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Avviso ai naviganti n.1
Milano, 14 giugno 2010
L’opaca e precaria verità dei mercati
L’apologo della rana e dello scorpione
Di norma, le conseguenze di una crisi di un sistema finanziario locale si fanno sentire per un
periodo piuttosto lungo, compreso tra i 5 e i 10 anni; frequentemente all’ insolvenza, anche
solo paventata, del sistema bancario segue la crisi od il default del debito statale. Oggi il
problema è globale, non locale, almeno nel blocco dei paesi avanzati, con poche eccezioni. I
Governi stanno traghettando la finanza verso la salvezza ma, a metà del guado, rischiano di
essere affossati dai “bond vigilantes” delle banche d’investimento, proprio per l’eccessivo peso
del debito che si portano in spalla.
L’insostenibile livello del debito.
Da un insostenibile livello di debito, di norma, si esce con o con una consistente perdita del
valore reale della moneta (inflazione) o con una crescita sostenuta, che permetta di ripagare in
modo accelerato interessi e quote del debito, ovvero con il default del debitore e la rovina dei
creditori. La strada che sta imboccando l’Eurogruppo, guidato dalla Germania, è quella della
“deflazione”, lunga, dolorosa e soprattutto pericolosa, perché non è detto che il mix di politiche
fiscali molto restrittive e monetarie relativamente espansive permetta nel tempo di ridurre il
peso reale del debito su un PIL che cresce poco o punto. E’ la strada che ha seguito il
Giappone, con i risultati che si sono visti. A differenza del paese del Sol Levante, però,
l’Eurozona è un’unione monetaria e di libero scambio tra 16 stati ciascuno dei quali si finanzia
con il proprio debito sovrano, la valutazione del quale è in balia dell’imperscrutabile umore dei
mercati internazionali. L’impensabile diventa possibile: torna prepotentemente sulla scena
il rischio default per il debito sovrano; è necessaria una migliore diversificazione degli
investimenti obbligazionari rispetto al passato.
Sostenibilità della crescita economica nei paesi sviluppati.
L’economia globale, mai come oggi negli ultimi quarant’anni, è caratterizzata da ampie
divergenze nei tassi di crescita e da considerevoli differenze nella solidità e sostenibilità delle
finanze pubbliche dei singoli paesi. In Europa, più che negli Stati Uniti, aumenta il rischio che,
ai problemi strutturali di tipo demografico ed economico, si sommino i danni di politiche fiscali
molto restrittive, finalizzate a ridurre il peso del debito. La crescita in Europa rimarrà
effimera!
Guai ai vinti.
Una dieta a “pane e cicoria” aspetta i paesi periferici dell’Eurozona per un periodo di tempo
che si annuncia insostenibilmente lungo . Questo è l’inevitabile prezzo che la Germania ha
chiesto, e imporrà con i fatti, in cambio del salvataggio dell’Unione Monetaria. Infatti, lungi
dal caricarsi sulle spalle la zavorra degli altri partners europei, la Merkel ha imposto una
manovra di 80 mld. di euro in 4 anni con l’obiettivo di riportare il rapporto deficit/PIL allo
0,35%. Ma c’è di più e di peggio: una blindatura costituzionale, e quindi strutturale, che
abolisce, di fatto, a partire dal 2016, il deficit spending (sia pure con qualche ovvio caveat
tecnico). Questo percorso di rigore fa impallidire le manovre messe in atto fino ad oggi dai
periferici dell’eurozona e costituisce, di fatto, un’asticella quasi insuperabile sul fronte di una
perversa competizione sul terreno del rigore fiscale. Diversificare gli investimenti fuori
dall’Eurozona e dalle società esposte alla domanda interna dell’Eurozona.
Euro: “The long and winding road”
La riduzione del valore dell’euro, lungi dal rappresentare una iattura, come paventato da molti,
è forse l’unica via di fuga per ridurre gli effetti negativi sulla crescita di politiche fiscali sempre
più restrittive. Certo, il ridimensionamento non deve assumere le sembianze del crollo per
evitare che la speculazione continui a sentire il sapore del sangue. La sopravvivenza dell’Euro
non è a rischio immediato, ma un esito infausto non può più far parte degli eventi impossibili.
Sfruttare il possibile rimbalzo a breve dell’Euro per migliorare la diversificazione
valutaria!
Liquidità & volatilità
La liquidità internazionale rimarrà molto abbondante, ma ne arriverà poca verso il sistema
produttivo dei paesi sviluppati. Per ora ristagna all’interno del sistema finanziario e, in
quell’ambito, rimane estremamente evanescente: un aumento dell’avversione al rischio la fa
velocemente sparire ed innesta avvitamenti a catena sui mercati finanziari, portando la
correlazione di tutti gli asset finanziari verso la parità. In un sistema finanziario dominato,
ormai, da non più di una decina di grossi operatori, che controllano anche le posizioni dei
maggiori hedge funds, domina la volatilità. Sono necessarie strategie di gestione finanziaria
flessibili ed eclettiche.
Banche europee in cura dimagrante
Il modello di sistema finanziario che si è imposto negli ultimi vent’anni, secondo alcuni, non
funziona più; secondo altri, gira fin troppo velocemente, ma solo per le tasche dei managers.
Comunque sia, la riforma del sistema bancario globale, fortemente osteggiata dalle lobby
finanziarie, è considerata da tutti un’assoluta priorità. Incombe l’obbligo di migliorare qualità e
quantità del capitale bancario - con le ovvie conseguenze per gli azionisti - e di ridurre il moral
hazard che caratterizza ancora oggi il sistema. Un ovvio “rischio” per le banche è
rappresentato dall’inevitabile necessità di regolarle di piû (che non vuol dire
necessariamente meglio). La redditività normalizzata del sistema bancario europeo
rimarrà molto bassa a lungo!
Mission impossible per i policy makers?
Le sfide che devono affrontare i policy makers, sono senza precedenti. Purtroppo mentre si
moltiplicano le richieste di un maggior coordinamento internazionale, in parallelo si gonfiano i
furori localistici e prevalgono gli interessi nazionali, in particolare in Europa. Il caso
emblematico, anche se pienamente giustificabile, è quello della Germania, che ha ormai
assunto il ruolo del battitore libero. Un terreno particolarmente scivoloso è quello della riforma
della finanza globale, con il carico d’incertezza derivante dalle possibili reazioni dei mercati ad
interventi sulla regolamentazione e fiscalità del sistema, la cui portata oggi non è prevedibile.
Aumenta il rischio di conflittualità sociale e di rinascita delle spinte localistiche.
“Siamo in parete” (Tremonti docet): cosa portiamo nello zaino
I “velociraptor” della finanza
Il moderno sistema finanziario è stato paragonato ad un ecosistema darwiniano altamente
instabile nel quale sopravvivono solo le specie più attrezzate. Le grandi banche commerciali, i
fondi pensione, i gestori di fondi comuni tradizionali sono paragonabili, per lentezza di
movimento, ai dinosauri. Il mercato finanziario è dominato da pochissime banche
d’investimento e dai maggiori Hedge Funds, loro clienti. Queste entità sono paragonabili ai
“velociraptor” vissuti nel cretaceo 90 milioni di anni fa. Gli odierni velociraptor della finanza
sono istituzioni che riescono, prima degli altri a cogliere tendenze di fondo macrofinanziarie e,
attraverso lo strumento della leva finanziaria amplificano la massa d’urto sui mercati di un
multiplo anche superiore alle 20-50 volte degli asset effettivamente gestiti. Assumono così una
capacità d’impatto nettamente superiore a quella dei pachidermici, dormienti, fondi pensione.
Questa forza d’urto può diventare autodistruttiva generando il caos finanziario quando alimenta
repentini mutamenti di aspettative macroeconomiche non giustificate dai fondamentali (ad
esempio il prezzo del petrolio a 140 USD a luglio del 2008…) e quando genera conseguenze
incontrollabili che costringono progressivamente tutti gli operatori a chiudere le posizioni di
rischio (ricordate Topolino apprendista stregone nel film Fantasia di Walt Disney?). Per
districarsi tra aspettative sempre più controverse, trend sempre più estremi e ribaltati da
un giorno all’altro, bisogna capire come e dove si stanno muovendo i velociraptor,
piuttosto che adattarsi a seguire le visioni di consenso che riflettono in gran parte una
visione statica e non evolutiva dell’ambiente in cui viviamo.
La fine della “Goldilocks Economy”
Siamo entrati in una fase storica di forte discontinuità rispetto al mondo che abbiamo
conosciuto dopo il crollo del muro di Berlino, dominato dalla innovazione tecnologica,
l’accelerazione dei processi di globalizzazione, il predominio ideologico del mercato e
dell’economia “di carta”. Volge al termine un lungo periodo di crescita stabile e non
inflazionistica; davanti a noi si aprono nuovi scenari dominati dall’incertezza. L’edificio
dell’economia nei paesi avanzati non è più sostenuto dai pilastri della fiducia verso le
istituzioni finanziarie e statali.
La “New Normal” Economy
Siamo entrati in un nuovo “regime” dell’economia globale, definito “New Normal” da uno dei
più quotati money manager americani. La discontinuità con il passato è strutturale, non ciclica.
Nel nuovo regime il rischio paese torna ad essere rilevante. Conta lo stato patrimoniale, non
solo il conto economico, gli stocks più che i tassi di variazione. L’eccesso di stock di debito di
tutti i generi che si è gonfiato nell’ultimo trentennio – negli Usa il debito complessivo supera,
da tempo, il 350% del PIL – va digerito. Il percorso sarà lungo e accidentato.
La fiducia è una cosa seria…
Una crisi di fiducia generalizzata è al centro della scena: non solo le banche ed i governi sono
in deficit di credibilità, ma anche l’Euro, la Bce, la stessa sostenibilità del continuo processo di
crescita cinese, alimentato da un eccesso di investimenti che prima o poi diventerà
insostenibile. Uno dei principali pilastri che è stato incrinato è quello del “risk free rate” il
tasso dei titoli governativi privo di rischio. Il mercato dei CDS sui titoli sovereign prezza delle
probabilità di default persino per il debito pubblico statunitense.
Due righe sul nostro amato paese…
Prometto di tornare sul tema con uno specifico commento a breve; per ora solo una breve
notazione. Del “rischio paese” il risparmiatore italiano si era liberato dalla fine degli anni ‘90,
con l’abbandono della lira a favore dell’euro; ora che lo spread tra BTP e BUND ha toccato di
nuovo l’1,8%, è tornato il momento di pensarci seriamente. Senza recupero di competitività
anche l’Italia, con un grande debito pubblico ma un’elevata ricchezza privata, correrà notevoli
rischi che, solo in parte, sembrano filtrare tra le preoccupazioni della nostra classe politica. Il
Ministro dell’Economia è uno dei pochi consapevoli che, in mercati globalizzati e
interconnessi, le ragioni della finanza, che specula sulle opportunità e sulle probabilità a livello
macro e microeconomico, possono trasformarsi in marosi incontrollabili che autodeterminano
l’esito sul quale si è scommesso. Un aumento medio dei tassi d’interesse dell’1%, su un debito
di 1,7 trilioni di Euro, eventualmente imposto dai creditori/speculatori internazionali,
comporterebbe, a regime, un aumento della spesa per interessi di circa 17 mld. € per anno.
Altro che rientro dal debito!
Come difendersi dall’incertezza - Indirizzi per il risparmiatore italiano
Diversificazione, diversificazione, diversificazione: per chi ne ha la possibilità, è opportuno
diversificare i propri investimenti sotto tre profili: va considerata non solo l’ovvia
diversificazione per classi di attività finanziaria, ma anche quella per gestore, da scegliere in
base alla specializzazione per stile gestionale (tattico/opportunistico, quantitativo, con
vocazione ai “fondamentali”di lungo termine) e, infine, per tipologia e stato di origine
dell’intermediario che tiene in deposito il nostro patrimonio.
Le obbligazioni governative non sono più il porto sicuro degli ultimi decenni; il rischio di
credito sul singolo paese è tornato a dominare la scena; nel tempo, vale la pena di investire sul
debito emesso da paesi caratterizzati da una migliore stabilità finanziaria e, in parallelo,
migliorare la diversificazione valutaria (meno EUR a vantaggio di USD, CHF, divise
nordiche). Non è necessario svendere oggi i titoli del tesoro italiano per acquistare, ad esempio
bund tedeschi che oggi sono molto cari. In prospettiva, però, va fatto.
Lo scenario di probabile deflazione o di crescita economica molto inferiore a quella potenziale
permette di mantenere elevata la durata finanziaria degli investimenti nei paesi
caratterizzati da basso rischio di credito e politiche monetarie espansive (Germania, Francia,
Paesi Bassi, Stati Uniti), mentre nei paesi fiscalmente virtuosi con una politica monetaria più
restrittiva (Paesi nordici, Canada, Australia) sono preferibili investimenti obbligazionari sulle
parti brevi delle curve;
L’investimento in oro rimane un elemento essenziale nell’ambito della costruzione dei
portafogli, considerata la continua creazione di liquidità a livello internazionale e il rischio
crescente di possibili default nell’ambito del debito bancario e statale;
La forza trainante delle economie emergenti rimane per il momento quasi intatta e l’area va
considerata, con la dovuta prudenza, come destinazione di una crescente quota degli
investimenti azionari ed obbligazionari;
I mercati azionari dei paesi sviluppati non sono ancora usciti dal “bear market” iniziato
all’inizio del decennio; il passare del tempo e le ampie oscillazioni che continuano a
caratterizzarli, permetteranno, nei prossimi anni, di poter progressivamente aumentare
l’esposizione su livelli di valutazione ragionevoli, se non ottimi;
Per il momento l’investimento sui mercati azionari deve comunque essere realizzato con
un approccio “tattico-opportunistico”, perché non sono maturi i tempi per un nuovo “bull
market” stile anni ‘80-’90; per il momento rimangono da preferire i mercati extraeuro, i titoli
degli exporters europei e, in generale le multinazionali globali con basso livello di debito e un
brand ampiamente riconosciuto.
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