Nuove prospettive nella terapia della sepsi

Nuove prospettive nella terapia della sepsi. Quale ruolo della
ossigenoterapia iperbarica?
G. Vezzani, L. Caberti, L. Cantadori, M. Mordacci, N. Nicolopoulou, A. Pizzola, G. Povesi
ASL Parma, Presidio Ospedaliero di Vaio (Fidenza Pr).
U.O. di Anestesia, Rianimazione, Terapia Iperbarica e Terapia Antalgica.
Negli ultimi quaranta anni i fallimenti nella terapia antinfiammatoria della sepsi sono stati
numerosi: basta citare la terapia anti TNF e la terapia anti LPS. Causa più frequente di
questi fallimenti, veri cimiteri per le ditte farmaceutiche, è l’assunto errato che i dati
sperimentali ricavati da animali, in specifico da ratti o da topi, possano essere applicati
alle sepsi della specie umana senza tener conto non solo delle enormi differenze
genetiche, ma del semplice dato clinico che la sepsi ben difficilmente viene valutata,
soprattutto dal rianimatore, all’inizio delle sue manifestazioni cliniche, per cui e.g., le
terapie anti TNF o anti LPS in clinica, sono sostanzialmente sempre tardive. Inoltre una
valutazione retrospettiva (1) dei lavori che impiegano antinfiammatori nella sepsi,
documenta la mancanza di omogeneità nei soggetti arruolati negli studi, quindi con
capacità di risposta immunitaria molto diverse.
Altro dato importante è
che la risposta proinfiammatoria conseguente alla sepsi o al
trauma può di per sé provocare danno d’organo, ma è altrettanto documentato che la
stessa risposta è in grado di bloccare una eventuale invasione di microrganismi (2). Non
solo, ma un’eventuale terapia antinfiammatoria può incrementare addirittura la mortalità
del gruppo trattato: si veda il lavoro clinico dove viene valutato l’effetto degli anticorpi anti
Lo studio Protein C World Wide Evaluation in Severe Sepsis (PROWESS) ha
documentato la efficacia della proteina C attivata ricombinante (Drotrecogin) nelle sepsi
gravi e nello shock settico, e nel novembre 2001 ne è stato approvato l’uso clinico.
Senza entrare nel merito del meccanismo d’azione della APC, è noto come la trombina,
dopo che si è legata alla trombomodulina sulla superficie dell’endotelio, attiva la proteina
C plasmatica che, assieme al suo cofattore proteina S, agisce come inibitore dei fattori Va
e VIIIa, esercitando dunque un’azione anticoagulante. Ma APC possiede anche proprietà
-1 e IL-6 nei monociti e riducendo la
adesività fra neutrofili e endotelio (4).
Proprio quest’ultimo aspetto deve indurre ad una riflessione. Infatti il meccanismo di
inibizione della adesività dei neutrofili sulla cellula endoteliale si basa, fra l’altro, su
un’azione indiretta della APC sulle E-Selectine, mediante la produzione di un carboidrato
derivato dalla APC, una polilactosamina, molto più potente del ligando naturale, l’antigene
sialilato Lewis-X, che non è comunque l’unico ligando (5). In questo meccanismo d’azione
si inserisce l’attività antinfiammatoria dell’ossigeno iperbarico, almeno per quanto riguarda
la adesività legata alle E-Selectine. Infatti è nota (6) l’attività dell’ossigeno iperbarico sulle
E-Selectine, per cui è ipotizzabile un meccanismo di potenziamento della APC da parte
della OTI.
Ma vi sono nuove strategie terapeutiche antinfiammatorie molto interessanti per le quali è
da valutare un eventuale meccanismo sinergico con l’OTI.
Inibizione dell’apoptosi
Molti mediatori proinfiammatori prodotti durante sepsi sperimentali si sono dimostrati
essere induttori di apoptosi, sia della apoptosi rapida tipica dei linfociti o di quella ritardata
più caratteristica dei neutrofili.
Oltre alla regolazione genetica esiste una famiglia di proteine denominate genericamente
caspasi che sostengono un ruolo fondamentale nella apoptosi. Le caspasi sono divise in
tre gruppi:
a) attivatori delle citochine
b) iniziatori della apoptosi
c) effettori della apoptosi
La sindrome da risposta infiammatoria sistemica, gli ormoni glucocorticoidi, le specie
radicaliche dell’ossigeno, componenti la membrana batterica, concorrono a indurre e
mantenere l’apoptosi.
Al momento non vi sono studi che documentano una qualche interazione fra l’azione
antinfiammatoria della OTI e l’induzione o il mantenimento della apoptosi.
High-Mobility-Group B-1 protein (HMGB-1)
HMGB-1 agisce come mediatore tardivo (almeno 18 ore) dopo l’induzione di uno stato
settico con LPS (7). HMGB-1, soprattutto di produzione macrofagica, si lega ai RAGE
(receptor for advanced glication end products) della membrana endoteliale, facilitando
l’attivazione del fattore trascrizionale NF-kB e MAPK e inducendo la sintesi di mediatori
proinfiammatori.
Sulla membrana delle cellule endoteliali produce la comparsa di molecole della adesività
(8) e in specifico ICAM-1, VCAM-1 e E-Selectine (9).
L’azione sulla adesività leucociti/endotelio, la comparsa tardiva, il ruolo centrale nel
mantenimento della risposta infiammatoria ne fanno un bersaglio ideale quale oggetto di
studio nel rapporto con la OTI.
Inibizione della migrazione macrofagica (MIF)
MIF fu originariamente descritto come una citochina dei linfociti T, successivamente si
vide che era prodotto anche da cellule della adenoipofisi, da leucociti eosinofili, da cellule
tubulari renali, da cellule epiteliali polmonari e anche dai macrofagi.
MIF è in grado di indurre la sintesi di molte citochine proinfiammatorie dai macrofagi.
Pazienti settici hanno elevati livelli serici di MIF (10) che si correlano con una cattiva
prognosi.
Non sono noti dati relativi al rapporto MIF e OTI, ma indubbiamente è un oggetto di
ricerca interessante e promettente.
C5a e C5a recettore (C5aR)
Molti stimoli possono attivare le diverse vie del complemento: LPS, immunocomplessi etc.
La frazione C5a possiede numerosi effetti proinfiammatori: risposta chemotattica dei
neutrofili (11), produzione di anione superossido da neutrofili, (12) incremento della
permeabilità vascolare (13). Il blocco di C5a con anticorpi nei ratti, all’inizio della sepsi,
incrementa fortemente la sopravvivenza (14). Dati simili si possono ottenere con il blocco
del recettore C5aR mediante anticorpi (15). Nelle sepsi in umani (16) si è documentato un
rapporto fra gravità della sepsi, mortalità e livello plasmatico di C5a, che, in aggiunta, si è
dimostrato in grado di sopprimere il respiratory burst dei neutrofili. Il beneficio potenziale
del blocco C5a/C5aR sembra certo. Mancano studi di conferma su grandi numeri di
pazienti, né sono disponibili studi sui rapporti fra OTI e C5a/C5aR.
Conclusione
Al momento solo la introduzione nella terapia della sepsi grave e dello shock settico della
Drotrecogin, ha portato ad un effettivo miglioramento della sopravvivenza. Tuttavia, a
parte il costo, le limitazioni nell’impiego sono notevoli (soprattutto pericolo di
sanguinamento).
Visti i meccanismi d’azione, l’impiego della OTI, quale strategia terapeutica aggiuntiva
antinfiammatoria nelle sepsi sperimentali, ha indubbiamente un suo razionale quando si fa
uso di Drotrecogin e di inibitori di HMGB-1 protein.
Quest’ultima ricerca è in corso fra il nostro gruppo e altri gruppi dell’Istituto di Medicina
Sperimentale della facoltà di Medicina dell’Università di Parma e del centro di ricerca S.
Raffaele di Milano.
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