L’alfabeto empirico e concettuale della pedagogia.
Terzo Modulo
LA RELAZIONE EDUCATIVA
Per relazione s’intende comunemente il rapporto o il legame esistente tra due persone o tra una
persona ed un oggetto, che costituisce il fondamento di ogni conoscenza. Dal punto di vista
psicopedagogico particolare rilevanza hanno le relazioni interpersonali che costituiscono il
fondamento di qualsiasi processo formativo, sia meno consapevole, dal momento che consentono al
soggetto di costruire progressivamente il proprio sé, distinguendosi dall’altro, ma comunicando ed
interagendo con lui. Fra le diverse relazioni interpersonali, di particolare rilievo è sicuramente la
relazione educativa ossia quel peculiare tipo di legame tra educatore ed educando, che si crea
naturalmente ed inevitabilmente nei diversi contesti formativi, attraverso il quale avviene il processo
di trasmissione culturale delle conoscenze, sia quello di socializzazione.
Nella storia dell’educazione è possibile riconoscere una prima fase in cui si è ritenuto che
l’efficacia dell’educazione dipendesse prevalentemente dall’abilità del maestro, ed una seconda che,
invece, a partire dall’illuminismo, con l’affermarsi del puerocentrismo, assegna centralità
all’educando, ai cui bisogni l’azione educativa del docente è chiamata a rispondere. A partire dalle
riflessioni di Dewey, che lo considera come una transazione, il rapporto educativo assume la
configurazione che se ne ha oggi: è la relazione educativa che detta i comportamenti di ciascuno
dei due soggetti, i quali divengono reciprocamente maestro e allievo soltanto all’interno di tale
ambito specifico assegnando loro ruoli differenti, ma di pari importanza1.
Anche l’educatore apprende e cambia nella e attraverso la relazione educativa, ed è per questo
motivo che tale tipo di relazione viene considerata all’insegna della reciprocità, ma egli deve essere
consapevole di non poter abdicare al ruolo di mediatore delle conoscenze e/o di facilitatore delle
relazioni interpersonali che gli è proprio e che viene messo in atto per favorire la crescita dei soggetti
in formazione a lui affidati. L’efficacia della relazione educativa si misura anche per il fatto che
all’interno dell’inevitabile dimensione asimmetrica, essa si caratterizzi come luogo di scambio, di
cooperazione e di collaborazione tra educatore ed educando. Non tutte le relazioni educative sono
ugualmente efficaci relativamente alla facilitazione degli apprendimenti e delle competenze
relazionali; ciò richiede all’educatore un continuo monitoraggio del suo essere in relazione, una
disponibilità a mettersi in gioco nella relazione educativa non solo come soggetto di cambiamento,
ma anche come soggetto al cambiamento, capace cioè di accogliere le risposte dell’educando come
elementi costitutivi della stessa azione educativa e di modificare di conseguenza la quantità e la
qualità dell’intervento educativo.
Parlare della relazione educativa non significa analizzare semplicemente un aspetto
dell’educazione, ma affrontare il cuore dell’educazione stessa come esperienza umana che accade
tra persone e, quindi, è incontro che si realizza nel rapporto interpersonale dei soggetti coinvolti,
soggetti storici che subiscono i condizionamenti biologici, sociali e culturali dell’ambiente di cui
fanno parte. La relazione con l’educatore, genitore e/o insegnante, segue un percorso dinamico e si
traduce in possibilità perennemente aperta ad una molteplicità infinita di altre relazioni: con le
persone, con i prodotti culturali, sociali e politici, con il mondo intero.
Essendo la persona il centro attorno a cui si costruisce, la relazione porta al riconoscimento della
comune umanità e della diversità individuale e culturale, e quindi ad accogliere l’identità e la
differenza.
Inoltre la relazione è costitutiva dell’essere persona e rappresenta lo strumento privilegiato del fare
educazione, è per suo tramite che ciascuno dei soggetti implicati si arricchisce dell’umanità dell’altro
e si apre al senso dell’esistenza che è essenzialmente un con-essere.
1
R. Laporta, Avviamento alla pedagogia, Roma, Carocci, 2000; ma anche M. Baldacci, Trattato di pedagogia
generale, Roma, Carocci Editore, 2012, cap. V, VIII, IX, X.
Per la filosofia dialogale di Martin Buber infatti l’uomo diviene veramente sé stesso soltanto
nell’incontro con il Tu: grazie al Tu, all’apertura verso l’altro, l’Io si identifica come tale. Nella
relazione l’Io limitato appaga il desiderio di dare e ricevere, di esprimere sé stesso e accogliere l’altro
creando uno spazio tra l’Io e il Tu, un luogo di incontro e accoglienza. In questo spazio di
riconoscimento reciproco ciascuno non teme di aprirsi all’altro per ciò che è, uscendone arricchito,
trasformato, migliorato. Riconoscere l’altro in quanto persona significa essere responsabili nei suoi
confronti.
Così, se l’educatore ha veramente accolto l’educando, si fa presenza all’altro alimentando un
rapporto di reciprocità: la relazione è inevitabilmente educativa perché lo scambio si realizza solo se
c’è rispetto dei ritmi e degli spazi del dare e del ricevere. Inoltre la relazione educativa richiede
all’educatore una ricomprensione dovendo fare esperienza del suo operare cogliendo l’effetto che la
sua azione ha sull’altro polo della relazione. L’educatore fa cioè esperienza del proprio limite e della
solidarietà con l’altro, rendendosi conto non solo di ciò di cui ha bisogno il particolare educando, ma
anche di ciò che egli stesso è in grado di offrire alla persona che ha di fronte. L’educatore sostiene ed
incoraggia quindi l’autoeducazione e diviene facilitatore del processo di cambiamento di cui è
protagonista l’educando.
Così per Carl Rogers, la relazione educativa si compie come relazione di aiuto, cioè come un
rapporto in cui una persona si attiva per facilitare la crescita e la maturità dell’altro che non si
configura come soggetto da manipolare, ma come persona capace di auto/compimento e di
autorealizzazione.
La relazione di aiuto – che sostanzia la relazione tra educatore ed educando nei contesti non formali
– poggia su tre condizioni fondamentali: la congruenza, l’accettazione positiva incondizionata e
l’empatia. La congruenza consiste nella consapevolezza del facilitatore dei propri sentimenti e vissuti,
come emergono nella relazione con il soggetto, senza negarli o distorcerli. L’accettazione positiva
incondizionata poggia sul rispetto per la persona riconosciuta come unica e originale, nella sua
totalità, con difetti e qualità, senza critiche o valutazioni. L’empatia è la dimensione che più
specificatamente deve connotare un’autentica relazione di aiuto, indica la capacità di mettersi nei
panni dell’altro, di coglierne con sincerità e rispetto mondo interiore e contenuti emozionali e
cognitivi, per avviare una comprensione autentica. L’empatia è la via maestra perché l’educando
giunga alla coscienza delle sue emozioni e degli aspetti di sé sconosciuti o rimossi per avviare un
processo di autovalutazione e di cambiamento.
I due caratteri costitutivi della relazione educativa sono: l’intenzionalità e l’asimmetria (età,
maggiori esperienze, conoscenze e maturità personali dell’educatore rispetto all’educando). Un
rapporto educativo non può essere affidato all’improvvisazione, ma deve scaturire da scelte, strategie
e valori. L’intenzionalità dell’educatore si traduce nell’avviare un processo di comprensione di
desideri, bisogni e attese dell’educando. La relazione è complementare ed educativa quando i diversi
livelli di asimmetria evolvono in senso contenutistico e relazionale, annullando l’asimmetria stessa.
Le relazioni infatti non possono essere statiche.
La relazione educativa si pone quindi in una prospettiva teleologica che si situa nell’esperienza
temporale comprendendo:
a) il passato, tempo in cui sono individuati gli strumenti e le metodologie dell’azione educativa
che modella i comportamenti educativi;
b) il futuro, dimensione privilegiata perché vi si proiettano le finalità dell’intervento;
c) il presente, fondamentale perché l’intervento educativo avviene hic et nunc e non può essere
procrastinato essendo chiamato a dare risposte adeguate alla situazione corrente.
La base di una relazione che si definisce educativa è dunque costituita dalla: disponibilità ad uscire
dalla propria singolarità per incontrare l’altro in nome della comune umanità; accettazione della
diversità riconoscendola come valore inestimabile; com-prensione di tale differenza e messa in atto
di una ricerca continua di strategie e percorsi migliori, sostenuti dall’impegno e dalla passione per
aiutare gli allievi ad intraprendere il percorso verso la conquista della propria umanità. Per la funzione
educatore sono perciò necessari un sapere pedagogico, culturale e relazionale, e competenze
comunicative. Il comportamento dell’uomo va esaminato all’interno del contesto in cui si manifesta
e l’attenzione va posta alla pragmatica della comunicazione intesa come manifestazione osservabile
del comportamento nella relazione includendo il non verbale e il linguaggio del corpo.
La relazione educativa trova migliore espressione nelle metodologie cooperative e partecipative,
in cui il ruolo del docente si configura come facilitatore e il gruppo-classe diviene soggetto di cocostruzione di conoscenze, abilità e identità individuale e di gruppo. Tra le teorie e le metodologie
che evidenziano le potenzialità del lavoro di gruppo, nell’ambito della scuola attiva, un contributo
notevole è offerto dalla pedagogia di Freinet e dal Movimento di Cooperazione
Educativa sviluppatosi in Francia e poi in Italia grazie ai contributi di Ciari, Lodi, don Milani e
Malaguzzi.
Il metodo di Freinet focalizza l’attenzione sulla cura del contesto scolastico e della regia educativa
e didattica per creare le condizioni per un apprendimento attivo e collaborativo. La prospettiva
cooperativistica di Freinet favorisce un insegnamento rispettoso delle differenze individuali degli
allievi e dei loro ritmi di apprendimento. A ciò è finalizzata la messa a punto delle tecniche di
Freinet (testo libero, tipografia, corrispondenza interscolastica, schedario) e dei maestri del
Movimento Cooperativo (schedari di documentazione, di esercizio e di autocorrezione, monografie
per la biblioteca di lavoro, macchine per insegnare). Non bisogna educare alla cieca obbedienza e alla
competizione, ma per la formazione di persone attive, responsabili, capaci di autocritica e disponibili
alla condivisione e alla partecipazione. L’insegnante deve svolgere una funzione di regolazione dello
scambio comunicativo del gruppo e talvolta solo di testimone. Si attua così la circolarità
ascolto/parola/ascolto. La capacità di ascolto del maestro, che attiva la dinamica ascolto/parola,
produce un nuovo ascolto: di sé, ma anche del testo. Si attiva così un processo costruttivo di
apprendimento.
Il lavoro di gruppo pertanto non sostiene solamente la socializzazione, ma anche lo sviluppo
cognitivo e morale. La caratteristica essenziale del gruppo è l’interdipendenza, c’è cioè una relazione
di dipendenza reciproca tra i membri del gruppo in vista della realizzazione di un determinato scopo.
La riuscita del lavoro cooperativo è anche strettamente legata allo sviluppo di competenze prosociali
che si basano su abilità cognitive, assertività, empatia e autocontrollo, e concorrono alla formazione
di un clima inclusivo, di aiuto e sostegno. Attivare la risorsa del gruppo dei pari significa non solo
riconoscere il valore delle diversità individuali, ma anche promuovere la solidarietà e il sostegno
reciproco di fronte alle diversità socioculturali e a quelle derivanti da disabilità di vario tipo.
Su queste premesse si fonda il cooperative learning, metodologia a mediazione sociale in cui gli
allievi costituiscono le risorse e l’origine dell’apprendimento, e l’insegnante svolge la funzione di
facilitatore e di regia. Per lavorare in un gruppo di apprendimento cooperativo occorrono cinque
elementi essenziali: interdipendenza positiva; responsabilità individuale e di gruppo; interazione
costruttiva e diretta; abilità sociali; valutazione di gruppo.
Esercitazioni/sollecitazioni.
Vi invito a vedere Kolya, 1996, dopo la visione/analisi del film, indicate le sequenze:
a) in cui la relazione tra adulto e bambino si caratterizza educativa.
b) dove, cosa e come il bambino apprende attraverso la relazione.
c) che cosa cambia nel bambino e nell’adulto.
d) qual è il carattere dell’intenzionalità educativa?
Altra esperienza da fare:
Les choristes – I ragazzi del coro di Christophe Barratier, 2005.
a) Indicate in che modo l’educatore riesce a stabilire una relazione educativa con i ragazzi
del coro.