sovratemporale. In questo senso il contributo di Hegel e della Scuola storica fu fondamentale, in quanto sostenevano che il mondo è comprensibile solo se riferito al soggetto conoscente ed inteso come un’unità che viene concepita in un processo di continua trasformazione storica e che tende sempre a stabilire il suo equilibrio su piani sempre più elevati. L’ultimo passo, quello decisivo, si ha “Quando la classe prende il posto del popolo o della nazione, quale detentrice della conoscenza storicamente dinamica, la stessa tradizione si trovò ad accogliere il fatto che la struttura di una società e le sue corrispondenti forme intellettuali mutano col mutare delle relazioni tra le classi sociali”. Adesso quindi l’esigenza non è più quella di smascherare il pensiero dell’avver- sario operando solo su di un piano psicologico, ma è quella di sottoporre l’intera struttura del suo pensiero ad un’analisi sociologica; Mannheim continua nella sua trattazione asserendo che “La forma generale della concezione totale dell’ideologia è raggiunta dal ricercatore quando egli ha il coraggio di sottomettere non solo il punto di vista dell’avversario, ma quello di ciascuno, il suo compreso, all’analisi ideologica”. Qui il Nostro opera un’altra distinzione oltre a quella già analizzata tra concezione particolare e totale, vale a dire quella tra “Speciale e generale”: mentre, come abbiamo visto, la prima differenziazione tende a distinguere se siano da imputare all’ideologia o le singole idee isolate o l’intera coscienza, nella seconda si fa riferimento al problema di sapere se è da riconoscere come socialmente determinato il pensiero di tutti i gruppi, nostro compreso, o solo quello dei nostri avversari. Quando il concetto totale di ideologia giunge alla sua formazione generale, secondo Mannheim avviene il passaggio dalla teoria dell’ideologia alla sociologia della conoscenza. Izzo nell’introduzione a “Ideologia e utopia” sostiene che Mannheim riconosce che Marx sia giunto per primo alla definizione della concezione totale dell’ideologia,“Ma si è servito della sua scoperta per smascherare gli interessi di classe che sottostanno all’interpretazione del mondo propria della borghesia che egli combatteva. Alla sociologia della conoscenza si giunge invece solo quando ci si serve di questa scoperta non più come arma politica, ma come strumento di analisi sociologica, avendo il coraggio di sottoporre tutti i punti di vista, compreso il proprio, e non solo quello degli avversari, all’analisi ideologica”. 3. Relativismo e relazionismo Dopo aver determinato il passaggio dalla teoria dell’ideologia alla sociologia della conoscenza l’ideologia acquista un nuovo significato dal quale, secondo Mannheim, nascono due modi differenti di far fronte all’indagine sociologica. Con il primo ci si limita a indicare l’interrelazione che vi è tra un determinato punto di vista e una certa posizione sociale; con il secondo si tenta di abbinare il precedente tipo di ricerca con un determinato principio epistemologico. Mentre il primo tipo di indagine sociologica è da scartare qualsivoglia affrontare un’indagine valutativa, in quanto l’osservatore spiegando le certezze degli altri tenderebbe a far apparire le proprie come assolute, secondo il Nostro, nel secondo caso viene a sorgere un problema che ammette due soluzioni: relativismo e relazionismo.“Il relativismo è un prodotto del moderno indirizzo storicosociologico, secondo cui tutti i sistemi di pensiero dipendono dalla concreta posizione umana del singolo pensatore. Il relativismo accorda questo tipo di analisi storicosociologica con un’antica teoria del conoscere che ancora non era riuscita a scorgere i nessi esistenti tra le condizioni esistenziali e le forme del pensiero… Questa vecchia teoria era indotta a rifiutare tutte quelle forme di conoscenza che dipendevano da una posizione soggettiva e dallo stato sociale del pensatore”. Il problema del relativismo sarà una costante preoccupazione di Mannheim in quanto ogni conoscenza appare socialmente relativa, di conseguenza non si potrà mai accertare la validità assoluta di un’affermazione. Quindi il relativismo, presupponendo l’impossibilità di una conoscenza valida in assoluto, conduce alla negazione di qualsiasi verità. “Una moderna teoria del conoscere, che sia consapevole del carattere relazionale e non relativo del sapere storico, deve partire dal presupposto che ci sono sfere di pensiero in cui non si possono concepire delle verità assolute e indipendenti dalla posizione del soggetto e dal contesto sociale… Relazionismo vuol dire semplicemente che tutti gli elementi di una data cultura si richiamano reciprocamente e derivano il proprio significato da questa interrelazione. Un tale sistema di significati è possibile e valido solo in un determinato periodo storico, al quale, per un certo tempo, fornisce un’espressione appropriata”. Il nostro mondo è fatto di significati storicamente determinati e non assoluti, ed è da questo giudizio che si arriva al relazionismo secondo Mannheim; bisogna adottare come criterio d’indagine “La relazione del sapere parziale e dei suoi elementi costitutivi con il più largo ordine di significati e, infine, con la struttura della realtà storica”. Il relazionismo si regge sulla constatazione che un’idea ed il suo contesto storico-sociale sono inevitabilmente relate, ossia una determinata idea, o rappresentazione del mondo, è valida non in assoluto ma in relazione al suo contesto storico-sociale. In riferimento a questo concetto l’autore riporta anche un esempio: “Quando il ragazzo campagnolo inurbato giudica rustiche talune opinioni politiche, filosofiche o sociali proprie dei suoi parenti, egli non discute più queste opinioni come un membro omogeneo, né ha a che fare direttamente con lo specifico contenuto di cui si parla. Piuttosto egli lo riferisce ad un certo modo d’interpretare il mondo che, a sua volta, viene riportato ad una certa struttura sociale che costituisce la sua situazione. Questo è un esempio di procedimento relazionale”. Per Mannheim ogni verità storica è in relazione, ed è condizionata socialmente e territorialmente. Guarnieri a proposito del relazionismo in Mannheim sostiene che “La prospettiva relazionale della sua sociologia permetteva la possibilità di un’integrazione dei punti di vista complementari e l’estensione di una base comune di conoscenza proponendo precise indicazioni sui metodi d’indagine. Mannheim propose diversi momenti della ricerca. All’inizio dell’indagine si trattava di costruire un sistema ideale completo del mondo. La seconda tappa consisteva nel verificare la conformità tra il sistema ideale costruito e l’effettivo pensiero dei conservatori, o dei liberali. Dopo questi momenti, era possibile analizzare il condizionamento sociale, accertando la relazione fra il pensiero, conservatore o liberale, e lo stato sociale dei gruppi che ne erano portatori. Il vero lavoro della sociologia della conoscenza concerne proprio quest’aspetto della relazione o del condizionamento. Il sociologo della conoscenza deve accertare quali produzioni mentali siano condizionate esistenzialmente, in secondo luogo deve indagare sulle relazioni e sulle loro modalità, poiché ci sono relazioni funzionali, interattive, causali e così via”. Santucci afferma che il relativismo che potrebbe sorgere da un atteggiamento utopico è sorpassato da Mannheim attraverso una prospettiva relazionistica, mentre Morra e Stark non sono dello stesso parere ed entrambe non accettano la distinzione operata da Mannheim; Morra sostiene che il relazionismo in Mannheim si converte nell’affermazione che una sola verità è assoluta. Stark invece, in “Sociologia della Conoscenza”, riconosce il relazionismo del sociologo ungherese, ma solo nell’ambito dello storicismo. Dal canto suo Mannheim, una volta sostenuto che il giudizio non valutativo dato alla storia conduce al relazionismo, afferma che siamo costretti a prendere una posizione di giudici, sostenendo che “Il passaggio ad un punto di vista valutativo si è reso in primo luogo necessario per il fatto che la storia resterebbe di per sé inesplicabile, se alcuni dei suoi aspetti non fossero posti in risalto contro altri. Questa selezione di certi aspetti della realtà storica e il rilievo che viene loro concesso possono essere considerati il primo passo verso una ricerca di carattere valutativo e ontologico”. Il Nostro quindi afferma che vi è un passaggio graduale, nel processo dialettico della storia, che porta dalla concezione generale e totale dell’ideologia alla concezione valutativa, tenendo sempre presente che i valori non si presentano come assoluti, ma appartengono ad un dato periodo, ed essi come le norme in generale sono socialmente e storicamente determinati. Guarnieri a tal proposito osserva come “Mannheim cercò di stabilire una nuova mediazione dinamica fra l’elemento storico e quello razionale, per arrivare ad una sintesi superiore. A questo punto, il sapere doveva trasformarsi in valutativo e precettivo”. Ed è qui che secondo il sociologo ungherese sorge il pericolo della falsa coscienza, che consiste oggi “Nel fatto che essa impedisce la comprensione di una realtà, la quale è sempre il prodotto di una costante riorganizzazione dei processi mentali che costituiscono il nostro mondo”. 4. Mannheim e la sociologia della conoscenza Mannheim nell’opera “Ideologia e utopia” dà una propria definizione della Wissensoziologie sostenendo che “La sociologia della conoscenza è una delle branche più recenti della sociologia: come teoria essa cerca di analizzare la relazione fra la conoscenza e l’esistenza; come ricerca storico-sociologica, essa si sforza di rintracciare le forme che tale rapporto ha assunto nello sviluppo intellettuale dell’umanità”. Nel prosieguo della sua trattazione il Nostro propone di riporre il termine “Ideologia” per sostituirlo con il termine “Prospettiva” di un determinato studioso. Questo perché la sociologia della conoscenza, una volta operato il superamento della teoria dell’ideologia, è rivolta a risolvere la questione del condizionamento sociale del pensiero; non le forme di pensiero false più o meno consapevoli, ma la parzialità della conoscenza, indipendente da una cosciente intenzione, costituisce l’oggetto specifico di tale disciplina. “La sociologia del sapere non critica il pensiero sulla base delle singole asserzioni che possono ammettere errori o falsità, bensì le esamina su di un piano strutturale e noologico, il quale non si presenta per nulla uguale in tutti gli uomini ma è tale che la medesima realtà viene ad assumere diverse forme ed aspetti nel corso dello sviluppo sociale”. Per il Nostro occorre un procedimento relazionale in quanto tutti i fenomeni intellettuali vanno osservati in relazione alla struttura in cui nascono e nella quale vengono considerati validi. Osservare mediante una visione strutturale significa spiegare le cose non come fatti isolati, ma come facenti parte di una più ampia struttura. La sociologia della conoscenza di Mannheim è sia una teoria che un metodo storico-sociologico di ricerca. Come teoria essa può prendere due forme: la prima è di un’indagine dell’analisi strutturale dei modi in cui le relazioni sociali influenzano nella realtà il pensiero; in secondo luogo essa si può trasformare in una ricerca epistemologica sul peso che questo rapporto ha per il problema della validità. In quanto metodo storico-sociologico empirico, Guarnieri afferma che “La relativizzazione del pensiero operata dallo storicismo, la radicalità della lotta politica ed economica che travagliava allora la Germania, spinsero Mannheim a riconoscere nella sociologia della conoscenza uno strumento importantissimo di indagine storica e sociale”. Kecskemeti nell’introduzione alla “Sociologia della Conoscenza” afferma che l’intento di Mannheim non è di manifestare l’inevitabilità del relativismo, ma palesare la possibilità di una chiara e genuina conoscenza dei fenomeni storico-sociali. Bartolomei, riguardo alla sociologia della conoscenza del sociologo ungherese, nell’introduzione all’opera “Libertà potere e pianificazione democratica”, afferma che “Mannheim può essere considerato, per molti versi, come un pioniere non solo e non tanto della sociologia della conoscenza, quanto piuttosto della filosofia della pianificazione. Del resto, i due temi si legano e si collegano come la parte e il tutto. Non v’è infatti salto, frattura, inspiegabile mutamento di rotta tra l’interesse e il lavoro dell’uomo che cerca di portare alla luce il condizionamento esistenziale (sociale) della conoscenza e l’uomo che lavora all’invenzione di una società in cui la predeterminazione consapevole e il controllo razionale dello sviluppo abbiano sempre maggiore parte, specialmente in quegli ambiti essenziali in cui la spontaneità si carica inevitabilmente di segno negativo”. Come abbiamo già detto Mannheim aveva lo scopo di utilizzare la sociologia della conoscenza come strumento per guarire i mali della società del suo tempo, per preservarla da guerre e dittature, e Bartolomei nel prosieguo della sua Introduzione lo conferma: “Si ricordi la distinzione mannheimiana di razionalità funzionale e razionalità sostanziale: da un lato, il perfetto funzionamento delle parti del meccanismo, indipendentemente dai fini che esso obiettivamente persegue e dal costo umano del suo funzionamento; dall’altro, l’adeguazione del funzionamento della società ai valori esigenziali che la società civile esprime nei vari momenti e ai vari livelli del suo sviluppo. Tra l’una e l’altra sta, come discriminante, una scelta di valori alla quale né il politico né il sociologo possono sottrarsi. Una scelta di valori che diviene un problema di pianificazione. Di pianificazione che, in quanto tale (al pari dello sviluppo), non può che essere globale”. A. Fundarò L’abbonamento alla Rivista offre il vantaggio di ricevere al proprio domicilio tutti i fascicoli pubblicati nel corso dell’anno scolastico e di assicurarsi la continuità di un servizio di informazione e di aggiornamento professionale