Perché la crisi del debito sovrano

Perché la crisi del debito sovrano
non fa paura all’Italia (per ora)
Carlo D’Onofrio Conquiste del Lavoro del 30 aprile
La crisi del debito sovrano che squassa la Grecia e allunga le sue ombre su Spagna e Portogallo
continua invece a girare al largo dall’Italia. L’ultima asta di titoli pubblici, ieri, si è chiusa senza
scossoni. E,comehatitolato l’edizione online del Financial Times, ha contribuito a resserenare il
clima sui mercati europei. Il differenziale fra i rendimenti del Btp decennale italiano e il Bund
tedesco - termometro del giudizio degli investitori sulla nostra solidità finanziaria - è tornato intorno
ai 100 punti, dopo che nei giorni scorsi, complice il taglio dei rating di Grecia, Spagna e Portogallo,
era balzato oltre quota 120.
Eppure non sono lontani i tempi in cui la stampa anglosassone, con l’acronimo Pigs, designava
l’Italia, giusto accanto a Portogallo, Grecia e Spagna, tra i paesi a elevato rischio per la sua scarsa
disciplina di bilancio. Poi la crisi ha cambiato tutto, e la ”i” di Pigs è passataadindicare l’Irlanda, la
tigre celtica messa in ginocchio dal crollo del sistema bancario e sommersa dai debiti.
La tempesta finanziaria scatenatasi dopo il fallimento di Lehman Brothers ha invece toccato solo
marginalmente le banche italiane. I Tremonti bond, gli strumenti di capitale messi a disposizione
dal Tesoro per rafforzare il patrimonio degli istituti di credito nel momento più acuto della crisi, sono
rimasti inutilizzati (con malcelato disappunto, peraltro, del ministro dell’Economia). E il Governo, a
differenza di quanto avvenuto negli Usa e in altri paesi dell’Unione europea, non si è così trovato
nella condizione di scaricare sul bilancio pubblico il peso dei rischi eccessivi assunti dal sistema
bancario. Anche se il debito negli ultimi due anni è cresciuto fino a toccare il 115% del pil, il deficit
è rimasto sostanzialmente sotto controllo: il 5,3% registrato nel 2009, pur al di sopra della soglia
del 3% fissata dal Patto di stabilità europeo, è un risultato apprezzabile se paragonato alle difficoltà
di Spagna (11,2%), Irlanda , Grecia Portogallo.
La prudenza dell’Esecutivo, che all’economia ha concesso aiuti col contagocce, rifiutando quelle
politiche di stimolo che altrove hanno messo in tensione i bilanci, ci costerà probabilmente alcuni
decimali di crescita; ma ha tenuto i conti in linea di galleggiamento e rassicurato i mercati. Sulle cui
valutazioni ha probabilmente inciso anche un altro elemento spesso trascurato, vale a dire la
solidità finanziaria delle famiglie italiane, che in Europa restano, nonostante qualche scricchiolio, le
meno indebitate.
Lo ha spiegato l’economista Marco Fortis sul Messaggero: a contare, quandosi tratta della
”solvibilità” di un paese, non è tanto il rapporto tra debito pubblico e pil,quanto il raffronto tra il
debito pubblico e la ricchezza finanziaria netta delle famiglie. L’Italia, in questa classifica, è più o
meno alla pari con Francia e Germania - gli altri, i Pigs in primo luogo, sono anni luce lontani. Non
meraviglia allora che le agenzie di rating escludano un downgrade del nostro debito.
Atteggiamento che, dice non a caso Brian Coulton, responsabile del rating sovrano italiano di Fitch
Ratings, all’agenzia Radiocor, ”riflette in parte i bassi livelli di indebitamento del settore privato, la
mancanza di casi di salvataggio bancario e il ridotto deficit corrente”. In altri termini, dichiara a
Conquiste Paola Potestio, economista dell’università Federico II di Napoli, ”non si intravedono
segnali allarmanti per l’Italia, anche se è difficile formulare previsioni sul decorso della crisi greca.
Se Atene dovesse uscire dall’euro si metterebbe in moto una spirale pericolosa per l’intera
costruzione europea; e l’Italia non sarebbe al riparo dai rischi di una progressiva perdita di
credibilità della moneta unica”.