NOTTE DEI RICERCATORI 27 settembre 2013 Dipartimento di Fisica e Astronomia Università degli Studi di Catania Quanti Majorana narrazione teatrale scritta e diretta da Roberta Raciti Interprete Bruno Torrisi Elaborazioni video Mario Cosentino Roberta Raciti Ha studiato drammaturgia presso la “Scuola nazionale di drammaturgia” fondata da Dacia Maraini a Calenzano (FI) e regia teatrale presso la “Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi” di Milano. Ha scritto diversi testi teatrali e collaborato, in qualità di assistente alla regia, con numerosi professionisti, tra cui Mimmo Sorrentino e Lamberto Puggelli. Bruno Torrisi Diplomato alla scuola d'arte drammatica del Teatro Stabile di Catania diretta da Giuseppe Di Martino. Le ultime esperienze cinematografiche e televisive lo hanno visto partecipe in "Romanzo di una strage" per la regia di Marco Tullio Giordana, "Paolo Borsellino, i 57 giorni" per la regia di Alberto Negrin (Rai Uno) e "Squadra Antimafia, Palermo oggi" per la regia di Beniamino Catena (Canale 5). Perché parlare di Ettore Majorana? Se n’è già parlato tanto. L’eccezionalità della sua persona, la sua fama hanno alimentato e continuano ad alimentare tutta una mitologia intorno, non alla sua vita o alla sua opera scientifica, ma alla sua scomparsa, non solo perché un brillante fisico nucleare di soli 31 anni scompare, ma perché scompare un anno prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, “la guerra degli scienziati, una guerra in cui fisico nucleare più, fisico nucleare meno, poteva fare una grande differenza”. C’è materiale a sufficienza per decine e decine di romanzi. Infatti, a cominciare da Sciascia, gli scrittori ci si sono buttati a capofitto. Ce n’è per tutti i gusti: dalla tesi “etica” dello scienziato buono che rifiuta la compromissione della scienza a servizio della guerra, ad altre estremamente fantasiose su fughe clandestine, rapimenti e servizi segreti. Vi rassicuro fin da subito: non ci sono nuove sensazionali ipotesi. Non ho neanche scelto, nel vasto repertorio, una tesi da difendere e dimostrare per voi, né ho fatto la fatica di fabbricarmene una mia. Io, semplicemente, non so che fine abbia fatto Ettore Majorana. A me non interessa tanto il mistero della sua scomparsa, quanto piuttosto la parabola della sua vita che si inscrive in quella della storia e della rivoluzione scientifica del primo Novecento, la straordinaria coincidenza della sua vicenda biografica con i suoi studi, fino a farsene metafora. Che sia stato un genio maledetto o un abile calcolatore, lo scienziato buono o un astuto stratega, un introverso o un megalomane, su una cosa concordano tutti: Ettore era un tipo strano; strano come la meccanica quantistica, strano come il neutrino, una misteriosa particella concepita in quegli stessi anni e da lui prefigurata come la particella più autodistruttiva del cosmo, quando ancora non si aveva neanche la conferma sperimentale della sua esistenza. Il neutrino di Majorana dice molto di Ettore Majorana, più di qualsiasi biografia. Ma anche questo è un mistero: un mistero che però la scienza può svelare. La caccia al neutrino, cominciata negli anni ’30 del Novecento, non si è ancora conclusa. Grandi sofisticatissimi strumenti sono stati piazzati nei posti più impensabili ed estremi: sotto le montagne, negli abissi del mare e persino sotto i ghiacci dell’Antartide, perché per catturare le rarissime interazioni dei neutrini è necessario un silenzio cosmico.