Recensione - IIS BOSCARDIN

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IL GIORNALE DI VICENZA
Lunedì 13 Febbraio 2017
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MOSTRA. Al Fortedi Bard,in Val d’Aosta, finoal1° maggioèallestita lamostra«Icônes» conl’immagine dell’artista
Ilbaciodi Doisneau,un «caso»fotografico
Alcentro della discussione
chesitrascina daquasi 70
anni,cisono iprotagonisti
diquelcelebrescatto
Angela Bosetto
Con l’avvicinarsi di San Valentino aumentano gli innamorati che si recano al Forte
di Bard in Valle d’Aosta per
visitare la mostra «Icônes»,
aperta sino al 1° maggio e dedicata a uno dei massimi fotografi del Novecento: Robert
Doisneau. Il fulcro dell’esposizione è, ovviamente, il «Bacio davanti all’hotel De Ville»
(1950), il più celebre della storia della fotografia insieme a
«V-J Day in Times Square»
di Alfred Eisenstaedt (1945).
Nonostante siano due delle
immagini più riprodotte al
mondo, non si conoscono
con certezza i protagonisti di
entrambi gli scatti, ma se Eisenstaedt non ha mai dovuto
rendere conto ai due sconosciuti, nel caso di Doisneau la
faccenda è più complessa.
Tanto per cominciare, anco-
ra non si sa se i ragazzi furono immortalati casualmente
o se posarono per esaudire la
richiesta della rivista americana «Life», che aveva commissionato a Doisneau un reportage sull’amore a Parigi.
«Non fotografo la vita reale»,
diceva spesso l’artista, «ma la
vita come mi piacerebbe che
fosse». La questione sull’identità degli innamorati comincia nel 1992, quando i coniugi Denise e Jean-Louis Lavergne denunciano Doisneau
(colpevole di averli ritratti
senza permesso), chiedendo-
gli un rimborso di 100mila
franchi. «Non avrei mai osato fotografare due persone
qualsiasi», replica lui. «Gli innamorati che si sbaciucchiano per strada sono raramente coppie legittime». Aggiunge che si trattava di due studenti di teatro: li aveva visti
scambiarsi effusioni al tavolino di un caffé e aveva chiesto
loro di replicare il bacio davanti all’obiettivo.
Tale teoria è in parte confermata dalla figlia dell’artista,
Francine Deroudille, secondo cui il padre «voleva assolu-
tamente andare al di là di
quello che la rivista gli chiedeva. Questa foto, per prendere
un esempio conosciuto pressoché a tutti, era su richiesta:
i due erano attori che però si
amavano veramente. Essi
hanno passato una giornata
a camminare per la città, ma
senza che fosse presente alcuna posa. Mio padre ha colto
l’attimo del bacio per scattare la foto che, nonostante fosse richiesta, rimase in
un’atmosfera naturale».
Si fa dunque avanti l’attrice
Françoise Bornet, rivela che
ILLIBRO. NeriPozza proponel’originalerilettura del filosofo Agamben
SCIENZA. Riflessionia un anno dallascoperta
Ondegravitazionali
lachiaveperrisolvere
ilrebusdeibuchineri
MISTERO
MAJORANA
L’esplorazionediquesto
aspettodell’universo
aiuteràa capire meglio
checosa èla materia
In«Che cos’èreale?»lascomparsa dello scienziato
diventa un gioco di probabilità, con una sola certezza
Stefano Biguzzi
A quasi 80 anni di distanza,
la scomparsa di Ettore Majorana è ancora avvolta nel più
fitto mistero. Era il 25 marzo
1938 quando il 31enne genio
della fisica che con Fermi, Segré, Rasetti, Amaldi e Pontecorvo aveva partecipato al
portentoso gruppo di studio
noto poi come «I ragazzi di
via Panisperna», faceva perdere le sue tracce dietro a
una cortina di indizi contraddittori che lasciavano e lasciano ancor oggi aperte numero-
Proponelatesi
dell’assenza come
unicopossibile
elemento in grado
diaffermare
larealtà
se piste investigative.
Scartata l’ipotesi del suicidio, al quale probabilmente
Majorana, carattere difficile
e introverso, aveva pensato
ma senza riuscire a fare il passo estremo, si è parlato della
Germania, dove era stato già
per motivi di studio manifestando apprezzamento per il
regime nazista e dove sarebbe tornato per offrire i frutti
delle sue ricerche riparando
poi in Sudamerica, a guerra
finita. Secondo altri, indipendentemente dall’antefatto tedesco, mai dimostrato, sarebbe comunque emigrato in Argentina, o in Venezuela, nella
città di Valencia, dove la Procura della Repubblica di Roma che aveva aperto un fascicolo nel 2011 a seguito di una
testimonianza proposta da
«Chi l’ha visto», ha dimostrato la presenza di Majorana
tra il 1955 e il 1959. Altri ancora avevano identificato il fisico in un vagabondo dotato di
straordinarie
conoscenze
scientifiche che si aggirava
per le strade di Mazara del
Vallo negli anni ’70 - tesi confutata dall’indagine condotta
da un giovane Paolo Borsellino - o in un mendicante che a
Roma, siamo all’inizio degli
anni ’80, affermava di aver
trovato la dimostrazione del
teorema di Fermat, enigma
matematico seicentesco risolto solo di recente. A riconoscere nell’uomo Majorana sarebbe stato monsignor Di Liegro, fondatore della Caritas
romana, che lo avrebbe poi ricondotto nel convento dal
quale si era allontanato, impegnandosi a mantenere il segreto sulla vicenda.
Un’ulteriore tesi l’aveva formulata Leonardo Sciascia
ipotizzando, in un saggio
uscito nel 1975, che il fisico si
fosse ritirato nell’eremitaggio di un convento, non solo
per fuggire il mondo ma anche soprattutto per sottrarsi
Ilfamoso «bacio» di Doisneau
Doisneau ha pagato lei e il
suo fidanzato dell’epoca Jacques Carteaud affinché posassero per lui. Porta come prova una stampa originale autografata regalatale dal fotografo e gli fa causa a sua volta
(senza successo) per ottenere
parte dei diritti d’autore. Doisneau si spegne a 81 anni nel
1994 e il caso sembra chiuso.
Invece no: nel 2014 l’87enne franco-americano Marc
de Mauregne sostiene che i
protagonisti della foto sono
lui e la sua ragazza di allora
Rolande Dupuis, immortalati per puro caso. «L’amore
non si finge, si vede che questo scatto non è un posato».
E il mistero continua. •
Enrica Battifoglia
EttoreMajoranasparì nel nullail25 marzo1938
agli inquietanti scenari che
aveva antiveduto nelle sue ricerche intuendo il possibile
impiego dell’energia nucleare per scopi militari.
A fornire una nuova affascinante e originalissima lettura della vicenda è ora il filosofo Giorgio Agamben in «Che
cos’è reale?» (Neri Pozza, pp.
78, 12.50 euro) che collega la
scomparsa di Majorana alle
moderne leggi della fisica
proponendo la tesi dell’assenza come unico possibile elemento in grado di affermare
il reale in un universo dominato dalla probabilità: «Se la
convenzione che regge la
meccanica quantistica è che
la realtà deve eclissarsi nella
probabilità, allora la scomparsa è l’unico modo in cui il
reale può affermarsi perentoriamente come tale, sottraendosi alla presa del calcolo».
Agamben, che in un escheriano gioco di specchi riduce
nella nota biografica il proprio straordinario profilo di
intellettuale all’essersi «dimesso dall’insegnamento di
filosofia teoretica», reinterpreta così il gesto di Majorana sottraendolo alla categoria della fuga per mutarlo al
contrario nella lucida volontà di tradurre in atto un’intuizione, fino alle estreme conseguenze. E spingendo oltre i limiti della fantasia le curvature di un tempo elevato a quarta dimensione dalle teorie sulla relatività, è difficile sfuggire alla tentazione di cogliere
reincarnato nel misterioso genio del siculo Majorana il
flusso vitale di quella civiltà
che 25 secoli prima di lui, tra
Grecia e Italia meridionale,
aveva visto nascere il pensiero filosofico e scientifico. •
Ha incuriosito tutto il mondo, riempito d’entusiasmo il
mondo della fisica e
dell’astronomia, ha aperto
nuove frontiere ed è in odore
di Nobel: la scoperta delle onde gravitazionali compie un
anno, ma l’esplorazione di
questo aspetto completamente nuovo dell’universo è appena agli inizi e scalda i muscoli
per andare a conoscere da vicino gli aspetti più misteriosi
della materia, come quelli
che sono all’origine dei buchi
neri o delle stelle di neutroni.
Un anno fa, l’11 febbraio
2016, aveva fatto il giro del
mondo l’annuncio della possibilità di ascoltare le increspature dello spazio-tempo
previste un secolo prima da
Albert Einstein e causate dalla deformazione provocata
dalla gravità di corpi celesti
giganteschi. Il segnale era stato catturato dal rivelatore
americano Ligo e analizzato
da Virgo, che fa capo allo European Gravitational Observatory (Ego), fondato e finan-
ziato da Istituto Nazionale di
Fisica Nucleare e Consiglio
nazionale delle ricerche francese. Da allora sono stati intercettati due segnali e il lavoro da fare è ancora moltissimo e affascinante.
Se l’astronomia gravitazionale è diventata realtà, fisici e
astrofisici si stanno preparando a fare il passo ulteriore.
«Siamo alle porte dell’astronomia multimessaggero»,
spiega Giovanni Losurdo, leader del progetto Virgo e ricercatore dell’Istituto di fisica
nucleare. Vale a dire che nel
momento in cui i rivelatori di
onde gravitazionali intercettano un segnale e ne localizzano la provenienza in un punto del cielo, altri strumenti da
Terra possono guardare in
quella stessa direzione per
catturare informazioni. È come se un medico confrontasse le immagini ottenute ai
raggi X con quelli di un’ecografia e di una Tac: sicuramente avrebbe un quadro
più preciso. La scommessa è
poterne sapere di più su comportamenti insoliti della materia. «Oggi non abbiamo la
più pallida idea di che cosa
sia un buco nero», dice Gianluca Gemme, coordinatore
di Virgo. «Le onde gravitazionali sono l’unico mezzo per
scalfire questo mistero». •
RECENSIONI. Una studentessa dell’istituto Boscardin per il concorso GdV delle scuole superiori DA STASERA. Videobiografia del Nobel e di Franca in 25 puntatesu Rai5
Fuoridell’infernoconpadre Puglisi
Arlene Zordan
VB Tecnologico IIS BOSCARDIN
“Ciò che inferno non è” è il terzo libro dello scrittore Alessandro D'Avenia. Pubblicato
nel 2014, è un romanzo che
racconta la mafia ma soprattutto il coraggio di coloro che
hanno dato la vita per combattere l'inferno che si propaga di casa in casa, di strada in
strada quando l'essere umano diventa schiavo della violenza e del potere.
La storia nasce dall'incontro con padre Pino Puglisi,
professore di Religione nel liceo di Palermo frequentato
da D'Avenia. Il protagonista
è Federico, un diciassettenne
tanto innamorato di parole e
letteratura quanto pieno di
domande, che decide di investire l'estate del 1993 (anno
di morte di padre Puglisi) aiutando don Pino con i bambini del quartiere di Brancaccio, il più malfamato di Palermo. Qui mafia, violenza e
paura regnano sovrane e i
più piccoli crescono rubando
e facendo a botte, senza nessun modello positivo da seguire. Una persona che li può
salvare però c'è: don Pino li
accoglie nel campo da calcio
dietro la chiesa, li fa giocare,
insegna loro le regole, li fa riflettere. Don Pino dona loro
tutto l'amore di cui hanno bisogno, il suo è un amore senza alcun limite, tale da riservare un sorriso persino ai
suoi assassini, un sorriso di
perdono che per anni tormenterà i loro cuori macchiati dal
male. Il lettore si ritrova immerso nella vicenda anche
grazie ai termini dialettali,
utilizzati con cura perché
non venga compromessa la
comprensione dei dialoghi,
chiari ma mai scontati.L'intensità che permea il romanzo offre diversi spunti di riflessione e costringe ad aprire gli occhi su realtà che spesso sembrano lontane o che ci
sforziamo di ignorare perché
Lacopertinadelromanzo
sentiamo che non ci riguardano. Ci aiuta a maturare la consapevolezza che “l'inferno esiste ed è pieno. Non è al di là,
ma al di qua, con mappe e indirizzi.” •
Foe Rame,tutta lalorostoria
Una rilettura degli ultimi 60
anni di storia del teatro e della società italiana attraverso
gli spettacoli e la biografia
del premio Nobel Dario Fo e
della sua compagna d’arte e
di vita, Franca Rame. Tra citazioni di commedie, monologhi, interviste e immagini
di repertorio, Rai
Cultura rivive l’epopea del
nostro Paese dal punto di vista dell’ultimo giullare, grazie a un ciclo inedito di documentari dal titolo “Dario Fo e
Franca Rame. La nostra storia”, in onda a partire da oggi
alle 22.15 su Rai5. Il primo
appuntamento, dal titolo
“Buon compleanno Dario
Fo!”, rievocherà i festeggiamenti per i 90 anni dell’artista e ricorderà le tappe salienti della sua storia artistica e
personale. Gli appuntamenti, che Rai5 dedicherà ai due
artisti in tutto il 2017, saranno 25 e saranno articolati in
cicli composti da cinque documentari ciascuno, incentrati sulla coppia e la vita del
Paese. Il primo ciclo di cinque appuntamenti, in onda
da stasera al 13 marzo in seconda serata, ripercorrerà
l’arco che dall’infanzia dei
due artisti arriva ai primi anni ’60: sono gli anni della formazione e dell’incontro tra
Dario e Franca e dell’inizio
del sodalizio esistenziale ed
artistico tra i due, tra difficoltà economiche e sperimentazioni ardite in ambito teatrale, fino all’approdo al cinema
e alla televisione, culminato
nell’esperienza travagliata di
“Canzonissima” nel 1962.
In chiusura di ogni puntata
alcuni minuti tratti dai corsi
di teatro tenuti dalla coppia.
Ogni puntata affronterà anche il Dario pittore, scenografo e cantante, compositore e
regista di opere liriche. Di
Franca saranno ricordati
l’impegno come attivista, editor teatrale tra le migliori al
mondo, nonché il lavoro per
l’archivio di famiglia. •
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